ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
lettere b), c) e g), e comma 2, dell'art. 11, comma  1,  lettere  a),
b), numero 2), c), numeri 1) e 2), e), f), g), h), i),  l),  m),  n),
o), p) e q), e comma 2, dell'art. 16, commi  1  e  4,  dell'art.  17,
comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), l), m), o), q), r), s) e t),
dell'art. 18, lettere a), b), c), e), i), l) e m), numeri da 1) a 7),
dell'art. 19, lettere b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s),  t)
e u), e dell'art. 23, comma 1, della legge  7  agosto  2015,  n.  124
(Deleghe  al   Governo   in   materia   di   riorganizzazione   delle
amministrazioni pubbliche), promosso dalla Regione Veneto con ricorso
notificato il 12  ottobre  2015,  depositato  in  cancelleria  il  19
ottobre 2015 ed iscritto al n. 94 del registro ricorsi 2015. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  19  ottobre  2016  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Luca Antonini e Luigi  Manzi  per  la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Paolo Grasso per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il  12  ottobre  2015,  depositato  il
successivo 19 ottobre, la Regione Veneto  ha  promosso  questione  di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli  artt.  3,  81,  97,
117, secondo, terzo e quarto comma, 118  e  119  della  Costituzione,
nonche' al principio di leale collaborazione di cui agli  artt.  5  e
120 Cost., di alcune disposizioni della legge 7 agosto 2015,  n.  124
(Deleghe  al   Governo   in   materia   di   riorganizzazione   delle
amministrazioni pubbliche), e, in particolare: dell'art. 1, comma  1,
lettere b), c) e g), e comma 2; dell'art. 11, comma  1,  lettere  a),
b), numero 2), c), numeri 1) e 2), e), f), g), h), i),  l),  m),  n),
o), p) e q), e comma 2; dell'art. 16, commi  1  e  4;  dell'art.  17,
comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), l), m), o), q), r), s) e t);
dell'art. 18, lettere a), b), c), e), i), l) e m), numeri da 1) a 7);
dell'art. 19, lettere b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s),  t)
e u); dell'art. 23, comma 1. 
    1.1.- In primo luogo la Regione impugna l'art. 1, comma 1,  della
citata legge, nella parte in cui delega il Governo ad adottare uno  o
piu' decreti  legislativi  volti  a  modificare  e  integrare,  anche
disponendone  la  delegificazione,  il  codice   dell'amministrazione
digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n.  82  (Codice
dell'amministrazione digitale), e fissa  alcuni  criteri  e  principi
direttivi. 
    In particolare, la ricorrente impugna: 1) la lettera b) del comma
1 dell'art. 1, nella parte in cui indica, fra i  principi  e  criteri
direttivi  ai  quali  il  Governo  dovrebbe  attenersi,   quello   di
«ridefinire  e  semplificare  i   procedimenti   amministrativi,   in
relazione  alle  esigenze  di  celerita',  certezza   dei   tempi   e
trasparenza nei confronti dei cittadini e delle imprese, mediante una
disciplina  basata  sulla  loro  digitalizzazione  e  per  la   piena
realizzazione del principio "innanzitutto digitale" (digital  first),
nonche'  l'organizzazione  e  le   procedure   interne   a   ciascuna
amministrazione»; 2) la lettera c) del medesimo  comma  1,  la'  dove
impone di «garantire, in linea con gli obiettivi dell'Agenda digitale
europea,  la  disponibilita'  di  connettivita'  a  banda   larga   e
ultralarga e l'accesso alla rete internet presso gli uffici  pubblici
e altri luoghi che, per la  loro  funzione,  richiedono  le  suddette
dotazioni, anche attribuendo carattere  prioritario,  nei  bandi  per
accedere  ai  finanziamenti  pubblici  per  la  realizzazione   della
strategia italiana per la banda  ultralarga,  all'infrastrutturazione
con reti a banda  ultralarga  nei  settori  scolastico,  sanitario  e
turistico, agevolando in quest'ultimo  settore  la  realizzazione  di
un'unica rete wi-fi ad accesso  libero,  con  autenticazione  tramite
Sistema pubblico per  la  gestione  dell'identita'  digitale  (SPID),
presente in tutti i luoghi  di  particolare  interesse  turistico,  e
prevedendo la possibilita' di estendere  il  servizio  anche  ai  non
residenti in Italia, nonche' prevedendo che la porzione di banda  non
utilizzata dagli uffici  pubblici  sia  messa  a  disposizione  degli
utenti, anche non residenti, attraverso un sistema di  autenticazione
tramite SPID; garantire l'accesso e il riuso  gratuiti  di  tutte  le
informazioni prodotte e detenute dalle amministrazioni  pubbliche  in
formato aperto, l'alfabetizzazione digitale,  la  partecipazione  con
modalita'  telematiche  ai  processi  decisionali  delle  istituzioni
pubbliche,  la  piena  disponibilita'  dei   sistemi   di   pagamento
elettronico nonche' la riduzione del divario digitale sviluppando  le
competenze digitali di base»; la lettera g)  del  medesimo  comma  1,
nella parte in cui individua, fra i  principi  direttivi,  quello  di
«favorire l'elezione di un domicilio digitale da parte di cittadini e
imprese  ai  fini  dell'interazione  con  le  amministrazioni,  anche
mediante  sistemi  di  comunicazione  non   ripudiabili,   garantendo
l'adozione di soluzioni idonee a consentirne l'uso anche in  caso  di
indisponibilita'  di  adeguate  infrastrutture   e   dispositivi   di
comunicazione  o  di  un  inadeguato  livello   di   alfabetizzazione
informatica, in modo da assicurare, altresi', la piena accessibilita'
mediante l'introduzione, compatibilmente con i vincoli  di  bilancio,
di modalita' specifiche e peculiari,  quali,  tra  le  altre,  quelle
relative alla lingua italiana dei segni». 
    Tali disposizioni  violerebbero  l'art.  117,  secondo,  terzo  e
quarto comma, Cost. in quanto, stabilendo una serie  di  prescrizioni
innovative   destinate   a   interessare   tutti    i    procedimenti
amministrativi  con  cui  l'amministrazione  regionale  e  locale  si
rapporta con cittadini e imprese, trascenderebbero la  mera  funzione
del «coordinamento informativo  statistico  e  informatico  dei  dati
dell'amministrazione statale, regionale  e  locale»,  assegnata  alla
competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato  dal  secondo  comma,
lettera r), dell'art. 117  Cost.,  e  invaderebbero  vari  ambiti  di
competenza  regionale  quali  la  sanita',  il  turismo,  l'attivita'
d'impresa e l'organizzazione amministrativa regionale. 
    Esse,  inoltre,  sarebbero  lesive   del   principio   di   leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost.,  considerato  che  al
comma 2 del medesimo art. 1  e'  stabilito  che  i  relativi  decreti
legislativi delegati siano adottati su proposta del Ministro delegato
per  la  semplificazione  e  la  pubblica   amministrazione   «previa
acquisizione  del  parere   della   Conferenza   unificata   di   cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997,  n.  281»,  da
rendere  «nel  termine  di  quarantacinque  giorni  dalla   data   di
trasmissione di ciascuno schema di decreto  legislativo,  decorso  il
quale il Governo puo' comunque procedere».  La  previsione  del  mero
parere della  Conferenza  unificata  sarebbe,  infatti,  inidonea  ad
assicurare  un'adeguata  ponderazione   degli   interessi   e   delle
competenze  delle  autonomie  coinvolte  dal  decreto  e  lesiva  del
principio  di  bilateralita',  poiche'  il   mancato   raggiungimento
dell'accordo,  il  cui  termine  peraltro   sarebbe   troppo   breve,
legittimerebbe l'assunzione unilaterale di atti  normativi  da  parte
del Governo, in contrasto con la giurisprudenza costituzionale. 
    1.1.1.-  La  Regione  Veneto  formula  particolari  censure   nei
confronti degli artt. 1, comma 1, e 23, comma 1, nella parte  in  cui
stabiliscono che dall'attuazione della legge in oggetto e dai decreti
legislativi da essa previsti  (volti  a  modificare  e  integrare  il
codice dell'amministrazione digitale) non derivino nuovi  o  maggiori
oneri a carico della finanza pubblica statale. 
    Tali disposizioni sono impugnate in riferimento agli artt.  81  e
119 Cost., in quanto imporrebbero  un  nuovo  e  improprio  onere  di
finanziamento  della  riforma  in  capo  alle  Regioni.  La   Regione
ricorrente deduce  che  l'assunzione  di  nuovi  modelli  tecnologici
imposta dalla normativa statale comporterebbe inevitabilmente costi a
suo carico, rispetto ai quali lo Stato ometterebbe  di  destinare  le
risorse  aggiuntive  necessarie  a  coprire  gli  oneri   conseguenti
all'espletamento delle azioni necessarie. 
    1.2.- Sono, poi, impugnati il comma 1 dell'art. 11,  lettere  a),
b), numero 2), c), numeri 1) e 2), e), f), g), h), i),  l),  m),  n),
o), p) e q), della legge n. 124 del 2015, nella parte  in  cui  detta
principi e criteri direttivi  relativi  alla  delega  al  Governo  ad
adottare uno o piu'  decreti  legislativi  in  materia  di  dirigenza
pubblica, e il comma 2 del medesimo art. 11, la' dove stabilisce  che
i decreti legislativi delegati siano  adottati  «previa  acquisizione
del parere della Conferenza  unificata  di  cui  all'articolo  8  del
decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281»,  che  deve  essere  reso
«nel termine di quarantacinque giorni dalla data di  trasmissione  di
ciascuno schema di decreto legislativo, decorso il quale  il  Governo
puo' comunque procedere». 
    La Regione Veneto, in particolare, censura:  1)  la  lettera  a),
nella  parte  in  cui  prescrive  l'istituzione  del  sistema   della
dirigenza pubblica,  articolato  in  ruoli  unificati  e  coordinati,
aventi  requisiti  omogenei  di  accesso  e  procedure  analoghe   di
reclutamento; 2) la lettera  b),  numero  2),  che,  con  riferimento
all'inquadramento dei dirigenti delle Regioni,  dopo  aver  stabilito
che sia istituito, previa intesa in sede di Conferenza permanente per
i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di  Trento
e di Bolzano, un ruolo unico dei dirigenti regionali,  prescrive,  in
sede di prima applicazione, la «confluenza  nel  suddetto  ruolo  dei
dirigenti di ruolo nelle regioni, negli enti pubblici  non  economici
regionali e nelle agenzie regionali», nonche' la «attribuzione  della
gestione  del  ruolo  unico  a  una  Commissione  per  la   dirigenza
regionale», la «inclusione nel suddetto ruolo unico  della  dirigenza
delle camere di commercio, industria,  artigianato  e  agricoltura  e
della dirigenza amministrativa, professionale e tecnica del  Servizio
sanitario nazionale ed esclusione dallo stesso [...] della  dirigenza
medica, veterinaria e sanitaria del Servizio sanitario nazionale»; 3)
la lettera c), nella parte in cui stabilisce anche  per  i  dirigenti
regionali criteri e  principi  direttivi  relativi  all'accesso  alla
dirigenza nelle forme del corso-concorso (numero 1)  e  del  concorso
(numero 2); 4) la lettera e), che prescrive la formazione  permanente
dei dirigenti; 5) la lettera  f),  che  amplia  la  previsione  della
mobilita' della dirigenza, nella parte in cui  non  e'  richiesto  il
previo assenso delle amministrazioni di appartenenza per la mobilita'
della dirigenza medica e sanitaria; 6) la lettera g), nella parte  in
cui indica una serie di criteri  direttivi  per  il  conferimento  di
incarichi dirigenziali; 7) la lettera h), che detta criteri in ordine
alla durata degli incarichi predetti; 8) la lettera i),  nella  parte
in cui stabilisce criteri e principi direttivi della delega in ordine
ai dirigenti privi di incarico; 9) la lettera l), ove indica  criteri
e  principi  direttivi  per  la  disciplina  della  valutazione   dei
risultati; 10) la lettera m), che  individua  i  principi  e  criteri
direttivi  della  delega   in   relazione   alla   disciplina   della
responsabilita' dei dirigenti;  11)  la  lettera  n),  che  definisce
principi e criteri in tema di retribuzione; 12) la lettera o),  nella
parte in cui indica principi e criteri per la disciplina transitoria;
13) la lettera p), nella  parte  in  cui  detta  principi  e  criteri
direttivi  con  riferimento  «al  conferimento  degli  incarichi   di
direttore  generale,  di  direttore  amministrativo  e  di  direttore
sanitario, nonche', ove previsto  dalla  legislazione  regionale,  di
direttore dei servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti  del
Servizio sanitario nazionale» e nella parte in cui impone  «selezione
unica, per titoli, previo avviso pubblico, dei direttori generali  in
possesso  di  specifici  titoli  formativi  e  professionali   e   di
comprovata  esperienza  dirigenziale,  effettuata  da  parte  di  una
commissione  nazionale  composta  pariteticamente  da  rappresentanti
dello Stato e delle regioni, per l'inserimento in un elenco nazionale
degli idonei istituito presso il Ministero della  salute,  aggiornato
con cadenza biennale, da cui le regioni e le province autonome devono
attingere per il conferimento dei relativi  incarichi  da  effettuare
nell'ambito di una  rosa  di  candidati  costituita  da  coloro  che,
iscritti nell'elenco nazionale, manifestano l'interesse  all'incarico
da  ricoprire,  previo  avviso  della  singola  regione  o  provincia
autonoma [...]; sistema di verifica e di  valutazione  dell'attivita'
dei direttori generali  che  tenga  conto  del  raggiungimento  degli
obiettivi sanitari e dell'equilibrio economico dell'azienda, anche in
relazione alla garanzia dei livelli essenziali di  assistenza  e  dei
risultati del  programma  nazionale  valutazione  esiti  dell'Agenzia
nazionale per i servizi sanitari regionali; decadenza dall'incarico e
possibilita'  di  reinserimento  soltanto  all'esito  di  una   nuova
selezione  nel  caso  di  mancato  raggiungimento  degli   obiettivi,
accertato decorsi ventiquattro mesi dalla nomina, o nel caso di gravi
o comprovati motivi, o di grave disavanzo o di  manifesta  violazione
di  leggi  o  regolamenti  o  del  principio  di  buon  andamento   e
imparzialita';  selezione  per  titoli  e  colloquio,  previo  avviso
pubblico, dei direttori  amministrativi  e  dei  direttori  sanitari,
nonche', ove previsti dalla legislazione regionale, dei direttori dei
servizi   socio-sanitari,   in   possesso   di    specifici    titoli
professionali, scientifici e di  carriera,  effettuata  da  parte  di
commissioni regionali composte da esperti di qualificate  istituzioni
scientifiche, per l'inserimento in appositi elenchi  regionali  degli
idonei, aggiornati con cadenza biennale, da cui i direttori  generali
devono obbligatoriamente attingere per le relative nomine;  decadenza
dall'incarico nel caso di manifesta violazione di leggi o regolamenti
o del principio di buon andamento e imparzialita'; definizione  delle
modalita' per l'applicazione delle norme adottate in attuazione della
presente lettera  alle  aziende  ospedaliero-universitarie»;  14)  la
lettera q), nella parte in cui stabilisce la «previsione  di  ipotesi
di revoca dell'incarico e di divieto di rinnovo  di  conferimento  di
incarichi in settori sensibili ed esposti al rischio  di  corruzione,
in presenza di condanna anche non definitiva, da  parte  della  Corte
dei conti, al risarcimento del danno erariale per condotte dolose». 
