16.3.- A proposito del meccanismo di proroga di cui all'art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012, la lettura estensiva offerta dall'Avvocatura non sarebbe praticabile, in quanto la fissazione del termine e' contenuta in una norma speciale, rappresentata dal solo art. 31, comma 1, della citata legge. Interpretazione estensiva, d'altra parte, contraddittoria rispetto alla ritenuta natura recettizia del richiamo operato dall'art. 1, comma 2, della legge di delega, giacche' allo stesso rinvio verrebbe attribuito un valore diverso a due effetti: recettizio, nella misura de termine, e mobile quanto alla "procedura" di proroga. 16.4.- Sul tema della acquisizione dei pareri, la tesi dell'Avvocatura, secondo la quale in tema di VIA, attesa la competenza esclusiva dello Stato, il parere della Conferenza Stato-Regioni sarebbe non "obbligatorio per legge", la Provincia ricorrente osserva che nella specie non viene in discorso la sentenza n. 251 del 2016 (ipotesi di intreccio di competenze non risolvibile sul piano della prevalenza, la quale darebbe luogo, piuttosto, alla necessita' della intesa e non del parere), ma la previsione dettata dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997, per il quale il parere della Conferenza e' obbligatorio nelle materie di competenza delle Regioni o delle Province autonome, conformemente al principio di leale collaborazione, di cui all'art. 120, secondo comma, Cost. La disposizione indicata si riferirebbe, infatti, a tutti i casi di interferenza tra ambiti competenziali, come, dopo la riforma del Titolo V, della Parte seconda della Costituzione, avviene in tutte le materie trasversali, quali la disciplina ambientale: in particolare, con riferimento alla VIA e alla Valutazione di incidenza ambientale (VINCA), «che condiziona direttamente la regolazione dei procedimenti amministrativi regionali (e provinciali) e le stesse funzioni amministrative esercitate da Regione e Province autonome, nei termini gia' compiutamente esposti nel ricorso». Si conclude sul punto osservando che se il legislatore fosse intervenuto con legge ordinaria non sarebbe stato necessario acquisire il parere della Conferenza per i profili di prevalente competenza statale: nel caso di decreto delegato, il Governo era obbligato ad acquisire il parere. 16.5.- A proposito dell'applicazione della disciplina della proroga del termine per l'esercizio della delega, si ribadisce che la doglianza si e' concentrata sull'abuso del procedimento, che avrebbe ingenerato una proroga artificiosa, e sulla violazione dell'obbligo costituzionale - desumibile dall'art. 117, primo comma, Cost. - di tempestivo recepimento della direttiva. Ragione per la quale il caso di specie sarebbe diverso da quello che e' stato scrutinato con la sentenza n. 261 del 2017. La disciplina dettata dall'art. 1, comma 3, della legge di delega, riflettendosi nei rapporti con l'Unione europea, prevedeva una scansione precisa che faceva scattare la proroga solo nel momento in cui mancasse l'ultimo parere che veniva riservato alle Commissioni parlamentari. 16.6.- A proposito delle censure relative agli artt. 5, comma 1, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, connesse al massiccio spostamento in capo allo Stato di funzioni provinciali, si contesta l'assunto dell'Avvocatura relativo alla competenza statale esclusiva in materia, evocando la giurisprudenza costituzionale che avrebbe sempre riconosciuto che la Provincia autonoma dispone di funzioni regolatorie ed esecutive in materia, mentre il dovere di rispettare i limiti derivanti dalla legislazione statale non contrasta con tale competenza, dal momento che anche le potesta' statutarie si imbattono nei limiti tracciati dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale. Si ribadisce, al riguardo la pertinenza del richiamo al gia' citato art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974, di attuazione dello Statuto in tema di competenza provinciale in tema di VIA, circa le funzioni delegate dallo Stato in materia di opere pubbliche e, quindi, "anche" alle funzioni delegate, presupponendo che la legislazione provinciale riguardi la VIA, anche per cio' che attiene alle materie "proprie" della Provincia autonoma. Il tutto - afferma la Provincia ricorrente - sarebbe asseverato da quanto previsto dal novellato art. 13 dello statuto speciale, ove, nella determinazione delle concessioni in materia di demanio idrico, siano valutati anche "gli aspetti paesaggistici e di impatto ambientale". 16.7.- Errato sarebbe anche l'assunto secondo il quale la nuova allocazione delle competenze era necessario in ragione dell'assetto delle competenze derivante dalla riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione, dal momento che, per un verso, l'originaria ripartizione era stata gia' rivista dal d.lgs. n. 152 de 2006 e, per altro, simile linea sarebbe stata «giocata contro» le Province autonome e dunque contro l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 16.8.- In merito agli obblighi di adeguamento, stabiliti dall'impugnato art. 23, comma 4 - in contrasto con le garanzie contenute nell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, e con la disciplina del potere sostitutivo di cui all'art. 117, quinto comma, e con l'art. 120, secondo comma, Cost., nonche' rispetto alle norme di attuazione dello statuto speciale contenute nell'art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987 - si osserva, a fronte dei rilievi della Avvocatura, che lo Stato nell'esercitare la propria competenza a norma dell'art. 117, secondo coma, Cost., non puo' cancellare i poteri normativi provinciali previsti dallo statuto e dalle relative norme di attuazione; ribadendosi, per il resto, i rilievi gia' svolti nel ricorso. 17.- Con ricorso notificato il 4-7 settembre 2017 e depositato l'8 settembre 2017 (reg. ric. 69 del 2017), la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 1 - nella parte in cui introduce i commi 2 e 3 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006 - 12, 13, comma 1, 14, 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, deducendo la violazione degli artt. 3, 5, 76, 97, 117, primo, secondo e terzo comma, e 118 Cost., nonche' degli artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) e dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 17.1.- L'impugnato art. 5, introducendo i commi 2 e 3 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, opera un rinvio agli appositi allegati, ripartiti per progetti sottoposti a VIA statale, progetti sottoposti a verifica di assoggettabilita' VIA in sede statale, progetti sottoposti a VIA e a verifica di assoggettabilita' VIA in sede regionale. 17.2.- Ad avviso della ricorrente, l'impugnato art. 22, a sua volta, opera una modifica del contenuto degli elenchi in senso "unidirezionale", giacche', attraverso le nuove classificazioni, si determina un sensibile depotenziamento delle competenze regionali, con contestuale incremento della competenza statale. Gli spostamenti all'ambito rimesso all'attivita' amministrativa statale sono completati attraverso l'abrogazione della precedente disciplina da parte del censurato art. 26 del d.lgs. n. 104 del 2017. La contestata riduzione delle competenze dell'amministrazione regionale determinerebbe un'ulteriore limitazione delle competenze regionali, definite dagli artt. 4 e 5 dello statuto di autonomia e dall'art. 117, terzo comma, Cost., venendo queste in rilievo in procedimenti complessi come quello di valutazione dell'impatto ambientale. 17.3.- Il censurato art. 12 sostituisce l'art. 23, comma 4, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, ove si prevede che, a seguito della presentazione dell'istanza e della sua eventuale integrazione, «l'autorita' competente comunica contestualmente per via telematica a tutte le Amministrazioni e a tutti gli enti territoriali potenzialmente interessati e comunque competenti ad esprimersi sulla realizzazione del progetto, l'avvenuta pubblicazione della documentazione nel proprio sito web»; l'art. 13, comma 1, ha riformato l'art. 24, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, ove si prevede che «Entro il medesimo termine [60 giorni dall'avviso pubblico di presentazione dell'istanza di VIA, ai sensi del novellato art. 24, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006] sono acquisiti per via telematica i pareri delle Amministrazioni e degli enti pubblici che hanno ricevuto la comunicazione di cui all'art. 23, comma 4»; l'impugnato art. 13, comma 1, ha riformato l'art. 24, comma 5, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, ove si prevede che, in caso di richiesta di modifiche o integrazioni della documentazione da parte dell'istante, «in relazione alle sole modifiche o integrazioni apportate agli elaborati progettuali e alla documentazione si applica il termine di trenta giorni per la presentazione delle osservazioni e la trasmissione dei pareri delle Amministrazioni e degli enti pubblici che hanno ricevuto la comunicazione di cui all'art. 23, comma 4»; ancora, l'impugnato art. 14 ha modificato l'art. 25, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, in base al quale «[l]'autorita' competente valuta la documentazione acquisita tenendo debitamente conto dello studio di impatto ambientale, delle eventuali informazioni supplementari fornite dal proponente, nonche', dei risultati delle consultazioni svolte, delle informazioni raccolte e delle osservazioni e dei pareri ricevuti a norma degli articoli 24 e 32». 17.3.1.- Il profilo di lesione emergerebbe dal raffronto con la precedente formulazione dell'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006: «l'autorita' competente acquisisce e valuta tutta la documentazione presentata, le osservazioni, obiezioni e suggerimenti inoltrati ai sensi dell'art. 24, nonche', nel caso dei progetti di competenza dello Stato, il parere delle regioni interessate che dovra' essere reso entro novanta giorni dalla presentazione di cui all'art. 23, comma l». Nella precedente formulazione il ruolo regionale nella «VIA statale» sarebbe stabilito «in maniera esplicita», fugando ogni dubbio sulla necessaria consultazione delle Regioni nel procedimento stesso; la nuova formulazione, invece, ridurrebbe simile garanzia di partecipazione procedimentale, atteso che le disposizioni impugnate farebbero riferimento soltanto alle «Amministrazioni» e agli «enti territoriali potenzialmente interessati» alla realizzazione del progetto. Per la ricorrente, l'amministrazione statale competente, alla quale verrebbe affidato, senza la determinazione di criteri valutativi, l'apprezzamento di quali siano tali «Amministrazioni» ed «enti», potrebbe opinare la mancata competenza della Regione in proposito, con la conseguenza che la essa sarebbe «messa di fronte al fatto compiuto», anche dopo la scadenza dei termini utili per far valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale. Ad avviso della Regione autonoma, le menzionate disposizioni non avrebbero adeguatamente recepito la direttiva 2014/52/UE; al contrario, ne avrebbero violato l'art. 6, paragrafo 1, lettera a). Il d.lgs. n. 104 del 2017 non avrebbe rispettato i criteri della legge di delega n. 114 del 2015, espressi dagli artt. 1 e 14 e dagli artt. 31 e 32 della legge n. 234 del 2012, in quanto richiamati dall'art. 1 della legge delega stessa, nonche' dalla direttiva da recepire (atteso che, per costante giurisprudenza costituzionale, «nel caso di delega per l'attuazione di una direttiva comunitaria, i principi che quest'ultima esprime si aggiungono a quelli dettati dal legislatore nazionale e assumono valore di parametro interposto» in riferimento all'art. 76 Cost.; sono richiamate le sentenze n. 250 del 2016 e n. 210 del 2015). Per la ricorrente il dato normativo di riferimento, rappresentato dal richiamato art. 6, paragrafo 1, della direttiva 2014/52/UE, imporrebbe la consultazione delle amministrazioni territoriali competenti sul territorio sul quale si riverberano gli effetti ambientali dell'intervento sottoposto a VIA. Per la Regione autonoma la disposizione della direttiva richiederebbe la consultazione di ogni amministrazione che risponda al criterio di competenza «funzionale» (responsabilita' in materia di ambiente) o territoriale («competenze locali o regionali»). Sarebbe pertanto sufficiente che un'amministrazione avesse una sola di queste caratteristiche per entrare nell'ambito d'applicazione della norma, sicche' l'istruttoria non potrebbe considerarsi completa se l'autorita' statale avesse consultato solamente un'amministrazione che ha responsabilita' ambientali «o» una che ne ha di territoriali. Per recepire adeguatamente la direttiva, lo Stato avrebbe dovuto garantire la partecipazione al procedimento di tutte le amministrazioni territoriali (vengono citati gli artt. 7 e seguenti della Convenzione sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale, con due allegati, fatta ad Aahrus il 25 giugno 1998 e ratificata con legge 16 marzo 2001, n. 108, e richiamata nel considerando n. 18 della direttiva 2011/92/UE); le impugnate disposizioni pertanto non avrebbero adeguatamente recepito la direttiva richiamata, prevedendo genericamente la consultazione degli enti territoriali interessati. 17.3.2.- Risulterebbe evidente anche il vizio di eccesso di delega, per violazione degli artt. 1 e 14 della legge n. 114 del 2015, con conseguente violazione dell'art. 76 Cost., nonche', la lesione dei principi di ragionevolezza e di buon andamento della pubblica amministrazione ex artt. 3 e 97 Cost., atteso che il legislatore statale, invece di «designare» in astratto gli enti da consultare avrebbe lasciato l'amministrazione statale procedente «arbitra dell'intero procedimento» nel coinvolgimento degli enti, determinando un «irragionevole malfunzionamento» del procedimento stesso. Il vizio di eccesso di delega emergerebbe anche dalla violazione dei principi e criteri direttivi per l'esercizio della delega, sanciti dall'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, richiamato dall'art. 1 della citata legge delega n. 114 del 2015, che indicano l'individuazione delle «opportune forme di coordinamento» procedimentale per i casi di coinvolgimento delle competenze di piu' amministrazioni. Nella specie il procedimento di VIA determinerebbe una «sovrapposizione di competenze» tra amministrazione statale e regionale; ciononostante, in violazione dell'art. 117, secondo comma, Cost., sarebbe stato negato il necessario coinvolgimento regionale derivante dall'intreccio delle competenze. Il procedimento di VIA avrebbe ad oggetto la localizzazione, la realizzazione e la successiva gestione di interventi di rilievo per l'ambiente, le comunita' locali, il loro sviluppo e la salute pubblica. Si tratterebbe di procedimenti che concernono la gestione tanto dei beni ambientali quanto delle altre risorse socio-economiche di un territorio. In simile contesto, il procedimento inciderebbe su numerose competenze che lo statuto di autonomia e l'art. 117, comma 3, Cost., attribuiscono alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e in particolare: le materie di competenza primaria regionale ex art. 4 dello statuto, quali «industria e commercio»; «viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse locale e regionale»; «turismo e industria alberghiera»; «trasporti su funivie e linee automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di interesse regionale»; «urbanistica»; «acque minerali e termali»; le materie di competenza concorrente ex art. 5 dello statuto «disciplina dei servizi pubblici di interesse regionale ed assunzione di tali servizi»; «miniere, cave e torbiere»; «linee marittime di cabotaggio tra gli scali della Regione»; «utilizzazione delle acque pubbliche, escluse le grandi derivazioni: opere idrauliche di 4ª e 5ª categoria»; «igiene e sanita'»; «servizi antincendi»; «opere di prevenzione e soccorso per calamita' naturali»; le materie di competenza concorrente ex art. 117, comma 3, Cost. (applicabile alle Regioni speciali secondo l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001) «tutela e sicurezza del lavoro»; «ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi»; «tutela della salute»; «protezione civile»; «porti e aeroporti civili»; «grandi reti di trasporto e di navigazione»; «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»; «valorizzazione dei beni culturali e ambientali. Emergerebbe la competenza della Regione autonoma, quale ente esponenziale della comunita' territoriale (e' richiamata la sentenza n. 81 del 2013, oltre alle sentenze n. 303 del 2003, n. 407 e n. 536 del 2002). La ricorrente valorizza anche la giurisprudenza amministrativa che avrebbe sottolineato il «carattere ampiamente discrezionale che connota la valutazione di impatto ambientale» (sentenze del Consiglio di Stato, sezione quinta, 23 marzo 2015, n. 1564; 31 maggio 2012, n. 3254; 22 giugno 2009, n. 4206; sezione quarta, 5 luglio 2010, n. 4246; sezione sesta, 17 maggio 2006, n. 2851). Conseguentemente, nel disciplinare il procedimento di adozione della VIA statale, il d.lgs. n. 104 del 2017 avrebbe dovuto espressamente prevedere la partecipazione al procedimento della Regione ricorrente per gli interventi che ricadono nel suo territorio, e non genericamente la consultazione delle amministrazioni «potenzialmente interessate», in lesione dei principi e criteri direttivi della legge delega e di conseguenza dell'art. 76 Cost., che determinerebbe un'irragionevole compressione delle competenze della ricorrente, di cui agli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e dell'art.117 Cost. 17.3.3.- Per la ricorrente, inoltre, l'inespressa previsione dell'obbligo di richiedere il parere regionale nel procedimento di VIA statale, per contrasto con l'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, determinerebbe anche la violazione del principio di leale collaborazione. Ricorda la ricorrente che la giurisprudenza costituzionale imporrebbe l'adozione di meccanismi di partecipazione procedimentale delle Regioni, sia quando la funzione pubblica regolata si pone all'incrocio di varie materie regionali e statali, legate «in un nodo inestricabile» (e' richiamata la sentenza n. 21 del 2016), sia quando un giudizio di prevalenza e' possibile (sentenza n. 230 del 2013). Ancorche' la disciplina della VIA sarebbe riconducibile alla materia della «tutela dell'ambiente», l'incidenza sugli ambiti competenziali regionali imporrebbe «una reale e significativa partecipazione della Regione» al procedimento, assicurata solo attraverso la garanzia della consultazione regionale. Anche per questo profilo la violazione del principio di leale collaborazione determinerebbe un'irragionevole e illegittima compressione dell'autonomia della ricorrente negli ambiti materiali sopra elencati, ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto e dell'art. 117, terzo comma, Cost. 17.3.4.