ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 89-bis  del
decreto legislativo 6 settembre 2011,  n.  159  (Codice  delle  leggi
antimafia e delle misure di prevenzione, nonche'  nuove  disposizioni
in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e  2
della legge 13 agosto 2010, n. 136), inserito dall'art. 2,  comma  1,
lettera  d),  del  decreto  legislativo  13  ottobre  2014,  n.   153
(Ulteriori  disposizioni  integrative   e   correttive   al   decreto
legislativo 6 settembre 2011, n.  159,  recante  codice  delle  leggi
antimafia e delle misure di prevenzione, nonche'  nuove  disposizioni
in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e  2
della  legge  13  agosto  2010,  n.  136),  promosso  dal   Tribunale
amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania,
nel procedimento vertente tra Mare Azzurro Service srl e il Comune di
Messina e altro, con ordinanza del 28 settembre 2016, iscritta al  n.
263 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visti l'atto di costituzione di Mare Azzurro Service srl, nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  21  novembre  2017  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi; 
    uditi l'avvocato Antonio Saitta per Mare Azzurro  Service  srl  e
l'avvocato dello  Stato  Danilo  Del  Gaizo  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 28 settembre 2016 (r.o. n. 263  del  2016),
il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Sicilia,   sezione
staccata di Catania, ha sollevato, in riferimento agli artt. 76,  77,
primo comma,  e  3  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 89-bis del decreto legislativo  6  settembre
2011, n.  159  (Codice  delle  leggi  antimafia  e  delle  misure  di
prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di  documentazione
antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13  agosto  2010,
n. 136), inserito dall'art. 2,  comma  1,  lettera  d),  del  decreto
legislativo  13  ottobre  2014,  n.   153   (Ulteriori   disposizioni
integrative e correttive al decreto legislativo 6 settembre 2011,  n.
159,  recante  codice  delle  leggi  antimafia  e  delle  misure   di
prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di  documentazione
antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13  agosto  2010,
n. 136), nella parte in cui stabilisce che  l'informazione  antimafia
e' adottata anche nei casi in cui e' richiesta una mera comunicazione
antimafia e produce gli effetti di questa. 
    Il giudice a quo premette di essere investito del ricorso contro:
«a) [l']ordinanza del Comune di Messina n.  43  in  data  1  febbraio
2016, con cui e'  stata  disposta  la  decadenza  della  segnalazione
certificata di inizio attivita' n. 112582 del 6  maggio  2014  ed  e'
stato fatto  divieto  alla  societa'  di  proseguire  l'attivita'  di
vendita di prodotti del I Settore Alimentare nei locali siti  in  Via
Stazione  2;  b)  [la]  nota   del   Ministero   degli   Interni   n.
11001/119/20(9)  in  data  14  dicembre  2015;  c)  [la]  nota  della
Prefettura di Messina n. 114429 del 17 dicembre 2015». 
    Riferisce il collegio rimettente che la ricorrente,  mediante  la
segnalazione certificata di inizio attivita' del 6 maggio 2014, aveva
ottenuto dal Comune  di  Messina  l'autorizzazione  alla  vendita  al
dettaglio di prodotti relativi al  «I  Settore  Alimentare  (prodotti
freschi e congelati, ittici e non)»  nei  locali  siti  nel  medesimo
Comune. 
    In precedenza - riferisce sempre il giudice a quo -  la  societa'
ricorrente  aveva  partecipato  al  bando  per  l'erogazione  di   un
finanziamento dell'Assessorato regionale dell'agricoltura e nel corso
del relativo procedimento,  in  seguito  alla  richiesta  di  rituali
informazioni, ai sensi dell'art. 83 del d.lgs. n. 159  del  2011,  da
parte dell'Amministrazione procedente, la Prefettura di Messina aveva
adottato  l'informazione  antimafia  interdittiva  dell'11  settembre
2015, peraltro non impugnata, e  aveva  rilevato  la  sussistenza  di
possibili tentativi di  infiltrazione  mafiosa,  dando  atto  che  il
coniuge del legale rappresentante della societa' era stato rinviato a
giudizio per il reato di cui all'art. 73 del d.P.R. 9  ottobre  1990,
n. 309 (Testo unico  delle  leggi  in  materia  di  disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) e che «alcuni
procedimenti  di  natura  patrimoniale»   si   erano   conclusi   con
provvedimenti di sequestro e confisca di beni riconducibili al gruppo
imprenditoriale in questione. 
    Il Prefetto di Messina, in seguito alla richiesta del  Comune  di
Messina del 18 febbraio 2015  sull'esistenza  di  cause  ostative  ai
sensi dell'art. 67 del d.lgs. n. 159  del  2011,  in  relazione  alla
segnalazione certificata di inizio attivita' del 6 maggio 2014, aveva
comunicato   l'avvenuta   emissione    dell'informazione    antimafia
interdittiva, trasmettendo anche la nota del  Ministero  dell'interno
n. 11001/119/20(9) del 14 dicembre 2015, con allegato il  parere  del
Consiglio  di  Stato  n.  3088  del  17  novembre  2015,  in   merito
all'applicabilita' dell'art. 89-bis del d.lgs. n.  159  del  2011  ai
provvedimenti di natura meramente autorizzatoria. 