    Le citate disposizioni violerebbero gli artt. 117, secondo, terzo
e quarto comma, 118 e 119  Cost.,  poiche'  detterebbero  principi  e
criteri direttivi volti a disciplinare in maniera puntuale  anche  la
dirigenza regionale, che sarebbe invece riconducibile  alla  potesta'
legislativa regionale in  materia  di  ordinamento  e  organizzazione
amministrativa regionale. Tali  principi  e  criteri  non  sarebbero,
pertanto, configurabili come  "principi  generali  dell'ordinamento",
che  soli  sarebbero  idonei  a  vincolare  la  predetta   competenza
legislativa regionale residuale. 
    Le medesime disposizioni violerebbero, inoltre, il  principio  di
leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., in quanto,  pur
incidendo  su  ambiti  di   competenza   regionale   (ordinamento   e
organizzazione  amministrativa   regionale),   si   limiterebbero   a
prevedere che i decreti legislativi siano adottati previa intesa solo
con  riferimento  all'istituzione  del  ruolo  unico  dei   dirigenti
regionali (art. 11,  comma  1,  lettera  a,  numero  2),  disponendo,
invece, al comma 2 dell'art.  11,  con  riguardo  a  tutte  le  altre
previsioni, che i medesimi decreti legislativi siano adottati  previa
acquisizione del mero parere della Conferenza unificata  nel  termine
di quarantacinque giorni dalla data di  trasmissione.  Anche  in  tal
caso la ricorrente lamenta che la forma prescelta per il raccordo con
le Regioni, quella del parere, sia inidonea ad assicurare un'adeguata
ponderazione degli interessi e delle  competenze  delle  autonomie  e
lesiva del principio  di  bilateralita'.  Il  mancato  raggiungimento
dell'accordo, entro un termine peraltro molto  breve,  legittimerebbe
l'assunzione unilaterale di atti normativi da parte  del  Governo  in
contrasto con la giurisprudenza costituzionale. 
    1.2.1.- La Regione Veneto propone,  poi,  specifiche  censure  in
relazione  ad  alcune  disposizioni  della  delega  sulla   dirigenza
pubblica. 
    In particolare, denuncia l'art. 11, comma 1,  lettera  f),  della
citata legge n. 124 del 2015, che prescrive al  Governo  di  indicare
casi e condizioni in cui non e' richiesto  il  previo  assenso  delle
amministrazioni di appartenenza  per  la  mobilita'  della  dirigenza
medica e sanitaria. Tale disposizione sarebbe lesiva degli artt. 3  e
97 Cost., poiche' stabilirebbe un principio generale  di  ampliamento
delle ipotesi di mobilita', senza considerare che  la  selezione  dei
dirigenti in servizio e' avvenuta  sulla  base  dell'accertamento  di
specifiche competenze tecniche da parte dell'ente che ha  bandito  il
concorso, in contrasto con i principi di  ragionevolezza  e  di  buon
andamento dell'amministrazione, la  cui  lesione  ridonderebbe  sulle
competenze regionali. 
    Anche l'art. 11, comma 1, lettera i), della citata legge  n.  124
del 2015, nella parte in cui prescrive  che  il  Governo  preveda  la
decadenza dal ruolo unico dei dirigenti privi di incarico, violerebbe
gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto determinerebbe  una  reformatio  in
peius del regime vigente, con conseguente violazione dei principi del
legittimo affidamento e del buon andamento dell'amministrazione,  che
ridonderebbe in una lesione delle competenze regionali. 
    Infine, l'art. 11, comma 1, lettera p), della legge  n.  124  del
2015, la' dove detta principi e criteri direttivi con riferimento «al
conferimento degli incarichi  di  direttore  generale,  di  direttore
amministrativo e di direttore sanitario, nonche', ove previsto  dalla
legislazione regionale,  di  direttore  dei  servizi  socio-sanitari,
delle  aziende  e  degli  enti  del  Servizio  sanitario  nazionale»,
recherebbe  norme  di  dettaglio,  atte  a  comprimere  indebitamente
competenze regionali, in ragione dell'attinenza  della  materia  alla
tutela della salute e all'organizzazione amministrativa  regionale  e
tali da configurare  una  disciplina  irragionevole  e  contraria  al
principio del  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione,  in
violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost. 
    1.3.- La Regione impugna altresi' l'art. 16 della  legge  n.  124
del 2015, nella parte in cui prevede, al comma 1,  l'elaborazione  di
distinti testi unici diretti alla  semplificazione  dei  settori  del
lavoro  alle  dipendenze  delle  pubbliche   amministrazioni,   delle
partecipazioni societarie delle  amministrazioni  pubbliche,  nonche'
dei servizi pubblici di interesse economico generale e stabilisce, al
comma 4, che i relativi decreti siano adottati  previo  parere  della
Conferenza unificata  reso  nel  termine  di  quarantacinque  giorni,
decorso il quale il Governo puo' comunque procedere. 
    Le citate disposizioni violerebbero gli artt. 117, secondo, terzo
e  quarto  comma,  118  e  119  Cost.  e  il   principio   di   leale
collaborazione di cui  agli  artt.  5  e  120  Cost.  Esse,  infatti,
conterrebbero una delega non alla mera semplificazione, ma anche alla
riorganizzazione, incidendo su competenze regionali di  cui  all'art.
117,   terzo   e   quarto   comma,   Cost.,   come   l'organizzazione
amministrativa regionale, il trasporto pubblico locale  e  i  servizi
pubblici,  e  di  cui  all'art.  119  Cost.,  e,   nonostante   cio',
prescriverebbero, per l'adozione dei  relativi  decreti  legislativi,
una forma di raccordo con le Regioni insufficiente. Tale e'  ritenuto
il parere in Conferenza unificata,  lesivo  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    1.4.- Viene, inoltre, impugnato l'art. 17, comma 1,  lettere  a),
b), c), d), e), f), l), m), o), q), r), s) e t), della medesima legge
n. 124 del 2015, nella parte in cui definisce i principi e i  criteri
direttivi della delega al Governo per il  riordino  della  disciplina
del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche,  per
violazione degli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e  119
Cost. e del principio di leale collaborazione di cui agli artt.  5  e
120 Cost. 
    In particolare sono censurate: 1) la lettera a), nella  parte  in
cui fissa, fra i predetti principi e criteri, il  riconoscimento  nei
concorsi pubblici della  professionalita'  acquisita  da  coloro  che
abbiano avuto  rapporti  di  lavoro  flessibile  con  amministrazioni
pubbliche; 2) la  lettera  b),  la'  dove  impone  l'adozione  di  un
disciplina   delle   prove   concorsuali   tale    da    privilegiare
l'accertamento  della  capacita'  dei  candidati  di   utilizzare   e
applicare a problemi specifici e casi concreti nozioni  teoriche;  3)
la lettera c), che prescrive l'accentramento dei concorsi  per  tutte
le amministrazioni  pubbliche  e  la  revisione  delle  modalita'  di
espletamento  degli  stessi;  4)  la  lettera  d),  che   impone   la
soppressione  del  requisito  del  voto  minimo  di  laurea  per   la
partecipazione  ai  concorsi  per  l'accesso  agli   impieghi   nelle
pubbliche  amministrazioni;  5)  la   lettera   e),   che   prescrive
l'accertamento della conoscenza  della  lingua  inglese  e  di  altre
lingue, quale requisito di partecipazione al  concorso  o  titolo  di
merito valutabile dalle commissioni giudicatrici,  secondo  modalita'
definite dal bando anche in relazione ai  posti  da  coprire;  6)  la
lettera  f),  che  indica  quale  ulteriore  principio  direttivo  la
valorizzazione del titolo di dottore di ricerca; 7)  la  lettera  l),
che prescrive l'attribuzione all'Istituto nazionale della  previdenza
sociale (INPS) delle competenze in tema di accertamento medico legale
in caso di assenze dei dipendenti pubblici per malattia  al  fine  di
garantire l'effettivita' dei controlli; 8) la lettera m), che, fra  i
principi  direttivi,  annovera  la  definizione   di   obiettivi   di
contenimento  delle  assunzioni,  differenziati  in  relazione   agli
effettivi fabbisogni; 9) la lettera o), che prescrive  l'introduzione
di  una  disciplina  delle   forme   del   lavoro   flessibile,   con
individuazione di limitate e  tassative  fattispecie,  caratterizzate
dalla compatibilita' con la peculiarita' del rapporto di lavoro  alle
dipendenze  delle  pubbliche  amministrazioni  e  con   le   esigenze
organizzative e  funzionali  di  queste  ultime,  anche  al  fine  di
prevenire  il  precariato;  10)  la  lettera  q),  che   prevede   il
progressivo superamento della dotazione organica come limite  per  le
assunzioni, anche al fine di facilitare i processi di mobilita';  11)
la lettera r), nella parte in cui  impone  la  semplificazione  delle
norme  in  materia  di  valutazione  dei  dipendenti   pubblici,   di
riconoscimento del merito e di premialita',  la  razionalizzazione  e
l'integrazione dei  sistemi  di  valutazione,  anche  al  fine  della
migliore valutazione delle politiche, lo sviluppo di sistemi distinti
per la misurazione dei risultati raggiunti dall'organizzazione e  dei
risultati raggiunti dai singoli dipendenti, nonche' il  potenziamento
dei processi di valutazione indipendente del livello di efficienza  e
qualita'  dei  servizi  e  delle  attivita'   delle   amministrazioni
pubbliche e degli impatti  da  queste  prodotti,  anche  mediante  il
ricorso a standard di riferimento e confronti; 12) la lettera s), che
prevede  l'introduzione  di  norme  in  materia  di   responsabilita'
disciplinare dei pubblici  dipendenti  finalizzate  ad  accelerare  e
rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e  di  conclusione
l'esercizio dell'azione disciplinare; 13) la lettera t),  che  impone
il  rafforzamento  del  principio  di   separazione   tra   indirizzo
politico-amministrativo e gestione. 
    La   ricorrente   sostiene   che   le   richiamate   disposizioni
stabiliscono  principi  e  criteri  direttivi  volti  a  disciplinare
direttamente  anche  il  pubblico  impiego   regionale,   senza   che
intervenga alcuna distinzione  e  qualificazione  di  quei  "principi
generali dell'ordinamento" che soli sarebbero idonei a  vincolare  la
potesta' legislativa regionale in materia. Anche  con  riferimento  a
tali disposizioni,  lette  in  combinato  disposto  con  il  comma  4
dell'art. 16, la Regione denuncia  la  violazione  del  principio  di
leale  collaborazione.  Nonostante  le  molteplici  interferenze  dei
principi e  dei  criteri  direttivi  previsti  dall'art.  17  con  le
competenze regionali, non risolvibili  con  il  mero  criterio  della
prevalenza del legislatore statale,  la  forma  di  raccordo  con  le
Regioni che esse prescrivono - il parere in  Conferenza  unificata  -
sarebbe lesiva del  principio  di  bilateralita',  sulla  base  degli
stessi  argomenti  svolti  con  riguardo  alle   disposizioni   prima
indicate. 