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ritiene altresi' illegittimo l'art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui sostituisce l'art. 24, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006. La disposizione sarebbe illegittima nella parte in cui, in caso di VIA statale, rimetterebbe alla discrezionalita' dello Stato la richiesta di un supplemento di parere da parte delle altre amministrazioni consultate, in caso di modifiche o integrazioni agli elaborati progettuali, anziche' prevedere che ad esse sia sempre consentito di formulare ulteriori osservazioni e pareri. Il mancato riconoscimento di tale garanzia procedimentale determinerebbe la violazione dell'art. 76 Cost., per violazione dei principi direttivi espressi dall'art. 1, paragrafo 6, della direttiva 2014/52/UE, nonche' dall'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, richiamato dall'art. 1 della legge n. 114 del 2015; l'illegittimo esercizio della competenza legislativa statale in materia di «tutela dell'ambiente», ex art. 117, comma 2, lettera s), Cost.; la violazione dei principi di ragionevolezza, buon andamento della pubblica amministrazione e leale collaborazione, ex artt. 3, 5, 97, 117 e 118, Cost. Tali vizi determinerebbero un'irragionevole compressione dell'autonomia regionale, negli ambiti di competenza legislativa, ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e dell'art. 117, comma terzo, Cost. 17.3.5.- La ricorrente censura altresi' gli artt. 5, 12, 13, 14, 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e 118 Cost. (per un ulteriore profilo), oltre che per violazione degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e dell'art. 117 Cost. Ribadisce la Regione autonoma di non contestare la competenza statale nel regolare il procedimento di VIA; lamenta pero' la violazione del principio di leale collaborazione per il profilo relativo al procedimento di adozione del decreto delegato n. 104, in conformita' ai dettami della sentenza n. 251 del 2016 (e' richiamata anche la sentenza n. 81 del 2013). Anche ove si configurasse la «prevalenza» della competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell'ambiente», sarebbe comunque necessario il ricorso all'intesa con la ricorrente per l'adozione del decreto delegato qui impugnato (si richiama la sentenza n. 230 del 2013); anche in questo caso la partecipazione regionale non sarebbe garantita dalla formula «sentite le regioni interessate». Nella definizione del decreto delegato, lo Stato, dopo aver acquisito il «parere favorevole condizionato» della Conferenza Stato-Regioni (richiamato l'atto rep. n. 61/ESR del 4 maggio 2017), non avrebbe ritenuto di attivare le ulteriori «procedure di consultazione» tese al «superamento delle divergenze, basate sulla reiterazione delle trattative o su specifici strumenti di mediazione» (sono richiamate le sentenze n. 1 e n. 251 del 2016; n. 121 del 2010) e avrebbe confermato il testo dello schema di decreto sottoposto all'esame della Conferenza, senza recepire alcuna indicazione formulata nel parere. Non sarebbero state recepite le proposte emendative relative al ruolo delle Regioni nel procedimento di VIA in sede statale (artt. 12, 13 e 14 del d. lgs. n. 104 del 2017; sono richiamate le pagine «5, 12, 17 del parere della Conferenza Stato-Regioni»); alla riduzione delle competenze regionali sugli interventi sottoposti alla valutazione d'impatto ambientale e alla verifica di assoggettabilita' alla VIA (artt. 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del 2017; «cfr. p. 5, 6, 7, 12, 22 e 27 del parere della Conferenza Stato-Regioni»); alla deroga per i progetti concernenti interventi di protezione civile (art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017; «cfr. p. 15 del parere della Conferenza Stato-Regioni»), determinando cosi' una condotta «di blocco», estranea al principio di leale collaborazione. 17.3.6.- Premessi tali rilievi, la ricorrente deduce la insussistenza, nella legge di delega, di principi e criteri direttivi che legittimassero una simile operazione di riparto di competenze. D'altra parte, la Corte di giustizia dell'Unione europea avrebbe rimesso agli Stati la liberta' di regolare le competenze normative sul piano interno. Nel caso di specie dovrebbe applicarsi la giurisprudenza costituzionale che, in tema di delega per il riassetto di complessi normativi, permette di modificare il riparto delle competenze tra Stato e Regioni solo nel caso in cui la legge di delega lo abbia espressamente consentito. Non ricorrendo tale ultima condizione, risulterebbe violato l'art. 76 Cost. ed illegittimamente esercitata la competenza statale in materia di tutela dell'ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.), con correlativa illegittima compressione della competenza della ricorrente, garantita dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale e dall'art. 117, terzo comma, Cost. 18.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha depositato il 13 ottobre 2017, memoria di costituzione, chiedendo il rigetto del ricorso. 18.1.- A proposito della dedotta violazione delle norme statutarie, congiuntamente a quella dell'art. 117, secondo e terzo comma, Cost., il relativo motivo di ricorso sarebbe inammissibile per genericita' e carenza di motivazione. La ricorrente avrebbe infatti lamentato la violazione degli artt. 4 e 5 dello statuto speciale, senza indicare le ragioni per le quali la disciplina statale sulla VIA inciderebbe sulle materie previste dalle indicate disposizioni statutarie, ne' quali progetti attribuiti alla competenza statale ricadrebbero fra quelle materie. Sarebbero state poi cumulativamente evocate le disposizioni statutarie e quelle costituzionali senza operare differenziazioni fra le stesse, tenuto conto della clausola di adeguamento automatico prevista dall'art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001. 18.2.- La censura sarebbe comunque infondata, in quanto la nuova allocazione di funzioni si inquadrerebbe nei criteri di semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure e di rafforzamento delle procedure di valutazione di impatto ambientale e di rafforzamento della qualita' delle stesse, enunciati nell'art. 14, comma 1, della legge delega n. 114 del 2015. Infatti, sottolinea l'Avvocatura, armonizzare, razionalizzare e rafforzare le procedure comporta anche la possibilita' di modificare il quadro allocativo delle competenze, non senza sottolineare come tale nuova ripartizione risulti rispondente al generale criterio di delega contenuto nell'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, in tema di ripartizione delle funzioni fra enti in caso di sovrapposizioni di competenze o coinvolgimento di competenze fra piu' amministrazioni, in vista della unitarieta' dei processi decisionali e della ottimizzazione dell'azione amministrativa. Dunque, il legislatore delegato era chiamato a verificare il rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione, anche alla luce dell'esperienza maturata nel tempo, e ad adeguare tale assetto al quadro delle competenze che la Costituzione «riconosce e garantisce alle Regioni tanto sul piano della potesta' normativa quanto sul piano della potesta' amministrativa, ove il primo non fosse conforme al secondo». Il che sarebbe puntualmente avvenuto nel caso di specie. Attraverso le modifiche apportate con le norme impugnate, il legislatore delegato avrebbe infatti conseguito l'obiettivo strategico - sottolinea l'Avvocatura - di razionalizzare il riparto di competenze amministrative tra Stato e regioni, attraendo a livello statale le procedure per i progetti relativi alle infrastrutture ed agli impianti energetici sulla base della dimensione sovra-regionale degli impatti da valutare, fatte salve le valutazioni di progetti ad impatto endo-regionale. Valutazioni che, agli effetti dello scrutinio di adeguatezza o inadeguatezza del livello regionale, devono essere effettuate ex ante e per classi di casi, presentandosi il criterio "dimensionale" degli impianti come espressivo del principio sancito dall'art. 118, primo comma, Cost., per la corretta allocazione delle funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo. 18.3.- A proposito del motivo di ricorso nel quale si lamenta la violazione del principio di leale collaborazione ex artt. 5, 117 e 118 Cost., per mancata richiesta della intesa nell'esercizio della delega legislativa, nonche' la violazione degli artt. 4 e 5 dello statuto di autonomia, si osserva che, versandosi in materia «trasversale» e «prevalente», la normativa statale in tema di tutela dell'ambiente si imporrebbe integralmente nei confronti delle Regioni che non possono contraddirla. Il che vale anche nei confronti delle Regioni ad autonomia speciale. La giurisprudenza costituzionale, d'altra parte, ha in varie occasioni puntualizzato come la tematica della VIA debba ascriversi esclusivamente alla competenza statale in materia ambientale, malgrado la possibile incidenza rispetto all'esercizio delle funzioni regionali. Il che assevera la legittimita' delle disposizioni censurate, non trascurando il fatto che, nel novellare l'art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, il decreto impugnato ha previsto il necessario coinvolgimento non soltanto della Regione, ma di tutte le amministrazioni potenzialmente interessate. La difesa regionale, dunque, avrebbe confuso fra loro i piani dell'«intreccio inestricabile» tra materie, che avrebbe comportato l'intesa, rispetto alla semplice «incidenza» rispetto a funzioni regionali, che e' quanto normalmente accade per materie trasversali, come la tutela dell'ambiente o la fissazione dei livelli essenziali delle prestazioni. In merito, poi, alle doglianze relative al mancato recepimento delle proposte emendative avanzate in sede di Conferenza Stato-Regioni, si segnala come nella relazione illustrativa che ha accompagnato lo schema di decreto, siano state «dettagliatamente analizzate tutte le condizioni e proposte emendative formulate dalle Regioni, fornendo per tutte quelle non accolte una puntuale descrizione delle motivazioni alla base del mancato accoglimento». 18.4.- L'Avvocatura generale dello Stato eccepisce anche l'infondatezza delle censure di cui agli artt. 12, 13 e 14, in quanto secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, nella procedura di VIA ascrivibile alla competenza statale, come disciplinata dal novellato art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006, dette disposizioni assicurerebbero la piena e completa attuazione della normativa europea e la partecipazione «e la tempestiva informazione di tutte le Amministrazioni e di tutti gli enti territoriali che siano interessati» e comunque competenti ad esprimersi sulla realizzazione del progetto. 18.5.- Infondata sarebbe la censura, sempre riferibile agli impugnati artt. 12, 13 e 14, con riferimento alla violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento, in quanto non esisterebbe alcuna discrezionalita' in capo allo Stato quanto al coinvolgimento degli enti territoriali interessati. 18.6.- L'Avvocatura dello Stato eccepisce, infine, l'inammissibilita' della censura riferita all'eccesso di delega, in violazione dell'art. 76 Cost., perche' non sarebbe mai stata sollevata la questione di costituzionalita' della legge delega. 18.6.1.- La censura sarebbe comunque infondata per le motivazioni gia' illustrate, riferite all'ampia partecipazione delle amministrazioni interessate alla realizzazione del progetto su cui interviene la VIA. Ritiene erronea la ricostruzione dell'assetto competenziale in materia di VIA, con particolare riguardo alla sussistenza di un «intreccio di competenze», ribadendo che l'istituto della VIA ricadrebbe nell'ambito materiale di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., da cui si ricaverebbe l'inesistenza di alcuna violazione del principio di leale collaborazione. 19.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato, il 29 maggio 2018, memoria con la quale ha insistito nelle conclusioni gia' rassegnate. 19.1.- A proposito della eccezione di inammissibilita', per genericita' e difetto di motivazione, delle censure rivolte agli artt. 5, 22 e 26 del decreto impugnato, si osserva che nel ricorso sono stati analiticamente indicati i progetti gia' attribuiti alla competenza regionale trasferiti a quella statale. In merito, poi, all'eccezione di inammissibilita' perche' la ricorrente avrebbe cumulativamente dedotto la violazione dei parametri statutari e di quelli costituzionali, dal momento che solo uno tra i due e' destinato ad applicarsi, alla stregua della clausola di adeguamento automatico di cui all'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, si osserva che - a differenza di quanto accade nel caso di ricorso dello Stato contro una legge di una Regione ad autonomia speciale - la Regione ad autonomia speciale puo' evocare congiuntamente il parametro statutario e quello costituzionale, dal momento che le garanzie costituzionali si aggiungono a quelle statutarie. Nel merito, le deduzioni svolte dall'Avvocatura per contestare la fondatezza della questione relativa all'eccesso di delega, sarebbero non fondate. Si osserva, infatti, che tanto per i profili di «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure», che per quelli di «rafforzamento della qualita' della procedura» e di «smart regulation», l'identificazione dell'autorita' procedente sarebbe del tutto irrilevante. 20.- Con ricorso notificato il 1°-6 settembre 2017 e depositato il 13 settembre 2017 (reg. ric. n. 70 del 2017), la Regione autonoma Sardegna ha promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 5, comma 1, 12, 13 e 14, 22, commi da 1 a 4, e 26, identiche a quelle sollevate dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia (reg. ric. n. 69 del 2017), salvo il riferimento - quanto ai parametri statutari che si assumono violati - agli artt. 3 e 4 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna). 20.1.- Le restanti censure di cui agli artt. 3, comma 1, lettere g) e h), 8, 16 e 17, riguardano la partecipazione al procedimento di VIA (e/o ai procedimenti connessi) da parte del Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo (MIBACT), come amministrazione incaricata della protezione del paesaggio. 20.1.1.- L'art. 3, comma 1, lettera g), viene censurato nella parte in cui rimette al Ministro dell'ambiente, dopo una valutazione caso per caso, l'esclusione di progetti aventi come obiettivo la difesa nazionale e la protezione civile dal campo di applicazione delle norme di cui al Titolo III della Parte II dello stesso d.lgs. n. 104 del 2017, qualora ritenga che tale applicazione possa pregiudicare i suddetti obiettivi. 20.1.1.1.- Per la ricorrente, la «protezione civile» rientrerebbe tra le materie di competenza concorrente, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost. (ad essa applicabile, ai sensi dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001). Ne conseguirebbe l'illegittimita' della disposizione, in violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., e dei parametri gia' richiamati, nella parte in cui non prevede che la decisione di deroga sia assunta anche d'intesa con la Regione autonoma, in virtu' della sua specifica competenza in materia. La Regione autonoma Sardegna reitera le proprie argomentazioni per dimostrare che le disposizioni impugnate sono illegittime nella parte in cui non prevedono un coinvolgimento delle Regioni al medesimo livello di intensita' e di efficacia giuridica assicurato al MIBACT. Ove questa Corte non dovesse ritenere di dover sancire il parallelismo tra le attribuzioni del MIBACT e quelle della ricorrente nei procedimenti indicati, la ricorrente chiede che sia garantita la partecipazione procedimentale almeno nella forma del parere obbligatorio. 20.1.2.- L'art. 3, comma 1, lettera h), prevede che: «Fatto salvo quanto previsto dall'art. 32 [ovverosia i casi di consultazione transfrontaliera], il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare puo', in casi eccezionali, previo parere del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, esentare in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni di cui al titolo III della parte seconda del presente decreto, qualora l'applicazione di tali disposizioni incida negativamente sulla finalita' del progetto, a condizione che siano rispettati gli obiettivi della normativa nazionale ed europea in materia di valutazione di impatto ambientale». 20.1.3.- L'art. 8, nella parte in cui modifica l'art. 19, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, stabilisce: «qualora l'autorita' competente stabilisca di non assoggettare il progetto al procedimento di VIA, specifica i motivi principali alla base della mancata richiesta di tale valutazione in relazione ai criteri pertinenti elencati nell'allegato V, e, ove richiesto dal proponente, tenendo conto delle eventuali osservazioni del Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo per i profili di competenza, specifica le condizioni ambientali necessarie per evitare o prevenire quelli che potrebbero altrimenti rappresentare impatti ambientali significativi e negativi». 20.1.4.