ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  12,  commi
1, 2, 3 e 4, della legge della Regione Veneto 23 febbraio 2016, n.  7
(Legge di stabilita' regionale 2016),  promosso  dal  Presidente  del
Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 26-28  aprile  2016,
depositato in cancelleria il 28 aprile 2016 ed iscritto al n. 26  del
registro ricorsi 2016. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nell'udienza pubblica del 21 marzo 2017 il Giudice relatore
Augusto Antonio Barbera; 
    uditi l'avvocato dello Stato Chiarina Aiello  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e gli avvocati Ezio Zanon e  Andrea  Manzi
per la Regione Veneto. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 26-28 aprile 2016, depositato il 28
aprile 2016 ed iscritto al  n.  26  del  registro  ricorsi  2016,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  impugnato,  in  riferimento
agli artt. 3 e 117, secondo  comma,  lettere  g),  h)  ed  l),  della
Costituzione, l'art. 12, commi 1, 2, 3 e 4, della legge della Regione
Veneto 23 febbraio 2016, n. 7 (Legge di stabilita' regionale 2016). 
    2.- Il citato art. 12, al comma 1, stabilisce:  «La  Regione  del
Veneto al fine di dare sostegno ai cittadini residenti nel territorio
veneto da almeno quindici anni colpiti da criminalita', istituisce un
apposito  fondo  regionale  denominato  "Fondo   regionale   per   il
patrocinio legale gratuito a sostegno dei  cittadini  veneti  colpiti
dalla criminalita'"». Il successivo comma 2 dispone che  detto  fondo
«e' destinato ad assicurare il patrocinio a spese della  Regione  nei
procedimenti penali per la difesa dei cittadini residenti  in  Veneto
da almeno  quindici  anni  che,  vittime  di  un  delitto  contro  il
patrimonio o contro la persona, siano accusati di eccesso colposo  di
legittima difesa o di omicidio colposo per aver tentato di  difendere
se stessi, la propria attivita', la famiglia o i beni, da un pericolo
attuale di un'offesa ingiusta». 
    2.1.- Secondo l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  detti  commi
prevedono «il riconoscimento del  beneficio  economico  del  gratuito
patrocinio»  in  favore  delle  vittime  di  determinati  delitti,  a
prescindere  dal   reddito,   in   relazione   al   giudizio   penale
eventualmente promosso nei loro confronti, avente ad oggetto i  reati
alle  stesse  contestate,  qualora  abbiano  reagito  per  difendersi
dall'aggressione  subita.   La   norma,   da   un   canto,   potrebbe
«incoraggiare  la  c.d.  "ragion  fattasi"»;   dall'altro,   potrebbe
costituire  un  deterrente  per  gli  autori  dei  reati  contro   il
patrimonio o contro la persona. La disposizione realizzerebbe  dunque
una scelta di politica criminale,  che  «spetta  allo  Stato  perche'
attiene all'equilibrio dei rapporti sociali,  all'ordine  pubblico  e
alla sicurezza nazionale, cioe' ad un bilanciamento di  interessi  di
competenza statale», con conseguente lesione dell'art.  117,  secondo
comma, lettera h), Cost. 
    La  giurisprudenza  costituzionale  ha,  infatti,  affermato  che
spetta allo Stato adottare le misure «relative alla  prevenzione  dei
reati ed al mantenimento dell'ordine  pubblico,  inteso  quest'ultimo
quale complesso dei beni giuridici  fondamentali  e  degli  interessi
pubblici primari sui quali si regge l'ordinata  e  civile  convivenza
nella comunita' nazionale» (sono richiamate le sentenze  n.  118  del
2013, n. 35 del 2011, n. 226 del 2010, n. 50 del  2008,  n.  222  del
2006, n. 428 del 2004, n. 407 del 2002). 
    2.1.1.- L'impugnato art. 12, commi 1 e 2, si  porrebbe,  inoltre,
in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera l),  Cost.,  dato
che la possibilita' di fruire  del  gratuito  patrocinio  inciderebbe
sull'ordinamento e sul processo penale: in  primo  luogo,  in  quanto
tale beneficio e' accordato, di regola, dallo Stato, per favorire  la
difesa dei non abbienti; in secondo luogo, perche' incrementerebbe la
possibilita' «di investire risorse in indagini difensive e consulenze
di parte». 
    La disposizione influirebbe anche «sulla  repressione  dei  reati
attraverso il processo penale e quindi sulla materia dell'ordinamento
penale». Essa infatti «obiettivamente rimuove un  ostacolo  economico
all'autodifesa e quindi incide sostanzialmente  sulla  prevenzione  e
repressione degli eccessi  colposi  di  legittima  difesa».  Inoltre,
agevolando «obiettivamente l'autodifesa, finisce  per  accrescere  il
peso di quest'ultima, che deve essere sempre eccezionale e marginale,
rispetto all'intervento dell'Autorita' giudiziaria  e  della  polizia
giudiziaria, nella attivita'  preventiva  e  repressiva  dei  reati»,
realizzando un bilanciamento di interessi, riservato alla  competenza
esclusiva dello Stato. 