    1.5.-  La  Regione  Veneto  promuove  questione  di  legittimita'
costituzionale anche nei confronti dell'art. 18, lettere a), b),  c),
e), i), l) e m), numeri da 1) a 7), della legge n. 124 del 2015,  la'
dove delega il Governo ad operare un riordino della disciplina  delle
partecipazioni   azionarie   delle   amministrazioni   pubbliche    e
stabilisce, fra i principi e criteri  direttivi:  la  previsione  del
ricorso ad una varieta' di tipologie  societarie  in  relazione  alle
attivita' svolte  e  agli  interessi  pubblici  di  riferimento,  con
applicazione di distinte discipline, derogando proporzionalmente alla
disciplina privatistica (lettera a); l'individuazione  delle  regole,
delle condizioni e dei limiti per la costituzione di societa'  o  per
l'assunzione o il mantenimento di partecipazioni societarie da  parte
di amministrazioni  pubbliche  (lettera  b);  la  definizione  di  un
preciso  regime  di  responsabilita'   degli   amministratori   delle
amministrazioni  partecipanti   e   degli   organi   delle   societa'
partecipate   (lettera   c);   la   razionalizzazione   del    regime
pubblicistico per gli acquisti e il reclutamento del personale, per i
vincoli alle assunzioni e le politiche retributive  (lettera  e);  la
previsione di piani  di  rientro  per  le  societa'  con  bilanci  in
disavanzo con eventuale commissariamento (lettera i); la  regolazione
dei flussi finanziari, sotto  qualsiasi  forma,  tra  amministrazione
pubblica e societa' partecipate  secondo  i  criteri  di  parita'  di
trattamento tra imprese pubbliche e private e  operatore  di  mercato
(lettera  l);  la  puntuale  individuazione  di  regole  inerenti  al
riordino delle societa' partecipate dagli  enti  locali  (lettera  m,
numeri da 1 a 7). 
    Le citate disposizioni violerebbero gli artt. 117, secondo, terzo
e quarto comma, 118 e  119  Cost.,  poiche'  la  fissazione  di  tali
principi e criteri eccederebbe dalle competenze statali in materia di
«tutela  della  concorrenza»  e  di  «coordinamento   della   finanza
pubblica», invadendo sfere di  competenza  regionali.  Inoltre,  esse
violerebbero il principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5
e 120 Cost., poiche' prescriverebbero, in combinato disposto  con  il
comma 4 dell'art. 16, per l'attuazione della  delega,  una  forma  di
raccordo con le Regioni - il parere  in  Conferenza  unificata  -  da
ritenersi insufficiente, tenuto conto delle  molteplici  interferenze
con le attribuzioni regionali. 
    In particolare, la Regione ritiene che l'art. 18, nella parte  in
cui vieta (alle lettere a e b) alle Regioni di assumere  o  mantenere
partecipazioni in societa',  sottrarrebbe  alle  medesime  la  scelta
delle modalita'  organizzative  di  svolgimento  delle  attivita'  di
produzione di beni  e  servizi  strumentali  alle  proprie  finalita'
istituzionali, con conseguente  lesione  della  competenza  regionale
residuale in materia di organizzazione e funzionamento della Regione.
Lo  stesso  art.  18,  nella  parte  in  cui  delega  al  Governo  la
definizione  della  responsabilita'  non  solo  degli  organi   delle
societa'   partecipate,   ma   anche   degli   amministratori   delle
amministrazioni partecipanti  (lettera  c),  inciderebbe  nell'ambito
della responsabilita' amministrativa  del  personale  regionale,  che
esula  dalla  competenza  statale.  Inoltre,  la'  dove  prevede   la
razionalizzazione del regime pubblicistico  per  gli  acquisti  e  il
reclutamento del personale,  per  i  vincoli  alle  assunzioni  e  le
politiche  retributive  (lettera  e),  l'art.  18  inciderebbe  sulle
competenze regionali in materia  di  organizzazione  e  funzionamento
della Regione, di cui all'art. 117, quarto comma, Cost.  Quanto  alla
delega al Governo a prevedere la possibilita' di piani di rientro per
le societa' con bilanci in disavanzo con  eventuale  commissariamento
(lettera i), la Regione ne  deduce  l'illegittimita'  costituzionale,
ritenendo  che  sia  di  sua  competenza  regolare   dettagliatamente
modalita' e termini  di  esercizio  del  proprio  potere  sostitutivo
nell'ambito delle materie di potesta' legislativa regionale.  Infine,
l'attribuzione  al  Governo  del  compito  di   regolare   i   flussi
finanziari, sotto qualsiasi forma,  tra  amministrazione  pubblica  e
societa'  partecipate  (lettera  l),   determinerebbe   una   lesione
dell'autonomia finanziaria della Regione di cui all'art. 119 Cost. 
    Con riguardo ai principi e criteri direttivi relativi al riordino
delle societa' partecipate dagli enti locali, definiti dall'art.  18,
lettera m), numeri da 1) a 7),  della  legge  n.  124  del  2015,  la
ricorrente  ne  argomenta  l'illegittimita'  costituzionale,  poiche'
imporrebbero al Governo: l'individuazione dei criteri di scelta della
forma societaria piu' adeguata per le societa' che gestiscono servizi
strumentali  e  funzioni  amministrative;  l'individuazione,  per  le
societa' che  gestiscono  servizi  pubblici  di  interesse  economico
generale, di un numero massimo di esercizi con  perdite  di  bilancio
che  comportino  obblighi  di   liquidazione   delle   societa';   il
rafforzamento delle misure volte a  garantire  il  raggiungimento  di
obiettivi di qualita', efficienza, efficacia ed  economicita',  anche
attraverso   la   riduzione   dell'entita'   e   del   numero   delle
partecipazioni  e  l'incentivazione  dei  processi  di  aggregazione,
intervenendo sulla disciplina dei rapporti finanziari fra ente locale
e societa'  partecipate  nel  rispetto  degli  equilibri  di  finanza
pubblica e al fine di una maggiore trasparenza; la  promozione  della
trasparenza;  l'introduzione  di  un  sistema  sanzionatorio  per  la
mancata attuazione dei principi di razionalizzazione e  riduzione  di
cui  allo  stesso  art.  18,  basato  anche   sulla   riduzione   dei
trasferimenti dello Stato alle amministrazioni  che  non  ottemperano
alle disposizioni in  materia;  l'introduzione  di  strumenti,  anche
contrattuali, volti a favorire la tutela  dei  livelli  occupazionali
nei processi di  ristrutturazione  e  privatizzazione  relativi  alle
societa' partecipate; la revisione degli obblighi  di  trasparenza  e
rendicontazione delle societa' partecipate nei confronti  degli  enti
locali soci. 
    In tal modo, essi non lascerebbero alcuno spazio per l'intervento
regolativo della Regione e sarebbero in contrasto con il principio di
proporzionalita', giacche' non si configurerebbero come il mezzo meno
invasivo per disciplinare la concorrenza  e  il  coordinamento  della
finanza pubblica, con ridondanza sulle competenze regionali. 
    1.6.- Viene, infine, impugnato dalla Regione  Veneto  l'art.  19,
lettere b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t)  e  u),  della
legge n. 124 del 2015, nella parte in cui delega il Governo a operare
il riordino della disciplina dei servizi pubblici locali  d'interesse
economico generale e a tale scopo  fissa  una  serie  di  principi  e
criteri direttivi che andrebbero ben al di la' dei limiti  entro  cui
deve  attenersi  la  trasversalita'  della  materia   «tutela   della
concorrenza», incidendo su una pluralita' di altri ambiti, rientranti
nella sfera di competenza regionale residuale o  concorrente  (quali,
per   esempio,   quello   del    trasporto    pubblico    locale    e
dell'organizzazione amministrativa regionale e degli enti locali), in
violazione del criterio di proporzionalita'. 
    In particolare, l'art.  19  determinerebbe  la  violazione  degli
artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost. nella parte
in cui, fra i principi e criteri direttivi della delega, prevede:  1)
alla lettera b), la soppressione, previa ricognizione, dei regimi  di
esclusiva, comunque denominati, non conformi ai principi generali  in
materia di concorrenza e comunque non indispensabili  per  assicurare
la  qualita'  e  l'efficienza  del  servizio;  2)  alla  lettera  c),
l'individuazione della disciplina generale in materia di  regolazione
e organizzazione dei  servizi  di  interesse  economico  generale  di
ambito locale, compresa la definizione dei criteri per l'attribuzione
dei diritti speciali o esclusivi; 3) alla lettera d), la definizione,
anche mediante rinvio alle  normative  di  settore  e  armonizzazione
delle stesse, dei criteri per l'organizzazione territoriale  ottimale
dei servizi pubblici locali di rilevanza economica; 4)  alla  lettera
g), l'individuazione  dei  criteri  per  la  definizione  dei  regimi
tariffari che tengano conto degli incrementi di produttivita' al fine
di ridurre l'aggravio sui cittadini e sulle imprese; 5) alla  lettera
h), la definizione delle modalita' di tutela degli utenti dei servizi
pubblici locali; 6) alla lettera  l),  la  previsione  di  una  netta
distinzione tra le funzioni di regolazione e controllo e le  funzioni
di  gestione  dei  servizi,  anche  attraverso  la   modifica   della
disciplina  sulle   incompatibilita'   o   sull'inconferibilita'   di
incarichi  o  cariche;  7)  alla  lettera  m),  la  revisione   della
disciplina dei regimi di proprieta'  e  gestione  delle  reti,  degli
impianti e delle altre dotazioni, nonche' di  cessione  dei  beni  in
caso di subentro, in base a principi di tutela e valorizzazione della
proprieta' pubblica, di efficienza, di promozione della  concorrenza,
di contenimento dei costi di gestione, di  semplificazione;  8)  alla
lettera  n),  l'individuazione  e   l'allocazione   dei   poteri   di
regolazione e controllo  tra  i  diversi  livelli  di  governo  e  le
autorita' indipendenti, al fine di assicurare  la  trasparenza  nella
gestione e nell'erogazione dei servizi, di  garantire  l'eliminazione
degli  sprechi,  di  tendere  al  continuo  contenimento  dei  costi,
aumentando nel contempo gli standard qualitativi dei servizi; 9) alla
lettera o),  la  previsione  di  adeguati  strumenti  di  tutela  non
giurisdizionale per gli utenti dei  servizi;  10)  alla  lettera  p),
l'introduzione e il  potenziamento  di  forme  di  consultazione  dei
cittadini e di partecipazione diretta alla formulazione di  direttive
alle amministrazioni pubbliche  e  alle  societa'  di  servizi  sulla
qualita'  e  sui  costi  degli  stessi;  11)  alla  lettera  s),   la
definizione del regime delle sanzioni e degli interventi sostitutivi,
in caso di violazione della disciplina in materia; 12)  alla  lettera
t), l'armonizzazione con la disciplina  generale  delle  disposizioni
speciali  vigenti  nei  servizi  pubblici   locali,   relative   alla
disciplina giuridica dei rapporti di lavoro; 13) alla lettera u),  la
definizione degli strumenti per la trasparenza e la  pubblicizzazione
dei contratti di servizio, relativi  a  servizi  pubblici  locali  di
interesse economico generale, da parte  degli  enti  affidanti  anche
attraverso la definizione di contratti di servizio tipo  per  ciascun
servizio pubblico locale di interesse economico generale. 
    Le citate disposizioni violerebbero,  inoltre,  il  principio  di
leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120  Cost.,  poiche',  pur
incidendo  su  ambiti  di  competenza  regionale  e  sacrificando  la
possibilita' per la Regione di adottare proprie scelte organizzative,
prescriverebbero una forma di raccordo  con  la  Regione  inadeguata,
considerato che, per effetto del combinato disposto tra l'art.  19  e
l'art. 16,  e'  stabilito  che  i  relativi  decreti  legislativi  di
riordino siano adottati previa acquisizione  del  mero  parere  della
Conferenza  unificata,   peraltro   entro   il   breve   termine   di
quarantacinque giorni dalla data di trasmissione, decorso il quale il
Governo puo' comunque procedere. 
    2.- Nel giudizio si e' costituito il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che il ricorso promosso dalla Regione Veneto  sia
dichiarato infondato. 
    2.1.- In linea preliminare, la difesa  statale  sostiene  che  le
censure rivolte in particolare all'art. 11, comma 1, lettere f) e i),
della  legge  n.  124  del  2015,  in  riferimento  al  principio  di
ragionevolezza e buon andamento, siano inammissibili, considerato che
si assume  violato  un  precetto  costituzionale  diverso  da  quelli
attinenti al riparto di competenza  fra  Stato  e  Regioni,  che  non
ridonderebbe   nella   compressione   di   sfere   di    attribuzione
costituzionalmente garantite alle Regioni. 
    Quanto, poi, alle censure promosse nei  confronti  dell'art.  16,
commi 1  e  4,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ne  segnala  la
genericita' e rileva che non e' stata impugnata la  disposizione  (il
comma  2)  nella  quale  sarebbero  indicati  i  principi  e  criteri
direttivi cui deve attenersi il Governo nell'esercizio della delega. 
    2.2.- Nel merito, le questioni sarebbero prive di  fondamento  in
quanto tutte le disposizioni  impugnate  sarebbero  riconducibili  ad
ambiti  di  competenza  statale,  quali,  quello  dell'organizzazione
amministrativa  dello  Stato  e  degli   enti   pubblici   nazionali,
dell'ordinamento civile, della determinazione dei livelli  essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire
sul territorio nazionale, della tutela della concorrenza. 
    2.2.1.- In particolare, la difesa statale ritiene  che  l'oggetto
della disciplina contenuta nell'art. 1, comma 1, lettere b), c) e g),
e comma 2, della legge n. 124 del 2015, debba essere ricondotto  alla
materia «coordinamento informativo statistico e informatico dei  dati
dell'amministrazione  statale,  regionale  e  locale»  di  competenza
legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera
r), Cost. 