- L'art. 16, nella parte in cui modifica l'art. 27, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, prescrive che: «fatto salvo il rispetto dei termini previsti dall'art. 32, comma 2, per il caso di consultazioni transfrontaliere, entro dieci giorni dalla scadenza del termine di conclusione della consultazione ovvero dalla data di ricevimento delle eventuali integrazioni documentali, l'autorita' competente convoca una conferenza di servizi alla quale partecipano il proponente e tutte le amministrazioni competenti o comunque potenzialmente interessate al rilascio del provvedimento di VIA e dei titoli abilitativi in materia ambientale richiesti dal proponente. La conferenza di servizi si svolge secondo le modalita' di cui all'articolo 14-ter, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241. Il termine di conclusione dei lavori della conferenza di servizi e' di duecentodieci giorni. La determinazione motivata di conclusione della conferenza di servizi, che costituisce il provvedimento unico in materia ambientale, reca l'indicazione espressa del provvedimento di VIA ed elenca, altresi', i titoli abilitativi compresi nel provvedimento unico. La decisione di rilasciare i titoli di cui al comma 2 e' assunta sulla base del provvedimento di VIA, adottato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, ai sensi dell'art. 25». 20.1.5.- L'art. 17 modifica l'art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006, statuendo che l'autorita' competente, in collaborazione con il Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo per i profili di competenza, «verifica l'ottemperanza delle condizioni ambientali di cui al comma 1 al fine di identificare tempestivamente gli impatti ambientali significativi e negativi imprevisti e di adottare le opportune misure correttive». 20.1.6.- Le disposizioni richiamate sarebbero illegittime nella parte in cui, per i procedimenti concernenti interventi da realizzare nel territorio sardo, o che su di esso possono produrre impatti ambientali, non prevedono la partecipazione procedimentale della Regione autonoma Sardegna. La ricorrente rammenta di essere titolare di una competenza in materia di tutela del paesaggio, ai sensi degli artt. 3 dello statuto e 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n. 480 (Nuove norme di attuazione dello statuto speciale della Regione autonoma della Sardegna). Tale ultima disposizione darebbe attuazione allo statuto d'autonomia e avrebbe trasferito all'amministrazione regionale le attribuzioni del Ministero per i beni e le attivita' culturali in materia di «redazione» e «approvazione dei piani territoriali paesistici». In virtu' di tale competenza, la ricorrente, nell'esercizio della propria competenza legislativa primaria, potrebbe intervenire sulla regolamentazione dei beni di pregio paesaggistico, ancorche' nel rispetto delle disposizioni di tutela fissate dal legislatore statale (e' citata la sentenza n. 308 del 2013). Tale competenza sarebbe rilevante nel procedimento di VIA, atteso che uno dei suoi elementi fondamentali sarebbe la localizzazione dell'intervento che inciderebbe nell'esercizio della competenza legislativa in materia di «edilizia e urbanistica» (art. 3, comma 1, lettera f, dello statuto speciale), la quale si estenderebbe alla tutela paesaggistica. Per i procedimenti concernenti gli interventi che ricadono nel territorio sardo, il legislatore statale dovrebbe garantire alla ricorrente una partecipazione avente la medesima efficacia giuridica assicurata al MIBACT; tale partecipazione procedimentale si imporrebbe in ossequio al principio di leale collaborazione, anche nel caso di «prevalenza» della materia di competenza esclusiva statale, anche sulla base di quanto indicato dall'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, richiamato dall'art. 1 della legge delega n. 114 del 2015. 21.- Costituitosi in giudizio a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto depositato l'11 ottobre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri ha chiesto il rigetto del ricorso, svolgendo difese del tutto analoghe a quelle prospettate in rapporto al ricorso della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, per quanto attiene alle censure coincidenti con detto ricorso. 21.1.- Ad avviso dell'Avvocatura, risulterebbero infondate anche le censure degli artt. 3, 8, 14, 16 e 17, in riferimento all'art. 3 dello statuto speciale, all'art. 6 del d.P.R. n. 480 del 1975, al principio di leale collaborazione e all'art. 76 Cost., in relazione all'art. l della legge delega n. 114 del 2015, e in relazione all'art. 32 della legge n. 234 del 2012, nonche' in violazione dei principi di ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione. L'art. 3 dello statuto speciale, infatti, tra le materie di competenza legislativa esclusiva della Regione autonoma Sardegna non contemplerebbe ne' la tutela del paesaggio, ne' quella dell'ambiente. Pur riconoscendo la titolarita' regionale della potesta' legislativa primaria in materia di «edilizia ed urbanistica» ai sensi dell'art. 3, comma l, lettera f), dello statuto speciale e la competenza esclusiva in materia di «piani territoriali paesistici», ai sensi dell'art. 6, comma 2, del d.P.R. n. 480 del 1975, per l'Avvocatura esse devono essere esercitate in armonia con la Costituzione e con i principi dell'ordinamento giuridico, rispettando gli obblighi internazionali, gli interessi nazionali, nonche' le norme fondamentali delle riforme economico-sociali, quali sarebbero quelle in tema di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», adottate dallo Stato in base alla competenza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sono richiamate le sentenze n. 51 del 2006 e n. 536 del 2002). 21.2.- Priva di fondamento sarebbe anche la censura dell'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), sulla possibilita' di sottrarre alla VIA gli interventi aventi quali unico obiettivo la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile. I commi 10 e 11 del nuovo art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotti dall'art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017, avrebbero lo scopo di allineare la disciplina nazionale alla richiamata direttiva, distinguendo, da un lato, i progetti aventi quale unico obiettivo la difesa e la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile (comma 10); dall'altro, le piu' stringenti condizioni di esenzione nei casi eccezionali (comma 11). La disciplina introdotta si rivelerebbe garantista con riferimento alla potenziale esclusione dei progetti dalla disciplina recata dal Titolo III della Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, grazie alla riserva del potere di esenzione dalla VIA in capo al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che ne assume la responsabilita' politicoamministrativa sul territorio nazionale e nei confronti dell'Unione europea. Non si ravviserebbero ragioni per ridurre lo standard di tutela ambientale, consentendo che le esclusioni citate possano essere disposte dalla singola Regione. Sulla violazione del riparto costituzionale delle competenze, ricorda l'Avvocatura come questa Corte comprenda la disciplina della VIA nella competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.» (sono richiamate le sentenze n. 186 del 2010, n. 225 del 2009 e n. 117 del 2015); l'esclusivita' della competenza statale in materia, pur incidendo sull'esercizio di competenze regionali, determinerebbe la «prevalenza» della normativa statale (e' richiamata la sentenza n. 234 del 2009). 21.3.- Infondata sarebbe anche la censura del richiamato art. 3, comma l, lettera g), per violazione del principio di leale collaborazione. La disposizione sarebbe riconducibile alla legge 24 febbraio 1992, n. 225, (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), che, all'art. 5, contiene la disciplina degli interventi da operarsi durante la «dichiarazione dello stato di emergenza». In tale contesto, il decreto del Ministro dell'ambiente, per disporre l'esclusione di taluni progetti dal campo di applicazione delle norme in materia di VIA, sarebbe consequenziale rispetto alla previa valutazione - effettuata in via esclusiva dal Dipartimento della protezione civile d'intesa con la Regione interessata - degli interventi aventi quale obiettivo la risposta alle emergenze di protezione civile. L'art. 5, comma 2, della legge n. 225 del 1992, stabilirebbe che per l'attuazione degli interventi di protezione civile da effettuarsi durante lo stato di emergenza si provvede con apposita ordinanza da emanarsi «acquisita l'intesa delle regioni territorialmente interessate». 22.- Alle difese statali ha replicato la ricorrente con memoria illustrativa, anche in questo caso di contenuto pienamente corrispondente a quello della memoria della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, per quanto riguarda le censure coincidenti in essa contenute. 23.- Con ricorso notificato il 4-7 settembre 2017 e depositato il 13 settembre 2017 (reg. ric. n. 71 del 2017), la Regione Calabria ha promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettera g), 5, 16, commi 1 e 2, 21, 22, commi da 1 a 4, 26, comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del 2017, deducendo la violazione degli artt. 3, 5, 32, 76, 81, 117, 118 e 120 Cost. 23.1.- La ricorrente, dopo aver rievocato l'articolato procedimento di approvazione del decreto impugnato, sottolineando come le Regioni e le Province autonome avessero espresso in sede di Conferenza Stato-Regioni una posizione nettamente divergente rispetto al contenuto dello schema di decreto, considerato che l'ambito materiale attinto dal provvedimento, che sottraeva numerose competenze alle Regioni, si inseriva nell'ambito di materie oggetto di potesta' legislativa concorrente. Poiche' tali divergenze non sarebbero state prese in adeguata considerazione, e poiche' non sarebbe stato nella specie assicurato un adeguato coinvolgimento dei vari livelli di governo coinvolti, si sarebbe di conseguenza determinata una lesione del principio di leale collaborazione. 23.2.- L'art. 3, comma 1, lettera g), viene censurato con argomentazioni coincidenti con quelle dei ricorsi delle Regioni Lombardia, Abruzzo, Puglia e Veneto: la disposizione avrebbe introdotto la possibilita' di attribuire alla «autorita' competente in sede statale» la valutazione caso per caso dell'esclusione della VIA per i «progetti relativi ad opere ed interventi destinati esclusivamente a scopo di difesa nazionale» e avrebbe inserito tra i progetti che possono essere esclusi anche quelli che riguardano le «emergenze di protezione civile». Si prevedrebbe, cosi', un procedimento identico per progetti che riguardano due materie diverse. Lo Stato avrebbe avocato a se' la possibilita' di valutare caso per caso i progetti per far fronte ad emergenze di protezione civile, incidendo su materie di competenza concorrente, senza prevedere un coinvolgimento regionale, in lesione del principio di leale collaborazione, comprimendo le prerogative regionali anche in materia di tutela della salute delle persone e dell'ambiente, in violazione degli artt. 32 e 3 Cost. In particolare, la tutela del diritto alla salute, di cui all'art. 32 Cost., nella sua dimensione sociale esprimerebbe un diritto alla salubrita' dell'ambiente, nel rispetto del principio della liberta' di iniziativa economica privata, che non puo' svolgersi in modo dannoso per la sicurezza delle persone. Il contenuto di tale diritto si tradurrebbe anche «nella tutela costituzionale dell'integrita' psico-fisica, del diritto ad un ambiente salubre» e sarebbe connesso al valore della dignita' umana, di cui all'art. 3 Cost. 23.3.- L'impugnato art. 5 ha introdotto l'art. 7-bis nel d.lgs. n. 152 del 2006, ove vengono definite, con un sensibile ridimensionamento di quelle regionali, le competenze in materia di VIA e di assoggettabilita' a VIA, con correlativa violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto sarebbe stato compromesso l'esercizio della potesta' legislativa regionale in materie concorrenti, (tra le altre, porti e aeroporti civili, produzione, governo del territorio, trasporto e distribuzione dell'energia), e, in particolare, in tema di tutela della salute, attese le finalita' della valutazione di impatto ambientale, come emergerebbe dal punto 41 delle premesse della direttiva da attuare, nonche' dall'art. 4 del d.lgs. n. 152 del 2006. La necessita' di scomporre tra i vari ambiti di competenza le diverse funzioni che la direttiva comunitaria coinvolge in modo unitario, comporta che le diverse materie concorrono fra loro senza alcun rapporto di prevalenza; cosicche' - osserva la ricorrente - la complessita' del settore oggetto di recepimento evocava la necessita' di un coinvolgimento piu' intenso dei vari livelli di governo e, dunque, il ricorso allo strumento della intesa, in seno alla Conferenza Stato-Regioni. Si rileva, poi, con riferimento all'art. 76 Cost., che nella specie la legge delega non avrebbe previsto una compressione della potesta' normativa regionale nella materia, sicche', non essendovi proporzionalita' ne' rispondenza logica di tale compressione rispetto alle finalita' perseguite, sussisterebbe un eccesso di delega in relazione ai principi e criteri direttivi posti dagli artt. 1 e 14 della legge delega n. 114 del 2015. 23.4.- E' impugnato altresi' l'art. 16, commi 1 e 2, per violazione degli artt. 5, 76, 117, 118 e 120 Cost. La disposizione introduce il cosiddetto provvedimento autorizzatorio unico regionale. Fa presente la ricorrente che la disposizione non era prevista nella bozza di schema di decreto inviato dal Governo alla Conferenza permanente; la disposizione sarebbe stata introdotta «senza che fosse concessa la possibilita' alle regioni e alle province autonome di esaminare il testo della disposizione e presentare le proprie osservazioni», in lesione del principio di leale collaborazione. Sotto altro profilo, la ricorrente sottolinea l'eccessivo dettaglio delle disposizioni che introducono il provvedimento autorizzatorio unico regionale. Esso comprenderebbe non solo la VIA, ma anche i titoli abilitativi necessari per la realizzazione dei relativi progetti e per l'esercizio delle attivita' da essi derivanti. Viene richiamata la giurisprudenza costituzionale contraria a «normative eccessivamente puntuali» (sentenze n. 189 del 2015, n. 278 del 2010). 23.5.- Si impugna, poi, l'art. 21, nel quale sono dettate norme in tema di tariffe da applicare ai proponenti, nella parte in cui non prevede un adeguato coinvolgimento delle Regioni nella fase di approvazione del decreto ministeriale, con il quale si dispongono le modalita' di determinazione delle tariffe per la copertura dei costi istruttori, con correlativa lesione delle potesta' organizzative delle Regioni e in violazione degli artt. 5, 117 e 120 Cost. 23.6.- Gli artt. 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), vengono censurati nella parte in cui, modificando gli Allegati alla Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, determinano una sottrazione alle Regioni di un considerevole numero di tipologie progettuali (riguardanti materie di competenza legislativa anche regionale), che vengono attribuite alla competenza statale. Il tutto, si osserva, in controtendenza rispetto ai precedenti interventi sul codice dell'ambiente, ove era stato invece incrementato l'ambito applicativo della VIA regionale, e neppure in linea con i criteri stabiliti dall'art. 31, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012. Deriverebbe da cio' la violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto viene compromessa la potesta' legislativa regionale in collegate materie a legislazione concorrente; la violazione dell'art. 118 Cost., in quanto vengono ridimensionate le competenze amministrative regionali e quelle conferite dalla stessa Regione agli enti locali, prescindendo da valutazioni sulla adeguatezza del livello istituzionale coinvolto, con correlativa violazione del principio di leale collaborazione e, dunque, degli artt. 5 e 120 Cost., anche perche' la compressione del potere legislativo regionale si sarebbe realizzato senza lo strumento della intesa. Violato sarebbe infine anche l'art. 76 Cost., in quanto la legge delega non contempla espressamente la revisione del riparto delle potesta' legislative ed amministrative tra Stato e Regioni. 24.- Si impugna infine l'art. 27 del d.lgs. n. 104 del 2017, il quale introduce una clausola di invarianza finanziaria, per violazione degli artt. 76 e 81 Cost. Si osserva che tale clausola sarebbe del tutto aleatoria, in quanto le procedure VIA implicano nuovi oneri per le autorita' competenti in ragione dei nuovi adempimenti procedurali, e in contrasto con quanto previsto in tema di spese per l'attuazione delle direttive da parte dell'art. 1, comma 4, della legge delega. 25.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, ha depositato il 13 ottobre 2017 memoria di costituzione chiedendo il rigetto del ricorso in quanto infondato. 25.1.- Vengono utilizzate le medesime argomentazioni per confutare la censura dell'impugnato art. 3, comma 1, lettera g), da parte delle Regioni Abruzzo, Lombardia e Veneto. 25.2.- A proposito delle doglianze relative all'art. 5 del decreto impugnato, l'Avvocatura osserva che la disciplina contestata ha inteso rendere omogenea per tutto il territorio nazionale la disciplina in materia di VIA, al fine di recepire fedelmente la direttiva comunitaria, che ha previsto al riguardo regole dettagliate sul procedimento, non trascurando peraltro lo spazio che e' stato mantenuto in capo agli enti locali. Dalla analisi delle variazioni intervenute in materia risulterebbe evidente che il legislatore avrebbe correttamente ritenuto la materia della valutazione di impatto ambientale come afferente alla tutela dell'ambiente, di esclusiva competenza statale, pur se con incidenza su ambiti materiali di competenza regionale. 25.3.- Viene eccepita altresi' l'infondatezza delle censure di cui all'art. 16 commi 1 e 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, sul provvedimento autorizzatorio unico regionale, con argomenti spesi nelle altre memorie difensive. 25.4.