    2.1.2.- I commi in esame violerebbero, infine,  il  principio  di
eguaglianza (art. 3 Cost.),  nella  parte  in  cui  attribuiscono  il
beneficio in esame ai soli cittadini residenti in  Veneto  da  almeno
quindici anni. La finalita' della norma sarebbe infatti di  garantire
una provvidenza, che dovrebbe essere ragionevolmente  riconosciuta  a
tutti coloro i quali versano nella situazione prevista dalla  stessa,
indipendentemente dal tempo dal quale risiedono nella Regione  Veneto
ed anche dalla stessa residenza in quest'ultima. 
    La considerazione che  ratio  della  misura  e'  la  «particolare
meritevolezza di tutela riconosciuta agli autori/vittime dei reati in
questione,  considerati  un  problema  specifico  della  realta'  del
Veneto», indurrebbe a ritenere che la residenza (e  la  durata  della
stessa) sia un elemento privo di un «collegamento obiettivo»  con  la
finalita'  della  norma  e,  appunto  per  questo,  integrerebbe   un
«criterio del tutto arbitrario  di  selezione  dei  destinatari»  del
beneficio. 
    2.2.- L'impugnato art. 12, comma  3,  dispone:  «La  Regione  del
Veneto, al fine di tutelare gli addetti delle Polizie locali e  delle
Forze dell'ordine operanti sul territorio, istituisce,  altresi',  un
apposito  fondo  regionale  denominato  "Fondo   regionale   per   il
patrocinio legale ed il sostegno alle  spese  mediche  degli  addetti
delle Polizie locali e delle Forze dell'ordine"». Il successivo comma
4 prevede che detto fondo «e'  destinato  alla  stipula  di  apposite
convenzioni volte a garantire: a) l'anticipo delle spese  mediche,  e
il ristoro di eventuali  quote  non  rimborsate  da  assicurazioni  o
risarcimenti,  derivanti  da  cure  effettuate  presso   il   sistema
sanitario regionale dagli addetti delle Polizie locali e delle  Forze
dell'ordine operanti  nel  territorio  regionale  che  siano  rimasti
feriti sul campo durante azioni di prevenzione e di  contrasto  della
criminalita' rientranti nelle  proprie  funzioni;  b)  il  patrocinio
legale gratuito agli addetti  delle  Polizie  locali  e  delle  Forze
dell'ordine  operanti  nel   territorio   regionale   che   risultino
destinatari di procedimenti  legali  per  scelte  intraprese  durante
azioni di prevenzione e di contrasto  della  criminalita'  rientranti
nelle proprie funzioni». 
    2.2.1.- Secondo il ricorrente, tali commi violerebbero  l'art.  3
Cost., poiche'  realizzerebbero  «una  ingiustificata  disparita'  di
trattamento tra il personale statale di identico grado  o  qualifica,
che opera in un diverso ambito territoriale» (art. 16 della legge  1°
aprile 1981, n. 121, recante «Nuovo ordinamento  dell'Amministrazione
della pubblica sicurezza»). La giurisprudenza costituzionale in  tema
di perequazione del trattamento economico delle Forze di Polizia  ha,
infatti,   enunciato   il   «principio   di   equiparazione   secondo
l'omogeneita' di funzione» (sentenza n. 455 del 1993),  sottolineando
che devono essere armonizzati i trattamenti previsti per  le  diverse
forze  di   polizia   «nella   prospettiva   della   omogeneizzazione
complessiva attuata in un sistema a  regime»  (sentenza  n.  451  del
2000), con  conseguente  illegittimita'  della  differenziazione  del
trattamento economico effettuata su base «puramente territoriale». 
    2.2.2.- I commi in  esame  violerebbero,  altresi',  l'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost., poiche' si porrebbero in  contrasto
con le norme statali  in  tema  di  disciplina  della  contrattazione
collettiva e della rappresentativita' sindacale, contenuta nel Titolo
III del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.  165  (Norme  generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche), che riserva «in via esclusiva al contratto collettivo  la
determinazione di qualsiasi  trattamento  economico»  dei  dipendenti
pubblici,  con  conseguente  lesione  della  competenza   legislativa
esclusiva dello Stato nella materia  dell'ordinamento  civile  e  dei
rapporti  di  diritto  privato   suscettibili   di   regolamentazione
esclusivamente mediante contratti collettivi. 
    2.2.3.- Inoltre, considerata la «netta  separazione  fra  Polizie
locali, che fanno parte del comparto Enti Locali e  Polizie  statali,
inserite con le Forze Armate nell'apposito Comparto  Sicurezza-Difesa
e la loro  dipendenza  ordinamentale  dalle  strutture  centrali,  la
Regione  Veneto  non  ha  alcuna  potesta'  legislativa   che   possa
giustificare l'elargizione di benefici  al  personale  delle  polizie
statali  che  si  trova  totalmente  al  di  fuori  della  competenza
regionale», con conseguente violazione anche dell'art.  117,  secondo
comma, lettera g), Cost. 