    La disciplina contenuta nelle  disposizioni  impugnate,  volta  a
promuovere progetti strategici  in  tema  di  digitalizzazione  della
pubblica amministrazione, atterrebbe unicamente al coordinamento  sul
piano tecnico delle varie iniziative di innovazione tecnologica, allo
scopo di  consentire  la  condivisione  di  linguaggio,  procedure  e
standard omogenei, in un ambito unitario, in modo  da  permettere  la
piu' efficace comunicabilita' tra i sistemi informatici  delle  varie
amministrazioni. 
    La previsione del mero parere della Conferenza unificata  sarebbe
del tutto idonea ad assicurare  il  necessario  coinvolgimento  delle
Regioni  e  degli  enti  locali,  in   considerazione   del   rilievo
eminentemente tecnico delle operazioni regolate dalla fonte statale. 
    Anche le censure promosse nei confronti dell'art.  11,  comma  1,
lettere a), b), numero 2, c), numeri 1) e 2), e), f), g), h), i), l),
m), n), o), p) e q), e comma 2, della legge n. 124 del 2015 sarebbero
prive di fondamento. Queste disposizioni, infatti,  inciderebbero  in
un ambito, quello del pubblico  impiego,  nel  quale  si  intrecciano
aspetti relativi alla competenza esclusiva dello Stato con altri  che
eccedono dalle competenze statali, in modo che non sarebbe  possibile
determinare in  via  preventiva  e  astratta  quali  dovranno  essere
ritenute vincolanti e lesive per le Regioni. D'altro canto, la difesa
statale ricorda che la giurisprudenza  costituzionale  ha  ricondotto
alla materia «ordinamento civile», di competenza  esclusiva  statale,
numerosi ambiti del lavoro pubblico, fra cui non solo  la  disciplina
della  fase  costitutiva,  le  vicende  del  rapporto  inerenti  alla
trasformazione e conversione dei contratti di  lavoro  e  quelle  del
recesso dal rapporto di lavoro  propriamente  subordinato,  ma  anche
differenti ipotesi  rientranti  nella  cosiddetta  parasubordinazione
(quali le collaborazioni coordinate e continuative  a  progetto),  la
trasformazione dei contratti di lavoro (da  tempo  parziale  a  tempo
pieno), la disciplina delle  liberta'  e  dei  diritti  sindacali,  i
contratti a contenuto formativo, la disciplina dell'orario di  lavoro
e dei trattamenti economici, ordinari e accessori, la disciplina  dei
rimborsi spese e dell'indennita' di trasferta, quali  componenti  del
trattamento economico del dipendente pubblico regionale. 
    Il resistente precisa che la previsione di un ruolo  unico  della
dirigenza pubblica, caratterizzata dalla piena mobilita' tra i ruoli,
configurerebbe una modalita' per  rendere  effettivo  il  diritto  al
lavoro di cui all'art. 4 Cost. e rimuovere gli ostacoli all'esercizio
di tale diritto in qualunque parte del territorio nazionale (art. 120
Cost.). 
    Egualmente prive di fondamento sarebbero le censure promosse  nei
confronti dell'art. 17, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f),  l),
m), o), q), r), s) e t), della legge n. 124 del  2015.  Alcune  delle
disposizioni citate sarebbero, infatti, riconducibili,  come  per  la
dirigenza  pubblica,  alla  materia   «ordinamento   civile».   Altre
conterrebbero principi direttivi (come quello della  centralizzazione
delle   procedure   concorsuali,   dell'introduzione   del    sistema
informativo  nazionale  per   orientare   la   programmazione   delle
assunzioni, della rilevazione delle competenze dei lavoratori)  volti
a perseguire l'obiettivo del  contenimento  della  spesa  pubblica  e
dell'equilibrio dei conti consolidati degli enti  pubblici  e  quindi
configurabili quali principi di coordinamento della finanza pubblica. 
    Anche  le  censure  promosse  nei  confronti  delle  disposizioni
dell'art. 18, lettere a), b), c), e), i), l) e m), numeri da 1) a 7),
della  legge  n.  124  del  2015,  che  recano  la  delega   per   la
riorganizzazione, semplificazione e tutela  della  concorrenza  nella
materia    delle    partecipazioni    azionarie    delle    pubbliche
amministrazioni, sarebbero prive di fondamento. 
    Le  disposizioni  impugnate  non  rientrerebbero  nella   materia
dell'organizzazione amministrativa  perche'  non  sarebbero  volte  a
regolare una modalita' di svolgimento dell'attivita'  amministrativa,
bensi' dell'«ordinamento civile», in quanto mirerebbero a definire il
regime giuridico di soggetti di diritto  privato  e  a  tracciare  il
confine  tra  attivita'  amministrativa  e   attivita'   di   persone
giuridiche private. Tali disposizioni, inoltre, volte ad evitare  che
soggetti dotati  di  privilegi  operino  in  mercati  concorrenziali,
quindi ad  impedire  che  le  societa'  con  partecipazione  pubblica
costituiscano fattori di  distorsione  della  concorrenza,  sarebbero
riconducibili  anche  alla  materia  «tutela  della  concorrenza»  di
competenza legislativa esclusiva statale. 
    Quanto alle censure rivolte all'art. 19, lettere b), c), d),  g),
h), l), m), n), o), p), s), t) e u), della legge n. 124 del 2015,  la
difesa statale ne sostiene  l'infondatezza,  sull'assunto  che  esse,
volte a definire criteri  e  principi  direttivi  di  riordino  della
disciplina  dei  servizi  pubblici  locali  di  interesse   economico
generale, siano riferibili alla materia «tutela  della  concorrenza»,
oltre che a quella inerente alle «funzioni  fondamentali  di  Comuni,
Province e Citta' metropolitane», entrambe di competenza  legislativa
statale  esclusiva.  Peraltro,  in  considerazione  del  fatto   che,
attraverso  la   prestazione   dei   servizi   pubblici   locali   si
concretizzano molteplici ed importanti  diritti  sociali  che  devono
essere garantiti su tutto il territorio  nazionale,  si  delineerebbe
anche  la  competenza  del  legislatore  statale   in   ordine   alla
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni  concernenti
i diritti civili e sociali». 
    Le disposizioni  di  cui  all'art.  19,  infine,  finalizzate  al
contenimento  ed  alla  razionalizzazione   della   spesa   pubblica,
rientrerebbero  nel  novero  dei  principi  di  «coordinamento  della
finanza pubblica» ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    In ogni caso, non sarebbe leso  neanche  il  principio  di  leale
collaborazione, poiche' il parere della Conferenza unificata  sarebbe
idoneo  ad  assicurare  tutte  le  necessarie  fasi  dialogiche   per
l'adozione dei relativi decreti attuativi che incidano su materie  in
cui sussistano forme di interferenza tra le relative competenze. 
    3.- La Regione  Veneto,  con  memoria  depositata  nell'imminenza
dell'udienza,  ha  ribadito  gli  argomenti  gia'  svolti   nell'atto
introduttivo   a   sostegno   della   richiesta    declaratoria    di
illegittimita' costituzionale di tutte le disposizioni censurate.  La
ricorrente ha inoltre rilevato che alcune delle medesime disposizioni
si sono gia' tradotte  in  decreti  legislativi  e  precisamente  nel
decreto legislativo 26 agosto 2016, n. 179 (Modifiche ed integrazioni
al  Codice  dell'amministrazione  digitale,   di   cui   al   decreto
legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ai sensi dell'articolo 1 della legge
7  agosto  2015,  n.  124,  in  materia  di  riorganizzazione   delle
amministrazioni pubbliche), nel decreto legislativo 19  agosto  2016,
n. 175 (Testo unico in materia di societa' a partecipazione pubblica)
e nel decreto legislativo 4 agosto 2016,  n.  171  (Attuazione  della
delega di cui all'articolo 11, comma 1,  lettera  p,  della  legge  7
agosto 2015, n. 124,  in  materia  di  dirigenza  sanitaria).  A  tal
proposito la Regione si riserva la valutazione  sull'impugnazione  di
tali decreti. 
    4.- All'udienza pubblica le parti hanno ribadito  le  conclusioni
svolte nelle memorie scritte. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione  Veneto  ha  promosso  questione  di  legittimita'
costituzionale, in via principale, di alcune  disposizioni  contenute
negli artt. 1, 11, 16, 17, 18, 19 e 23 della legge 7 agosto 2015,  n.
124  (Deleghe  al  Governo  in  materia  di  riorganizzazione   delle
amministrazioni pubbliche), in riferimento agli artt. 3, 81, 97, 117,
secondo, terzo e quarto comma, 118 e 119 della Costituzione,  nonche'
al principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    In particolare, la Regione ricorrente censura: 
    - l'art. 1, comma 1, lettere b), c) e g), e comma 2, nella  parte
in cui detta principi e criteri direttivi in ordine  alla  delega  al
Governo all'adozione di  uno  o  piu'  decreti  legislativi  volti  a
modificare e integrare, anche  disponendone  la  delegificazione,  il
codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo  7
marzo 2005, n. 82 (comma 1), e nella parte in cui  stabilisce  che  i
decreti  legislativi  delegati  siano  deliberati  su  proposta   del
Ministro   delegato   per   la   semplificazione   e   la    pubblica
amministrazione «previa  acquisizione  del  parere  della  Conferenza
unificata di cui all'articolo 8 del  decreto  legislativo  28  agosto
1997, n. 281», da rendere «nel termine di quarantacinque giorni dalla
data di trasmissione  di  ciascuno  schema  di  decreto  legislativo,
decorso il quale il Governo puo' comunque procedere» (comma 2); 
    - l'art. 11, comma 1, lettere a), b), numero 2), c), numeri 1)  e
2), e), f), g), h), i), l), m), n), o), p) e q),  e  comma  2,  nella
parte in cui detta principi e criteri direttivi in ordine alla delega
al Governo all'adozione di uno o piu' decreti legislativi in  materia
di dirigenza pubblica, prevedendo  l'istituzione  del  sistema  della
dirigenza pubblica,  articolato  in  ruoli  unificati  e  coordinati,
aventi  requisiti  omogenei  di  accesso  e  procedure  analoghe   di
reclutamento e fondati sui principi del merito, dell'aggiornamento  e
della formazione continua (comma 1), e nella parte in cui  stabilisce
che  i  decreti  legislativi  delegati   siano   deliberati   «previa
acquisizione  del  parere   della   Conferenza   unificata   di   cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.  281»,  che
deve essere reso «nel termine di quarantacinque giorni dalla data  di
trasmissione», «decorso il quale il Governo puo' comunque  procedere»
(comma 2); 
    -  l'art.  16,  commi  1  e  4,  nella  parte  in   cui   prevede
l'elaborazione di distinti testi unici diretti  alla  semplificazione
nei   settori   del   lavoro   alle   dipendenze   delle    pubbliche
amministrazioni,    delle     partecipazioni     societarie     delle
amministrazioni pubbliche, nonche' dei servizi pubblici di  interesse
economico generale (comma 1), e nella parte in cui stabilisce  che  i
decreti legislativi siano adottati  previa  acquisizione  del  parere
della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs.  n.  281  del
1997, che deve essere reso nel termine di quarantacinque giorni dalla
data di trasmissione di ciascuno schema di decreto, decorso il  quale
il Governo puo' comunque procedere (comma 4); 
    - l'art. 17, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f), l), m), o),
q), r), s) e t), nella parte in cui definisce i principi e i  criteri
direttivi della delega al Governo per il  riordino  della  disciplina
del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; 
    - l'art. 18, lettere a), b), c), e), i), l) e m), numeri da 1)  a
7), nella parte in cui delega il Governo ad operare un riordino della
disciplina  delle  partecipazioni  azionarie  delle   amministrazioni
pubbliche e fissa una serie di principi e criteri direttivi; 
    - l'art. 19, lettere b), c), d), g), h), l), m), n), o), p),  s),
t) e u), nella parte in cui reca una delega  legislativa  al  Governo
per  il  riordino  della  disciplina  dei  servizi  pubblici   locali
d'interesse economico  generale,  che  mira  alla  definizione  della
disciplina generale in materia di regolazione  e  organizzazione  dei
servizi di interesse economico generale di ambito locale. 
    Tutte le citate disposizioni  sono  impugnate  sotto  un  duplice
profilo. 
    Anzitutto esse andrebbero al di la'  delle  sfere  di  competenza
legislativa  statale  esclusiva  e  invaderebbero  vari   ambiti   di
competenza   legislativa    regionale    residuale    (organizzazione
amministrativa regionale, turismo, servizi pubblici locali, trasporto
pubblico locale) o concorrente (tutela  della  salute,  coordinamento
della finanza pubblica), in quest'ultimo caso in quanto, recando  una
disciplina di dettaglio, eliminerebbero  ogni  spazio  di  intervento
della Regione. 
    Inoltre, nonostante le molteplici interferenze con le  competenze
regionali, non risolvibili mediante il criterio della prevalenza  del
legislatore  statale,  esse  prescriverebbero,  per  l'adozione   dei
decreti legislativi delegati, una insufficiente forma di raccordo con
le Regioni - il parere in Conferenza unificata - ritenuto lesivo  del
principio  di  leale  collaborazione.   Il   mancato   raggiungimento
dell'accordo,  entro  il  breve  termine  di  quarantacinque  giorni,
legittimerebbe, infatti, l'assunzione unilaterale di un provvedimento
da parte del Governo. 