- Non fondate sarebbero anche le censure rivolte all'art. 21 del decreto impugnato, con le quali la Regione Calabria lamenta, nella sostanza, il mancato coinvolgimento delle Regioni nel processo decisionale per definire le risorse destinate a coprire i costi istruttori dei procedimenti VIA, nonche' la lesione dei poteri organizzativi in violazione dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza, nonche' leale collaborazione. Si osserva, al riguardo, che la norma censurata si limita a sostituire il comma 1 dell'art. 33 del d.lgs. n. 152 del 2006, mentre lascia inalterato il comma 2 dello stesso articolo ove sono stabilite le competenze regionali in tema di tariffe da stabilire a carico dei proponenti. Dunque, la norma impugnata contiene un principio generale per determinare le tariffe da applicare tanto per la VIA statale che per quella regionale. Nella parte in cui la norma impugnata rimette ad un decreto del ministro dell'ambiente la determinazione in concreto delle tariffe, essa si riferisce esclusivamente alla VIA statale; pertanto, le Regioni sono dunque «protagoniste» del procedimento di determinazione delle tariffe per le procedure di propria competenza, dovendo solo rispettare la norma di principio circa i criteri di commisurazione. Va poi rammentato, soggiunge l'Avvocatura, che le modalita' di svolgimento del procedimento VIA vanno ricondotte alla competenza esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera m), Cost. inerente la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, in quanto la individuazione delle norme generali inerenti la determinazione delle tariffe da applicare su tutto il territorio nazionale deve ritenersi aspetto centrale del livello essenziale della prestazione amministrativa fissata in materia dal legislatore. 25.5.- In merito, poi, alle censure relative agli artt. 22, commi da 1 a 4, e 26 del decreto impugnato, l'Avvocatura eccepisce la inammissibilita' del ricorso, in quanto non sarebbe stata sollevata mai questione di legittimita' costituzionale della legge di delega. La censura sarebbe inammissibile anche perche' generica e immotivata, in quanto non sono individuati progetti la cui sottrazione alla competenza regionale comporterebbe la lesione dell'art. 118 Cost. e non viene svolto alcun argomento per sostenere l'adeguatezza del livello regionale a svolgere la relativa funzione amministrativa. La censura sarebbe comunque infondata in quanto la revisione dell'assetto delle competenze si inquadrerebbe nei principi e criteri direttivi tracciati dall'art. 14, comma 1, della legge delega n. 114 del 2015, tanto sul versante della armonizzazione e razionalizzazione delle procedure che su quello del rafforzamento della qualita' delle procedure, in vista delle sinergie con le politiche europee e nazionali, specie in tema di politiche energetiche e infrastrutturali. Non sarebbe neppure pertinente il richiamo al criterio di cui all'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012 per le ipotesi di sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse, in quanto tale criterio direttivo si limita a sancire il rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione in ordine alle competenze regionali sul piano normativo e amministrativo. Ed e' quanto il legislatore avrebbe fatto, sul presupposto della dimensione "sovra-regionale" delle procedure VIA in tema di infrastrutture e impianti energetici attratti nella competenza statale, in linea con quanto previsto dall'art. 118, primo comma, Cost. per la corretta allocazione delle funzioni amministrative ai vari livelli territoriali di governo. 25.6.- A proposito, infine, della clausola di invarianza finanziaria di cui all'impugnato art. 27, l'Avvocatura deduce l'inammissibilita' del motivo di ricorso perche' del tutto generica e immotivata, e comunque infondata in quanto nessun nuovo onere procedimentale sarebbe stato posto a carico delle Regioni. La pretesa violazione dell'art. 1, comma 4, della legge delega sarebbe, poi, oltre che non perspicua, comunque infondata, in quanto residua in capo agli enti territoriali la possibilita' di definire, con proprie modalita' di quantificazione, gli oneri da porre a carico dei proponenti a copertura dei costi sopportati dalla autorita' competente. 26.- La Regione Calabria ha depositato il 29 maggio 2018 memoria con la quale ha insistito nelle conclusioni gia' rassegnate. A proposito del motivo di ricorso riguardante l'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, si ribadisce che, in mancanza di specifiche direttive della legge di delega, non poteva ritenersi consentito al legislatore delegato operare una cosi' profonda revisione della ripartizione delle competenze in materia di VIA, ribadendosi che, nella specie, il Governo avrebbe disatteso anche le previsioni dettate dall'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012. In merito, poi, alle doglianze formulate in ordine agli artt. 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104 del 2017, si osserva che, analizzando i progetti per i quali la competenza e' passata dalle Regioni allo Stato, la materia dell'ambiente si incrocia con diversi ambiti materiali di competenza concorrente, e si attrae nella competenza statale anche la valutazione su modifiche o estensioni di progetti anche se oggetto di autorizzazioni regionali gia' intervenute. Si insiste, ugualmente, sull'accoglimento anche degli altri motivi di ricorso. 27.- Con ricorso notificato il 4-11 settembre 2017 e depositato il 14 settembre 2017 (reg. ric. n. 73 del 2017), la Provincia autonoma di Bolzano ha promosso questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 1, «se ed in quanto riferito alle Province autonome» - nella parte in cui introduce l'art. 7-bis, commi 2, 3, 7, 8 e 9, nel d.lgs. n. 152 del 2006 - dell'art. 8, «se ed in quanto riferito alle Province autonome»; dell'art. 16, commi 1, «in quanto non prevede un coinvolgimento delle Province autonome», e 2 «se ed in quanto riferito alle Province autonome»; dell'art. 22, commi 1, 2, 3 e 4, «se riferito alle Province autonome», e dell'art. 23, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017. 27.1.- In via preliminare, la Provincia ricorrente passa in rassegna i contenuti delle norme censurate, rilevando come i commi 2 e 3 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, aggiunto dall'art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, individuino nel dettaglio i progetti sottoposti a VIA o a verifica di assoggettabilita' a VIA in sede statale (allegati II e II-bis alla Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006) e quelli sottoposti alle predette procedure in sede regionale (Allegati III e IV). In forza del comma 8 del medesimo art. 7-bis, le Province autonome, al pari delle Regioni, nell'esercizio delle proprie potesta' legislative debbono conformarsi alla legislazione europea e a quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, fatto salvo il potere di stabilire ulteriori regole per la semplificazione dei procedimenti, per la consultazione del pubblico e degli altri soggetti pubblici interessati, per il coordinamento dei procedimenti di competenza regionale e locale, nonche' per la destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative alle finalita' indicate dallo stesso d.lgs. n. 152 del 2006, ferma restando l'inderogabilita' dei termini procedimentali massimi. Alla stregua di quanto previsto dall'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, le potesta' normative delle Province autonome (cosi' come delle Regioni) si limitano, in pratica, al semplice adeguamento dei rispettivi ordinamenti entro il termine perentorio di centoventi giorni dall'entrata in vigore dello stesso decreto, con la previsione che, decorso inutilmente detto termine, in assenza di disposizioni regionali o provinciali vigenti idonee allo scopo, si applicano i poteri sostitutivi di cui all'art. 117, quinto comma, Cost., secondo quanto previsto dagli artt. 41 e 43 della legge n. 234 del 2012. Il decreto delegato interviene in modo egualmente puntuale sulle funzioni amministrative delle Province autonome (cosi' come delle Regioni), imponendo loro, tra l'altro, di assicurare che le procedure di VIA e verifica di assoggettabilita' a VIA di competenza regionale siano svolte in conformita' agli artt. da 19 a 26 e da 27-bis a 29 del d.lgs. n. 152 del 2006 (comma 7 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006), nonche' di informare il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a partire dal 31 dicembre 2017 e con cadenza biennale, circa i provvedimenti adottati e i procedimenti di verifica di assoggettabilita' a VIA e di VIA, fornendo una serie di atti (comma 9 dell'art. 7-bis). Con il decreto legislativo in questione viene, altresi', sensibilmente modificato il riparto delle competenze amministrative, attribuendo alla competenza dello Stato un rilevante numero di progetti e interventi che nel regime previgenti erano invece attribuiti alla competenza delle Regioni (art. 22 del d.lgs. n. 104 del 2017 e correlative abrogazioni disposte dall'art. 26). A questo riguardo, il ricorso reca, «a titolo di esempio», un lungo elenco di progetti attualmente inseriti negli Allegati II e II-bis, e dunque tra quelli di competenza statale e non piu' regionale. 27.2.- Cio' premesso, la Provincia autonoma ricorrente assume che il decreto legislativo in questione violerebbe anzitutto l'art. 76 Cost., per tardivita' dell'esercizio della delega legislativa da parte del Governo. L'art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015 individuava, infatti, il termine per l'esercizio della delega mediante rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, recependo, in tal modo, le successive modifiche della norma richiamata. A seguito della modifica operata dall'art. 29, comma 1, lettera b), della legge n. 115 del 2015, il richiamato art. 1 della legge n. 234 del 2012 stabilisce che, in relazione alle deleghe legislative conferite con la legge di delegazione europea per il recepimento delle direttive, il Governo debba adottare i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive. Nella specie, il recepimento della direttiva 2014/52/UE sarebbe dovuto avvenire, ai sensi dell'art. 2, paragrafo 1, entro il 16 maggio 2017. Di conseguenza, il Governo avrebbe dovuto esercitare la delega entro il 16 gennaio 2017: termine che non e' stato rispettato, essendo il decreto stato emanato soltanto il 16 giugno 2017. Irrilevante sarebbe la circostanza che nelle note del 16 marzo 2017, con le quali lo schema di decreto legislativo e' stato trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni e alle Camere per l'espressione dei rispettivi pareri, venga indicato come termine per l'esercizio della delega lo stesso 16 marzo 2017, sull'assunto che la legge delega avrebbe fatto rinvio al testo originario dell'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2014, che prevedeva il termine di scadenza di due mesi, anziche' quattro mesi, dal termine di recepimento fissato nella direttiva. Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, si deve presumere che i rinvii contenuti nelle leggi abbiano carattere mobile, anziche' fisso, sicche' la natura recettizia del rinvio deve essere espressa, oppure desumibile da elementi univoci e concludenti (e' citata la sentenza n. 258 del 2014): evenienze che non ricorrerebbero nel caso di specie. La ricorrente rileva, per altro verso, che - in assenza di una chiara previsione di "cedevolezza" della normativa statale - le disposizioni contenute nel decreto legislativo impugnato hanno indubbie ripercussioni sulla legislazione gia' vigente nella Provincia autonoma di Bolzano nelle materie di sua competenza indicate piu' avanti nel ricorso, incidendo, quindi, sulla disciplina di rango costituzionale e statutario del riparto di competenze tra lo Stato e la Provincia: con la conseguenza che quest'ultima deve ritenersi legittimata a far valere il vizio di eccesso di delega legislativa, che pure esula dalla disciplina del riparto. 27.3.- Il decreto legislativo violerebbe l'art. 76 Cost., anche sotto il profilo del mancato rispetto dei principi e criteri stabiliti nella legge di delega. Non sarebbero stati rispettati, infatti, ne' i principi generali per l'attuazione delle direttive dell'Unione europea, tra cui, principalmente, il divieto di aggravare i livelli di regolazione rispetto a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse (art. 32, comma l, lettera c, della legge n. 234 del 2012), ne' i principi specifici indicati dall'art. 14 della legge n. 114 del 2015, riconducibili essenzialmente ai concetti di semplificazione e coordinamento con altre procedure del settore dell'ambiente, nonche' di miglioramento della qualita' del procedimento («regolamentazione intelligente»), e, in ultima analisi, di maggiore efficienza. Il decreto legislativo censurato avrebbe spostato, in effetti, pressoche' in blocco le competenze dalle Regioni allo Stato, andando cosi' ben oltre non solo i principi della delega, ma anche la stessa direttiva 2014/52/UE, la quale non potrebbe disporre un simile spostamento di competenze nell'ordinamento interno degli Stati membri e che neppure, peraltro, lo imporrebbe. Risulterebbe violato, inoltre, il disposto dell'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012 (richiamato dall'art. 1, comma 1, della legge delega n. 114 del 2015), in forza del quale, quando si verifichino sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse, i decreti legislativi debbono individuare, «attraverso le piu' opportune forme di coordinamento, rispettando i principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali, le procedure per salvaguardare l'unitarieta' dei processi decisionali, la trasparenza, la celerita', l'efficacia e l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara individuazione dei soggetti responsabili». Nel procedimento di adozione del decreto legislativo, il principio di leale collaborazione non e' stato, per converso, rispettato. Il Governo non si e', infatti, adeguato ai rilievi ne' ha cercato un'intesa, benche' vi fosse tenuto in forza dell'intreccio di materie di competenza dello Stato e delle Province autonome: cio', in conformita' alla piu' recente giurisprudenza della Corte costituzionale, che in simile situazione subordina alle intese l'esercizio da parte del Governo della funzione legislativa delegata, diversamente dalla funzione legislativa esercitata dal Parlamento (e' citata la sentenza n. 251 del 2016). Non sarebbe stato rispettato, per altro verso, neppure il principio di sussidiarieta', con conseguente violazione dell'art. 118 Cost., cosi' come sarebbero state violate le regole che disciplinano la chiamata in sussidiarieta'. 27.4.- La nuova normativa statale inciderebbe, altresi', in ambiti di materia che, in forza del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), sono attribuiti alla potesta' legislativa, nonche' alla corrispondente potesta' regolamentare ed amministrativa delle Province autonome: potesta' che da tempo sono state anche effettivamente esercitate. Lo statuto speciale - in combinato disposto con l'art. 117 Cost. e con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 - attribuisce, infatti, alle Province autonome in via esclusiva la potesta' legislativa in un'ampia gamma di materie, quali «tutela e conservazione del patrimonio storico, artistico e popolare», «urbanistica e piani regolatori», «tutela del paesaggio», «porti lacuali», «opere di prevenzione e di pronto soccorso per calamita' naturali» e, in altri termini, «protezione civile», «alpicoltura e parchi per la protezione della flora e della fauna», «viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale», «comunicazioni e trasporti di interesse provinciale», «turismo e industria alberghiera», «agricoltura, foreste e corpo forestale», «artigianato», «opere idrauliche» (art. 8, numeri 3, 5, 6, 9, 11, 13, 16, 17, 18, 20, 21, 24) e «commercio» (art. 9, n. 3). Attribuisce, altresi', alle Province autonome la potesta' legislativa concorrente nella materia «igiene e sanita'» - riqualificata come piu' ampia «tutela della salute» alla luce dell'art. 117, terzo comma, Cost., in combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 - e nella materia «utilizzazione delle acque pubbliche» (art. 9, numeri 9 e 10). In tutte tali materie le Province autonome esercitano anche le correlate potesta' amministrative (art. 16). Sul piano organizzativo - e, dunque, in un ambito comune alle varie materie ora elencate - alle Province autonome competono, altresi', per statuto la funzione normativa e quella amministrativa in materia di «ordinamento degli uffici e del personale» (artt. 8, numero 1, e 16), nell'esercizio della quale sono stati disciplinati anche i procedimenti amministrativi. L'assegnazione delle predette potesta' e' operata dalle rispettive norme di attuazione statutaria. Al riguardo, assumerebbe particolare rilievo il d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), che trasferisce e delega alle Province le funzioni dello Stato in materia di utilizzazione delle acque pubbliche, di opere idrauliche, di opere di prevenzione e pronto soccorso per calamita' pubbliche, di viabilita', acquedotti e lavori pubblici. L'art. 19-bis del citato decreto - aggiunto dall'art. 8 del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463 - riconosce, infatti, espressamente alle Province autonome la competenza in materia di VIA nell'esercizio delle funzioni delegate: dal che si desumerebbe che a maggior ragione le Province debbono ritenersi titolari di tale competenza nelle materie proprie. Inoltre, gia' secondo la normativa di attuazione statutaria del 1987 (d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526), alle Province autonome e' attribuito il potere di dare diretta attuazione alle direttive europee nelle materie di competenza esclusiva: potere esteso nel 1989, con legge ordinaria, anche alle materie di competenza concorrente (art. 9, commi 1 e 2, della legge 9 marzo 1989, n. 86, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari») e indi elevato, nel 2001, con norma di rango costituzionale, a principio fondamentale dell'ordinamento della Repubblica (art. 117, quinto comma, Cost., come modificato dalla legge cost. n. 3 del 2001). Sarebbe assodato, d'altro canto - alla luce del disposto dell'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 - che il sistema normativo e organizzativo fondato sullo statuto speciale continui ad operare anche dopo la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, trattandosi di riforma che non restringe la sfera di autonomia gia' spettante alle Province autonome, ma puo' solo ampliarla. In questa prospettiva, questa Corte ha recente affermato - con particolare riguardo al servizio idrico - che il sistema delle attribuzioni provinciali «non e' stato sostituito dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell'ambiente» (sentenza n. 51 del 2016). 