    Il Comune di Messina, con nota n. 302385 del  21  dicembre  2015,
aveva comunicato alla ricorrente l'avvio  del  «procedimento  per  la
decadenza della segnalazione  certificata  di  inizio  attivita'»  n.
112582  del  6  maggio  2014,  e   successivamente,   «tenuto   conto
dell'ambito di applicazione» del citato  art.  89-bis,  aveva  emesso
l'ordinanza impugnata. 
    Come riferisce il collegio rimettente, questo  provvedimento  era
stato impugnato in quanto adottato al di fuori delle ipotesi previste
dall'art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, perche' la verifica  era
stata effettuata in un procedimento diverso da quello  relativo  alla
segnalazione certificata di inizio  attivita'.  Inoltre,  secondo  la
ricorrente, l'informazione antimafia dovrebbe riguardare  ipotesi  in
cui  l'amministrazione  intende   stipulare   contratti,   rilasciare
concessioni  o  disporre  erogazioni  e  non  le  attivita'   private
sottoposte a regime  autorizzatorio,  per  le  quali  sarebbe  invece
richiesta la comunicazione antimafia. Percio' la ricorrente,  in  via
subordinata, aveva chiesto al Tribunale amministrativo rimettente  di
sollevare questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  89-bis
del d.lgs. n. 159 del 2011. 
    Si erano costituiti nel giudizio a quo il Comune di Messina e  il
Ministro dell'interno chiedendo il rigetto del ricorso. 
    Il Tribunale amministrativo  ha  rilevato  che  la  comunicazione
antimafia deve essere acquisita dai  soggetti  di  cui  all'art.  83,
commi 1 e 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, in relazione al rilascio  di
determinati  provvedimenti  di  natura  concessoria  o   lato   sensu
autorizzatoria, nonche' alla stipulazione  di  contratti  relativi  a
lavori, servizi e forniture pubblici di importo  inferiore  a  quello
per cui e' prevista l'acquisizione  dell'informazione  antimafia.  Le
cause determinanti il  rilascio  di  una  comunicazione  interdittiva
sarebbero costituite dai  provvedimenti  definitivi  di  applicazione
delle misure di prevenzione di cui all'art. 5 del d.lgs. n.  159  del
2011 e dalle condanne con sentenza definitiva o confermata in appello
per taluno dei delitti consumati o  tentati  elencati  dall'art.  51,
comma 3-bis, del codice di procedura penale. 
    L'informazione antimafia di cui all'art. 84, comma 3, del  d.lgs.
n. 159 del 2011 attesterebbe invece, oltre a quanto gia' previsto per
la comunicazione antimafia, anche la sussistenza o meno di  tentativi
di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare  le  scelte  e  gli
indirizzi della societa' o dell'impresa interessate. 
    Come sarebbe stato rilevato nel parere del Consiglio di Stato  17
novembre 2015, n. 3088/15, la comunicazione  antimafia  costituirebbe
«un   "minus"   rispetto   all'informazione   antimafia   (attestando
quest'ultima  anche   l'eventuale   sussistenza   di   tentativi   di
infiltrazione  mafiosa)»  e  andrebbe  richiesta   in   relazione   a
fattispecie di rilievo minore rispetto a quelle per cui  e'  prevista
l'informazione. 
    In base all'art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011,  quando
dalla consultazione della banca dati nazionale unica, in seguito alla
richiesta di una comunicazione antimafia, emerge  la  sussistenza  di
cause di decadenza, sospensione o divieto di cui al  precedente  art.
67, il prefetto sarebbe tenuto ad effettuare le necessarie  verifiche
e ad accertare la corrispondenza dei  motivi  ostativi  emersi  dalla
consultazione  della  banca  dati  alla  situazione  aggiornata   del
soggetto sottoposto agli  accertamenti.  Le  verifiche  in  questione
sarebbero anche finalizzate all'accertamento di  eventuali  tentativi
di infiltrazione mafiosa. Qualora, in esito  alle  verifiche  di  cui
all'art. 88, comma 2, fosse accertata la sussistenza dei tentativi di
infiltrazione mafiosa, il prefetto dovrebbe adottare  un'informazione
antimafia   interdittiva,   dandone   comunicazione    ai    soggetti
richiedenti, senza emettere la comunicazione antimafia. In  tal  caso
l'informazione antimafia «tiene luogo della  comunicazione  antimafia
richiesta». 
    Nelle ipotesi in questione, dato il precedente coinvolgimento del
soggetto interessato con gli ambienti della criminalita' organizzata,
sussisterebbe  l'esigenza  di  una  «speciale  attenzione»  da  parte
dell'Amministrazione, il che giustificherebbe  l'accertamento,  oltre
che dell'attualita' delle  cause  interdittive,  anche  di  eventuali
tentativi  di  infiltrazione  mafiosa,  in  relazione  ai  quali  non
verrebbero ordinariamente svolte verifiche relative a provvedimenti o
contratti per cui e' prevista la semplice comunicazione antimafia. 
