ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 69,  quarto
comma, del codice penale, come sostituito dall'art. 3 della  legge  5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale  e  alla  legge  26
luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva,
di  giudizio  di  comparazione  delle  circostanze  di  reato  per  i
recidivi,  di  usura  e  di  prescrizione),  promosso   dal   Giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale  ordinario  di  Cagliari,  nel
procedimento penale a carico di A. F., con ordinanza  del  30  giugno
2016, iscritta al n. 193 del registro  ordinanze  2016  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  41,  prima   serie
speciale, dell'anno 2016. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 12  aprile  2017  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  ordinario
di Cagliari, con ordinanza del 30 giugno 2016 (r.o. n. 193 del 2016),
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3,  27,  terzo  comma,  e  32
della Costituzione,  una  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 69,  quarto  comma,  del  codice  penale,  come  sostituito
dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al  codice
penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), «nella parte in
cui  prevede  il  divieto  di  prevalenza  della   diminuente   della
seminfermita' di mente prevista  dall'art.  89  codice  penale  sulla
recidiva di cui all'art. 99, quarto comma codice penale». 
    Il giudice rimettente premette di essere investito,  in  sede  di
giudizio abbreviato, del procedimento penale  nei  confronti  di  una
persona imputata del reato di cui agli artt. 110 e 628, primo  comma,
cod. pen., per essersi impossessata, insieme con un'altra persona non
identificata, della somma di 50 euro mediante una minaccia consistita
nell'afferrare la persona offesa per il giubbotto e  nell'avvicinarle
il pugno chiuso. 
    All'imputato era stata contestata la recidiva reiterata specifica
infraquinquennale, avendo commesso «decine di reati di furti e rapine
[...] con modalita' simili a quella per la quale si procede». 
    Ad avviso del giudice a quo la contestata recidiva manifesterebbe
«una relazione qualificata tra i  precedenti  ed  il  nuovo  illecito
commesso, significativo di una  maggiore  pericolosita'  sociale».  I
reati commessi dall'imputato, infatti, sono «della stessa indole  per
la concreta omogeneita' delle condotte criminose  espressive  di  una
personalita'   delinquenziale   profondamente   caratterizzata    dal
[d]isturbo di [p]ersonalita'». 
    Dalla  documentazione  prodotta  dalla  difesa  e  dalla  perizia
psichiatrica disposta dal giudice emergerebbe  un'infermita'  mentale
tale da scemare grandemente le capacita' di  intendere  e  di  volere
dell'imputato: egli sarebbe «polarizzato su una  visione  egocentrica
del mondo a discapito della reciprocita' e questo  gli  [impedirebbe]
di conoscere il valore e i diritti degli altri». 
    Questa «visione egoica ed egocentrica» limiterebbe fortemente  la
capacita' dell'imputato  di  riflettere  sul  significato  delle  sue
azioni e  gli  farebbe  ripetere  «la  condotta  illecita  un  numero
infinito di volte  senza  percepirne  neanche  il  disvalore  perche'
concentrato esclusivamente sul soddisfacimento del suo bisogno». 
    Ad avviso del giudice  a  quo  il  disturbo  da  cui  e'  affetto
l'imputato sarebbe «di tale intensita' da  assumere  rilievo  causale
determinante nella commissione degli  illeciti»:  l'imputato  infatti
delinquerebbe «non perche' agisce liberamente in risposta ad  impulsi
criminali che potrebbe dominare ma perche' "malato"». 
    Nonostante cio', in forza  della  norma  censurata,  l'attenuante
della seminfermita'  mentale  potrebbe  al  piu'  essere  considerata
equivalente  alla  recidiva  reiterata,  con   la   conseguenza   che
l'imputato dovrebbe essere  punito  con  una  pena  di  tre  anni  di
reclusione che, in  considerazione  della  lieve  entita'  del  fatto
(«strattonamento del giubbotto di un giovane studente universitario e
sottrazione della somma di 50,00 euro»), dell'immediata ammissione di
responsabilita',  dell'efficacia  causale  rispetto  alla   specifica
condotta criminosa del suo vizio di mente,  appare  sproporzionata  e
contrastante con la finalita' rieducativa della pena. 