27.5.- Analogamente, per quanto attiene alla disciplina del potere sostitutivo, non vi potrebbero essere disposizioni, specie di legge ordinaria, peggiorative rispetto all'assetto costituzionale e statutario anteriore alla riforma del 2001. Questa Corte ha avuto modo, in particolare, di chiarire che solo per le materie di nuova acquisizione da parte delle Province autonome la disciplina del potere sostitutivo statale e' demandata a nuova normativa di attuazione statutaria, mentre per le materie gia' attribuite dallo statuto rimangono ferme le previgenti norme di attuazione, e dunque anche l'art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987 (e' citata la sentenza n. 236 del 2004). Specifiche norme di attuazione statutaria - e, in particolare, l'art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche' la potesta' statale di indirizzo e coordinamento) - prevedono, inoltre, che la legislazione regionale e provinciale deve essere adeguata unicamente ai principi e norme costituenti, limiti indicati dagli artt. 4 e 5 dello statuto, recati da atto legislativo dello Stato, entro i sei mesi successivi alla pubblicazione dell'atto medesimo nella Gazzetta Ufficiale o nel piu' ampio termine da esso stabilito e che, nel frattempo, restano applicabili le disposizioni legislative regionali e provinciali preesistenti. Si tratta di previsione di «rango parastatutario» e, comunque sia, sovraordinato alla legislazione ordinaria, alla quale la giurisprudenza costituzionale ha costantemente riconosciuto valore di parametro costituzionale nel giudizio in via principale (sono citate le sentenze n. 191 del 2017, n. 380 del 1997 e n. 356 del 1994). Secondo quanto chiarito dalla Corte costituzionale (e' citata la sentenza n. 380 del 1997), la citata disposizione statutaria vieta al legislatore statale - salvo che negli ambiti in cui il comma 4 del medesimo art. 2 fa salva l'immediata applicabilita' delle leggi statali (leggi costituzionali e atti legislativi nelle materie in cui alla Provincia e' attribuita delega di funzioni statali o potesta' legislativa integrativa) - di riconoscere alle norme da esso dettate nelle materie di competenza provinciale immediata e diretta applicabilita', prevalente su quella della legislazione provinciale preesistente. Le norme di attuazione garantiscono, in tal modo, alla Provincia uno spazio temporale per procedere all'adeguamento della propria legislazione ai vincoli che, in forza dello statuto, discendano dalle nuove leggi statali. Cio' comporterebbe l'illegittimita' dell'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, in forza del quale le Province autonome debbono adeguare la loro disciplina in materia di VIA entro il termine perentorio di centoventi giorni dall'entrata in vigore del medesimo decreto. Nell'esercizio delle potesta' statutarie, la Provincia autonoma di Bolzano ha provveduto a disciplinare con proprie leggi e regolamenti anche la procedura di VIA (legge della Provincia autonoma di Bolzano 5 aprile 2007, n. 2, recante «Valutazione ambientale per piani e progetti»; decreto del Presidente della Giunta provinciale 26 marzo 1999, n. 15, recante «Regolamento relativo alla valutazione dell'impatto ambientale»; decreto del Presidente della Provincia 7 agosto 2002, n. 27, recante «Modifica dell'Allegato II della legge provinciale 24 luglio 1998, n. 7, "Valutazione dell'impatto ambientale"»). E', inoltre, attualmente in trattazione presso il Consiglio provinciali il disegno di legge provinciale n. 135/17-XV, recante «Valutazione ambientale per piani e progetti», finalizzato a dare attuazione a plurime direttive europee. Sarebbe, pertanto, evidente come la disciplina statale in questione leda l'assetto statutario, costituendo esercizio della funzione legislativa dello Stato nelle materie di loro competenza. Cio', anche perche' essa non prevede una adeguata formula di "cedevolezza", come e' richiesto per i provvedimenti sostitutivi (art. 41, in relazione all'art. 40, comma 3, della legge n. 234 del 2012), limitandosi ad operare solo «un blando rinvio al predetto articolo 41, in relazione ai poteri sostitutivi dello Stato». La normativa recata dal decreto legislativo censurato non potrebbe determinare neppure l'abrogazione, decorso un certo termine, della preesistente normativa della Provincia autonoma ricorrente, dovendo quest'ultima essere, nel caso di mancato adeguamento ai nuovi vincoli, eventualmente impugnata dal Governo davanti alla Corte costituzionale, secondo quanto previsto dall'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 266 del 1992: laddove invece, ai sensi dell'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, la "inidoneita'" delle disposizioni previgenti della Provincia autonoma legittimerebbe tout court l'esercizio dei poteri sostitutivi statali, con conseguente abrogazione delle norme preesistenti. 27.6.- Nel confronto con la direttiva 2014/52/UE, il decreto legislativo in questione violerebbe anche con il «principio di legalita', in relazione ai vincoli derivanti dall'Unione europea (art. 117, primo comma, Cost.)». Il decreto legislativo e', infatti, «un atto governativo ed incontra i limiti imposti dalla legge, in senso formale, come atto parlamentare che lo autorizza, nonche' dalla direttiva che attua»: sicche' «non puo' legittimamente vincolare le autonomie territoriali al di la' di quanto discende dagli obblighi derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea». 27.7.- Le disposizioni censurate violerebbero, altresi', il principio di ragionevolezza, e quindi gli artt. 3 e 97 Cost., non essendo giustificato uno spostamento cosi' massiccio di competenze dalle Regioni allo Stato in funzione di un miglioramento della qualita' del procedimento, della semplificazione e della maggiore efficienza. Non si comprenderebbe, infatti, come una gestione accentrata e unitaria a livello statale possa essere piu' efficiente di una decentrata e diversificate nelle varie autonomie territoriali. Anche la violazione del principio di ragionevolezza verrebbe ad incidere sulla preesistente normativa di attuazione delle direttive europee adottata dalla Provincia ricorrente, di cui il d.lgs. n. 266 del 1992 garantisce la continuita', riflettendosi quindi sulla disciplina costituzionale e statutaria di riparto delle competenze tra lo Stato e le Province autonome. Da ultimo, risulterebbe violato anche l'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, che esclude, in via generale, che la legge possa attribuire ad organi statali l'esercizio di funzioni amministrative nelle materie di competenza statutaria. 27.8.- Per la ricorrente sarebbero illegittime, in subordine, alcune disposizioni del d.lgs. n. 104 del 2017, ove applicabili alle province autonome: l'art. 8 che sostituisce l'art. 19 del d.lgs. n. 152 del 2006; l'art. 16, comma l, che sostituisce l'art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto non prevede un coinvolgimento delle province autonome; l'art. 16, comma 2, che introduce l'art. 27-bis nel d.lgs. n. 152 del 2006; l'art. 24 che modifica l'art. 14 della legge n. 241 del 1990. Per effetto del richiamo agli artt. da «19 a 26 e da 27-bis a 29», contenuto nel comma 7 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, sarebbero lesive delle competenze provinciali le norme che definiscono regole di procedimento «di estremo dettaglio e termini perentori», sia per il procedimento di verifica di assoggettabilita' a VIA di competenza regionale (art. 19 del d.lgs. n. 152 del 2006, come introdotto dall'art. 8 del d.lgs. n. 104 del 2017), sia per il procedimento finalizzato al rilascio del provvedimento autorizzatorio unico regionale (art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, come introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017). Il carattere di estremo dettaglio delle disposizioni statali sarebbe irragionevole e sproporzionato, in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., rispetto allo scopo della semplificazione procedimentale. Le disposizioni sul provvedimento autorizzatorio unico regionale ed il relativo procedimento di VIA di competenza regionale, lasciando alle Province autonome soltanto la disciplina delle forme e delle modalita' di consultazione del pubblico (art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, come introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017), nonche' la definizione a livello statale della disciplina procedimentale con norme di dettaglio, si porrebbero in contrasto con norme statutarie sulla potesta' legislativa e amministrativa in materia di ordinamento degli uffici e del personale (art. 8, n. 1, e art. 16 dello statuto speciale). 27.9.- La ricorrente dubita, inoltre, della legittimita' costituzionale dell'art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, che, nell'ambito della disciplina del procedimento amministrativo per la VIA di competenza regionale, prevedrebbe il ricorso alla Conferenza di servizi con modalita' sincrona. Tale disposto, se riferito anche alle Province autonome, sarebbe costituzionalmente illegittimo per contrasto con la competenza in materia di ordinamento degli uffici, considerato che la disposizione statale modificherebbe l'art. 29 della legge n. 241 del 1990, la quale conterrebbe una disposizione di salvaguardia dell'autonomia speciale. La disciplina del procedimento per l'adozione del provvedimento unico in materia ambientale di competenza statale (art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006, come introdotto dall'art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017) sarebbe illegittima perche' non prevedrebbe alcuna forma di collaborazione con le Regioni e le Province autonome, contrastando con quanto richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte (richiamata la sentenza n. 303 del 2003), quando lo Stato attragga in sussidiarieta' funzioni amministrative anche in materie che ricadono negli ambiti di competenza concorrente o residuale delle Regioni e delle Province autonome (ai sensi dell'art. 117, commi terzo e quarto, Cost., in combinato con l'art. 10 legge cost. n. 3 del 2001 e dello statuto speciale). 27.10.- La forma di partecipazione prevista (nuovo art. 27, commi 4 e 5) sarebbe «debole», in quanto la posizione della ricorrente resterebbe assorbita da quella prevalente della Conferenza di servizi (art. 14-ter della legge n. 241 del 1990, richiamato nel comma 8 del nuovo art. 27), in assenza di rimedi specifici per le amministrazioni dissenzienti nella stessa legge organica sul procedimento amministrativo (art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990). La ricorrente censura le predette disposizioni, anche considerato che non risultano accolte le richieste formulate dalla Provincia autonoma di Bolzano in sede di espressione del preventivo parere prescritto della Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 4 maggio 2017, con cui si chiedeva di sopprimere i riferimenti espressi alle Province autonome contenuti nello schema di decreto legislativo e di integrarlo con una apposita disposizione di salvaguardia delle norme statutarie e di attuazione statutaria, anche con riferimento al previsto potere sostitutivo statale per il caso di inattivita' nel recepimento delle direttive UE. Le disposizioni impugnate, introducendo, verosimilmente anche con riferimento alla Provincia autonoma di Bolzano, una disciplina vincolante in materie in cui la stessa ha potesta' legislativa, regolamentare ed amministrativa proprie, che la ricorrente avrebbe gia' esercitato, comprimerebbero illegittimamente le prerogative riconosciute alla stessa. 28.- Si e' costituito, con atto depositato il 20 ottobre 2017, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato. 28.1.- Quanto alla censura di violazione dell'art. 76 Cost., per tardivita' dell'esercizio della delega legislativa, essa risulterebbe inammissibile, stante la mancata corrispondenza tra il rilievo formulato (che varrebbe a travolgere l'intero decreto legislativo) e il petitum, limitandosi la Provincia ricorrente a richiedere la declaratoria di illegittimita' costituzionale di singole previsioni del decreto stesso. Nel merito, la censura risulterebbe, comunque sia, infondata. La legge di delega n. 114 del 2015 (entrata in vigore il 15 agosto 2015) individua il termine per l'attuazione della direttiva sulla VIA per relationem, ossia mediante rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012. Tale ultima disposizione e' stata, pero', oggetto di modifica ad opera della legge n. 115 del 2015 (entrata in vigore il 18 agosto 2015, e dunque in data successiva alla legge di delega di cui si discute), per effetto della quale il Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi - e non piu' due mesi, come nella versione originaria - antecedenti a quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive. La tesi della ricorrente, secondo la quale quello contenuto nella legge n. 114 del 2015 sarebbe un rinvio mobile, esteso a tutte le modifiche subite dalla fonte richiamata, non potrebbe essere condiviso. Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, i rinvii assumono carattere recettizio non solo ove la norma rinviante li qualifichi espressamente come tali, ma anche quando tale natura sia deducibile da elementi univoci e concludenti: elementi riscontrabili nel caso di specie. In secondo luogo, vi sarebbe almeno un caso nel quale la pretesa di applicare retroattivamente la modifica in discorso, con conseguente abbreviazione del termine, avrebbe prodotto la scadenza di una delega ancora in corso. Cio' sarebbe avvenuto, in specie, con riferimento alla delega per l'attuazione della direttiva 2012/29/UE, non ancora esercitata al momento dell'entrata in vigore della legge n. 115 del 2015. Posto che il termine di recepimento della direttiva era fissato al 16 novembre 2015, opinando nel senso prospettato dalla ricorrente il termine per l'esercizio della delega sarebbe passato dal 16 settembre al 16 luglio 2015, e, dunque, a data addirittura antecedente alla novella di cui alla stessa legge n. 115 del 2015. Effetto, questo, paradossale e illogico, in quanto atto a determinare il venir meno dello stesso potere delegato di attuazione della direttiva, con grave pregiudizio per la tempestivita' che e' richiesta nell'adempimento degli obblighi sovranazionali. Sarebbe palese l'assoluta irragionevolezza di un tale esito, per il quale l'abbreviazione dei termini per l'attuazione delle direttive - verosimilmente disposta per favorirne il pronto recepimento - conseguirebbe un effetto esattamente opposto. Una volta, peraltro, che si sia stabilito il carattere recettizio del rinvio operato dalla delega per l'attuazione della direttiva 2012/29/UE, alla medesima conclusione dovrebbe ovviamente pervenirsi per tutte le deleghe antecedenti all'entrata in vigore della legge n. 115 del 2015, compresa quella di cui si discute, la quale sarebbe stata, pertanto, esercitata entro i termini previsti dalla legge di delegazione. 28.2.- La seconda censura di violazione dell'art. 76 Cost., per mancato rispetto dei principi e criteri direttivi dettati dalla legge di delegazione in tema di semplificazione e coordinamento, risulterebbe parimente inammissibile per la genericita' delle deduzioni della ricorrente, riferite in modo unitario e indifferenziato all'intero decreto legislativo, senza che sia consentito individuare le specifiche legislative della Provincia autonoma che risulterebbero lese. Nel merito, la censura sarebbe infondata per ragioni analoghe a quelle esposte in relazione alla similare questione promossa dalla Regione Puglia (reg. ric. n. 65 del 2017). 28.3.- Anche la terza censura generale, concernente la violazione del principio di leale collaborazione nel procedimento di adozione del decreto legislativo, risulterebbe inammissibile, non essendo indicate le norme del decreto che si assumerebbero lesive delle prerogative statutarie. Nel merito, la censura sarebbe infondata. Premesso che, in quanto "trasversale" e "prevalente", la normativa statale in materia di tutela dell'ambiente si impone integralmente nei confronti delle amministrazioni territoriali, l'Avvocatura generale dello Stato formula considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al ricorso della Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric. n. 63 del 2017), riguardo al fatto che la ricorrente - nel richiamare la sentenza n. 251 del 2016 della Corte costituzionale - avrebbe confuso il paradigma giurisprudenziale dell'«intreccio» di competenze, non pertinente al caso di specie, con quello della semplice «incidenza» delle norme dello Stato su funzioni delle amministrazioni locali, che naturalmente caratterizza le materie "trasversali". Quanto al mancato recepimento delle proposte emendative avanzate dalle Regioni e dalle Province autonome in sede di espressione del parere - peraltro non obbligatorio - della Conferenza Stato-Regioni, l'Avvocatura ribadisce come nella relazione illustrativa dello schema di decreto delegato si dia puntuale conto delle ragioni del loro mancato accoglimento. 28.4.- La quarta censura generale, relativa all'asserito mancato rispetto del principio di sussidiarieta' e delle regole che disciplinano la chiamata in sussidiarieta', sarebbe di nuovo inammissibile per genericita', risultando priva di supporto argomentativo. Nel merito, anche tale censura si baserebbe sull'erroneo presupposto che la disciplina in materia di VIA sia riconducibile a una pluralita' di materie, anche di competenza provinciale, quando essa invece si colloca nella competenza esclusiva dello Stato sulla tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. Andrebbe, dunque, escluso che il legislatore delegato fosse tenuto all'intesa con le Regioni e le Province autonome, in quanto tale modulo procedurale e' richiesto dalla giurisprudenza costituzionale in relazione alla chiamata in sussidiarieta', peraltro con riferimento alle modalita' di esercizio della funzione amministrativa e non al procedimento di formazione dell'atto legislativo. 28.5.