    Secondo questa interpretazione, la comunicazione e l'informazione
antimafia resterebbero  soggette  a  una  disciplina  sostanzialmente
equivalente, in  quanto  gli  accertamenti  tipici  dell'informazione
dovrebbero esperirsi in ogni caso, in contrasto  con  il  complessivo
impianto della disciplina volta a distinguere i due istituti. 
    Avendo il legislatore fatto esclusivo riferimento alle  verifiche
ai sensi dell'art. 88, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011, e non  ad
altre ipotesi, dovrebbe ritenersi, in base  ad  un'esegesi  letterale
della disciplina, che nella specie si  sarebbe  dovuta  adottare  una
comunicazione  liberatoria,  nonostante  in  concreto  fossero  stati
accertati,  sebbene  in  un  diverso   procedimento,   tentativi   di
infiltrazione mafiosa nei confronti del soggetto interessato, e cio',
secondo il Tribunale  amministrativo  rimettente,  determinerebbe  la
fondatezza della prima censura sollevata dalla societa' ricorrente. 
    Tuttavia la situazione relativa  al  precedente  accertamento  di
tentativi  di  infiltrazione  mafiosa,  che  aveva   dato   luogo   a
un'informazione interdittiva ancora efficace, non sarebbe  «in  nulla
dissimile» da quella regolata dal citato art. 89-bis. 
    L'accertamento dei tentativi  di  infiltrazione  mafiosa  sarebbe
imposto  dalla  legge,  sebbene  «nell'ambito  di   un   diverso   (e
precedente)  procedimento  amministrativo».  Sussisterebbe,  infatti,
un'obiettiva   situazione   di   pericolo,    accertata    in    sede
amministrativa, in ossequio a un obbligo di legge, e consistente  nel
coinvolgimento  del  soggetto  interessato  con  gli  ambienti  della
criminalita' organizzata, seppure «al piu' tenue  livello»  dei  meri
tentativi di infiltrazione mafiosa. 
    Vi sarebbe dunque una totale identita'  di  ratio  tra  l'ipotesi
indicata  e  quella  «esplicitamente  considerata»  dal   legislatore
delegato, derivante «dalla circostanza  che  in  entrambi  i  casi  i
tentativi vengono obiettivamente appurati dall'Amministrazione in una
sede procedimentale: in esito ai doverosi accertamenti imposti  dagli
artt. 88, secondo comma, e 89-bis, primo comma, in un caso; a seguito
di precedente, doverosa ed  ancora  efficace  informazione  antimafia
interdittiva nell'altro». 
    L'identita' di ratio giustificherebbe l'applicazione analogica al
caso in esame dell'art. 89-bis, comma 2, del d.lgs. n. 159 del  2011,
ai sensi dell'art. 12, secondo comma, delle disposizioni  preliminari
al codice civile. 
    In base a questa interpretazione i motivi del ricorso  dovrebbero
essere rigettati, in quanto ai sensi dell'art.  21-octies,  comma  2,
della legge 7  agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di
procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai  documenti
amministrativi) non sarebbe annullabile il provvedimento adottato  in
violazione di norme  sul  procedimento  o  sulla  forma  degli  atti,
qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il
suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello
in concreto adottato. 
    Nel caso in esame, dunque, il provvedimento adottato risulterebbe
interamente  vincolato,  in  seguito  all'intervenuto   accertamento,
sebbene  in  una  diversa  sede  procedimentale,  dei  tentativi   di
infiltrazione mafiosa, a nulla rilevando che l'Amministrazione  abbia
motivato  la  propria  decisione  in  modo  formalmente   differente,
giacche' ai sensi del citato art. 21-octies, comma 2,  la  mancata  o
insufficiente motivazione dell'atto non potrebbe «refluire sulla  sua
validita'  qualora  essa  esprima  un  potere  privo  di  margini  di
discrezionalita'». 
    Cio' premesso, il Tribunale amministrativo rimettente ritiene che
l'art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011,  «analogicamente  applicato
anche in relazione all'ipotesi di precedente ed efficace informazione
antimafia  interdittiva  che  abbia  accertato  la   sussistenza   di
tentativi  di  infiltrazione  mafiosa»,  sarebbe   costituzionalmente
illegittimo per eccesso di delega, in  quanto  fra  i  principi  e  i
criteri direttivi dell'art. 2 della legge  13  agosto  2010,  n.  136
(Piano straordinario contro le mafie, nonche' delega  al  Governo  in
materia di normativa antimafia) non sarebbe contemplata la  possibile
estensione del  rilascio  dell'informazione  antimafia,  con  i  piu'
severi accertamenti da essa previsti, per alcuna delle ipotesi in cui
l'ordinamento  aveva  precedentemente  previsto  la  richiesta  e  il
rilascio della semplice comunicazione antimafia. 
    L'opera  del  legislatore  dovrebbe  necessariamente   mantenersi
nell'alveo delle scelte di fondo operate dalla  legge  delega,  senza
potersi spingere a ricomprendere materie e ipotesi che  ne  sarebbero
escluse. 
    Il legislatore delegato avrebbe  invece  previsto  l'adozione  di
un'informazione antimafia con riferimento a  una  «fattispecie  -  da
interpretarsi analogicamente nei termini ripetutamente indicati - per
cui la normativa previgente imponeva la richiesta e, soprattutto,  il
rilascio di una semplice comunicazione». 