    Piu' specificamente, poi, la Regione impugna: 
    - l'art. 11, comma  1,  lettera  f),  nella  parte  in  cui,  con
riferimento alla  mobilita'  della  dirigenza,  prescrivendo  che  il
Governo preveda i casi e le condizioni in cui  non  e'  richiesto  il
previo assenso delle amministrazioni di appartenenza per la mobilita'
della dirigenza medica e sanitaria, porrebbe un principio generale di
ampliamento  delle  ipotesi  di  mobilita'   dei   dirigenti,   senza
considerare che la selezione dei dirigenti in  servizio  e'  avvenuta
sulla base dell'accertamento di  specifiche  competenze  tecniche  da
parte dell'ente che ha bandito  il  concorso,  in  contrasto  con  il
principio di ragionevolezza  e  buon  andamento  dell'amministrazione
(artt. 3 e 97 Cost.), e conseguentemente  delle  relative  competenze
regionali; 
    - l'art. 11, comma 1, lettera i), nella parte in cui,  stabilendo
criteri e principi direttivi in ordine ai dirigenti privi di incarico
e in specie prevedendo la decadenza dal ruolo  unico,  entrerebbe  in
contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost.  in  quanto  determinerebbe  una
reformatio in  peius  del  regime  vigente  con  una  violazione  del
principio  del   legittimo   affidamento   e   del   buon   andamento
dell'amministrazione,  che,  incidendo  sul  principio  di  autonomia
dell'amministrazione dalla  politica,  ridonderebbe  in  una  lesione
delle competenze regionali; 
    - l'art. 11, comma 1, lettera p), la' dove, dettando  principi  e
criteri direttivi con riferimento «al conferimento degli incarichi di
direttore  generale,  di  direttore  amministrativo  e  di  direttore
sanitario, nonche', ove previsto  dalla  legislazione  regionale,  di
direttore dei servizi socio-sanitari, delle aziende e degli enti  del
Servizio sanitario nazionale», recherebbe norme di dettaglio, atte  a
comprimere   indebitamente   competenze   regionali,    in    ragione
dell'attinenza   della   materia   alla   tutela   della   salute   e
all'organizzazione amministrativa regionale e tali da configurare una
disciplina irragionevole e contraria al principio del buon  andamento
della pubblica amministrazione, in violazione degli artt. 3, 97, 117,
terzo e quarto comma, e 118 Cost.; 
    - gli artt. 1, comma 1, e 23, nella parte in cui stabiliscono che
dall'attuazione della legge in oggetto e dai decreti  legislativi  da
essa  previsti  (volti   a   modificare   e   integrare   il   codice
dell'amministrazione digitale) non derivino nuovi o maggiori oneri  a
carico  della  finanza  pubblica  statale.  Tali  disposizioni   sono
impugnate in  riferimento  agli  artt.  81  e  119  Cost.  in  quanto
imporrebbero un  nuovo  e  improprio  onere  di  finanziamento  della
riforma in capo alle Regioni. 
    2. - In via preliminare, non si  riscontrano  ostacoli  all'esame
nel merito delle censure promosse, per il sol  fatto  che  esse  sono
contenute in una legge delega. 
    Questa Corte ha, gia' da tempo,  riconosciuto  che  la  legge  di
delegazione, in quanto atto avente forza di legge, non si sottrae, ai
sensi dell'art. 134 Cost., al controllo di costituzionalita'  in  via
principale, di  cui  puo'  divenire  oggetto,  quando  sia  possibile
riscontrare una lesione dell'autonomia regionale (sentenza n. 224 del
1990; e, fra le altre, sentenze n. 205 del 2005, n. 50 del 2005 e  n.
359 del 1993). In tali  casi,  l'attenzione  deve  cadere  non  tanto
«sulla natura dell'atto  impugnato,  di  per  se'  inequivocabilmente
capace di integrare  l'ordinamento  giuridico  con  norme  primarie»,
quanto  piuttosto  «sulla  ricorrenza  dell'interesse  regionale   ad
impugnarlo» (sentenza n. 278 del 2010). 
    Nella specie, il carattere puntuale  delle  disposizioni  oggetto
delle censure della legge n. 124 del  2015,  contenenti  deleghe,  e'
sufficiente a dimostrare l'attitudine lesiva delle medesime, ritenute
dalla ricorrente  invasive  delle  sfere  di  competenza  legislativa
regionale concorrente e residuale, indicate nel ricorso. Quest'ultimo
e' dunque ammissibile. 
    2.1.- Ancora preliminarmente, occorre esaminare le  eccezioni  di
inammissibilita' sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri,
nei confronti delle censure concernenti l'art. 11, comma  1,  lettere
f) e i), in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost. 
    La difesa statale sostiene che tali censure siano  inammissibili,
poiche' si assume  violato  un  precetto  costituzionale  diverso  da
quelli attinenti al riparto di competenza fra Stato  e  Regioni,  che
non  ridonderebbe  nella  compressione  di  sfere   di   attribuzione
costituzionalmente garantite alle Regioni. 
    Tali eccezioni sono prive di fondamento. 
    Questa Corte ha piu' volte  affermato  che  «le  Regioni  possono
evocare parametri di legittimita' diversi da quelli che sovrintendono
al riparto di attribuzioni solo quando la violazione  denunciata  sia
potenzialmente idonea a determinare una  lesione  delle  attribuzioni
costituzionali delle Regioni (sentenze n. 8 del 2013  e  n.  199  del
2012) e queste abbiano sufficientemente motivato in ordine ai profili
di una possibile ridondanza della predetta violazione sul riparto  di
competenze, assolvendo all'onere di operare la necessaria indicazione
della specifica competenza regionale che  ne  risulterebbe  offesa  e
delle ragioni di tale lesione (nello stesso senso, le sentenze n.  29
del 2016, n. 251, n. 189, n. 153, n. 140, n. 89 e n.  13  del  2015)»
(sentenza n. 65 del 2016). 
    Nella  specie  le   richiamate   condizioni   sono   soddisfatte,
considerato  che  la   Regione   censura   le   disposizioni   citate
congiuntamente alle altre di  cui  all'art.  11,  comma  1,  perche',
dettando principi direttivi puntuali, volti a disciplinare  anche  la
dirigenza regionale, invaderebbero la sfera di  competenza  regionale
residuale in materia di ordinamento e  organizzazione  amministrativa
regionale. Tale invasione, con particolare riguardo  alla  disciplina
recata dalla lettera f), si rivelerebbe anche irragionevole e  lesiva
del  buon  andamento  dell'amministrazione,  posto   che   priverebbe
l'amministrazione  (regionale),  che  ha  bandito   il   concorso   e
selezionato i dirigenti sulla base  dell'accertamento  di  specifiche
competenze tecniche, della possibilita'  di  interloquire  (e  quindi
eventualmente assentire) in ordine  alla  mobilita'  della  dirigenza
medica e sanitaria. Con riguardo alla lettera i), l'invasione sarebbe
del pari irragionevole e lesiva del buon andamento,  nella  parte  in
cui prevede la decadenza dal  ruolo  unico  dei  dirigenti  privi  di
incarico, comprimendo l'autonomia amministrativa regionale. 
    Sono, pertanto, chiaramente individuati gli specifici  ambiti  di
competenza regionale  incisi  dalla  norma  statale,  cosi'  come  e'
soddisfatto l'onere di motivazione gravante sulla Regione. 
    2.2.- Sulla base dei  medesimi  argomenti  appena  svolti  devono
ritenersi ammissibili le censure di violazione degli  artt.  3  e  97
Cost. nei confronti dell'art. 11, comma 1, lettera  p),  in  tema  di
disciplina della dirigenza sanitaria. Anche in tal caso, infatti,  le
predette censure sono meramente strumentali  a  quelle  di  invasione
delle  competenze  legislative  regionali  residuali  in  materia  di
organizzazione amministrativa regionale e di  quelle  concorrenti  in
materia di tutela della salute. 
    2.3.-  Del  pari  priva   di   fondamento   e'   l'eccezione   di
inammissibilita' proposta dalla difesa del Presidente  del  Consiglio
dei ministri per  genericita'  delle  censure  svolte  nei  confronti
dell'art. 16, commi 1 e 4, della medesima legge n. 124 del 2015. 
    La disposizione e' censurata  perche'  non  conterrebbe  solo  la
delega alla semplificazione,  cui  fanno  riferimento  i  principi  e
criteri direttivi indicati al comma 2, non impugnati, ma  anche  alla
riorganizzazione  dei  settori  del  lavoro  alle  dipendenze   delle
pubbliche  amministrazioni,  delle  partecipazioni  societarie  delle
amministrazioni pubbliche, nonche' dei servizi pubblici di  interesse
economico generale, secondo i principi indicati agli artt. 17,  18  e
19, oggetto delle censure. La delega invaderebbe, pertanto, sfere  di
competenze regionali di cui all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
(organizzazione amministrativa regionale, trasporto pubblico locale e
servizi pubblici).  Essa  violerebbe  anche  il  principio  di  leale
collaborazione, nella parte in cui prevede, al comma 4, che i decreti
legislativi  attuativi,  nonostante  l'incidenza   sulle   richiamate
materie di competenza regionale, siano adottati previo  parere  della
Conferenza unificata, forma  di  raccordo  con  le  Regioni  ritenuta
insufficiente e lesiva del principio  di  bilateralita',  poiche'  il
mancato   raggiungimento   dell'accordo   entro   il    termine    di
quarantacinque  giorni  legittimerebbe,  di  per  se',   l'assunzione
unilaterale di atti normativi da parte del Governo. 
    Le censure sono, pertanto, chiaramente proposte, in  quanto  sono
state identificate le materie di  competenza  regionale  sulle  quali
interferirebbe la normativa impugnata  e  conseguentemente  e'  stata
denunciata la violazione del principio di leale collaborazione. 
    2.4.-   Ancora   preliminarmente,    deve    essere    dichiarata
l'inammissibilita' della  questione  di  legittimita'  costituzionale
promossa nei confronti degli artt. 1, comma 1, e 23, nella  parte  in
cui stabilisce che dall'attuazione  della  legge  in  oggetto  e  dai
decreti legislativi da essa previsti non derivino  nuovi  o  maggiori
oneri a carico della finanza pubblica statale. 
    Tali disposizioni sono impugnate in riferimento agli artt.  81  e
119 Cost.,  poiche'  imporrebbero  un  nuovo  e  improprio  onere  di
finanziamento della riforma in capo alle Regioni, di  cui,  tuttavia,
non e' fornita alcuna dimostrazione. La ricorrente, infatti, denuncia
la violazione dell'art. 81 Cost. senza fornirne le  ragioni  e  senza
considerare che al successivo comma 2 e' espressamente stabilito  che
«[i] decreti legislativi di attuazione delle deleghe contenute  nella
presente legge sono corredati di  relazione  tecnica  che  dia  conto
della  neutralita'  finanziaria  dei  medesimi  ovvero  dei  nuovi  o
maggiori oneri da  essi  derivanti  e  dei  corrispondenti  mezzi  di
copertura». Essa omette, altresi', di  spiegare  in  che  modo  dalla
pretesa lesione dell'art. 81 Cost. deriverebbe una  violazione  della
propria autonomia finanziaria, corrispondente all'imposizione  di  un
nuovo  onere  di  finanziamento  della  riforma  a  proprio   carico,
considerato che il comma 1 dell'art.  23  espressamente  dispone  che
dall'attuazione della legge in oggetto e dai decreti  legislativi  da
essa  previsti  (volti   a   modificare   e   integrare   il   codice
dell'amministrazione digitale) non devono derivare nuovi  o  maggiori
oneri a carico, in generale, della finanza pubblica e quindi anche di
quella regionale. 
    3.- Nel passare, per ciascuna delle questioni promosse, all'esame
del merito, occorre svolgere  preliminarmente  alcune  considerazioni
generali. 
    Tutte  le  disposizioni  impugnate   riflettono   l'intento   del
legislatore  delegante  di  incidere  sulla  «riorganizzazione  delle
amministrazioni pubbliche», secondo un criterio  di  diversificazione
delle misure  da  adottare  nei  singoli  decreti  legislativi.  Esse
spaziano  dalla  cittadinanza  digitale  (art.  1),  alla   dirigenza
pubblica (art.  11),  dal  lavoro  alle  dipendenze  delle  pubbliche
amministrazioni  (art.  17),  alle  partecipazioni  azionarie   delle
amministrazioni pubbliche (art. 18), ai servizi  pubblici  locali  di
interesse  economico  generale  (art.  19)  e,  proprio  per  questo,
influiscono su  molteplici  sfere  di  competenza  legislativa  anche
regionale.  Nella  complessa  struttura  delle  norme  contenenti  le
deleghe riguardanti i settori indicati, occorre verificare se vi  sia
una  prevalente  competenza  statale,  cui  ricondurre   il   disegno
riformatore nella sua interezza. 
    Un simile intervento del legislatore  statale  rientra,  infatti,
nel novero di quelli, gia' sottoposti all'attenzione di questa Corte,
volti  a  disciplinare,  in  maniera   unitaria,   fenomeni   sociali
complessi,  rispetto  ai  quali  si  delinea  una  «fitta  trama   di
relazioni, nella quale ben difficilmente sara' possibile  isolare  un
singolo interesse», quanto  piuttosto  interessi  distinti  «che  ben
possono  ripartirsi  diversamente  lungo  l'asse   delle   competenze
normative  di  Stato  e  Regioni»  (sentenza  n.   278   del   2010),
corrispondenti alle diverse materie coinvolte. 