- Priva di ogni fondamento sarebbe, poi, la censura di violazione dell'art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974. Tale disposizione prevede che le Province autonome di Trento e di Bolzano applichino la normativa provinciale in materia di VIA in riferimento alle sole funzioni delegate dallo Stato, diverse e ulteriori rispetto a quelle statutariamente garantite, con l'obiettivo di ammettere anche in relazione ad esse la legislazione provinciale. Trattandosi, dunque, di previsione che fonda in capo alla Provincia una competenza legislativa praeter statutum, essa non puo' valere in rapporto a funzioni diverse da quelle alle quali si riferisce. D'altra parte, il d.lgs. n. 104 del 2017 circoscrive gli spazi disponibili al legislatore provinciale in materia di VIA, ma non li azzera, con la conseguenza che l'invocata norma di attuazione risulta comunque sia rispettata. 28.6.- Quanto all'assunto della Provincia ricorrente, secondo il quale le disposizioni impugnate violerebbero la propria competenza a dare immediata attuazione alle direttive europee nelle materie provinciali, sarebbe decisivo, in senso contrario, ancora una volta, il rilievo della sicura riconducibilita' della disciplina della VIA alla competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente e - con riguardo alla regolamentazione del procedimento amministrativo - anche a quella in materia di livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) Affatto inconferente risulterebbe, di conseguenza, il richiamo all'art. 41 della legge n. 234 del 2012, in forza del quale la disciplina statale deve caratterizzarsi come cedevole solo qualora lo Stato abbia esercitato il potere sostitutivo previsto dall'art. 117, quinto comma, Cost.: laddove, invece, nel caso in esame, lo Stato ha inteso attuare la direttiva europea in un ambito di propria esclusiva spettanza. 28.7.- Con riguardo alla questione che investe l'art. 23, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, censurato sul rilievo che la normativa statale non potrebbe determinare l'abrogazione della preesistente normativa della Provincia autonoma, il resistente osserva, in contrario, come la circostanza che la Provincia abbia gia' disciplinato la materia della VIA non impedisca allo Stato di intervenire nuovamente, dettando, in attuazione della direttiva europea e nell'esercizio delle sue competenze esclusive, regole procedimentali vincolanti che consentano l'uniforme svolgimento del procedimento di VIA su tutto il territorio nazionale. Anche a questo proposito, varrebbe altresi' il rilievo che gli spazi rimessi al legislatore provinciale, se pure ridimensionati, non vengono pero' azzerati, potendo le Regioni e le Province autonome intervenire con proprie leggi e regolamenti al fine di disciplinare gli aspetti indicati dall'art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, come introdotto dall'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017. Improprio sarebbe, inoltre, il richiamo della ricorrente alla clausola di salvaguardia prevista dall'art. 35-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, la quale, da un lato, ha ad oggetto tutte le previsioni del codice dell'ambiente, e non solo quelle relative ai procedimenti di VIA; dall'altro, mira a far salve le competenze delle autonomie speciali statutariamente fondate. Essa non sarebbe, dunque, riferibile alla disciplina della VIA, riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato. 28.8.- Quanto alla denunciata violazione, con riferimento alla direttiva 2014/52/UE, del principio di legalita' «in relazione ai vincoli derivanti dall'Unione europea (art. 117, primo comma, Cost.), la censura sarebbe inammissibile, non essendo stati puntualmente individuati ne' il parametro della direttiva violato, ne' la disposizione del decreto legislativo che determinerebbe la violazione. Nel merito, il d.lgs. n. 104 del 2017 risulterebbe, in ogni caso, pienamente conforme alla direttiva e alla legge delega, caratterizzata da principi e criteri direttivi che circoscrivono adeguatamente la materia e gli obiettivi del decreto delegato, dovendosi comunque sia riconoscere al Governo un margine di discrezionalita' tecnica, in difetto del quale non sarebbe neppure piu' utile il ricorso allo schema della delegazione legislativa. 28.9.- Le ulteriori censure generali della Provincia autonoma di Bolzano, intese a denunciare la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., e dell'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, sarebbero inammissibili, non essendo state puntualmente individuate le norme statali oggetto di impugnazione. Le censure riferite agli artt. 3 e 97 Cost., sarebbero altresi' inammissibili per la loro genericita', non avendo la ricorrente precisato quali siano le funzioni amministrative nelle materie di competenza statutaria compresse dalla legislazione statale, ne' le motivazioni che renderebbero irragionevole la riallocazione delle competenze legislative in materia di VIA. Nel merito, le censure risulterebbero infondate per le considerazioni gia' addotte in relazione alla censura intesa a lamentare l'indebito spostamento di competenze dalle Regione e Province autonome allo Stato. Egualmente infondata sarebbe la censura di violazione dell'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992, nella parte in cui vieta di attribuire ad organi statali l'esercizio di funzioni amministrative nelle materie di competenza della Regione o delle Province autonome: ipotesi che non ricorrerebbe nella specie, dal momento che - come piu' volte osservato - la disciplina della VIA ricade nell'ambito della competenza esclusiva dello Stato. 28.10.- Le considerazioni dinanzi esposte varrebbero a dimostrare l'infondatezza anche delle censure riferite singolarmente agli artt. 5, comma 1, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 23, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017. Tali censure sarebbero, prima ancora, inammissibili per la loro genericita', non essendo esattamente individuate le norme dello statuto speciale che sarebbero lese. 28.11.- L'Avvocatura eccepisce altresi' l'inammissibilita' della censura dell'art. 27-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, che contesta la disciplina statale sul provvedimento unico regionale in materia di VIA, nella parte in cui si riferisce genericamente a parametri gia' evocati, senza chiarire con esattezza quali sarebbero le norme statutarie violate in relazione al vizio specifico. Essa sarebbe infondata, anche per la parte riferita alle disposizioni dello statuto speciale relative alla competenza provinciale sulla propria organizzazione interna. Ribadisce l'Avvocatura che la disciplina in tema di VIA rientrerebbe nella competenza esclusiva dello Stato sulla tutela dell'ambiente e, per quanto concerne il procedimento di VIA regionale, in quella, parimenti esclusiva, sui livelli essenziali delle prestazioni. Di conseguenza, non si realizzerebbe alcuna espropriazione delle competenze provinciali. 28.12.- Infondata sarebbe anche la censura dell'art. 16, comma l, che ha modificato l'art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006, introducendo il provvedimento autorizzatorio unico statale, il quale non consentirebbe un idoneo coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome. Non si verificherebbe nel caso di specie una chiamata in sussidiarieta', venendo in considerazione, in materia di VIA, solo competenze statali di tipo esclusivo. Del pari, nessuna violazione del principio di leale collaborazione discenderebbe dal meccanismo delle posizioni prevalenti, previsto come criterio decisionale della conferenza di servizi in modalita' asincrona nel quadro del procedimento autorizzatorio unico statale. Tale modalita', infatti, rappresenterebbe un ragionevole punto di equilibrio tra l'esigenza di garantire la posizione delle amministrazioni che partecipano alla conferenza e quella di assicurare la conclusione entro i termini perentori di un procedimento di competenza dello Stato. 28.12.1.- Infondati sarebbero poi i dubbi formulati dalla Provincia ricorrente a proposito dell'applicabilita' dei rimedi, previsti dalla legge n. 241 del 1990, per le amministrazioni dissenzienti. Osserva la difesa statale che il rinvio dell'art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006 all'art. 14-ter della legge n. 241 del 1990, non escluderebbe il richiamo e il rinvio agli artt. 14-quater e 14-quinquies, che sarebbe implicito. Non si riscontrerebbe alcuna violazione del principio di leale collaborazione nel procedimento unico ambientale di competenza statale, che determinerebbe «un efficiente coordinamento delle amministrazioni statali e locali coinvolte a vario titolo nella realizzazione del progetto», anche attraverso l'applicazione, ove necessario, del rimedio per le amministrazioni dissenzienti (art. 14-quinques). 28.13.- Inammissibile, infine, sarebbe la censura relativa all'art. 24 del d.lgs. n. 104 del 2017, per mancanza assoluta di argomentazioni a sostegno. 29.- La Provincia autonoma di Bolzano ha depositato memoria, insistendo per l'accoglimento del ricorso. 29.1.- La Provincia ritiene infondate le eccezioni di inammissibilita' delle censure di incostituzionalita', per genericita' e carenza di adeguata motivazione, formulate dall'Avvocatura generale dello Stato, rilevando come nel ricorso introduttivo siano stati individuati specificamente i trasferimenti di competenze operati per effetto del decreto legislativo impugnato e le singole norme che si hanno disposti, indicando altresi', con argomentazioni tutt'altro che sintetiche, i diversi profili di illegittimita' in rapporto a una specifica serie di norme sia della Costituzione, sia dello statuto di autonomia e delle relative disposizioni di attuazione. In particolare, nel ricorso introduttivo sarebbero stati individuati specificamente i trasferimenti di competenza operati per effetto del decreto legislativo impugnato 29.2.- Per quanto attiene, poi, alla censura di violazione dell'art. 76 Cost., per tardivita' dell'esercizio della delega legislativa, la censura non sarebbe affatto inammissibile, posto che l'interesse della Provincia e' di quello di far caducare le disposizioni del d.lgs. n. 104 del 2017 invasive delle proprie competenze legislative e amministrative. Nel merito, la Provincia ribadisce che il rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, operato dall'art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015 al fine di individuare il termine per l'esercizio della delega, deve ritenersi di carattere mobile, e dunque comprensivo anche delle modifiche apportate alla norma richiamata dall'art. 29, comma 1, lettera b), della successiva legge n. 115 del 2015. 29.3.- In relazione, poi, alla dedotta violazione dell'art. 76 Cost., per mancato rispetto dei principi di delega, contrariamente a quanto sostenuto dall'Avvocatura generale dello Stato, il massiccio spostamento delle competenze dalle Regioni e Province autonome allo Stato, disposto dal legislatore delegato, non potrebbe ritenersi compreso in alcuno dei criteri fissati dall'art. 14 della legge n. 114 del 2015. Tali competenze statutarie non potrebbero considerarsi circoscritte dalla competenza in materia di ambiente attribuita allo Stato con la legge cost. n. 3 del 2001, la quale, in virtu' del suo art. 10, non ha ristretto lo spazio di autonomia spettanti agli enti ad autonomia differenziata in virtu' dello statuto speciale, come chiarito anche dalla giurisprudenza costituzionale (e' riportata la sentenza n. 212 del 2017). Proprio per questo, la nuova ripartizione delle competenze in materia di VIA, anziche' rispondere al generale principio di delega di cui all'art. 32, comma l, lettera g), della legge n. 234 del 2012, come vorrebbe l'Avvocatura, lo violerebbe in modo evidente. 29.4.- Stante, quindi, la configurabilita' di un intreccio di materie, e non di una semplice «incidenza», sarebbe altrettanto evidente come nel procedimento di adozione del decreto legislativo siano stati violati sia il principio di leale collaborazione - non essendosi il Governo adeguato ai rilievi, ne' avendo cercato un'intesa, benche' vi fosse tenuto - sia il principio di sussidiarieta'. 29.5.- In tale prospettiva, sussisterebbe indubbiamente anche la violazione della norma di attuazione allo Statuto speciale di autonomia di cui all'art. 7 del d.P.R. n. 526 del 1987, ora «consacrata» dall'art. 117, quinto comma, Cost., che riconosce alla ricorrente Provincia il potere di dare immediata attuazione alle direttive dell'Unione europea nelle materie di propria competenza, salvo adeguarsi, nei limiti previsti dallo Statuto speciale di autonomia, alle leggi statali di attuazione dei predetti atti dell'Unione europea. Sarebbe, pertanto, tutt'altro che inconferente il richiamo all'art. 41 della legge n. 234 del 2012, ove si consideri che le disposizioni impugnate vengono a sovrapporsi e a condizionare la disciplina provinciale, recando una disciplina che non ha i caratteri della suppletivita' e della cedevolezza richiesti per la finalita' sostitutiva di cui al predetto articolo. 29.6.- La normativa statale non potrebbe determinare l'abrogazione, neppure tacitamente e in via di fatto, della normativa provinciale preesistente, stante la specifica norma di attuazione statutaria di cui al citato art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. A questo riguardo, la Provincia segnala che, nelle more, e' entrata in vigore la legge provinciale 13 ottobre 2017, n. 17 (Valutazione ambientale per piani, programmi e progetti), con la quale e' stata data attuazione a tre direttive dell'Unione europea, tra cui la direttiva 2011/92/UE, modificata dalla direttiva 2014/52/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, nonche' alla Parte seconda del d.lgs. n. 152 del 2006. Tale legge disciplina i diversi procedimenti di valutazione ambientale a livello provinciale, tenendo conto anche delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 104 del 2017, in discussione, entro i limiti prescritti dall'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. La ricorrente da', peraltro, atto che il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto questioni di legittimita' costituzionale di alcune disposizioni della citata legge provinciale. Considerato in diritto 1.- Con i ricorsi indicati in epigrafe, le Regioni a statuto ordinario Lombardia, Puglia, Abruzzo, Veneto e Calabria, le Regioni a statuto speciale Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, e le due Province autonome di Trento e di Bolzano hanno promosso, in riferimento a plurimi parametri costituzionali e statutari, questioni di legittimita' costituzionale dell'intero decreto legislativo 16 giugno 2017, n. 104 (Attuazione della direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, ai sensi degli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114), o di sue singole disposizioni. Il decreto legislativo impugnato e' stato adottato sulla base della delega legislativa conferita dagli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015, n. 114 (Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2014), al fine di dare attuazione alla direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. Nel conferire al Governo la delega legislativa per l'attuazione della direttiva, il legislatore delegante, per un verso, ha fatto rinvio a talune disposizioni della legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea» (da ora in poi, anche: legge quadro europea), e, per altro verso, ha stabilito specifici principi e criteri direttivi. Sulla base delle norme di delega, il decreto legislativo impugnato ha realizzato un'ampia riforma della disciplina delle procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di verifica di assoggettabilita' a VIA contenuta nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora in poi, anche: cod. ambiente). Le doglianze delle ricorrenti traggono origine dal rilievo che le modifiche operate hanno comportato un riassetto - nel segno di una marcata e, in assunto, illegittima centralizzazione - delle competenze, tanto normative quanto amministrative, dello Stato e delle Regioni nella materia considerata. 2.- In considerazione della identita', anche solo parziale, delle norme impugnate e delle censure proposte, i giudizi devono essere riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con un'unica pronuncia. 3.- Devono essere prioritariamente scrutinate, per ragioni di pregiudizialita' logico-giuridica, le questioni di legittimita' costituzionale dell'intero decreto legislativo, promosse da alcune delle ricorrenti. Queste ultime hanno chiaramente ed esaustivamente indicato le competenze regionali o provinciali asseritamente incise dall'atto impugnato, con cio' assolvendo l'onere di motivare circa la ridondanza del vizio di eccesso di delega sulle loro attribuzioni costituzionalmente garantite. 3.1.- La Regione Puglia e la Provincia autonoma di Trento assumono che il decreto legislativo sarebbe stato adottato in violazione dell'art. 76 della Costituzione (e anche dell'art. 77, secondo la Provincia autonoma di Trento), per tardivo esercizio della delega. Analoga censura, pur se formalmente rivolta ai soli artt. 5, comma 1 - nella parte in cui introduce l'art. 7-bis, commi 2, 3, 7, 8 e 9, nel d.lgs. n. 152 del 2006 -, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 23, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, e' altresi' proposta dalla Provincia autonoma di Bolzano. Le ricorrenti osservano che l'art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015 ha individuato il termine per l'esercizio della delega mediante rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012. Tale disposizione, nel testo vigente al momento dell'entrata in vigore della legge di delega, prevedeva che i decreti legislativi per l'attuazione delle direttive europee dovessero essere adottati entro i due mesi antecedenti il termine di recepimento della direttiva da attuare. La direttiva 2014/52/UE doveva essere recepita entro il 16 maggio 2017 e, pertanto, il termine per l'esercizio della delega sarebbe scaduto il 16 marzo 2017. Successivamente all'entrata in vigore della legge delega, l'art. 29 della legge 29 luglio 2015, n. 115 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2014), ha modificato la disposizione oggetto del rinvio (l'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012), prevedendo che i decreti legislativi di attuazione delle direttive devono essere adottati entro i quattro mesi antecedenti il termine di recepimento della direttiva. Secondo le ricorrenti, il Governo era tenuto al rispetto di questo diverso e piu' ristretto termine. Il rinvio operato dalla legge delega andrebbe inteso, infatti, come rinvio mobile, e non gia' come rinvio fisso o recettizio. Il rinvio fisso potrebbe essere ravvisato - per ripetuta affermazione di questa Corte (e' richiamata, in particolare, la sentenza n. 258 del 2014) - solo in presenza di una volonta' espressa del legislatore, ovvero di elementi «univoci e concludenti», non riscontrabili nella specie. Il termine di esercizio della delega sarebbe scaduto, percio', il 16 gennaio 2017, con conseguente tardivita' del decreto delegato, emanato invece il 16 giugno 2017. 