    Tale parametro costituzionale sarebbe altresi' leso,  poiche'  la
tutela legale delle Forze di polizia costituisce oggetto dell'art. 32
della legge 22 maggio 1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell'ordine
pubblico) e dell'art. 18 del  decreto-legge  25  marzo  1997,  n.  67
(Disposizioni urgenti per  favorire  l'occupazione),  convertito  con
modificazioni, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135. Quest'ultima norma
costituirebbe la  disposizione  di  carattere  generale  in  tema  di
benefici in  favore  dei  dipendenti  delle  amministrazioni  statali
coinvolti in  procedimenti  giudiziari  per  causa  di  servizio.  Il
rimborso delle spese legali e' subordinato a  determinati  requisiti,
oggetto di valutazione da parte dell'Amministrazione di  appartenenza
del dipendente, in un procedimento diretto a verificare  la  «assenza
di conflitto con l'interesse generale». I commi 3 e 4 della norma  in
esame violerebbero, quindi, la competenza legislativa esclusiva dello
Stato nella  materia  «ordinamento  e  organizzazione  amministrativa
dello Stato». 
    3.- Nel giudizio si e' costituita la Regione Veneto,  in  persona
del Presidente pro tempore, chiedendo che le censure siano dichiarate
inammissibili o comunque infondate. 
    3.1.- Ad avviso della resistente, la  censura  con  la  quale  il
ricorrente sostiene che l'impugnato art.  12,  commi  1  e  2,  «puo'
tendere ad incoraggiare la c.d. "ragion fattasi"», alludendo  in  tal
modo ai reati degli artt.  392  e  393  del  codice  penale,  sarebbe
ipotetica, dubitativa e, comunque, erronea. Queste due  ultime  norme
prevedono infatti  quale  elemento  costitutivo  di  detti  reati  la
circostanza che il soggetto agente versi nella condizione  di  «poter
ricorrere al giudice», situazione diversa da quella contemplata dalla
disposizione censurata, la quale ha riguardo  all'art.  52  di  detto
codice. 
    La prospettazione secondo cui la provvidenza potrebbe  costituire
motivo determinante dell'azione difensiva  della  vittima  del  reato
sarebbe invece contraria «agli esiti della scienza psicologica e  del
comune sentire». La reazione difensiva sarebbe infatti determinata da
ragioni di tutela dei beni della vita e  dell'incolumita'  propria  o
dei familiari, che avrebbero carattere assorbente  rispetto  ad  ogni
altra considerazione. Indimostrata e congetturale  sarebbe,  inoltre,
l'argomentazione  diretta  a  sostenere  che   la   misura   potrebbe
costituire «un deterrente per gli autori dei reati» presupposti,  con
conseguente  inammissibilita'  delle  censure,  che  denunciano   una
lesione  delle  competenze  dello  Stato   «meramente   ipotetica   e
virtuale», restando escluso che la norma realizzi scelte di «politica
criminale». 
    3.1.1.- La materia «ordine pubblico  e  sicurezza»  dovrebbe  poi
essere identificata avendo riguardo alla  nozione  offerta  dall'art.
159 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  112  (Conferimento  di
funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli
enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo  1997,  n.
59),  e  dalla  giurisprudenza  costituzionale,   secondo   cui   gli
«interessi pubblici primari» contemplati da detta  disposizione  sono
esclusivamente «gli  interessi  essenziali  al  mantenimento  di  una
ordinata convivenza civile» (sono richiamate le sentenze n.  290  del
2001, n. 218 del 1998). Tale nozione comprenderebbe esclusivamente la
«adozione delle misure relative alla  prevenzione  dei  reati  ed  al
mantenimento  dell'ordine   pubblico,   inteso   quest'ultimo   quale
complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi  pubblici
primari sui quali si  regge  l'ordinata  e  civile  convivenza  nella
comunita' nazionale» (sentenza n. 118 del 2013, con rinvio a sentenza
n. 35 del 2011). 
    Pertanto, per stabilire se una norma sia  riconducibile  a  detta
materia occorrerebbe avere riguardo  al  contenuto  sostanziale,  non
«agli effetti funzionali dalla stessa  ingenerati».  La  disposizione
impugnata  non  inciderebbe  sulla  disciplina   sanzionatoria,   non
introdurrebbe una  causa  di  giustificazione  e  neanche  stabilisce
«agevolazioni in rito per gli indagati e gli imputati di tali reati»;
dunque, non influisce sulle  politiche  preventive  o  repressive  di
sicurezza o di ordine pubblico. Peraltro, questa Corte  ha  affermato
che le Regioni, mediante misure comprese nelle proprie  attribuzioni,
possono cooperare al perseguimento di interessi inerenti la sicurezza
(sentenza  n.  35  del  2012).  La  norma  in   esame   perseguirebbe
esclusivamente finalita' di  solidarieta'  sociale,  realizzando  una
misura di sostegno «a favore di situazioni di evidente  disagio»,  in
coerenza con le attribuzioni oggetto dell'art. 159 del d.lgs. n.  112
del 1998, benche' nella specie non si verta nell'ambito  dei  compiti
della polizia amministrativa locale. 