    Ritenuta  percio'  la  rilevanza  della   questione   e   facendo
riferimento alle sentenze della Corte costituzionale che  hanno  gia'
dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  69,   quarto
comma, cod. pen. (n. 106 e n. 105 del 2014,  n.  251  del  2012),  il
giudice rimettente ha rilevato che il giudizio di  bilanciamento  tra
circostanze eterogenee consente di «valutare il fatto in tutta la sua
ampiezza circostanziale, sia eliminando  dagli  effetti  sanzionatori
tutte le circostanze (equivalenza), sia tenendo conto di  quelle  che
aggravano la quantitas delicti, oppure  soltanto  di  quelle  che  la
diminuiscono (sentenza n. 38 del 1985)». 
    Le  deroghe  al  bilanciamento,  pur  essendo  consentite  e  pur
rientrando nell'ambito  delle  scelte  rimesse  al  legislatore,  non
potrebbero «giungere a  determinare  un'alterazione  degli  equilibri
costituzionalmente imposti nella strutturazione della responsabilita'
penale». 
    Cio' posto, la  norma  censurata  sarebbe  in  contrasto  con  il
principio  di  uguaglianza  sancito  dall'art.   3   Cost.,   perche'
condurrebbe «ad  applicare  pene  identiche  a  condotte  di  rilievo
sostanziale enormemente diverso». 
    Nel caso di recidivo reiterato seminfermo che commetta una rapina
pluriaggravata, infatti, si  dovrebbe  infliggere,  per  effetto  del
divieto di prevalenza dell'attenuante di cui all'art.  89  cod.  pen.
sulla recidiva, «una pena di tre anni di reclusione a  fronte  di  un
fatto ben piu' grave per le sue articolazioni concrete». 
    La questione  sarebbe  non  manifestamente  infondata  anche  con
riferimento alla finalita' rieducativa della pena prevista  dall'art.
27, terzo comma,  Cost.,  che  implica  «un  costante  "principio  di
proporzione" tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e
offesa, dall'altra (sentenza n. 313 del 1990)». 
    Il seminfermo di mente, ancorche'  recidivo  reiterato,  dovrebbe
essere sottoposto a un trattamento sanzionatorio  adeguato  alla  sua
infermita', trattamento che potrebbe essere assicurato esclusivamente
dalla prevalenza dell'attenuante  prevista  dall'art.  89  cod.  pen.
sulla recidiva reiterata. Solo  cosi'  nel  caso  di  specie  sarebbe
possibile «irrogare una pena  adeguata  alla  concreta  gravita'  del
fatto (modestissima entita' del danno patrimoniale e morale anche  in
termini  di  conseguenze  per  la  vittima),  alla   personalita'   e
colpevolezza dell'autore». 
    Il giudice rimettente inoltre ha ricordato che il legislatore  ha
riservato  un   trattamento   particolare   all'imputato   minorenne,
prevedendo per l'attenuante dell'art. 98  cod.  pen.  una  deroga  al
divieto  di  equivalenza  o  prevalenza  delle  attenuanti   rispetto
all'aggravante  della  finalita'  di  terrorismo   o   di   eversione
dell'ordine democratico, introdotta dall'art. 1 del decreto-legge  15
dicembre 1979, n. 625  (Misure  urgenti  per  la  tutela  dell'ordine
democratico   e   della   sicurezza   pubblica),   convertito,    con
modificazioni, dalla  legge  6  febbraio  1980,  n.  15,  e  rispetto
all'aggravante,  in  tema  di  mafia,  introdotta  dall'art.  7   del
decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti  in  tema
di lotta alla  criminalita'  organizzata  e  di  trasparenza  e  buon
andamento    dell'attivita'    amministrativa),    convertito,    con
modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203. 