    In tali casi occorre valutare se una  materia  si  imponga  sulle
altre, al fine di individuare la titolarita' della competenza. 
    Talvolta la valutazione circa la prevalenza  di  una  materia  su
tutte le altre  puo'  rivelarsi  impossibile  e  avallare  l'ipotesi,
diversa da  quella  in  precedenza  considerata,  di  concorrenza  di
competenze, che apre la  strada  all'applicazione  del  principio  di
leale collaborazione. In ossequio a  tale  principio  il  legislatore
statale deve predisporre adeguati strumenti di  coinvolgimento  delle
Regioni, a difesa delle loro competenze. L'obiettivo e'  contemperare
le ragioni dell'esercizio unitario delle stesse con la garanzia delle
funzioni costituzionalmente attribuite alle autonomie (sentenze n. 65
del 2016, n. 88 del 2014 e n. 139 del 2012). 
    Il  parere  come  strumento  di  coinvolgimento  delle  autonomie
regionali e locali non puo' non misurarsi con  la  giurisprudenza  di
questa Corte che, nel corso degli anni, ha sempre piu' valorizzato la
leale collaborazione quale principio guida nell'evenienza, rivelatasi
molto frequente, di uno stretto intreccio fra materie e competenze  e
ha  ravvisato  nell'intesa  la  soluzione  che  meglio   incarna   la
collaborazione (di recente, sentenze n. 21 e n.  1  del  2016).  Quel
principio e' tanto piu' apprezzabile se si considera  la  «perdurante
assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e,  piu'
in generale, dei procedimenti legislativi» (sentenza n. 278 del 2010)
e diviene dirimente nella considerazione  di  interessi  sempre  piu'
complessi, di cui gli enti territoriali si fanno portatori. 
    Un'analoga esigenza di coinvolgere adeguatamente le Regioni e gli
enti locali nella forma dell'intesa e' stata riconosciuta anche nella
diversa ipotesi della attrazione  in  sussidiarieta'  della  funzione
legislativa allo Stato, in vista dell'urgenza di soddisfare  esigenze
unitarie, economicamente rilevanti, oltre che connesse  all'esercizio
della funzione amministrativa. In tal caso, l'esercizio unitario  che
consente di attrarre, insieme  alla  funzione  amministrativa,  anche
quella  legislativa,  puo'  aspirare  a   superare   il   vaglio   di
legittimita' costituzionale - e giustificare la deroga al riparto  di
competenze contenuto  nel  Titolo  V  -  «solo  in  presenza  di  una
disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le
attivita' concertative e di coordinamento orizzontale,  ovverosia  le
intese, che devono essere condotte in base al principio  di  lealta'»
(sentenza n. 303 del 2003; di recente, sentenza n. 7 del 2016). 
    Questa Corte ha individuato  nel  sistema  delle  conferenze  «il
principale strumento che consente alle  Regioni  di  avere  un  ruolo
nella determinazione del contenuto di taluni atti legislativi statali
che incidono su materie di competenza regionale» (sentenza n. 401 del
2007) e «[u]na delle sedi  piu'  qualificate  per  l'elaborazione  di
regole   destinate   ad   integrare   il   parametro   della    leale
collaborazione» (sentenza n.  31  del  2006).  In  armonia  con  tali
indicazioni,  l'evoluzione  impressa  al  sistema  delle   conferenze
finisce con il rivelare una fisiologica attitudine dello  Stato  alla
consultazione delle Regioni  e  si  coniuga  con  il  riconoscimento,
ripetutamente  operato  da  questa  Corte,  dell'intesa  in  sede  di
Conferenza unificata, quale strumento idoneo a  realizzare  la  leale
collaborazione tra lo Stato e le autonomie (ex plurimis, sentenze  n.
88 del 2014, n. 297 e n. 163 del 2012), «qualora non siano  coinvolti
interessi esclusivamente e individualmente imputabili al singolo ente
autonomo» (sentenza n. 1 del 2016). 
    Inserite  in   questo   quadro   evolutivo,   le   procedure   di
consultazione devono «prevedere meccanismi per il  superamento  delle
divergenze, basati sulla reiterazione delle trattative o su specifici
strumenti di mediazione» (sentenza n. 1 del 2016; nello stesso senso,
sentenza n. 121 del 2010). Non si prefigura una «drastica previsione,
in caso di mancata intesa, della decisivita' della  volonta'  di  una
sola delle parti, la quale riduce all'espressione  di  un  parere  il
ruolo dell'altra» (sentenza n. 24 del 2007).  La  reiterazione  delle
trattative, al fine di raggiungere un esito consensuale (ex plurimis,
sentenze n. 121 del 2010, n. 24 del  2007,  n.  339  del  2005),  non
comporta in alcun modo che lo Stato abdichi al suo ruolo di decisore,
nell'ipotesi in cui le strategie concertative abbiano esito  negativo
e non conducano a un accordo (sentenze n. 7  del  2016,  n.  179  del
2012, n. 165 del 2011; in generale,  con  riferimento  al  «principio
dell'accordo», sentenza n. 19 del 2015). 
    E' pur vero che questa Corte  ha  piu'  volte  affermato  che  il
principio di leale  collaborazione  non  si  impone  al  procedimento
legislativo. La' dove, tuttavia, il legislatore delegato si accinge a
riformare istituti che incidono su competenze  statali  e  regionali,
inestricabilmente  connesse,  sorge   la   necessita'   del   ricorso
all'intesa. 
    Quest'ultima  si  impone,  dunque,  quale  cardine  della   leale
collaborazione anche quando l'attuazione delle  disposizioni  dettate
dal legislatore statale e' rimessa a  decreti  legislativi  delegati,
adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 Cost. 
    Tali  decreti,  sottoposti  a  limiti  temporali  e  qualitativi,
condizionati quanto alla validita' a tutte le  indicazioni  contenute
non solo nella Costituzione, ma anche, per volonta' di  quest'ultima,
nella legge di delegazione, finiscono, infatti, con l'essere attratti
nelle procedure di leale collaborazione, in vista del pieno  rispetto
del riparto costituzionale delle competenze. 
    Nel seguire le cadenze temporali entro cui  esercita  la  delega,
riferita a «oggetti distinti  suscettibili  di  separata  disciplina»
(art. 14 della legge 23 agosto  1988,  n.  400,  recante  «Disciplina
dell'attivita'  di  Governo  e  ordinamento  della   Presidenza   del
Consiglio dei Ministri»), il Governo puo' fare ricorso  a  tutti  gli
strumenti che reputa, di volta in  volta,  idonei  al  raggiungimento
dell'obiettivo  finale.  Tale  obiettivo  consiste  nel  vagliare  la
coerenza dell'intero procedimento di attuazione della  delega,  senza
sottrarlo alla collaborazione con le Regioni. 
    4.-  Poste  tali  premesse,  si  puo'  passare  all'esame   delle
questioni promosse nei confronti  delle  disposizioni  impugnate  che
recano le deleghe inerenti a singoli settori. 
    4.1.- Si devono, anzitutto, scrutinare  le  disposizioni  di  cui
all'art. 1, comma 1, lettere b), c) e g), e comma 2, nella  parte  in
cui dettano principi e criteri direttivi in  ordine  alla  delega  al
Governo all'adozione di «uno  o  piu'  decreti  legislativi  volti  a
modificare e integrare, anche  disponendone  la  delegificazione,  il
codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7
marzo 2005, n. 82», previo parere della Conferenza unificata  di  cui
all'art.  8  del  decreto  legislativo  28  agosto   1997,   n.   281
(Definizione  ed  ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per  le  materie  ed  i
compiti di interesse comune  delle  regioni,  delle  province  e  dei
comuni,  con  la  Conferenza  Stato-citta'  ed   autonomie   locali),
censurate in riferimento agli artt.  117,  secondo,  terzo  e  quarto
comma, 118 e 119 della Costituzione, nonche' al  principio  di  leale
collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    4.1.1.- La questione non e' fondata. 
    Le disposizioni impugnate si prefiggono l'obiettivo di  agevolare
la realizzazione, da parte di tutte le amministrazioni, della  Agenda
digitale  italiana,  gia'  attuata  in  ambito   nazionale   con   il
decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure  urgenti  per
la crescita del Paese), convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 17 dicembre 2012,  n.  221,  «nel  quadro  delle
indicazioni sancite a livello europeo» (art. 1). 
    Esse indicano al Governo di:  «ridefinire  e  semplificare»,  non
solo «i procedimenti amministrativi, in relazione  alle  esigenze  di
celerita',  certezza  dei  tempi  e  trasparenza  nei  confronti  dei
cittadini e delle imprese, mediante una disciplina basata sulla  loro
digitalizzazione  e  per  la  piena   realizzazione   del   principio
"innanzitutto digitale"», ma anche «l'organizzazione e  le  procedure
interne a ciascuna amministrazione» (comma  1,  lettera  b).  Dettano
anche previsioni  puntuali  inerenti  all'adozione  di  specifiche  e
peculiari modalita' di espletamento dei servizi e  di  impiego  della
banda ultralarga in vari settori,  fra  i  quali  quello  scolastico,
quello  sanitario  e  quello  turistico,  e  vincolano   il   Governo
all'introduzione  di   modalita'   telematiche   per   garantire   la
partecipazione ai «processi decisionali delle istituzioni  pubbliche»
(comma 1, lettera c). Prescrivono, inoltre, di  «favorire  l'elezione
di un domicilio digitale da parte di  cittadini  e  imprese  ai  fini
dell'interazione con le amministrazioni» (comma 1, lettera g). 
    Le  disposizioni  impugnate,  che  pure  intersecano   sfere   di
attribuzione   regionale   come   il   turismo   e   l'organizzazione
amministrativa   regionale,   costituiscono,   in   via   prevalente,
espressione della competenza statale nella materia del «coordinamento
informativo statistico e informatico  dei  dati  dell'amministrazione
statale, regionale e locale» (art. 117,  secondo  comma,  lettera  r,
Cost.). Esse sono anzitutto strumentali per «assicurare una comunanza
di linguaggi, di  procedure  e  di  standard  omogenei,  in  modo  da
permettere  la  comunicabilita'  tra  i  sistemi  informatici   della
pubblica amministrazione» (sentenza n.  17  del  2004;  nello  stesso
senso, fra le altre, sentenze n. 23 del  2014  e  n.  46  del  2013).
Assolvono, inoltre, all'esigenza primaria  di  offrire  ai  cittadini
garanzie uniformi su tutto il territorio nazionale,  nell'accesso  ai
dati personali, come pure ai servizi, esigenza che confina anche  con
la determinazione di  livelli  essenziali  delle  prestazioni.  Tanto
basta per confermare la piena competenza dello  Stato,  coerente  con
l'impegno, dallo stesso  assunto,  di  uniformarsi  alle  indicazioni
provenienti dall'Unione europea. 
    La  riconduzione  alla  competenza  legislativa   statale   della
normativa impugnata esclude anche  ogni  profilo  di  violazione  del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost., in
particolare con riguardo  alla  procedura  di  adozione  dei  decreti
legislativi, subordinata, ai sensi del comma 2, all'acquisizione  del
parere in sede di Conferenza unificata di cui all'art. 8 del  decreto
legislativo n. 281 del 1997. 
    4.2.- Le disposizioni contenute nell'art. 11,  comma  1,  lettere
a), b), numero 2), c), numeri 1) e 2), e), f), g), h),  i),  l),  m),
n), o), p) e q), e comma 2, sono impugnate  perche'  ritenute  lesive
della  competenza  legislativa  regionale  residuale  in  materia  di
ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, nella parte in
cui dettano principi e criteri  direttivi  della  delega  al  Governo
anche in tema di dirigenza regionale, nonche' del principio di  leale
collaborazione,  per  la   previsione   dell'adozione   dei   decreti
legislativi attuativi, previo parere in Conferenza unificata. 
    4.2.1.- La questione e' fondata nei termini di seguito precisati. 
    Si tratta di disposizioni che contribuiscono a definire una serie
di principi e criteri direttivi molto puntuali, relativi alla  delega
al  Governo  in  tema  di  riorganizzazione  di  tutta  la  dirigenza
pubblica. La delega  intende  innovare  profondamente  la  disciplina
previgente,  mediante  l'istituzione  del  sistema  della   dirigenza
pubblica, articolato in ruoli unificati e  coordinati  dei  dirigenti
dello Stato, dei dirigenti  regionali  e  dei  dirigenti  degli  enti
locali, accomunati da requisiti omogenei di accesso  e  da  procedure
analoghe di reclutamento (comma 1, lettera a),  nonche'  mediante  la
previsione di  regole  unitarie  inerenti  non  solo  al  trattamento
economico e al regime di responsabilita' dei dirigenti, ma anche alla
formazione e  al  conferimento,  alla  durata  e  alla  revoca  degli
incarichi. Le disposizioni impugnate si inseriscono nel quadro  degli
interventi volti a definire regole omogenee e  unitarie  in  tema  di
dirigenza pubblica, in un'ottica di  miglioramento  del  "rendimento"
dei  pubblici  uffici  e  dunque  di  garanzia  del  buon   andamento
dell'amministrazione. 