    Alla stregua del quadro normativo cosi' delineato, il legislatore
avrebbe trattato in modo dissimile situazioni  che  potrebbero  anche
ritenersi sostanzialmente identiche,  non  comprendendosi  perche'  i
tentativi di infiltrazione dovrebbero assumere rilievo solo nei  casi
in cui  sia  richiesta  la  comunicazione  antimafia  relativa  a  un
soggetto nei cui confronti risultino  pregresse  cause  interdittive,
nonche' nel caso di una precedente ed  ancora  efficace  informazione
antimafia interdittiva, mentre essi risulterebbero irrilevanti, anche
se sussistenti, negli altri casi. 
    Non sarebbe chiaro perche' il legislatore, in luogo di introdurre
la disciplina derogatoria  di  cui  all'art.  89-bis,  comma  1,  che
rimanda alla sola ipotesi di cui al precedente art. 88,  comma  2,  e
analogicamente al caso di una  precedente  ed  efficace  informazione
interdittiva, «non abbia previsto "tout court", attesa la sostanziale
omogeneita'   fra   le   diverse   fattispecie,   il   rilascio    di
un'informazione antimafia per tutti i procedimenti di rilievo  minore
- o, in alternativa, per nessuno -  per  i  quali  in  precedenza  si
prevedeva  (la  richiesta   ed)   il   rilascio   di   una   semplice
comunicazione». 
    In questa prospettiva,  la  disciplina  di  cui  all'art.  89-bis
potrebbe risultare irrazionale e violare «il canone di ragionevolezza
desumibile dall'art. 3, primo comma, della Costituzione», attribuendo
rilievo ai tentativi di infiltrazione, non in ragione  dell'obiettiva
importanza del provvedimento o  del  contratto,  ma  per  circostanze
contingenti consistenti nella  pregressa  sussistenza  di  una  causa
interdittiva  o  nella  precedente   emissione   di   un'informazione
antimafia interdittiva. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che le questioni siano dichiarate non fondate. 
    L'Avvocatura dello Stato ha sottolineato che il confronto tra  la
norma censurata e i criteri di delega  contenuti  nell'art.  2  della
legge n. 136 del 2010 consente di escludere qualsiasi contrasto tra i
principi e i criteri direttivi individuati in quest'ultima e la norma
censurata. I criteri fissati dalla legge  delega  non  risulterebbero
cosi' stringenti e specifici da indurre a ritenere che la  disciplina
contenuta nell'art. 89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011 sia esorbitante
rispetto alla ratio e ai limiti tracciati dal legislatore delegante. 
    L'art. 2, comma 1, lettera  a),  della  legge  n.  136  del  2010
indicherebbe, tra tali criteri, in  linea  generale,  l'aggiornamento
delle  procedure  di   rilascio   della   documentazione   antimafia,
menzionando a mero titolo esemplificativo e non  esaustivo  l'ipotesi
di revisione dei casi di esclusione e dei limiti di  valore  oltre  i
quali i soggetti pubblici  e  le  societa'  o  imprese  dagli  stessi
controllate  non  potrebbero  stipulare,  approvare   o   autorizzare
contratti pubblici, rilasciare concessioni o  riconoscere  erogazioni
in presenza di cause di decadenza o  di  tentativi  di  infiltrazione
mafiosa. 
    Inoltre l'art. 2, comma 1, lettera c), della  legge  n.  136  del
2010, nel prevedere l'istituzione della banca  dati  nazionale  della
documentazione   antimafia,   ne    individuerebbe    la    finalita'
nell'esigenza di «"potenziamento dell'attivita'  di  prevenzione  dei
tentativi di infiltrazione mafiosa nell'attivita' di impresa",  senza
distinzione alcuna in relazione alla tipologia di detta  attivita'  e
dei rapporti con la pubblica amministrazione». Da tale  finalita'  si
dovrebbe dedurre che «l'intento del legislatore  delegante  e'  stato
quello  di  assicurare  una  tutela  rafforzata  alle  situazioni  di
pericolo  di  coinvolgimento  delle   organizzazioni   criminali   in
qualsiasi attivita' di natura imprenditoriale», e  in  considerazione
di tale finalita' «il Consiglio di Stato, nel parere della Sezione I,
n. 3088 del  2015,  nell'interpretare  l'art.  89-bis  in  esame,  ha
affermato che lo stesso si applica anche alle ipotesi in cui si verta
in materia di  autorizzazione  all'esercizio  di  attivita'  private,
posto che anche in tali ipotesi "l'esistenza di infiltrazioni mafiose
inquina l'economia legale, altera il funzionamento della  concorrenza
e costituisce una minaccia per l'ordine e la sicurezza pubbliche"». 
    Nel  caso  in  esame,  il   procedimento   di   decadenza   della
segnalazione certificata di inizio attivita'  sarebbe  scaturito  non
gia' da autonomi accertamenti del prefetto circa  la  sussistenza  di
infiltrazioni mafiose nei confronti  della  societa'  ricorrente,  ma
dalla constatazione  dello  stesso  che  quest'ultima  era  stata  in
precedenza destinataria di  un'informazione  interdittiva  ancora  in
vigore, certamente risultante dalla consultazione della  banca  dati,
posto che, ai sensi dell'art. 98 del  d.lgs.  n.  159  del  2011,  la
stessa dovrebbe contenere tutte le comunicazioni  e  le  informazioni
antimafia, sia liberatorie che interdittive. 