    Secondo il giudice  a  quo,  poiche'  il  minore  di  eta'  e  il
seminfermo   di   mente   sono   equiparabili   sotto   il    profilo
dell'immaturita' intellettiva, affettiva e  volitiva,  anche  per  il
seminfermo  di  mente  la   deroga   all'ordinaria   disciplina   del
bilanciamento sarebbe irragionevole. 
    L'assimilazione del seminfermo di mente al minore troverebbe  una
conferma nelle sentenze n. 253 del 2003 e n. 367 del 2004, secondo le
quali le esigenze di tutela della collettivita' non possono prevalere
su quelle di tutela della salute. 
    In  conclusione  la   previsione   della   semplice   equivalenza
dell'attenuante del vizio parziale di mente con la recidiva reiterata
costituirebbe un automatismo in contrasto con esigenze essenziali  di
uguaglianza (art. 3 Cost.), con la finalita' rieducativa  della  pena
(art. 27, terzo comma, Cost.) e con il diritto alla salute  (art.  32
Cost.). 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata  inammissibile  o
comunque non fondata. 
    Ad avviso della difesa dello  Stato  il  giudice  rimettente  non
avrebbe sollevato la questione in maniera adeguata, in  quanto  «[l]a
valutazione  effettuata  [...]  in  ordine   all'applicazione   della
recidiva non appare  condivisibile,  alla  luce  anche  dei  principi
elaborati dalla giurisprudenza costituzionale e  di  legittimita'  in
materia». 
    Una corretta applicazione di questi principi, tenuto conto  delle
caratteristiche della personalita' dell'imputato  poste  in  evidenza
dal giudice rimettente, avrebbe consentito «di superare  ogni  dubbio
di legittimita' della norma censurata». 
    L'Avvocatura generale dello  Stato  aggiunge  che,  comunque,  la
questione non e' fondata. La norma censurata  tenderebbe  ad  attuare
«una  forma  di  prevenzione  generale  della   recidiva   reiterata,
inasprendone il regime sanzionatorio». 
    Essa, inoltre, non comporterebbe  un'applicazione  sproporzionata
della pena, perche' sanziona coloro che hanno commesso un altro reato
essendo gia' recidivi, dimostrando cosi' un alto e persistente  grado
di antisocialita'. 
    Peraltro la stessa Corte costituzionale avrebbe chiarito che  gli
effetti  della  sentenza  n.  251  del  2012   (che   ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  69,  quarto  comma,  cod.
pen.,  nella  parte  in  cui  prevede  il   divieto   di   prevalenza
dell'attenuante dell'art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990,  n.
309, recante «Testo unico delle leggi in materia di disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione  dei  relativi  stati  di  tossicodipendenza»,   sulla
recidiva di cui all'art. 99, quarto comma, cod. pen.)  devono  essere
circoscritti alla sola circostanza considerata,  senza  carattere  di
generalita'. 
    Nel caso in esame, il  divieto  sarebbe  giustificato  in  quanto
«colpisce un'attenuante inerente  la  persona  del  colpevole  ma  lo
"scalino" edittale determinato  dal  divieto  di  prevalenza  non  e'
manifestamente sproporzionato, valutando i dati soggettivi,  connessi
alla colpevolezza e alla  pericolosita'  dell'agente,  rispetto  alla
seminfermita' mentale». 
    La deroga al giudizio di bilanciamento  rientrerebbe  nell'ambito
della discrezionalita' legislativa e, quindi, non sarebbe sindacabile
da parte di questa Corte. 
    Sarebbe pertanto superato  qualsiasi  dubbio  sulla  legittimita'
costituzionale della norma  censurata,  con  riferimento  all'art.  3
Cost. 
    La norma in questione inoltre non contrasterebbe con  l'art.  27,
terzo comma, Cost.: la scelta legislativa di sanzionare  la  recidiva
in modo piu' rigoroso, indipendentemente dalla  «gravita'  dei  fatti
commessi, dai loro tempi e modi e dalle sanzioni  irrogate»,  rientra
nella discrezionalita' del legislatore ed  e'  immune  dalle  censure
formulate dal rimettente in quanto «il fatto stesso della persistenza
nelle condotte antisociali, quali che esse  siano,  dimostra  che  la
funzione rieducativa non ha potuto efficacemente esplicarsi». 