    3.1.2.- Secondo la resistente, gli argomenti  svolto  a  conforto
della censura riferita all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.
desterebbero  «semplicemente   sconcerto»   e   la   stessa   sarebbe
inammissibile,  perche'  non  argomentata.   Inoltre,   non   sarebbe
«intellegibile il riferimento e  il  confronto  tra  la  disposizione
regionale e le norme statali relative al  gratuito  patrocinio»,  che
rinviene fondamento nell'art. 24 Cost. 
    3.1.3.- Relativamente alla denunciata lesione dell'art. 3  Cost.,
la  Regione  Veneto  deduce  che  questa  Corte   ritiene   legittime
discipline  differenziate  dell'accesso  a  prestazioni  eccedenti  i
limiti dell'essenziale, se conformi al  principio  di  ragionevolezza
(sentenze n. 4 del 2013 e  n.  432  del  2005).  Il  requisito  della
residenza nel territorio regionale da almeno  quindici  anni  sarebbe
giustificato  dall'esigenza  di  tenere  conto  dell'esiguita'  delle
risorse disponibili e di prevedere un contributo che  costituisca  un
valido aiuto, evitando «una vana  elargizione  a  pioggia»  di  somme
inidonee allo scopo avuto di mira. 
    A suo avviso, detto requisito «costituisce anche un criterio  che
ricomprende un favore verso le persone anziane o le famiglie,  ovvero
gli insediamenti residenziali dove  l'esigenza  di  protezione  della
propria sicurezza personale, della famiglia, del complesso  dei  beni
acquistati con anni di lavoro e di risparmio e' maggiore».  Pertanto,
«sarebbe irragionevole che  il  soggetto  con  residenza  precaria  o
mutevole, senza particolari legami con affetti  familiari  o  con  il
territorio» possa godere del beneficio e, quindi,  la  norma  sarebbe
ispirata ad un «criterio differenziale dettato da ragioni concrete  e
giustificate». 
    3.2.- Secondo la resistente, le  censure  aventi  ad  oggetto  il
citato art. 12, commi 3 e 4,  «sembrano  nuovamente  fraintendere  la
natura di mera  provvidenza  economica»  dei  benefici  dalla  stessa
previsti e trascurano che gli stessi sono subordinati  alla  «stipula
di apposite convenzioni». Il legislatore regionale non avrebbe inteso
disciplinare  istituti   sostanziali   concernenti   il   trattamento
economico degli appartenenti alle Forze di polizia e neppure influire
sulla regolamentazione  della  contrattazione  collettiva.  Finalita'
della norma in esame sarebbe quella di «fornire a favore dello  Stato
una "provvista" cui attingere in relazione a determinate  fattispecie
aventi particolare rilievo sociale», nell'ambito  delle  disposizioni
degli ordinamenti delle stesse e subordinatamente alla  volonta'  dei
competenti organi dello Stato. 
    Il beneficio in esame non darebbe luogo a «forme di  privilegio».
La  disposizione  censurata  stabilisce,  infatti,  «agevolazioni  su
diritti gia' riconosciuti, dato che le norme statali:  prevedono  «la
cura dei malati a carico del Servizio  sanitario  nazionale  e  forme
assistenziali concorrenti per i lavoratori vittime di  incidenti  per
causa di servizio»; disciplinano (e limitano) «l'accesso al  rimborso
delle spese a favore dei dipendenti che sono sottoposti a giudizio  a
causa dell'espletamento del proprio servizio». 
    Infine, neppure sarebbe stato introdotto un regime  differenziato
a favore degli appartenenti alle Forze di polizia. La norma impugnata
avrebbe soltanto previsto alcune agevolazioni a favore dei corpi  che
presidiano l'ordine pubblico, «che si intendono convenzionare con  la
regione, per i servizi sanitari da questa offerti, o  per  facilitare
il rimborso delle spese legali», con conseguente  infondatezza  della
censura riferita all'art. 3 Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  ha  promosso,  in
riferimento agli artt. 3 e 117, secondo comma, lettere g), h) ed  l),
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 12, commi 1, 2, 3 e 4, della legge della Regione Veneto  23
febbraio 2016, n. 7 (Legge di stabilita' regionale 2016). 
    2.- L'impugnato art. 12, commi 1 e  2,  ha  istituito  il  «Fondo
regionale per il patrocinio legale gratuito a sostegno dei  cittadini
veneti  colpiti  dalla  criminalita'»,  destinato  ad  assicurare  il
patrocinio a spese della  Regione  nei  procedimenti  penali  per  la
difesa dei cittadini residenti in Veneto da almeno quindici anni che,
vittime di un delitto contro il patrimonio o contro la persona, siano
stati accusati di eccesso colposo di legittima difesa o  di  omicidio
colposo  per  aver  tentato  di  difendere  se  stessi,  la   propria
attivita', la famiglia o i beni, da un pericolo attuale di  un'offesa
ingiusta. 