    Palese sarebbe poi la ragionevolezza della  disciplina  contenuta
nella   norma   censurata,   del   tutto   conforme    ai    principi
dell'ordinamento in materia, oltre che a quelli enunciati nella legge
delega. 
    Lo  stesso  Tribunale  amministrativo  rimettente,  infatti,   in
contrasto con  quanto  affermato  in  altro  periodo  della  medesima
ordinanza, avrebbe riconosciuto la ragionevolezza  della  disciplina,
la  quale  potrebbe  giustificarsi  per  la   «particolarita'   della
fattispecie», posto che, secondo lo stesso giudice  rimettente,  «nel
caso di intervenuto accertamento in sede amministrativa di  pregresse
cause  interdittive  sembra  emergere  l'esigenza  di  una   maggiore
attenzione nei confronti del soggetto interessato  e  la  conseguente
necessita'  di  un  accertamento  che   involga   anche   l'eventuale
sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa». 
    3.- Si e' costituita  in  giudizio  la  societa'  ricorrente  nel
processo principale e ha chiesto che le  questioni  siano  dichiarate
fondate. 
    In  punto  di  rilevanza  la  parte  privata  ha  osservato   che
l'accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale  incide
in modo  diretto  sull'esito  del  giudizio  a  quo  determinando  il
richiesto annullamento. 
    Nel merito  la  societa'  ricorrente,  dopo  aver  ricostruito  i
momenti salienti della vicenda amministrativa e il  quadro  normativo
di riferimento, ha rilevato che l'interpretazione fatta  propria  dal
Comune  e  dal  Ministero  con  i  provvedimenti  impugnati  scardina
l'impianto  codicistico,  che,  sulla  base   della   legge   delega,
manterrebbe ferma  l'alternativita'  tra  comunicazione  antimafia  e
informazione antimafia. 
    L'art. 2 della legge delega avrebbe circoscritto  l'ambito  della
operativita' dell'informazione antimafia ai rapporti contrattuali e a
quelli  relativi  a  una  concessione  o  all'erogazione  di  sussidi
economici,  e  non  a  ogni  forma  di   contatto   anche   meramente
autorizzatorio con la pubblica amministrazione. Cio' in  base  ad  un
ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco. 
    Il d.lgs. n. 153 del 2014, con cui  e'  stato  introdotto  l'art.
89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011,  sarebbe  soggetto  agli  identici
principi e criteri direttivi contenuti  nella  legge  delega.  L'art.
89-bis, nella parte  in  cui  dispone  che  l'informazione  antimafia
produce i medesimi effetti della comunicazione, anche nell'ipotesi in
cui manchi un rapporto contrattuale con la pubblica  amministrazione,
sarebbe pertanto costituzionalmente illegittimo per la violazione dei
principi e dei criteri direttivi  contenuti  nell'art.  2,  comma  1,
lettere a) ed f), della legge n. 136 del 2010. 
    In particolare la delega in questione consentirebbe  un  limitato
margine  di  discrezionalita'   per   l'introduzione   di   soluzioni
innovative, le quali dovrebbero attenersi strettamente ai principi  e
ai criteri direttivi enunciati dal legislatore delegante. Inoltre  la
normativa censurata  sarebbe  intrinsecamente  irragionevole.  L'art.
89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, impedendo all'impresa  oggetto  di
tentativi di infiltrazione lo svolgimento di qualsiasi attivita',  ne
determinerebbe «la morte commerciale e imprenditoriale». 
    Da cio' conseguirebbe la violazione degli artt. 3 e 41  Cost.,  e
del canone della ragionevolezza. 
    4.-  Nell'imminenza  dell'udienza  pubblica,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha depositato una memoria con la richiesta che
le questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate. 
    Nella memoria  l'Avvocatura  dello  Stato  ha  rilevato  che  «la
giurisprudenza del Consiglio di Stato  ha  definitivamente  chiarito,
con numerose sentenze [...], che la  disciplina  dettata  dal  d.lgs.
6.9.2011,  n.   159   (codice   delle   leggi   antimafia)   consente
l'applicazione delle informazioni  antimafia,  di  cui  all'art.  84,
comma 3, del predetto codice,  anche  ai  provvedimenti  a  contenuto
autorizzatorio, confermando, cosi', il parere n. 3088/2015, espresso,
in  sede  consultiva,  dalla  Sezione  I   dello   stesso   Consesso,
nell'adunanza del 14.10.2015, nonche'  l'orientamento  in  precedenza
assunto, al riguardo, da diversi Tribunali amministrativi regionali».
Tale conclusione sarebbe suffragata da dati normativi incontestabili,
rinvenibili, sia nella legge delega n. 136 del 2010, sia nelle stesse
originarie previsioni contenute nel d.lgs. n.  159  del  2011,  prima
dell'introduzione, in esso, dell'art. 89-bis ad opera del  d.lgs.  n.