3.1.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha eccepito l'inammissibilita' delle questioni promosse dalla Provincia autonoma di Bolzano, stante la mancata corrispondenza tra le censure (che varrebbero a travolgere l'intero decreto legislativo) e il petitum, limitandosi la Provincia ricorrente a richiedere la declaratoria di illegittimita' costituzionale di singole disposizioni del decreto. L'eccezione non e' fondata. La ricorrente ha ritenuto di impugnare le sole disposizioni che reputa lesive delle proprie competenze costituzionalmente garantite. La circostanza che il vizio lamentato potrebbe determinare, in ipotesi, l'illegittimita' costituzionale non solo delle disposizioni censurate, ma del decreto legislativo nella sua interezza, non vale - contrariamente a quanto sostenuto dal resistente - a rendere dovuta, pena la sua inammissibilita', l'impugnazione dell'intero atto normativo. 3.1.2.- Nel merito, le questioni non sono fondate. L'Avvocatura dello Stato ha correttamente rilevato, infatti, che interpretare quale rinvio mobile il rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012, operato dalla legge delega, si porrebbe in contrasto con il principio generale di irretroattivita' delle leggi di cui all'art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, il quale impone di ritenere che il "nuovo" termine per l'esercizio delle deleghe di attuazione della normativa europea si applica alle sole deleghe legislative conferite successivamente alla modifica del richiamato art. 31, comma 1. Non giova opporre, come fanno invece le ricorrenti, che il principio di irretroattivita' vale solo per le norme sostanziali, mentre nella specie si tratterebbe di una norma procedimentale, soggetta al principio tempus regit actum. Di la' da ogni considerazione sul fatto che la norma che fissa il termine entro cui esercitare la delega non e' meramente procedimentale, perche' determina quel «tempo limitato» (art. 76 Cost.) durante il quale il Governo ha il potere di esercitare in via eccezionale una funzione, quella legislativa, che ordinariamente spetta alle Camere, deve escludersi, salvo espressa indicazione di segno contrario, che la modifica - in senso abbreviativo - del termine per l'esercizio di un potere o di una facolta' possa applicarsi in confronto a poteri e facolta' gia' insorti e rispetto ai quali sta decorrendo il termine originario: il che e' precisamente la situazione del caso di specie, essendo la legge delega entrata in vigore prima della modifica all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012. Una diversa soluzione rischierebbe di produrre, d'altra parte, risultati illogicamente penalizzanti, potendo determinare - in assenza di un'univoca manifestazione in tal senso da parte del titolare della funzione legislativa - il radicale azzeramento del potere del delegato. L'interpretazione del rinvio in esame quale rinvio fisso, d'altronde, e' quella che risponde all'esigenza che il legislatore delegante determini il «tempo limitato» entro cui puo' essere esercitata la delega «in uno qualunque dei modi che consentano di individuare, in via diretta, o anche indirettamente con l'indicazione di un evento futuro ma certo, il momento iniziale e quello finale del termine» (sentenza n. 163 del 1963). Se, infatti, il potere del Governo di esercizio della funzione legislativa ex art. 76 Cost. deve essere temporalmente delimitato dalla legge delega, l'individuazione certa del termine ottenuta attraverso il rinvio ad una disposizione di carattere generale (quale il procedimento, ed i relativi termini, delineato dalla legge n. 234 del 2012) non puo' considerarsi modificata, in mancanza di una espressa volonta' del legislatore delegante, in caso di intervento normativo sulla disposizione oggetto del rinvio. La necessita' che il termine per l'esercizio della delega sia definito, pur se indirettamente determinato, rende obbligata, dunque, l'opzione ermeneutica secondo cui l'art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015 e' disposizione recante un rinvio fisso: cosi' interpretata la norma di delega, infatti, il delegante ha individuato con certezza il «tempo limitato» di cui all'art. 76 Cost., senza, peraltro, che cio' gli impedisca, in un momento successivo, di intervenire espressamente, a delega aperta, per rideterminare, con altrettanta certezza, il momento finale del termine. 3.2.- La Provincia autonoma di Trento (e la Regione Puglia, ma soltanto nella memoria illustrativa, il che rende inammissibile la questione da questa promossa) ritiene che, anche a voler considerare fisso il rinvio di cui all'art. 1, comma 2, della legge n. 114 del 2015, il decreto legislativo sarebbe stato del pari adottato tardivamente. Come si e' gia' visto, infatti, il termine per l'esercizio della delega sarebbe scaduto il 16 marzo 2017. In tale stessa data, il Governo ha trasmesso lo schema di decreto legislativo alle Camere, perche', secondo quanto prescritto dall'art. 1, comma 3, della legge delega, venisse espresso il parere dei competenti organi parlamentari: parere, questo, che doveva essere reso entro quaranta giorni dalla trasmissione (art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012). A opinione del Governo, si sarebbe in tal modo determinata la condizione prevista dal medesimo art. 31, comma 3, per la proroga di tre mesi (id est: dal 16 marzo 2017 al 16 giugno 2017) del termine per l'esercizio della delega: ai sensi del citato art. 31, comma 3, infatti, se il termine per rendere il parere parlamentare cade entro i trenta giorni antecedenti la scadenza dei termini di delega o, come nel caso di specie, successivamente a tale scadenza, quest'ultima e', per l'appunto, prorogata di tre mesi. In ragione di tale slittamento del termine, pertanto, la delega sarebbe stata esercitata tempestivamente, dal momento che il d.lgs n. 104 del 2017 e' stato emanato il 16 giugno 2017 (ed e' alla data di emanazione che, ai sensi dell'art. 14, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell'attivita' di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri», deve farsi riferimento per verificare il rispetto del requisito del «tempo limitato»). La Provincia autonoma di Trento, tuttavia, sostiene che nel caso di specie non poteva trovare applicazione l'art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012, poiche' l'art. 1, comma 2, della legge delega, nell'individuare i termini per il suo esercizio, fa espressamente rinvio al solo comma 1 di tale art. 31, e non anche al successivo comma 3, il quale appunto prevede l'ipotesi della proroga. Il Governo, pertanto, avrebbe potuto esercitare la delega, invariabilmente, entro il 16 marzo 2017 e, conseguentemente, l'emanazione del decreto legislativo sarebbe avvenuta fuori termine. 3.2.1.- La questione non e' fondata. Come e' correttamente rilevato dall'Avvocatura dello Stato, l'art. 1, comma 1, della legge n. 114 del 2015 testualmente delegava il Governo ad esercitare la funzione legislativa «secondo le procedure, i principi e i criteri direttivi di cui agli articoli 31 e 32» della legge n. 234 del 2012. L'espresso richiamo alle procedure non puo' che riferirsi all'intero art. 31 - la cui rubrica precisamente recita «Procedure per l'esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea» - e, dunque, anche al comma 3, il quale, d'altro canto, non fa altro che prescrivere la procedura da seguire per l'acquisizione dei previsti pareri sullo schema di decreto legislativo. Nella memoria illustrativa, la Provincia autonoma di Trento ha escluso la praticabilita' di tale opzione ermeneutica, sostenendo che la fissazione del termine per l'esercizio della delega sarebbe contenuta in una norma speciale, quale sarebbe l'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012. E' sufficiente rilevare, in senso contrario a quanto affermato dalla ricorrente, che la disposizione pone, invece, una norma generale relativa all'individuazione del termine per l'attuazione, tramite decreto legislativo, della normativa europea, come del pari e' generale la norma che prevede, al ricorrere di determinati sviluppi procedimentali nell'esercizio del potere delegato, lo slittamento di detto termine. Ne' varrebbe sostenere - come pure la Provincia autonoma di Trento fa nella memoria illustrativa - che sarebbe contraddittorio attribuire all'art. 1, comma 2, della legge delega ora valore recettizio, nella determinazione del termine per l'esercizio del potere delegato, ora valore mobile, quanto al meccanismo per la sua eventuale proroga. Tale disposizione di delega viene in considerazione, infatti, per la sola individuazione del termine per l'adozione del decreto legislativo, tramite il rinvio fisso all'art. 31, comma 1, della legge n. 234 del 2012; l'applicabilita' delle procedure complessivamente previste dal medesimo art. 31 - ivi compresa, ove ne ricorrano i presupposti procedimentali, l'operativita' della proroga del termine - e' prodotta, invece, dal comma 1 dell'art. 1 della legge delega, a nulla rilevando, dunque, la qualifica di rinvio recettizio da riconoscere al successivo comma 2. E cio', a tacer del fatto che l'art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012, comunque sia, e' ancora oggi vigente nella sua formulazione originaria. 3.3.- La Provincia autonoma di Trento impugna l'intero decreto legislativo anche sotto altro profilo. La ricorrente osserva che l'art. 1, comma 3, della legge delega prevedeva che lo schema di decreto fosse trasmesso alle Commissioni parlamentari «dopo l'acquisizione degli altri pareri previsti dalla legge». Nella specie, quindi, il Governo avrebbe dovuto provvedere a tale trasmissione solo dopo aver acquisito il parere della Conferenza Stato-Regioni, prescritto dall'art. 2, comma 3, del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali), per gli schemi di decreto legislativo «nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome»: materie sicuramente incise dalla nuova disciplina della VIA. Il Governo, invece, ha trasmesso lo schema alla Conferenza Stato-Regioni e alle Commissioni parlamentari, per i rispettivi pareri, lo stesso giorno (16 marzo 2017). Tale espediente sarebbe servito a "lucrare" indebitamente la proroga del termine di esercizio della delega di cui si e' detto, dando luogo, percio', ad un «abuso di procedimento» in violazione dell'art. 76 Cost. e, inoltre, eludendo il termine di recepimento previsto dalla direttiva europea, con conseguente violazione anche dell'art. 117, primo comma, Cost. In subordine, la ricorrente ritiene sia stato altresi' violato il principio di leale collaborazione di cui all'art. 120, secondo comma, Cost., poiche' l'inversione dell'ordine dei pareri avrebbe impedito alle Commissioni parlamentari di prendere cognizione delle posizioni delle Regioni e Province autonome e di esprimersi sulle relative osservazioni. 3.3.1.- Deve essere disattesa, anzitutto, la tesi difensiva dell'Avvocatura dello Stato, secondo la quale, nella specie, non sarebbe stato obbligatorio acquisire il parere della Conferenza Stato-Regioni, posto che - per costante giurisprudenza costituzionale - la disciplina della VIA non rientrerebbe nelle competenze regionali, ma nella materia della tutela dell'ambiente, di competenza statale esclusiva, con conseguente difetto del presupposto di operativita' del citato art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997. Va osservato, infatti, che tale ultima disposizione non puo' essere riferita ai decreti legislativi che intendano invadere competenze regionali esclusive, i quali, ovviamente, sarebbero di per se' costituzionalmente illegittimi. Come ha correttamente osservato la ricorrente, la necessita' di acquisire il parere, obbligatoriamente previsto dall'appena citato decreto legislativo, sussiste, invece, ogni qualvolta lo Stato, esercitando competenze normative proprie in materie di cui all'art. 117, secondo comma, Cost., oppure stabilendo principi fondamentali in materie di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., interferisce con ambiti di competenza regionale. E non puo' esservi dubbio che, a fronte di una materia trasversale quale la «tutela dell'ambiente», per di piu' allorche' si detti la disciplina della VIA, possa determinarsi una interferenza con ambiti di competenza regionale. D'altronde, come attesta la relazione allo schema di decreto legislativo, lo stesso Governo ha inteso come obbligatorio il parere della Conferenza Stato-Regioni. E cio' appare evidentemente assorbire qualsiasi diversa tesi avanzata, in astratto, dall'Avvocatura dello Stato. 3.3.2.- Le questioni sono, comunque sia, non fondate. 3.3.3.- Movendo dalla questione proposta in riferimento all'art. 76 Cost., deve rilevarsi che questa Corte ne ha gia' scrutinato una analoga, del pari promossa in base all'assunto che il decreto legislativo impugnato fosse stato adottato in violazione della scansione procedimentale, in ordine alla richiesta dei pareri, prescritta dalla disposizione di delega, con cio' facendo scattare lo slittamento del termine per l'esercizio della delega, pure allora normativamente previsto. Si e' affermato, in quella occasione, per un verso, che, al fine di rispettare la norma di delega, «[l]'adempimento procedurale imprescindibile» era che le Commissioni parlamentari «rendessero parere dopo avere avuto contezza di quelli espressi» dagli altri organi coinvolti nel procedimento; per un altro, che, le condizioni per l'operativita' della proroga del termine per l'esercizio della delega erano costituite dalla trasmissione della richiesta di parere alle Commissioni parlamentari, dalla circostanza che il termine per rendere tale parere sarebbe scaduto entro il lasso di tempo indicato dalla norma di delega e, infine, dall'essere stato avviato il procedimento anche in relazione agli altri organi coinvolti per volonta' del legislatore delegante, «in modo da permettere a questi ultimi di rendere il parere e di garantirne l'acquisizione da parte delle Commissioni parlamentari entro un tempo in grado di assicurare l'esaurimento del procedimento» (sentenza n. 261 del 2017). L'art. 1, comma 3, della legge n. 114 del 2015, norma interposta nel presente giudizio di legittimita' costituzionale, e' ispirato alla medesima ratio. L'odierna disposizione delegante, infatti, prescrivendo che la trasmissione alle Commissioni parlamentari dello schema di decreto avvenisse una volta acquisiti gli altri pareri previsti dalla legge, ha imposto che tali Commissioni, articolazione interna del soggetto titolare della funzione legislativa, fossero sentite e si esprimessero per ultime sullo schema di decreto, in modo da rendere il proprio parere potendo tenere in considerazione le osservazioni contenute negli «altri pareri previsti dalla legge». Emerge chiaramente, dall'esame degli sviluppi procedimentali successivi alla trasmissione dello schema di decreto legislativo a tutti gli organi chiamati a esprimere parere (avvenuta il 16 marzo 2017, come attestato dagli atti parlamentari), che la ratio della norma di delega e' stata rispettata, poiche' le Commissioni parlamentari hanno reso il proprio parere avendo contezza di quello precedentemente espresso dalla Conferenza Stato-Regioni. Difatti: il 4 maggio 2017 quest'ultima ha reso parere favorevole, con condizioni; le Commissioni VIII (Ambiente) e XIV (Politiche dell'Unione europea) della Camera dei deputati, successivamente alla formale trasmissione del parere della Conferenza Stato-Regioni, hanno espresso il proprio parere, rispettivamente, il 10 maggio e il 17 maggio 2017; infine, la XIII Commissione del Senato della Repubblica (Territorio, ambiente, beni ambientali) ha espresso il proprio parere il 16 maggio 2017, dopo aver ricevuto il parere della Conferenza Stato-Regioni, e, per di piu', aver sentito, nel corso di una audizione informale il 9 maggio 2017, i rappresentanti di detta Conferenza. Va rilevato, a conferma della piena «interlocuzione sullo schema di decreto delegato degli organi chiamati a rendere il parere» (sentenza n. 261 del 2017), come questi ultimi si siano tutti espressi oltre i termini indirettamente prescritti dalla legge delega: la Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997, avrebbe dovuto rendere il parere entro venti giorni dalla trasmissione dello schema di decreto e, dunque, non oltre il 5 aprile 2017; le Commissioni parlamentari, dal canto loro, disponevano, ai sensi dell'art. 31, comma 3, della legge n. 234 del 2012, richiamato dall'art. 1, comma 1, della legge delega, di quaranta giorni, sempre a far data dalla trasmissione, e, pertanto, si sarebbero dovute esprimere non oltre il 25 aprile 2017. Nonostante l'avvenuta decorrenza dei termini, del resto ordinatori, il Governo, invece di procedere con l'adozione del decreto legislativo e con la trasmissione del medesimo al Presidente della Repubblica per la sua emanazione, secondo quanto consentitogli dal richiamato art. 31, comma 3, ha opportunamente deciso di attendere l'espressione dei pareri. Il complessivo procedimento, pertanto, si e' svolto con modalita' che hanno consentito alle Commissioni parlamentari di avere conoscenza - condizione ineludibile, questa, per la legittimita' del procedimento di adozione del decreto legislativo - del parere espresso dalla Conferenza Stato-Regioni. Cio' che, peraltro, e' sufficiente per considerare non fondata la questione, promossa in via subordinata e basata su un'asserita inversione dei pareri, per violazione del principio di leale collaborazione. La circostanza che il procedimento di adozione del decreto legislativo sia avvenuto nel rispetto della ratio della norma di delega, dunque senza l'«abuso di procedimento» denunciato dalla ricorrente, esclude altresi' che la contestuale trasmissione dello schema a Commissioni parlamentari e Conferenza Stato-Regioni sia valsa soltanto a ottenere indebitamente lo slittamento del termine per l'esercizio della delega. Tale slittamento, che ha consentito l'emanazione del decreto legislativo il 16 giugno 2017, si e' verificato, difatti, in ragione della sussistenza delle condizioni previste dalla delega: trasmissione dello schema di decreto alle Commissioni parlamentari entro il termine per l'esercizio del potere delegato; coinvolgimento, entro quel medesimo termine, anche della Conferenza Stato-Regioni; infine, scadenza del termine per rendere il parere da parte degli organi parlamentari in data successiva a quella entro cui si sarebbe dovuto procedere all'emanazione del decreto legislativo. 