    2.1.-  Secondo  il  ricorrente,  detti  commi   violerebbero   la
competenza legislativa esclusiva dello Stato  nella  materia  «ordine
pubblico e sicurezza» (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.). La
previsione del «gratuito patrocinio», a prescindere  dal  reddito,  a
suo avviso, da un  canto,  potrebbe  «incoraggiare  la  c.d.  "ragion
fattasi"»; dall'altro,  costituirebbe  un  deterrente  nei  confronti
degli autori dei reati contro il patrimonio o contro  la  persona  e,
quindi, realizzerebbe una scelta di politica  criminale,  che  spetta
allo Stato. 
    L'ampliamento dei casi in cui e' possibile  fruire  del  gratuito
patrocinio (oggetto di previsione da parte delle  norme  statali)  si
porrebbe, inoltre,  in  contrasto  con  l'art.  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost., incidendo sulla disciplina  del  processo  penale;
cio' anche perche'  incrementerebbe  la  possibilita'  «di  investire
risorse in indagini difensive e consulenze di  parte».  I  primi  due
commi  della  norma  impugnata  influirebbero   anche,   «sul   piano
sostanziale,  sulla  repressione   dei   reati»   e   sulla   materia
«ordinamento penale», poiche'  agevolano  l'autodifesa,  attuando  un
bilanciamento di interessi, di competenza esclusiva dello Stato. 
    Sarebbe, infine, leso l'art. 3 Cost., in quanto la previsione del
patrocinio a  spese  della  Regione  in  favore  dei  soli  cittadini
residenti nella stessa  da  almeno  quindici  anni  costituirebbe  un
«criterio del tutto arbitrario  di  selezione  dei  destinatari»  del
beneficio. 
    3.- In via preliminare, va osservato che la Regione  ha  eccepito
l'inammissibilita'  della  questione,  deducendo  che  gli  argomenti
svolti a conforto  delle  censure  non  chiarirebbero  «in  che  modo
l'istituzione di un fondo per  il  patrocinio  gratuito»  inciderebbe
sulle richiamate materie di  competenza  esclusiva  dello  Stato.  La
prospettazione svolta dal ricorrente sarebbe, inoltre,  «pretestuosa»
e non sarebbe comprensibile «il riferimento e  il  confronto  tra  la
disposizione regionale  e  le  norme  statali  relative  al  gratuito
patrocinio», in relazione al quale rileverebbe peraltro il  parametro
dell'art. 24 Cost. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il ricorso  in
via principale deve identificare esattamente la  questione  nei  suoi
termini normativi, indicando le norme costituzionali e ordinarie,  la
definizione del cui rapporto  di  compatibilita'  o  incompatibilita'
costituisce l'oggetto della stessa, e deve  contenere  una  sia  pure
sintetica argomentazione di merito a sostegno delle censure  (tra  le
piu' recenti, sentenze n. 282, n. 273  e  n.  265  del  2016).  Nella
specie, tali requisiti risultano soddisfatti; la  resistente  ha,  in
realta', contestato congruita' e correttezza degli argomenti  addotti
a conforto dell'impugnazione, profili che  ineriscono  entrambi  alla
fondatezza, non all'ammissibilita' della questione. 
    4.- Nel merito la questione e' fondata. 
    4.1.- Le censure che denunciano la violazione del  riparto  delle
competenze  legislative  tra  Stato   e   Regione   hanno   carattere
pregiudiziale, sotto il profilo logico-giuridico, rispetto  a  quelle
che  investono  il  contenuto  della  scelta  operata  con  la  norma
regionale (riferite a parametri non compresi nel Titolo V della Parte
II della Costituzione). Questa Corte ritiene inoltre -  per  economia
di giudizio, e facendo ricorso al proprio potere di decidere l'ordine
delle questioni da affrontare, eventualmente dichiarando assorbite le
altre (sentenza n. 98 del  2013)  -  di  dovere  esaminare  anzitutto
l'eccepita lesione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    4.1.1.- Lo scrutinio delle censure implica, secondo  la  costante
giurisprudenza costituzionale, l'individuazione dell'ambito materiale
al quale va ascritta la disposizione impugnata, tenendo  conto  della
sua  ratio,  della  finalita'  del  contenuto  e  dell'oggetto  della
disciplina (ex plurimis, sentenze n. 32 del 2017, n. 287 e n. 175 del
2016). 
    Al  riguardo,  va   osservato   che   il   contenuto   precettivo
dell'impugnato art. 12, commi  1  e  2,  coincide,  nei  profili  qui
rilevanti, con quello di  una  norma  regionale  (art.  1,  comma  3,
lettera h, della legge della Regione Puglia 4 dicembre 2009,  n.  32,
recante  «Norme   per   l'accoglienza,   la   convivenza   civile   e
l'integrazione    degli    immigrati    in    Puglia»)     dichiarata
costituzionalmente illegittima da questa Corte con la sentenza n. 299
del 2010. 