153 del 2014. Da cio' conseguirebbe l'irrilevanza delle questioni  di
legittimita'  costituzionale  relative  all'art.  89-bis,  in  quanto
quest'ultimo non sarebbe l'unica e neppure la principale disposizione
applicabile «ai fini del controllo di legittimita' del  provvedimento
impugnato dinanzi al TAR Sicilia». 
    Nel merito, l'Avvocatura dello Stato  ha  ribadito  quanto  aveva
sostenuto nell'atto di intervento. 
    5.- Anche la parte privata ha depositato una memoria,  insistendo
sulle conclusioni gia' formulate. 
    In particolare ha rilevato che la giurisprudenza comune che si e'
occupata dell'articolo in questione ha  confermato  l'interpretazione
assunta dal collegio rimettente, secondo la quale «la presenza di una
"informativa antimafia" ex art. 91, D.Lgs. n. 159 del 2011» impedisce
a una persona di avere qualsiasi tipo di rapporto,  anche  di  natura
meramente autorizzatoria, con la pubblica amministrazione. Dopo  aver
osservato che la legislazione vigente mantiene ferma  la  distinzione
tra  comunicazione  antimafia  e  informazione  antimafia,  quanto  a
presupposti, natura ed effetti, la parte privata ha ribadito cio' che
aveva gia' sostenuto nell'atto di costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione
staccata  di  Catania,  con  ordinanza  del  28  settembre  2016,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 76, 77, primo comma, e  3  della
Costituzione,  questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
89-bis del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle
leggi  antimafia  e  delle  misure  di  prevenzione,  nonche'   nuove
disposizioni in materia di documentazione antimafia,  a  norma  degli
articoli 1 e  2  della  legge  13  agosto  2010,  n.  136),  inserito
dall'art. 2, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 13  ottobre
2014, n. 153 (Ulteriori  disposizioni  integrative  e  correttive  al
decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159,  recante  codice  delle
leggi  antimafia  e  delle  misure  di  prevenzione,  nonche'   nuove
disposizioni in materia di documentazione antimafia,  a  norma  degli
articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136),  nella  parte  in
cui stabilisce che l'informazione antimafia  e'  adottata  anche  nei
casi in cui e' richiesta una mera comunicazione antimafia  e  produce
gli effetti di questa. 
    Il giudice a quo conosce della legittimita' di  un  provvedimento
di decadenza da una segnalazione certificata di inizio attivita', che
l'amministrazione  ha   adottato   a   causa   della   esistenza   di
un'informazione antimafia interdittiva. 
    Di regola un tale effetto  pregiudizievole,  che  attiene  ad  un
rapporto   in   senso   lato   autorizzatorio   con    la    pubblica
amministrazione,  discende   dall'adozione   di   una   comunicazione
antimafia interdittiva, con la quale si attesta la sussistenza di una
causa di decadenza, di sospensione o di divieto tra  quelle  indicate
dall'art. 67 del d.lgs. n. 159  del  2011  (art.  84,  comma  2,  del
medesimo decreto). 
    Tuttavia l'art. 89-bis censurato prevede che il medesimo  effetto
derivi dall'informazione antimafia  interdittiva,  che  «tiene  luogo
della comunicazione antimafia», nel caso indicato dall'art. 88, comma
2, del d.lgs. n. 159 del 2011, ovvero quando il prefetto, dopo  avere
consultato la banca dati nazionale unica, riscontri la sussistenza di
tentativi di infiltrazione mafiosa. 
    In tali  casi,  che  sono  caratterizzati  da  maggiore  gravita'
rispetto alle ipotesi nelle quali e' prevista la  sola  comunicazione
antimafia  interdittiva,   la   disposizione   censurata   riconnette
all'informazione antimafia interdittiva, sia l'effetto  suo  proprio,
di inibire la  stipulazione,  l'approvazione  o  l'autorizzazione  di
contratti e subcontratti con la pubblica amministrazione (art. 91 del
d.lgs. n. 159 del 2011), sia  l'effetto  tipico  della  comunicazione
antimafia interdittiva, ovvero quello di vietare i provvedimenti e le
attivita' indicate dall'art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011. 
    In  questo  senso  si   e'   anche   espressa   una   consolidata
giurisprudenza amministrativa. 
    L'art. 89-bis censurato e' stato introdotto dall'art. 2, comma 1,
lettera d), del d.lgs. n. 153 del 2014. A sua volta  quest'ultimo  si
basa  sull'art.  2  della  legge  13  agosto  2010,  n.  136   (Piano
straordinario contro le mafie, nonche' delega al Governo  in  materia
di normativa antimafia). 
    Il giudice rimettente ritiene che l'art. 2 della legge delega  n.
136 del 2010  non  avrebbe  previsto  «la  possibile  estensione  del
rilascio dell'informazione antimafia [...] per alcuna  delle  ipotesi
in cui l'ordinamento abbia precedentemente previsto la  richiesta  ed
il rilascio della semplice comunicazione». In altri termini,  secondo
il giudice rimettente, il legislatore delegato, violando gli artt. 76
e 77, primo comma, Cost., avrebbe previsto, in difetto di delega, che
l'informazione  antimafia,  nel  peculiare  caso  indicato  dall'art.