    Infine non sarebbe violato neppure l'art. 32  Cost.,  perche'  il
divieto di prevalenza dell'attenuante della  seminfermita'  di  mente
sulla  recidiva  reiterata  «non  incide  sul  diritto  alla   salute
dell'imputato che puo' ben essere tutelato mediante la sottoposizione
alla misura di sicurezza  del  ricovero  nella  casa  di  cura  o  di
custodia». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  ordinario
di Cagliari, con ordinanza del 30 giugno 2016, dubita, in riferimento
agli artt. 3,  27,  terzo  comma,  e  32  della  Costituzione,  della
legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto  comma,  del  codice
penale, come sostituito dall'art. 3 della legge 5 dicembre  2005,  n.
251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.  354,
in materia di attenuanti  generiche,  di  recidiva,  di  giudizio  di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), «nella parte in cui prevede il divieto  di  prevalenza
della diminuente della seminfermita' di mente prevista  dall'art.  89
codice penale sulla recidiva di cui all'art. 99, quarto comma  codice
penale». 
    Ad avviso del rimettente la norma censurata viola il principio di
uguaglianza, perche' «conduce ad applicare pene identiche a  condotte
di rilievo sostanziale enormemente diverso», ed e' in contrasto anche
con l'art. 27, terzo comma, Cost., perche' la  finalita'  rieducativa
della pena  implica  «un  costante  "principio  di  proporzione"  tra
qualita'  e  quantita'  della  sanzione,  da  una  parte,  e  offesa,
dall'altra (sentenza n. 313 del 1990)». 
    Il seminfermo di mente, ancorche'  recidivo  reiterato,  dovrebbe
essere sottoposto a un trattamento sanzionatorio  adeguato  alla  sua
infermita', che puo' essere  assicurato  solamente  dalla  prevalenza
della diminuente prevista  dall'art.  89  cod.  pen.  sulla  recidiva
reiterata. 
    Solo in tal modo, nel caso di specie, sarebbe possibile «irrogare
una pena adeguata alla  concreta  gravita'  del  fatto  (modestissima
entita'  del  danno  patrimoniale  e  morale  anche  in  termini   di
conseguenze  per  la  vittima),  alla  personalita'  e   colpevolezza
dell'autore». 
    Infine il divieto di prevalenza dell'attenuante dell'art. 89 cod.
pen. sulla  recidiva  reiterata  violerebbe  anche  il  diritto  alla
salute, garantito dall'art. 32 Cost. 
    2.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' della questione  e  nel  merito  ne  ha  sostenuto
l'infondatezza. 
    La  questione  sarebbe  inammissibile  perche',  «[i]n  punto  di
rilevanza», sarebbe stata sollevata «in  maniera  non  adeguata»,  in
quanto «[l]a valutazione effettuata  dal  giudice  a  quo  in  ordine
all'applicazione della recidiva  non  [sarebbe]  condivisibile,  alla
luce anche dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale
e di legittimita' in materia». 
    Secondo la difesa dello Stato una corretta applicazione di questi
principi,  tenuto  conto  delle  caratteristiche  della  personalita'
dell'imputato poste  in  evidenza  dal  giudice  rimettente,  avrebbe
consentito «di superare  ogni  dubbio  di  legittimita'  della  norma
censurata». 
    L'eccezione di inammissibilita' e' fondata. 