    Riguardo all'istituzione del ruolo unico dei dirigenti regionali,
si deve osservare che - diversamente da altre disposizioni  impugnate
-  e'  espressamente  prevista  l'intesa  in   sede   di   Conferenza
Stato-Regioni (comma 1, lettera b, numero 2). Sono poi dettate regole
puntuali e dettagliate, la cui attuazione  e'  demandata  al  Governo
mediante  decreti   legislativi,   inerenti   all'inquadramento   dei
dirigenti delle Regioni nella fase di prima  applicazione  (comma  1,
lettera b), all'accesso al ruolo (comma 1, lettera c, numeri 1 e  2),
alla formazione permanente (lettera e), alla mobilita'  (lettera  f),
al conferimento e alla durata degli incarichi (lettere  g  e  h),  al
trattamento e ai diritti dei dirigenti privi di incarico (lettera i),
alla valutazione dei  risultati  (lettera  l),  alla  responsabilita'
(lettera m), alla retribuzione (lettera n), al regime della dirigenza
sanitaria (lettera p), alla revoca degli incarichi (lettera q). 
    E'  innegabile  che  tali   disposizioni   incidano   su   ambiti
riconducibili alla competenza del legislatore statale in  materia  di
«ordinamento civile», nella parte in cui attengono a profili inerenti
al trattamento economico (fra le tante, sentenze n. 211 e n.  61  del
2014) o al regime di responsabilita' (sentenza n. 345  del  2004),  o
comunque a profili relativi al rapporto di lavoro privatizzato,  o  a
competenze statali concorrenti, come quella, relativa alla disciplina
della  dirigenza  sanitaria,  costituita  dalla  determinazione   dei
principi fondamentali in materia di tutela della salute. 
    Altrettanto innegabile e' che le disposizioni in esame  siano  in
parte riconducibili alla competenza regionale residuale in materia di
ordinamento e organizzazione amministrativa regionale, entro  cui  si
collocano le procedure concorsuali pubblicistiche  per  l'accesso  al
ruolo (cosi' come a tutto il pubblico impiego: sentenze  n.  310  del
2011 e n. 324 del 2010), il conferimento degli incarichi (sentenza n.
105 del 2013) e la durata degli stessi. 
    Questa  Corte  ha  ritenuto  tali  aspetti  inerenti  ai  profili
pubblicistico-organizzativi della dirigenza pubblica, cosi'  come  di
tutto il lavoro pubblico (fra le tante, sentenza n. 149 del 2012). Il
legislatore statale  interviene  in  questi  casi  solo  per  fissare
principi generali a garanzia del buon andamento e  dell'imparzialita'
dell'amministrazione (sentenza n. 105 del 2013). 
    Le medesime disposizioni  sono  anche  riferite  alla  competenza
regionale residuale in materia di formazione o a  quella  concorrente
in materia di tutela della salute, con riguardo  alla  disciplina  di
dettaglio della dirigenza regionale (sentenze n. 124 del 2015, n. 233
e n. 181 del 2006). 
    E' dunque palese il  concorso  di  competenze,  inestricabilmente
connesse, nessuna delle quali si rivela prevalente, ma ciascuna delle
quali concorre alla realizzazione dell'ampio disegno di riforma della
dirigenza pubblica. Pertanto, non e'  costituzionalmente  illegittimo
l'intervento del  legislatore  statale,  se  necessario  a  garantire
l'esigenza di unitarieta' sottesa alla riforma. Tuttavia,  esso  deve
muoversi  nel  rispetto  del  principio  di   leale   collaborazione,
indispensabile anche in questo caso a guidare i rapporti tra lo Stato
e il sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze n. 26 e n. 1  del
2016, n. 140 del 2015, n. 44 del 2014, n. 237 del 2009, n. 168  e  n.
50 del 2008). Poiche' le  disposizioni  impugnate  toccano  sfere  di
competenza esclusivamente statali e regionali,  il  luogo  idoneo  di
espressione della leale collaborazione deve essere individuato  nella
Conferenza Stato-Regioni. 
    Si  deve  osservare,  infatti,  che  la  disposizione   contenuta
nell'art.  11,  comma  1,  lettera  b),  numero  2),  specifica   che
l'istituzione del ruolo unico dei dirigenti regionali  deve  avvenire
previa intesa nella Conferenza Stato-Regioni. Il legislatore  statale
svela, in questo caso,  l'esigenza  di  procedere  al  coinvolgimento
delle Regioni, poiche' e' consapevole  di  incidere  sulle  sfere  di
competenze regionali. 
    Appare dunque irragionevole non estendere il vincolo concertativo
all'individuazione specifica dei requisiti di accesso al ruolo  e  di
reclutamento e anche dei criteri di  conferimento,  durata  e  revoca
degli    incarichi,    requisiti    che    attengono    ai    profili
pubblicistico-organizzativi   del   lavoro   pubblico,   come    tali
riconducibili   alla   materia   dell'organizzazione   amministrativa
regionale (sentenza n. 149 del 2012). La dettagliata enunciazione  di
principi  e  criteri  direttivi  nella  legge  di  delegazione,   pur
riconducibile  a  apprezzabili  esigenze   di   unitarieta',   incide
profondamente  sulle  competenze  regionali  e  postula,  per  questo
motivo, l'avvio di procedure collaborative nella fase  di  attuazione
della delega. 
    4.2.2.-  Deve,  pertanto,  essere   dichiarata   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 11, comma 1, lettere a), b), numero  2,  c),
numeri 1) e 2), e), f), g), h), i), l), m), n), o), p) e q), e  comma
2, nella parte in cui, nonostante le molteplici interferenze  con  le
competenze regionali  non  risolvibili  mediante  il  criterio  della
prevalenza del legislatore statale,  prescrive,  per  l'adozione  dei
decreti legislativi delegati attuativi, una forma di raccordo con  le
Regioni - il parere in Conferenza unificata - da ritenersi lesiva del
principio di leale collaborazione perche' non idonea a realizzare  un
confronto  autentico  con  le  autonomie  regionali,   necessario   a
contemperare la compressione delle loro competenze. Solo l'intesa  in
sede di Conferenza Stato-Regioni, contraddistinta  da  una  procedura
che consente lo svolgimento  di  genuine  trattative,  garantisce  un
reale coinvolgimento. 
    4.2.3.- Restano assorbite le specifiche  questioni  promosse  nei
confronti dell'art. 11, comma 1, lettere f), i) e p), in  riferimento
agli artt. 3 e 97 Cost. 
    5.- Le questioni promosse nei confronti dei commi 1 e 4 dell'art.
16 sono strettamente connesse a quelle riferite agli artt. 17,  18  e
19 della medesima legge. 
    Infatti,  l'art.  16  e'  censurato  nel  suo  comma  1,  poiche'
conterrebbe  una  delega  alla  "riorganizzazione"  della  disciplina
vigente  in  tema  di  lavoro   alle   dipendenze   delle   pubbliche
amministrazioni, di partecipazione  azionaria  delle  amministrazioni
pubbliche  e  di  servizi  pubblici  locali  di  interesse  economico
generale,  i  cui  principi  e  criteri  direttivi   sono   indicati,
rispettivamente, all'art. 17, all'art. 18 e all'art. 19. Il  comma  4
del medesimo art. 16 e' censurato nella parte in  cui  stabilisce  le
modalita' procedurali dell'attuazione delle  deleghe,  relative  alle
richiamate  materie,  e  in  particolare  subordina  l'adozione   dei
relativi  decreti  legislativi  al  mero  parere   della   Conferenza
unificata, nonostante le molteplici  interferenze  delle  deleghe  in
ambiti di competenza regionale, in violazione del principio di  leale
collaborazione. 
    L'esame  di  tali  questioni  deve,   pertanto,   essere   svolto
congiuntamente a quello delle questioni inerenti agli artt. 17, 18  e
19. 
    6.- Anche le disposizioni di cui all'art. 17,  comma  1,  lettere
a), b), c), d), e), f), l), m), o), q), r), s) e t),  sono  impugnate
nella parte in cui, definendo i principi e i criteri direttivi  della
delega al Governo per il riordino della disciplina  del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche, sono  riferite  anche  al
lavoro  pubblico  regionale,   con   conseguente   violazione   della
competenza  legislativa  residuale  delle  Regioni  in   materia   di
organizzazione  amministrativa  regionale.  Esse  inoltre   demandano
l'attuazione  di  tali  principi  e  criteri  a  decreti  legislativi
delegati, da adottarsi previo parere in sede di Conferenza  unificata
(ai sensi dell'art. 16, comma 4),  in  violazione  del  principio  di
leale collaborazione. 
    6.1.- La questione e'  fondata,  in  conformita'  agli  argomenti
svolti con riguardo  alle  disposizioni  di  cui  all'art.  11  della
medesima legge n. 124 del 2015. 
    Ancora una volta occorre collocare le disposizioni impugnate  nel
quadro complessivo delineato dall'art. 17. Quest'ultimo si propone di
riordinare la disciplina del  lavoro  alle  dipendenze  di  tutte  le
pubbliche amministrazioni e di riformare  la  disciplina  vigente  in
prospettiva unitaria,  ma  in  ambiti  disparati,  che  spaziano  dal
reclutamento,  al  rapporto  di   lavoro,   al   contenimento   delle
assunzioni,  al  lavoro   flessibile,   alla   valutazione   e   alla
responsabilita' disciplinare dei dipendenti pubblici. 
    Le  disposizioni  specificamente   impugnate   dettano   puntuali
indicazioni  al  Governo  riguardo  alle  procedure  concorsuali  per
l'accesso al lavoro pubblico, sia con la previsione di  requisiti  di
ammissione e criteri di valutazione (la' dove impongono, alla lettera
a, di privilegiare «l'esperienza professionale  acquisita  da  coloro
che hanno avuto rapporti di lavoro flessibile con le  amministrazioni
pubbliche», o, alla lettera b, «l'accertamento  della  capacita'  dei
candidati di utilizzare e  applicare  a  problemi  specifici  e  casi
concreti nozioni teoriche»,  o  ancora  la'  dove  prescrivono,  alla
lettera d, la soppressione del requisito del voto  minimo  di  laurea
per la partecipazione ai concorsi per  l'accesso  agli  impieghi,  o,
alla lettera e, l'accertamento della conoscenza della lingua  inglese
e di altre lingue, o, alla lettera f, la valorizzazione del titolo di
dottore di ricerca); sia imponendo modalita'  di  espletamento  delle
prove  (come  alla  lettera  c,  che  prescrive  l'accentramento  dei
concorsi per tutte le amministrazioni pubbliche e la revisione  delle
modalita' di espletamento degli stessi). 
    Le disposizioni in esame assegnano inoltre al Governo il  compito
di attribuire all'Istituto nazionale della previdenza sociale  (INPS)
le competenze in tema  di  accertamento  medico  legale  in  caso  di
assenze dei dipendenti pubblici per malattia  al  fine  di  garantire
l'effettivita' dei controlli (lettera l), di definire  gli  obiettivi
di contenimento delle assunzioni,  differenziati  in  relazione  agli
effettivi fabbisogni (lettera m), di introdurre una disciplina  delle
forme del lavoro flessibile (lettera o), di prevedere il «progressivo
superamento della dotazione  organica  come  limite  alle  assunzioni
[...] anche al fine di facilitare i processi di  mobilita'»  (lettera
q),  di  semplificare  la  disciplina  in  tema  di  valutazione  dei
dipendenti pubblici, di riconoscimento del merito e di premialita', e
razionalizzare i sistemi di valutazione (lettera r), di ridefinire il
regime della responsabilita' disciplinare dei pubblici dipendenti  al
fine  di  accelerare  e  rendere  concreto  e  certo  nei  tempi   di
espletamento e di conclusione  l'esercizio  dell'azione  disciplinare
(lettera s), infine di rafforzare il  principio  di  separazione  tra
indirizzo politico-amministrativo e gestione (lettera t). 
    Dall'esame appena svolto emerge chiaramente che  le  disposizioni
impugnate incidono in parte in ambiti riconducibili  alla  competenza
dello Stato, in specie ove dettano indicazioni inerenti  al  rapporto
di lavoro dei dipendenti, anche regionali e degli enti locali,  ormai
privatizzato e dunque soggetto alle norme dell'ordinamento civile  di
spettanza esclusiva del legislatore statale (fra le  tante,  sentenza
n.  62  del  2013);  ove  regolano  il  regime  di   responsabilita',
egualmente  riconducibile  all'ordinamento  civile;   ove   impongono
obiettivi di contenimento delle  assunzioni  delineando  principi  di
coordinamento della finanza  pubblica.  Esse,  tuttavia,  mettono  in
gioco, in misura rilevante, anche la competenza  regionale  residuale
in materia di organizzazione amministrativa  delle  Regioni  e  degli
enti pubblici regionali, in  specie  quando  intervengono  a  dettare
precisi criteri inerenti alle  procedure  concorsuali  pubblicistiche
per l'accesso al lavoro pubblico regionale, ripetutamente  ricondotto
da questa Corte  alla  competenza  residuale  delle  Regioni  di  cui
all'art. 117, quarto comma, Cost. (sentenze n. 100 del  2010,  n.  95
del 2008, n. 233 del 2006 e n. 380 del 2004). 
    Tali competenze si  pongono  in  un  rapporto  di  "concorrenza",
poiche' nessuna di esse prevale sulle altre,  ma  tutte  confluiscono
nella riorganizzazione del lavoro  alle  dipendenze  delle  pubbliche
amministrazioni,   in   una   prospettiva    unitaria,    rivelandosi
inscindibili   e   strumentalmente   connesse.   Tale   vincolo    di
strumentalita', se da un lato  costituisce  fondamento  di  validita'
dell'intervento  del  legislatore  statale,   dall'altro   impone   a
quest'ultimo  il  rispetto  del  principio  di  leale  collaborazione
nell'unica forma adeguata a garantire il giusto contemperamento della
compressione delle competenze regionali, che e' quella dell'intesa. 