89-bis del d.lgs. n. 159 del 2011, produca gli  effetti  interdittivi
propri della comunicazione antimafia. 
    La disciplina in questione  contrasterebbe  anche  con  l'art.  3
Cost., perche' sarebbe  manifestamente  irragionevole  prevedere  che
simili  effetti  interdittivi  si  manifestino  non  gia'  per   ogni
tentativo di infiltrazione mafiosa di apprezzabile gravita',  ma  per
il solo fatto che, a seguito della consultazione  della  banca  dati,
sia emersa una precedente informazione antimafia interdittiva. 
    2.- In via preliminare deve essere dichiarata  l'inammissibilita'
delle deduzioni svolte dalla difesa della parte privata,  dirette  ad
estendere il thema decidendum  -  come  fissato  nella  ordinanza  di
rimessione - alla violazione del parametro dell'art.  41  Cost.,  ivi
non  contemplato.  Per  costante  giurisprudenza  di  questa   Corte,
«l'oggetto  del  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in   via
incidentale e' limitato alle disposizioni  e  ai  parametri  indicati
nelle ordinanze di rimessione. Pertanto, non possono essere presi  in
considerazione ulteriori questioni  o  profili  di  costituzionalita'
dedotti dalle parti, sia eccepiti, ma non fatti propri dal giudice  a
quo, sia volti ad ampliare o modificare successivamente il  contenuto
delle stesse ordinanze» (ex plurimis, sentenze n. 251  del  2017,  n.
214 del 2016, n. 231 e n. 83 del 2015). 
    3.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita' delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
perche'  l'effetto  estensivo  denunciato  dal   rimettente   sarebbe
ascrivibile anche a numerose altre disposizioni recate dal d.lgs.  n.
159 del 2011, e non alla sola norma censurata. 
    L'eccezione di inammissibilita' e' priva di fondamento,  perche',
ai fini della motivazione sulla  rilevanza,  e'  sufficiente  che  il
rimettente abbia indicato senza incorrere in errore  la  disposizione
che nel caso di specie e' tenuto ad applicare,  e  in  contrario  non
vale osservare che esistono altre disposizioni di  analogo  contenuto
normativo. 
    4.- La questione relativa alla violazione degli artt.  76  e  77,
primo comma, Cost. non e' fondata. 
    Il giudice rimettente, senza porre alcun dubbio  di  legittimita'
costituzionale  specificamente   riferito   alla   natura   meramente
correttiva e integrativa del d.lgs. n. 153 del 2014, lamenta  che  la
legge  delega  non  avrebbe  permesso   di   attribuire   alla   sola
informazione  antimafia  gli  effetti   interdittivi   propri   della
comunicazione antimafia, e insiste  nel  rilevare  che  anteriormente
alla legge delega n. 136 del 2010, la quale  nulla  avrebbe  innovato
sul punto, l'informazione e la comunicazione  antimafia  costituivano
documenti alternativi, nel senso che l'uno  non  avrebbe  mai  potuto
produrre gli effetti dell'altro. 
    In verita', pero', e  quale  che  fosse  l'ambito  riservato  dal
legislatore   all'informazione   e   alla   comunicazione   antimafia
anteriormente al  d.lgs.  n.  159  del  2011,  non  sussisteva  alcun
ostacolo logico o concettuale, che  imponesse  di  circoscrivere  gli
effetti dell'informazione antimafia alle attivita' contrattuali della
pubblica  amministrazione,  escludendone  invece   quelle   ulteriori
indicate ora dall'art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011. 
    Del resto, nell'impostazione originaria recata dall'art. 10 della
legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro  le  organizzazioni
criminali  di  tipo  mafioso,  anche  straniere),  la  documentazione
antimafia allora prevista riguardava,  con  effetti  impedienti,  sia
l'attivita'  contrattuale,  sia  quella   ulteriore   oggi   preclusa
dall'art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011, ponendo  fin  da  allora  in
luce la necessita' di  reagire  su  entrambi  i  fronti,  davanti  al
pericolo che soggetti raggiunti  da  una  misura  di  prevenzione,  o
condannati   per   determinati   reati,   potessero   costituire   un
qualsivoglia rapporto con la pubblica amministrazione da  cui  trarre
utilita'. 
    In seguito, l'art. 1, lettera d), della legge 17 gennaio 1994, n.
47 (Delega al Governo  per  l'emanazione  di  nuove  disposizioni  in
materia di comunicazioni e certificazioni di cui alla legge 31 maggio
1965, n. 575) ha allargato le ipotesi di reazione dell'ordinamento  a
tale pericolo, attribuendo  rilievo  ai  tentativi  di  infiltrazione
mafiosa,  al  fine  di  precludere   in   questi   casi   l'attivita'
contrattuale con la pubblica amministrazione. L'art. 10 del d.P.R.  3
giugno 1998, n. 252 (Regolamento recante norme per la semplificazione
dei procedimenti relativi al rilascio  delle  comunicazioni  e  delle
informazioni antimafia) a tale scopo  ha  configurato  l'informazione
antimafia  quale  specifica  documentazione  richiesta,   mentre   la
comunicazione  antimafia  (art.  3)  e'  stata  rivolta  alle   cause
impeditive oggi contenute nell'art. 67 del d.lgs. n. 159 del 2011. 