    Tale pronuncia ha affermato che detta norma, prevedendo, nei casi
dalla stessa indicati, un  intervento  di  sostegno  economico,  allo
scopo di «garantire la tutela legale» e «l'effettivita'  del  diritto
di difesa», concerneva aspetti riconducibili  all'art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost. Inoltre, ha sottolineato che  la  disciplina
del diritto di difesa (anche dei non  abbienti)  costituisce  oggetto
delle norme statali, le  quali  lo  contemplano  «in  riferimento  al
processo penale, civile, amministrativo,  contabile  e  tributario  e
negli  affari  di  volontaria  giurisdizione»  ed   ha   escluso   la
riconducibilita'  della  norma  ad  ambiti  materiali  di  competenza
regionale. 
    E',  infatti,  il  codice   di   rito   penale   che   stabilisce
l'obbligatorieta'  della  difesa  tecnica  nel   relativo   processo,
prevedendo,  in  mancanza  della  designazione  di  un  difensore  di
fiducia, la nomina di un difensore d'ufficio e l'obbligo della  parte
di retribuirlo, qualora  difettino  le  condizioni  per  accedere  al
gratuito patrocinio (art. 369-bis, del codice di  procedura  penale).
Quest'ultimo  costituisce  poi  oggetto  delle  norme   statali   (in
particolare, degli artt. 74 e seguenti  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 30 maggio 2002, n.  115,  recante  il  «Testo  unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di
giustizia»), anche con riguardo alla persona offesa  dal  reato;  per
quest'ultima, le stesse prevedono, in relazione a determinati  reati,
il  patrocinio  gratuito  anche  in  deroga  dei  limiti  di  reddito
espressamente stabiliti (art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. n. 115  del
2002). 
    Inoltre,   questa   Corte   ha   approfondito   e   compiutamente
identificato finalita' e contenuto della regolamentazione in tema  di
gratuito  patrocinio  (sentenza  n.  237  del  2015),  evidenziandone
appunto l'inerenza alla disciplina del processo. 
    In  definitiva,  il  censurato  art.  12,  commi  1   e   2,   e'
costituzionalmente illegittimo, poiche' interviene  sulla  disciplina
del  patrocinio  nel  processo  penale  e  del  diritto  di   difesa;
conseguentemente,  incide  su  di  un  ambito   materiale   riservato
dall'art. 117, secondo  comma,  lettera  l),  Cost.  alla  competenza
legislativa  esclusiva  dello  Stato,  non   risultando   la   misura
riconducibile ad attribuzioni della Regione. 
    4.1.2.- Restano assorbite le ulteriori censure di  illegittimita'
costituzionale. 
    5.- Il ricorrente ha, altresi', impugnato l'art. 12, commi 3 e 4,
della legge della Regione Veneto  n.  7  del  2016.  Il  comma  3  ha
istituito il «Fondo regionale per il patrocinio legale ed il sostegno
alle spese mediche degli addetti delle Polizie locali e  delle  Forze
dell'ordine». Il comma 4 dispone che tale  fondo  e'  destinato  alla
stipula di convenzioni volte a garantire: «a) l'anticipo delle  spese
mediche,  e  il  ristoro  di  eventuali  quote  non   rimborsate   da
assicurazioni o risarcimenti, derivanti da cure effettuate presso  il
sistema sanitario regionale dagli  addetti  delle  Polizie  locali  e
delle Forze dell'ordine operanti nel territorio regionale  che  siano
rimasti feriti sul campo durante azioni di prevenzione e di contrasto
della  criminalita'  rientranti  nelle  proprie   funzioni;   b)   il
patrocinio legale gratuito agli addetti delle Polizie locali e  delle
Forze dell'ordine operanti nel  territorio  regionale  che  risultino
destinatari di procedimenti  legali  per  scelte  intraprese  durante
azioni di prevenzione e di contrasto  della  criminalita'  rientranti
nelle proprie funzioni». 
    5.1.- Secondo il ricorrente,  detta  norma  violerebbe  l'art.  3
Cost.,  poiche'   realizzerebbe   un'ingiustificata   disparita'   di
trattamento tra il personale statale che opera in differenti regioni,
determinando   un'illegittima   differenziazione   del    trattamento
economico su base «puramente territoriale». 
    La norma recherebbe  poi  vulnus  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost., perche' si pone in contrasto con le norme  statali
in  tema  di  disciplina  della  contrattazione  collettiva  e  della
rappresentativita' sindacale, stabilita dal Titolo  III  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro alle  dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche),  che
riserva «in via esclusiva al contratto collettivo  la  determinazione
di qualsiasi trattamento economico» dei dipendenti  pubblici.  Questo
parametro sarebbe leso anche in quanto le Forze di polizia (salvo  la
polizia locale) sono caratterizzate dalla  «dipendenza  ordinamentale
dalle strutture centrali». 