    Successivamente all'entrata in vigore  della  legge  n.  251  del
2005,  questa  Corte,  posta  di  fronte  a  numerose  questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 69, quarto  comma,  cod.  pen.,
sollevate nel presupposto che  la  recidiva  prevista  dall'art.  99,
quarto comma, cod. pen. fosse obbligatoria, ne ha dichiarato, con  la
sentenza  n.  192  del  2007,  l'inammissibilita'  considerando   che
esistevano  invece  solidi  argomenti  per  ritenere  tale   recidiva
facoltativa. Secondo la Corte, una volta caduto tale presupposto,  il
giudice sarebbe tenuto ad applicare «l'aumento di pena  previsto  per
la  recidiva  reiterata  solo  qualora  ritenga  il  nuovo   episodio
delittuoso concretamente significativo - in rapporto alla  natura  ed
al  tempo  di  commissione  dei  precedenti,  ed  avuto  riguardo  ai
parametri indicati dall'art. 133 cod. pen. - sotto il  profilo  della
piu' accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosita' del reo».
Cio' posto, ha aggiunto la Corte, «allorche'  la  recidiva  reiterata
concorra con una o piu' attenuanti, e'  possibile  sostenere  che  il
giudice debba procedere al giudizio di bilanciamento  -  soggetto  al
regime limitativo di cui all'art.  69,  quarto  comma,  cod.  pen.  -
unicamente quando, sulla base dei criteri dianzi  ricordati,  ritenga
la recidiva reiterata effettivamente idonea ad influire, di per  se',
sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui si  procede;  mentre,
in  caso  contrario,  non  vi  sara'  luogo  ad  alcun  giudizio   di
comparazione:  rimanendo  con  cio'  esclusa  la  censurata  elisione
automatica delle circostanze attenuanti» (sentenza n. 192  del  2007;
successivamente, ordinanze n. 171 del 2009, n. 257, n. 193, n.  90  e
n. 33 del 2008, n. 409 del 2007). 
    L'indicazione  e'   stata   accolta   dalla   giurisprudenza   di
legittimita' con l'affermazione che e' comunque «compito del giudice,
quando la contestazione concerna una delle  ipotesi  contemplate  dai
primi quattro commi dell'art. 99 c.p. e  quindi  anche  nei  casi  di
recidiva reiterata (rimane esclusa [...] l'ipotesi "obbligatoria" del
quinto comma), quello di verificare in concreto  se  la  reiterazione
dell'illecito   sia   effettivo   sintomo   di    riprovevolezza    e
pericolosita', tenendo conto, secondo quanto precisato dalla indicata
giurisprudenza costituzionale e di  legittimita',  della  natura  dei
reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualita'  dei
comportamenti, del margine  di  offensivita'  delle  condotte,  della
distanza temporale e del livello di omogeneita' esistente  fra  loro,
dell'eventuale  occasionalita'  della  ricaduta  e  di   ogni   altro
possibile    parametro    individualizzante    significativo    della
personalita' del reo e del grado di colpevolezza, al di la' del  mero
ed indifferenziato riscontro  formale  dell'esistenza  di  precedenti
penali» (Corte di cassazione,  sezioni  unite,  27  maggio  2010,  n.
35738). 
    Anche successivamente le Sezioni unite, chiamate  a  pronunciarsi
su profili diversi della disciplina della  recidiva,  hanno  ribadito
l'indirizzo  secondo  cui  la  recidiva  e'  «produttiva  di  effetti
unicamente se il giudice ne accerti  i  requisiti  costitutivi  e  la
dichiari, verificando non solo l'esistenza  del  presupposto  formale
rappresentato dalla previa condanna (presupposto  che,  nel  caso  di
recidiva obbligatoria, e' necessario e sufficiente),  ma  anche,  nel
caso di recidiva facoltativa, del presupposto sostanziale, costituito
dalla  maggiore  colpevolezza  e  dalla  piu'  elevata  capacita'   a
delinquere  del  reo,  da  accertarsi  discrezionalmente»  (Corte  di
cassazione, sezioni unite, 24 febbraio 2011, n. 20798). 
    Tenuto conto dei precedenti penali, due sono  le  caratteristiche
personali che il giudice deve valutare per decidere  sulla  recidiva:
la   pericolosita'   e   la   colpevolezza,   intesa   questa    come
rimproverabilita' soggettiva per l'atteggiamento  antidoveroso  della
volonta'. 