    Come gia' detto in precedenza, l'intesa consente alle Regioni  di
partecipare con il Governo nella definizione della disciplina finale,
sfruttando gli spazi lasciati aperti dal legislatore  delegante,  che
ha indicato principi e criteri direttivi  puntuali,  nell'intento  di
imprimere unitarieta' al proprio intervento. 
    Anche in tal caso, tenuto conto che gli interessi e le competenze
coinvolte dalle disposizioni impugnate sono  solo  quelle  statali  e
regionali, deve ritenersi che  sia  la  Conferenza  Stato-Regioni  il
luogo idoneo per il raggiungimento dell'intesa. 
    Va,   pertanto,   dichiarata   l'illegittimita'    costituzionale
dell'art. 17, comma 1, lettere a), b), c), d), e), f),  l),  m),  o),
q), r), s) e t), nella parte in cui, in combinato disposto con l'art.
16, commi 1 e 4, prevede che il Governo  adotti  i  relativi  decreti
legislativi attuativi previo parere in sede di Conferenza  unificata,
anziche' previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni. 
    7.- Occorre ora esaminare la  questione  promossa  nei  confronti
dell'art. 18, lettere a), b), c), e), i), l) e m), numeri da 1) a 7),
nella parte in cui delega il Governo  a  operare  un  riordino  della
disciplina  delle  partecipazioni  azionarie  delle   amministrazioni
pubbliche e fissa una serie di  principi  e  criteri  direttivi,  che
eccederebbero dalle competenze statali in materia  di  «tutela  della
concorrenza»  e  di  «coordinamento   della   finanza   pubblica»   e
violerebbero l'autonomia organizzativa e finanziaria  delle  Regioni.
Anche tale  articolo  e',  inoltre,  censurato  nella  parte  in  cui
prevede, in combinato disposto con l'art. 16, comma 4, una  forma  di
raccordo con le Regioni, quella del parere in  Conferenza  unificata,
lesiva del principio di leale collaborazione. 
    7.1.- La questione e' fondata in riferimento alla violazione  del
principio  di  leale  collaborazione  sulla  base  di  argomentazioni
analoghe a quelle gia' svolte con riguardo  alle  questioni  promosse
nei confronti degli artt. 11 e 17. 
    Le disposizioni censurate si inseriscono nel  contesto  delineato
dall'intero art.  18.  Quest'ultimo  contiene  specifici  criteri  di
delega  per  il  riordino  della  disciplina   delle   partecipazioni
societarie delle amministrazioni pubbliche al  «fine  prioritario  di
assicurare  la  chiarezza  della   disciplina,   la   semplificazione
normativa e la tutela e promozione della concorrenza»  (comma  1),  a
fronte di un quadro normativo complesso e diversificato, composto  da
numerose disposizioni speciali che si intrecciano con  la  disciplina
di carattere generale. 
    In questa prospettiva,  il  "riordino"  cui  mira  l'art.  18  si
realizza  assegnando  al  Governo,  fra  l'altro,   il   compito   di
differenziare le tipologie societarie  in  relazione  alle  attivita'
svolte, agli interessi pubblici e alla quotazione in  borsa  (lettera
a), di ridefinire regole, condizioni e limiti per la costituzione  di
societa' o per  l'assunzione  e  il  mantenimento  di  partecipazioni
societarie da parte di  amministrazioni  pubbliche  (lettera  b),  di
delineare un preciso regime di responsabilita'  degli  amministratori
degli enti partecipanti e degli organi di gestione e  dei  dipendenti
delle societa' partecipate (lettera c), di razionalizzare  il  regime
pubblicistico per gli acquisti e il reclutamento del personale, per i
vincoli alle assunzioni e le politiche retributive  (lettera  e),  di
prevedere la possibilita' di piani di rientro  per  le  societa'  con
bilanci in disavanzo con eventuale commissariamento (lettera  i),  di
regolare  i   flussi   finanziari,   sotto   qualsiasi   forma,   tra
amministrazione pubblica e societa' partecipate (lettera l),  nonche'
di definire una serie di regole puntuali relative alle partecipazioni
azionarie  degli   enti   locali   (lettera   m),   fra   le   quali:
l'individuazione dei criteri di scelta della  forma  societaria  piu'
adeguata  per  le  societa'  che  gestiscono  servizi  strumentali  e
funzioni  amministrative;  l'individuazione,  per  le  societa'   che
gestiscono servizi pubblici di interesse economico  generale,  di  un
numero massimo di esercizi con perdite  di  bilancio  che  comportino
obblighi di  liquidazione  delle  societa';  il  rafforzamento  delle
misure volte a garantire il raggiungimento di obiettivi di  qualita',
efficienza, efficacia ed economicita', anche attraverso la  riduzione
dell'entita' e del numero delle partecipazioni e l'incentivazione dei
processi di aggregazione. 
    Questa Corte si e' piu' volte pronunciata sul tema delle societa'
a  partecipazione  pubblica.  Da  un  lato  essa  ha  ricondotto   le
disposizioni inerenti all'attivita'  di  societa'  partecipate  dalle
Regioni e dagli enti locali alla materia  dell'«ordinamento  civile»,
di competenza  legislativa  esclusiva  statale,  in  quanto  volte  a
definire il regime giuridico di soggetti di diritto privato,  nonche'
a quella della «tutela della  concorrenza»  in  considerazione  dello
scopo di talune disposizioni  di  «evitare  che  soggetti  dotati  di
privilegi operino in mercati concorrenziali»  (sentenza  n.  326  del
2008). Dall'altro ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  di
disposizioni statali  che,  imponendo  a  tutte  le  amministrazioni,
quindi anche a quelle regionali, di sciogliere o privatizzare proprio
le societa'  pubbliche  strumentali,  sottraevano  alle  medesime  la
scelta in ordine alle modalita' organizzative  di  svolgimento  delle
attivita' di produzione di beni o servizi  strumentali  alle  proprie
finalita' istituzionali, violando la competenza legislativa regionale
residuale  in  materia  di  organizzazione  amministrativa  regionale
(sentenza n. 229 del 2013). 
    Cio' dimostra che un intervento  del  legislatore  statale,  come
quello  operato  con  le   disposizioni   impugnate   dell'art.   18,
finalizzato a dettare una disciplina  organica  delle  partecipazioni
azionarie     delle     amministrazioni     pubbliche,     coinvolge,
inevitabilmente, profili pubblicistici, che attengono alle  modalita'
organizzative di espletamento delle  funzioni  amministrative  e  dei
servizi riconducibili alla competenza residuale regionale, anche  con
riguardo alle partecipazioni degli enti locali che non  abbiano  come
oggetto l'espletamento  di  funzioni  fondamentali.  Tale  intervento
coinvolge anche  profili  privatistici,  inerenti  alla  forma  delle
societa' partecipate, che trova nel codice civile la  sua  radice,  e
aspetti connessi alla tutela della  concorrenza,  riconducibili  alla
competenza esclusiva del legislatore statale. 
    Da qui  la  "concorrenza"  di  competenze  statali  e  regionali,
disciplinata  mediante  l'applicazione   del   principio   di   leale
collaborazione. Ai principi e criteri direttivi il Governo deve  dare
attuazione solo dopo aver svolto idonee trattative con Regioni e enti
locali nella sede della  Conferenza  unificata.  Quest'ultima  e'  la
sede, come si e' gia' detto, piu' idonea a consentire  l'integrazione
dei diversi punti di  vista  e  delle  diverse  esigenze  degli  enti
territoriali coinvolti, tutte le volte in cui  siano  in  discussione
temi comuni a tutto il sistema  delle  autonomie,  inclusi  gli  enti
locali. 
    E', pertanto, costituzionalmente illegittimo l'art.  18,  lettere
a), b), c), e), i), l) e m), numeri da 1) a 7), nella parte  in  cui,
in combinato disposto con l'art. 16, commi 1  e  4,  prevede  che  il
Governo  adotti  i  relativi  decreti  legislativi  attuativi  previo
parere, anziche' previa intesa, in sede di Conferenza unificata. 
    8.- Si deve, infine, procedere all'esame delle questioni promosse
nei confronti dell'art. 19, lettere b), c), d), g), h), l),  m),  n),
o), p), s), t) e u), in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo  e
quarto comma, 118 e 119 Cost. e al principio di leale  collaborazione
di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    Tali disposizioni sono impugnate nella parte in cui  stabiliscono
una serie di principi e criteri direttivi  relativi  alla  delega  al
Governo per il riordino della disciplina dei servizi pubblici  locali
d'interesse  economico  generale  che  inciderebbero  su  materie  di
competenza regionale, la  cui  attuazione  e'  peraltro  demandata  a
decreti  legislativi  del  Governo  da  adottarsi  previo  parere  in
Conferenza unificata. 
    8.1.- La questione e' fondata, in  riferimento  al  principio  di
leale collaborazione, secondo le argomentazioni gia' prima svolte. 
    Si tratta di una disciplina oggetto di  numerosi  interventi  del
legislatore statale, spesso frammentari e in via  d'urgenza,  su  cui
questa Corte si e' piu' volte pronunciata, ravvisando una  competenza
legislativa statale esclusiva a disciplinare il  regime  dei  servizi
pubblici locali di interesse economico «per gli aspetti che hanno una
diretta incidenza sul mercato» (sentenze n. 160 del 2016 e n. 325 del
2010) e che siano  volti,  «in  via  primaria,  alla  tutela  e  alla
promozione della concorrenza» (sentenza n. 325 del 2010), nel  limite
della proporzionalita' e adeguatezza dell'intervento (sentenze n. 160
del 2016, n. 443 del 2007, n. 272 del 2004). Ha anche  ravvisato  una
competenza legislativa regionale residuale (che  si  accompagna  alla
competenza regolamentare degli enti locali di cui all'art. 117, sesto
comma, Cost.) a disciplinare tutti  quei  profili  (ivi  compreso  il
trasporto pubblico locale) che non siano strumentali a  garantire  la
concorrenza (sentenza n. 325 del 2010, n. 307 del 2009,  n.  272  del
2004). 
    Da questi riferimenti  emerge  con  chiarezza  che  le  impugnate
disposizioni dell'art. 19 contengono  principi  e  criteri  direttivi
entro cui si intrecciano  previsioni  strettamente  finalizzate  alla
tutela della concorrenza (lettera b, che  attiene  alla  soppressione
dei  regimi  di  esclusiva,  comunque  denominati,  non  conformi  ai
principi generali in materia di concorrenza; lettera g, inerente alla
definizione dei  regimi  tariffari),  riconducibili  alla  competenza
statale, e previsioni palesemente eccedenti tale finalita',  inerenti
alla gestione e organizzazione dei medesimi servizi (lettera  b,  che
prescrive  la  soppressione  dei  regimi   di   esclusiva,   comunque
denominati,  non  indispensabili  per  assicurare   la   qualita'   e
l'efficienza del servizio; lettera d, relativa alla  definizione  dei
criteri  per  l'organizzazione  territoriale  ottimale  dei   servizi
pubblici locali di rilevanza economica;  lettera  h,  che  impone  la
definizione delle modalita' di tutela degli utenti;  lettera  p,  che
dispone l'introduzione e il potenziamento di forme  di  consultazione
dei cittadini e della partecipazione  diretta  alla  formulazione  di
direttive alle amministrazioni pubbliche e alle societa'  di  servizi
sulla  qualita'  e  sui  costi  degli  stessi),   espressione   della
competenza legislativa  regionale  residuale,  insieme  a  previsioni
incidenti  in  ambiti  ancora  diversi,  come  quelle  inerenti  alla
disciplina dei rapporti di lavoro (lettera t). 
    Queste disposizioni sono tenute  insieme  da  forti  connessioni,
proprio  perche'  funzionali  al  progetto  di  riordino  dell'intero
settore dei servizi pubblici locali di interesse economico  generale.
Sebbene  costituiscano  espressione  di   interessi   distinti,   che
corrispondono alle diverse competenze legislative dello Stato e delle
Regioni, esse risultano inscindibili l'una dall'altra, inserite  come
sono in un unico progetto. Nel dare attuazione a principi  e  criteri
direttivi in esse  contenuti,  il  Governo  supera  lo  scrutinio  di
legittimita'  costituzionale  se  rispetta  il  principio  di   leale
collaborazione, avviando le procedure inerenti all'intesa con Regioni
e enti locali nella sede della Conferenza unificata. 
    E', pertanto, costituzionalmente illegittimo l'art.  19,  lettere
b), c), d), g), h), l), m), n), o), p), s), t) e u), nella  parte  in
cui, in combinato disposto con l'art. 16, commi 1 e 4, prevede che il
Governo  adotti  i  relativi  decreti  legislativi  attuativi  previo
parere, anziche' previa intesa, in sede di Conferenza unificata. 
    9.- Le pronunce di illegittimita'  costituzionale,  contenute  in
questa decisione, sono circoscritte alle disposizioni di  delegazione
della legge n. 124 del 2015, oggetto del ricorso, e non si  estendono
alle relative disposizioni attuative. Nel  caso  di  impugnazione  di
tali disposizioni, si  dovra'  accertare  l'effettiva  lesione  delle
competenze regionali, anche alla luce delle soluzioni correttive  che
il Governo riterra' di apprestare al fine di assicurare  il  rispetto
del principio di leale collaborazione.