    Sarebbe violato, infine, l'art. 117, secondo comma,  lettera  g),
Cost., dal momento che la Regione Veneto e' priva di  competenze  che
le permettano  di  elargire  «benefici  al  personale  delle  polizie
statali». La tutela del personale delle Forze di polizia costituisce,
inoltre,  oggetto  delle  norme  statali,  le  quali  subordinano  il
rimborso delle spese legali a requisiti soggettivi ed  oggettivi  che
vanno accertati e valutati dall'Amministrazione di appartenenza,  con
conseguente lesione della competenza  legislativa  esclusiva  statale
nella materia  «ordinamento  e  organizzazione  amministrativa  dello
Stato». 
    6.- La questione e' fondata. 
    6.1.- Relativamente alla parte in cui la norma in esame  concerne
gli addetti alle Polizie locali, occorre ricordare  che,  secondo  la
costante  giurisprudenza  di  questa   Corte,   per   effetto   della
privatizzazione  del  rapporto  di  lavoro  alle   dipendenze   delle
pubbliche amministrazioni, la regolamentazione dello stesso  concerne
una  materia  attinente  all'ordinamento   civile,   attratta   nella
competenza esclusiva dello  Stato.  La  disciplina  del  rapporto  di
lavoro  e'  infatti  contraddistinta   dal   concorso   della   fonte
legislativa statale (le previsioni imperative del d.lgs. n.  165  del
2001) e della contrattazione collettiva (art. 2 del d.lgs. n. 165 del
2001), «alla quale, in forza della legge statale, e'  attribuita  una
potesta' regolamentare di ampia latitudine»  (tra  le  piu'  recenti,
sentenza n. 175 del 2016; nello stesso senso,  sentenza  n.  180  del
2015). 
    Il «patrocinio legale gratuito» del personale degli enti  locali,
per  fatti  ed  atti  connessi  all'espletamento  del   servizio   ed
all'adempimento   dei   compiti   d'ufficio,   in   procedimenti   di
responsabilita' civile o penale, costituisce un aspetto del  rapporto
di lavoro che, da data non recente (vedi l'art. 16  del  decreto  del
Presidente  della  Repubblica  1°  giugno  1979,  n.   191,   recante
«Disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti  locali»,
successivamente  abrogato),  ha  costituito   oggetto   di   espressa
regolamentazione.  Tale  patrocinio  e'  disciplinato  dai  contratti
collettivi nazionali di lavoro  del  comparto  Regioni  ed  autonomie
locali - sia per i non dirigenti (art. 28  del  Contratto  collettivo
nazionale di lavoro per il personale del  comparto  delle  Regioni  e
delle autonomie locali del 14 settembre 2000), sia  per  i  dirigenti
(art. 12 del Contratto collettivo nazionale di lavoro dell'area della
dirigenza del comparto delle Regioni e delle autonomie locali del  12
febbraio 2002)  -,  i  quali  stabiliscono  presupposti  e  modalita'
dell'assunzione dell'onere delle spese di difesa a carico degli  enti
alle cui dipendenze e' prestata l'attivita' lavorativa. 
    La sicura inerenza di detto patrocinio alla regolamentazione  del
rapporto di lavoro impone dunque di affermare che la norma  impugnata
reca prescrizioni concernenti la materia «ordinamento civile». 
    Ad identica conclusione deve pervenirsi  quanto  alla  previsione
dell'anticipo  delle  spese  mediche  e  del  ristoro  di  quote  non
rimborsate da assicurazioni o risarcimenti, in favore  degli  addetti
delle polizie locali, rimasti feriti durante azioni di prevenzione  e
di contrasto della criminalita' rientranti nelle proprie funzioni. In
questa parte, la norma in esame interviene parimenti  su  un  profilo
concernente il rapporto di lavoro. I contratti  collettivi  nazionali
di lavoro del pertinente comparto, proprio per questo,  regolamentano
infatti la copertura assicurativa  per  il  personale  della  polizia
locale, anche in considerazione  della  specificita'  delle  mansioni
(vedi il Capo III del Titolo III del Contratto  collettivo  nazionale
di lavoro per  il  personale  del  comparto  delle  Regioni  e  delle
autonomie locali  del  22  gennaio  2004).  La  disposizione  prevede
inoltre,   sostanzialmente,   un'indennita'    aggiuntiva    rispetto
all'ordinario trattamento economico, profilo anche  questo  sottratto
alla competenza  del  legislatore  regionale  (sulle  indennita',  in
genere, tra le altre, sentenza n. 19 del 2013). 
    La norma  in  esame  e'  dunque  costituzionalmente  illegittima,
poiche' viola la sfera  di  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato nella materia «ordinamento civile» (art.  117,  secondo  comma,
lettera l, Cost.). 