    E' questo atteggiamento che nel caso di recidiva potrebbe  essere
particolarmente  censurabile,  e  giustificare  cosi'   l'aggravante;
infatti se ne potrebbe  dedurre  l'insensibilita'  dell'imputato  nei
confronti di  precedenti  condanne  e  dell'implicito  monito  a  non
violare piu'  la  legge,  in  esse  contenuto.  Insomma,  come  hanno
precisato questa Corte e le Sezioni unite della Corte di  cassazione,
e' la "maggiore colpevolezza" dell'imputato che, unitamente alla  sua
pericolosita', da' fondamento alla recidiva. 
    Nel caso di specie il giudice rimettente, dopo aver  ricordato  i
numerosi  precedenti  penali  dell'imputato,  ha  ritenuto  di  dover
riconoscere la recidiva per l'esistenza di «una relazione qualificata
tra i precedenti ed il nuovo illecito commesso, significativo di  una
maggiore  pericolosita'  sociale».  Nulla  invece  ha   detto   sulla
colpevolezza, che ai fini  della  recidiva  e'  l'altro  elemento  da
considerare. 
    Nell'ordinanza di rimessione la colpevolezza viene presa in esame
solo  in   rapporto   alle   condizioni   mentali   dell'imputato   e
all'attenuante dell'art. 89 cod. pen., da bilanciare con la recidiva,
e se ne sottolinea l'attenuazione rilevando che l'imputato  «delinque
non perche' agisce liberamente in risposta ad impulsi  criminali  che
potrebbe  dominare  ma  perche'  "malato"».  Egli,  si  aggiunge,  e'
«affetto da un gravissimo [d]isturbo  di  [p]ersonalita'  che  incide
sulla possibilita' di orientare le scelte  e  le  azioni  secondo  le
regole», e «ripete la condotta illecita un numero infinito  di  volte
senza percepirne neanche il disvalore». 
    Insomma il  giudice  rimettente  fonda  il  riconoscimento  della
recidiva esclusivamente sulla maggiore  pericolosita'  dell'imputato,
desunta dai precedenti reati commessi dallo stesso, senza valutare  a
tali fini il disturbo della personalita', pur  avendolo  ritenuto  di
intensita' tale  da  assumere  «rilievo  causale  determinante  nella
commissione degli illeciti». 
    Per contro pero' il giudice valorizza il disturbo  riconoscendolo
all'origine di una  ridotta  colpevolezza  che  dovrebbe  fondare  la
conclusione di illegittimita' costituzionale della  norma  censurata,
nella parte in cui esclude la prevalenza del vizio parziale di  mente
sulla  recidiva  reiterata.  Risulterebbe  a  tal  punto   «rilevante
l'efficacia causale del vizio di mente sulla recidiva»  da  non  fare
apparire  «possibile  che  il  giudice  sia  vincolato  al   semplice
bilanciamento mediante l'equivalenza perche' il  risultato  [sarebbe]
una pena illegale». 
    Solo che,  cosi'  argomentando,  il  giudice  rimettente  non  ha
considerato  che  la  diminuita  colpevolezza  dell'imputato  avrebbe
dovuto innanzi tutto essere valutata  ai  fini  della  recidiva,  per
stabilire se questa dovesse  essere  ritenuta  esistente  oppure  no,
perche'  solo  dopo  aver  fatto  cio',  una  volta  riconosciuta  la
recidiva, sarebbe stata rilevante, e si sarebbe potuta sollevare,  la
questione sui limiti imposti dalla norma censurata  al  bilanciamento
dell'attenuante  del  vizio  parziale  di  mente  con   la   recidiva
reiterata. 
    Percio' la mancata considerazione  della  colpevolezza,  ai  fini
della valutazione relativa alla recidiva, si traduce in un difetto di
motivazione sulla  rilevanza  della  questione,  che  di  conseguenza
risulta inammissibile.