    L'art. 2, comma 1, lettera c), della legge delega n. 136 del 2010
ha  inteso  allargare  il  campo  di  applicazione  dell'informazione
antimafia,  stabilendo  che  la  sua  «immediata  efficacia»  potesse
esplicarsi «con riferimento a tutti i rapporti, anche gia' in essere,
con la pubblica amministrazione». 
    Con  questa  disposizione  il  legislatore  delegante,  prendendo
evidentemente  le  mosse  dalla  situazione   di   estrema   gravita'
ravvisabile nel tentativo di infiltrazione mafiosa,  ha  concesso  al
legislatore delegato di introdurre ipotesi in cui tale infiltrazione,
alla  quale  corrisponde  l'adozione  di  un'informazione  antimafia,
giustifichi un impedimento non alla sola attivita' contrattuale della
pubblica amministrazione, ma anche ai diversi contatti che  con  essa
possano realizzarsi nei casi ora indicati dall'art. 67 del d.lgs.  n.
159 del 2011. 
    Cosi', in linea generale, l'art. 84, comma 3, del d.lgs.  n.  159
del  2011  ha  espressamente   esteso   l'oggetto   dell'informazione
antimafia alla sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di
sospensione o di divieto di cui all'art. 67, mentre l'art. 91 ha piu'
specificamente allargato gli effetti  interdittivi  dell'informazione
antimafia ai provvedimenti indicati dal precedente art.  67,  purche'
del valore specificamente indicato. 
    Nel contesto del d.lgs. n. 159 del 2011, e sulla base della legge
delega n. 136 del 2010, nulla  autorizza  quindi  a  pensare  che  il
tentativo di infiltrazione mafiosa, acclarato mediante l'informazione
antimafia interdittiva, non debba precludere anche  le  attivita'  di
cui all'art. 67, oltre che i rapporti contrattuali  con  la  pubblica
amministrazione, se cosi' il legislatore ha stabilito. 
    Naturalmente  spetta  alla  giurisprudenza  comune,  in  sede  di
interpretazione del quadro normativo, decidere  in  quali  casi  e  a
quali condizioni il  legislatore  delegato  abbia  inteso  attribuire
all'informazione antimafia gli effetti della comunicazione antimafia. 
    Nel caso di specie, la giurisprudenza amministrativa, e lo stesso
giudice rimettente, hanno interpretato l'art. 89-bis  del  d.lgs.  n.
159 del 2011 nel senso che esso  impone  di  adottare  l'informazione
antimafia,  non  soltanto  quando  l'accertamento  eseguito  in  base
all'art. 88, comma 2, permette di riscontrare la sussistenza  di  una
delle cause impeditive di cui all'art. 67, ma anche quando emerge una
precedente  documentazione  antimafia  interdittiva   in   corso   di
validita', come e' accaduto nel  processo  principale  (Consiglio  di
Stato, sezione terza, 8 marzo 2017, n. 1109). 
    Non spetta a questa Corte  sindacare  tale  approdo  ermeneutico,
posto che  in  se'  esso  non  pone  alcun  profilo  di  legittimita'
costituzionale rilevante in questo giudizio incidentale. 
    Infatti, una volta chiarito che, nella fisiologica  attivita'  di
riempimento della delega che gli compete, il legislatore delegato  ha
facolta' di estendere gli effetti dell'informazione antimafia fino  a
precludere gli atti e  i  provvedimenti  elencati  nell'art.  67  del
d.lgs. n. 159 del 2011, la circostanza che cio' sia stato disposto, o
no, da tale decreto, e in quali casi, ricade interamente nella  sfera
di interpretazione della legge, di  competenza  del  giudice  comune.
Questa Corte deve invece limitarsi a rilevare  che  un  tale  effetto
trova copertura nella legge  delega,  sicche'  la  questione  non  e'
fondata. 
    5.- Anche la questione  concernente  la  violazione  dell'art.  3
Cost. non e' fondata. 
    La fattispecie delineata dall'art. 89-bis censurato si riconnette
a  una   situazione   di   particolare   pericolo   di   inquinamento
dell'economia legale, perche' il tentativo di  infiltrazione  mafiosa
viene riscontrato all'esito di una nuova occasione di contatto con la
pubblica amministrazione, che, tenuta a richiedere  la  comunicazione
antimafia in vista di uno dei provvedimenti indicati dall'art. 67 del
d.lgs. n. 159 del 2011, si imbatte in una  precedente  documentazione
antimafia interdittiva. Non e' percio'  manifestamente  irragionevole
che, secondo l'interpretazione dell'art. 89-bis  censurato  condivisa
dallo stesso rimettente, a fronte di un  tentativo  di  infiltrazione
mafiosa, il legislatore, rispetto agli elementi  di  allarme  desunti
dalla   consultazione   della   banca   dati,   reagisca   attraverso
l'inibizione,  sia  delle  attivita'  contrattuali  con  la  pubblica
amministrazione,  sia  di  quelle  in  senso   lato   autorizzatorie,
prevedendo l'adozione di un'informazione antimafia  interdittiva  che
produce gli effetti anche della comunicazione antimafia.