    6.2.- Volgendo l'attenzione all'impugnato art. 12, commi 3  e  4,
nella parte concernente gli addetti «delle Forze dell'ordine operanti
nel  territorio  regionale»,  con  tale   sintagma   il   legislatore
regionale,  tenuto  anche  conto  del  riferimento  alle  «azioni  di
prevenzione e di contrasto della criminalita'» poste in essere  dagli
stessi nello svolgimento dei propri compiti, ha  evidentemente  avuto
riguardo agli  appartenenti  alla  Polizia  di  Stato,  all'Arma  dei
carabinieri (nella quale e' stato assorbito il Corpo forestale  dello
Stato, a far data dal 1° gennaio 2017, in  virtu'  degli  artt.  7  e
seguenti del decreto legislativo 19  agosto  2016,  n.  177,  recante
«Disposizioni in  materia  di  razionalizzazione  delle  funzioni  di
polizia e assorbimento del Corpo  forestale  dello  Stato,  ai  sensi
dell'articolo 8, comma 1, lettera a, della legge 7  agosto  2015,  n.
124,   in   materia   di   riorganizzazione   delle   amministrazioni
pubbliche»), alla Guardia di finanza ed alla Polizia penitenziaria. 
    Il personale di tali corpi di polizia e'  alle  dipendenze  dello
Stato, peraltro in regime di diritto pubblico (art. 3, comma  1,  del
d.lgs.  n.  165  del  2001).  La  disposizione  regionale  in   esame
interviene altresi' su profili del rapporto lavoro dello stesso,  che
costituiscono  oggetto  delle  norme  statali.  Queste  ultime,   nel
regolamentarlo, disciplinano infatti il rimborso delle  spese  legali
relative a giudizi per responsabilita' penale (oltre  che  civile  ed
amministrativa)  per  fatti  compiuti  in  servizio,  anche  relativi
all'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica (con  limitato
riguardo a quelle di piu' immediato riferimento: art. 32 della  legge
22 maggio 1975, n. 152, recante «Disposizioni  a  tutela  dell'ordine
pubblico», art. 18 del decreto-legge 25 marzo 1997,  n.  67,  recante
«Disposizioni urgenti per  favorire  l'occupazione»,  convertito  con
modificazioni dalla legge 23 maggio 1997, n. 135). 
    Le norme statali disciplinano, inoltre, anche l'aspetto  relativo
alle spese di cura sostenute dal personale delle  Forze  di  polizia,
conseguenti  a  ferite  o  lesioni  riportate  nell'espletamento  dei
servizi di polizia, riconosciute dipendenti da causa di servizio (per
tutte, art. 1, comma 555, della  legge  27  dicembre  2006,  n.  296,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007»). 
    L'impugnato art. 12, commi 3 e  4,  prevedendo  in  favore  degli
addetti delle Forze dell'ordine (che fanno parte del  personale  alle
dipendenze  dello  Stato)  il  «patrocinio  legale  gratuito»  ed  il
rimborso  delle  spese  di  cura  (nelle  situazioni   dallo   stesso
contemplate), ha invaso la competenza legislativa dello  Stato  nella
materia «ordinamento e  organizzazione  amministrativa  dello  Stato»
(art. 117, secondo comma, lettera g,  Cost.),  oltre  che  in  quella
«ordinamento civile» (art. 117, secondo comma, lettera l,  Cost.)  ed
e',  quindi,  costituzionalmente  illegittimo.  Peraltro,  per  dette
considerazioni, neanche rileva, come eccepito  dalla  resistente,  la
previsione dell'utilizzazione  del  fondo  mediante  la  «stipula  di
apposite convenzioni»: prescindendo dalla mancanza di indicazioni  in
ordine alle modalita' ed ai soggetti delle stesse, va  osservato  che
l'ipotetica, eventuale  (e  non  precisata)  collaborazione  con  gli
organi  statali  appare  disciplinata   unilateralmente,   cosi'   da
risultare comunque lesiva delle competenze statali (al riguardo, vedi
anche le sentenze n. 10 del 2008 e n. 114 del 2009). 
    6.3.- Restano assorbite le ulteriori  censure  di  illegittimita'
costituzionale. 
    7.- I commi 1, 2 3 e 4 dell'art. 12  della  legge  della  Regione
Veneto n. 7 del 2016 sono  avvinti  da  un  inscindibile  legame  con
quelli ulteriori (5, 6 e 7) di tale disposizione; questi  ultimi  non
hanno infatti  una  propria  autonomia  precettiva,  poiche'  dettano
prescrizioni strumentali a rendere applicabili i  commi  impugnati  e
giudicati illegittimi. 
    Ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo  1953,  n.  87  (Norme
sulla costituzione e sul funzionamento della  Corte  costituzionale),
va  pertanto  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale   in   via
consequenziale dei commi 5, 6 e 7  dell'art.  12  della  legge  della
Regione Veneto n. 7 del 2016 (sulla  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale in via consequenziale nei giudizi in  via  principale,
per tutte, sentenza n. 185 del 2016).