3.3.4.- Non fondata e', poi, la questione in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost., la cui violazione sarebbe stata in ipotesi determinata dall'emanazione del decreto legislativo oltre il termine per il recepimento della direttiva. E' sufficiente rilevare, in proposito, come il suo accoglimento aggraverebbe il vulnus al parametro costituzionale evocato, poiche' l'annullamento dell'intero decreto legislativo renderebbe lo Stato italiano responsabile per il mancato recepimento della direttiva 2014/52/UE. 3.4.- La Regione Puglia impugna l'intero decreto legislativo, lamentando sia stato adottato in contrasto con il principio di leale collaborazione, in quanto, incidendo la disciplina da esso recata su un intreccio di materie di competenza statale e regionale, la sua adozione avrebbe dovuto essere preceduta dall'intesa con le Regioni, conformemente a quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 251 del 2016. Censure di identico tenore sono svolte da tutte le altre ricorrenti in rapporto non all'intero decreto legislativo, ma a singole disposizioni del decreto impugnato. 3.4.1.- Le ricorrenti ritengono che il principio della previa intesa derivi direttamente dalla Costituzione e debba, pertanto, trovare applicazione anche in assenza di espresse previsioni della legge delega. La Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e la Regione Puglia, inoltre, chiedono a questa Corte - qualora ritenga che l'intesa debba essere prevista a monte dal legislatore delegante - di sollevare innanzi a se' stessa questione di legittimita' costituzionale della legge delega n. 114 del 2015. 3.4.2.- In relazione ad alcuni dei ricorsi, il Presidente del Consiglio dei ministri ha eccepito in via preliminare l'inammissibilita' delle censure, in quanto non precedute dalla tempestiva impugnazione, in parte qua, della legge delega. Impugnazione la cui esperibilita' e', peraltro, contestata dalle ricorrenti nelle memorie illustrative, sull'assunto che i principi e criteri direttivi della legge n. 114 del 2015 non presenterebbero quel tasso di specificita' e concretezza atto a rendere immediatamente percepibile l'invasione delle competenze regionali. 3.4.3.- L'eccezione di inammissibilita' e' fondata. Questa Corte ha gia' affermato che, alla luce dei principi desumibili dalla sentenza n. 251 del 2016, la norma di delega puo' essere impugnata «allo scopo di censurare le modalita' di attuazione della leale collaborazione dalla stessa prevista ed al fine di ottenere che il decreto delegato sia emanato previa intesa» (sentenza n. 261 del 2017). Dall'immediata impugnabilita' della norma di delega, per violazione del principio di leale collaborazione, deriva, per un verso, che «la lesione costituisce effetto diretto ed immediato di un vizio della stessa, non del decreto delegato» e, per un altro, che l'eventuale vizio del decreto delegato e', dunque, meramente riflesso, con la conseguenza che la censura di violazione del principio di leale collaborazione «denuncia in realta' un vizio che concerne direttamente ed immediatamente la norma di delega» (sentenza n. 261 del 2017). La mancata impugnazione della legge delega non puo' essere impropriamente surrogata, per le ragioni anzidette, dalle questioni di legittimita' proposte negli odierni giudizi, le quali, pertanto, vanno dichiarate inammissibili. Tali ultime argomentazioni valgono altresi' a escludere che questa Corte possa prendere in considerazione l'istanza di autorimessione sulla legge delega, proposta dalla Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e dalla Regione Puglia (sentenza n. 261 del 2017). 4.- Al fine di procedere allo scrutinio delle questioni di legittimita' costituzionale promosse avverso le singole disposizioni del decreto legislativo impugnato, e' necessario premettere un esame del contenuto normativo della direttiva 2014/52/UE e della legge delega n. 114 del 2015, nonche' una ricostruzione dell'ambito materiale sul quale interviene il d.lgs. n. 104 del 2017. 5.- Come gia' anticipato, il d.lgs. n. 104 del 2017 ha realizzato un ampio intervento di riforma delle procedure di valutazione di impatto ambientale, gia' puntualmente disciplinate dal cod. ambiente sulla scorta degli impulsi derivanti dal diritto sovranazionale sin dalla direttiva 85/337/CEE del Consiglio del 27 giugno 1985, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati. 5.1.- Si tratta di un settore ove l'intervento europeo si e' manifestato in tutta la sua evidenza, in nome di finalita' e obiettivi che hanno sviluppato in senso progressivo le stesse norme costituzionali, prive, sino alla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, di significativi riferimenti al valore ambientale, se si esclude il cenno al paesaggio di cui all'art. 9 Cost. Come questa Corte ha avuto modo di affermare in una risalente decisione riguardante il "prototipo" della VIA, la normativa interna di recepimento della direttiva 85/337/CEE ha dato, per la prima volta, «riconoscimento specifico alla salvaguardia dell'ambiente come diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettivita'» (sentenza n. 210 del 1987). L'emersione dell'ambiente quale bene giuridico complesso, insieme situazione soggettiva e interesse obiettivo della collettivita', ha reso necessaria la creazione di «istituti giuridici per la sua protezione», nell'ottica di «una concezione unitaria [...] comprensiva di tutte le risorse naturali e culturali» del Paese. In altri termini, l'ambiente esprime valori che «la Costituzione prevede e garantisce (artt. 9 e 32 Cost.), alla stregua dei quali, le [relative] norme di previsione abbisognano di una sempre piu' moderna interpretazione» (sentenza n. 210 del 1987). 5.2.- La VIA ha, dunque, una duplice valenza: istituto comunitariamente necessitato, essa ha rappresentato, sin dalle sue origini, uno strumento per individuare, descrivere e valutare gli effetti di un'attivita' antropica sulle componenti ambientali e, di conseguenza, sulla stessa salute umana, in una prospettiva di sviluppo e garanzia dei valori costituzionali. Descritta dall'art. 5 cod. ambiente, la VIA ha giuridicamente una struttura anfibia: per un verso, conserva una dimensione partecipativa e informativa, volta a coinvolgere e a fare emergere nel procedimento amministrativo i diversi interessi sottesi alla realizzazione di un'opera ad impatto ambientale; per un altro, possiede una funzione autorizzatoria rispetto al singolo progetto esaminato. 5.3.- Il d.lgs. n. 104 del 2017 si inserisce in tale contesto. Esso declina nell'ordinamento italiano le innovazioni apportate dalla direttiva 2014/52/UE che modifica la direttiva 2011/92/UE. 5.3.1.- La novella sovranazionale e' incentrata, anzitutto, sull'obiettivo di migliorare la qualita' della procedura di valutazione dell'impatto ambientale, allineandola ai principi della regolamentazione intelligente, e cioe' della regolazione diretta a semplificare le procedure e a ridurre gli oneri amministrativi implicati nella realizzazione dell'opera. In coerenza con questi obiettivi, la direttiva si propone di promuovere l'integrazione delle valutazioni dell'impatto ambientale nelle procedure nazionali (considerando n. 21), realizzando procedure coordinate e/o comuni nel caso in cui la valutazione risulti contemporaneamente dalla direttiva in oggetto e da altre direttive europee in materia ambientale (considerando n. 37). Essa si preoccupa di potenziare l'accesso del pubblico alle informazioni ambientali anche mediante la pubblicazione del progetto e delle osservazioni in formato elettronico (considerando n. 18) e di prevedere l'eventuale esonero dalle procedure per progetti, o parti di progetti, destinati a scopo di difesa nazionale oppure aventi quale unica finalita' la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile (considerando n. 19 e n. 20). La direttiva, inoltre, impone agli Stati membri di assicurare trasparenza e responsabilita', documentando le proprie decisioni e considerando i risultati delle consultazioni effettuate e delle pertinenti informazioni raccolte, adattando e chiarendo i criteri di selezione per stabilire quali progetti sottoporre a VIA, richiedendo altresi' di precisare il contenuto della determinazione successiva alla verifica di assoggettabilita' a VIA, in particolare in caso non sia richiesta una valutazione dell'impatto (considerando n. 29). Infine, la direttiva invita gli Stati membri a garantire che il processo decisionale si svolga «entro un lasso di tempo ragionevole», in funzione della natura, complessita' e ubicazione del progetto nonche' delle sue dimensioni (considerando n. 36) e a determinare, in piena autonomia, sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive da applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate ai sensi della direttiva (considerando n. 38). 5.3.2.- Questi principi sono stati in parte riprodotti dalla legge delega n. 114 del 2015, la quale ha stabilito, all'art. 14, che il Governo avrebbe dovuto realizzare la «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale anche in relazione al coordinamento e all'integrazione con altre procedure volte al rilascio di pareri e autorizzazioni a carattere ambientale»; rafforzare la «qualita' della procedura di valutazione di impatto ambientale, allineando tale procedura ai principi della regolamentazione intelligente (smart regulation) e della coerenza e delle sinergie con altre normative e politiche europee e nazionali», e revisionare il sistema sanzionatorio «al fine di definire sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive e di consentire una maggiore efficacia nella prevenzione delle violazioni». Nell'intervento di riforma, infine, l'esecutivo avrebbe dovuto prevedere «la destinazione dei proventi derivanti dalle sanzioni amministrative per finalita' connesse al potenziamento delle attivita' di vigilanza, prevenzione e monitoraggio ambientale, alla verifica del rispetto delle condizioni previste nel procedimento di valutazione ambientale, nonche' alla protezione sanitaria della popolazione in caso di incidenti o calamita' naturali». 5.3.3.- In attuazione della delega, e' stato emanato il d.lgs. n. 104 del 2017, impugnato dalle ricorrenti. Tale atto ha riallocato in capo allo Stato alcuni procedimenti in materia di VIA in precedenza assegnati alle Regioni e ha disciplinato nuovamente, nella sua interezza, la procedura di verifica di assoggettabilita' a VIA e la VIA, introducendo altresi' significative innovazioni, quali il provvedimento unico in materia ambientale (facoltativo per i procedimenti di competenza statale, obbligatorio per le Regioni). 6.- Alla luce di tali premesse, emerge ictu oculi come la materia su cui insiste il decreto legislativo impugnato sia riconducibile, in via prevalente, alla competenza esclusiva dello Stato in tema di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema (art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.). Questa Corte ha in piu' occasioni affermato che «[l]'obbligo di sottoporre il progetto alla procedura di VIA o, nei casi previsti, alla preliminare verifica di assoggettabilita' a VIA, rientra nella materia della "tutela ambientale"» altresi' precisando che esso rappresenta «nella disciplina statale, anche in attuazione degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme che si impone sull'intero territorio nazionale, pur nella concorrenza di altre materie di competenza regionale» (sentenze n. 232 del 2017 e n. 215 del 2015; nello stesso senso, le sentenze n. 234 e n. 225 del 2009). 6.1.- La VIA, dunque, rappresenta lo strumento necessario a garantire una tutela unitaria e non frazionata del bene ambiente. Per costante giurisprudenza di questa Corte, la tutela dell'ambiente non e' configurabile «come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacche', al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze». L'ambiente e' un valore «costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia "trasversale", in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando [pero'] allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull'intero territorio nazionale» (sentenza n. 407 del 2002; nello stesso senso, piu' recentemente, le sentenze n. 66 del 2018, n. 218 e n. 212 del 2017, n. 210 del 2016). In tal caso, la disciplina statale nella materia della tutela dell'ambiente «"viene a funzionare come un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza", salva la facolta' di queste ultime di adottare norme di tutela ambientale piu' elevata nell'esercizio di competenze, previste dalla Costituzione, che concorrano con quella dell'ambiente» (sentenza n. 199 del 2014; nello stesso senso, le sentenze n. 246 e n. 145 del 2013, n. 67 del 2010, n. 104 del 2008 e n. 378 del 2007). La trasversalita' della tutela ambientale implica una connaturale intersezione delle competenze regionali, attraversate, per cosi' dire, dalle finalita' di salvaguardia insite nella materia-obiettivo. 6.2.- Quanto appena detto, utile a inquadrare l'ambito materiale interessato dalla disciplina, deve essere ulteriormente specificato con riferimento agli enti ad autonomia differenziata: in relazione a questi ultimi, la competenza esclusiva dello Stato in materia ambientale deve essere necessariamente contemperata con lo spazio di autonomia spettante in virtu' dello statuto speciale (sentenze n. 212 del 2017, n. 51 del 2016, n. 233 del 2013 e n. 357 del 2010). 6.2.1.- Non puo' escludersi che, nel caso di specie, vista la molteplicita' di ambiti materiali toccati dall'intervento statale, comunque funzionalizzato, nel suo insieme, ad offrire una efficace, territorialmente non frazionabile, tutela ambientale, possano venire in rilievo alcune delle competenze disciplinate dagli statuti speciali. Cio' nonostante, va rilevato che tutti gli statuti speciali delle ricorrenti annoverano, tra i limiti alle competenze statutariamente previste, le norme statali di riforma economico-sociale e gli obblighi internazionali (artt. 4 e 8 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige»; art. 2 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, recante «Statuto speciale per la Valle d'Aosta»; art. 4 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1, recante «Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia»; art. 3 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale per la Sardegna»). Con riferimento alle norme fondamentali di riforma economico-sociale, anche recentemente questa Corte ha preteso «dalle regioni speciali (e dalle due province autonome) il rispetto di prescrizioni legislative statali di carattere generale incidenti su materie assoggettate dagli statuti al regime della competenza legislativa piena o primaria» (sentenza n. 229 del 2017). In particolare, il legislatore statale conserva il potere di vincolare la potesta' legislativa primaria della Regione speciale attraverso leggi qualificabili come "riforme economico-sociali": «e cio' anche sulla base [...] del titolo di competenza legislativa nella materia "tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela dei beni ambientali o culturali; con la conseguenza che le norme fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale materia potranno continuare ad imporsi al necessario rispetto [...] degli enti ad autonomia differenziata nell'esercizio delle proprie competenze» (sentenza n. 229 del 2017; nello stesso senso, le sentenze n. 212 del 2017, n. 233 del 2010, n. 164 del 2009, n. 51 del 2006 e n. 536 del 2002). 6.2.2.- Non vi e' dubbio che la normativa censurata puo' essere ascritta a tale categoria: le norme fondamentali di riforma economico-sociale sono tali, infatti, per il loro «contenuto riformatore» e per la loro «attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza» (sentenza n. 229 del 2017). Gli interessi sottesi alla disciplina, che postulano una uniformita' di trattamento sull'intero territorio nazionale (sentenze n. 170 del 2001, n. 477 del 2000 e n. 323 del 1998; da ultimo, anche sentenza n. 229 del 2017), assieme allo stretto rapporto di strumentalita' che, nel caso de quo, le disposizioni intrattengono con il valore ambientale, bene di rango costituzionale che trova proprio nella valutazione di impatto ambientale un imprescindibile strumento di salvaguardia, concorrono a qualificare come norme fondamentali di riforma economico-sociale quelle recate dal decreto legislativo censurato. Con l'ovvia precisazione che quest'ultima e' qualificazione che non puo' essere attribuita, immediatamente ed indistintamente, a tutte le disposizioni di tale decreto legislativo, ma deve essere valutata di volta in volta, alla luce della loro ratio, potendo risultare censurabili «qualora siano eccedenti o comunque incongruenti rispetto alla finalita' complessiva della legge» (sentenza n. 212 del 2017). 6.2.3.- Peraltro, in forza della sua diretta derivazione europea, la normativa censurata deve rispettare anche i relativi vincoli, riconducibili al limite degli obblighi internazionali previsto dagli statuti speciali. 7.- Tutto cio' premesso, possono essere scrutinate le questioni di legittimita' costituzionale promosse nei confronti di singole disposizioni del decreto legislativo. 8.- Per ragioni di pregiudizialita' logico-giuridica, devono essere prioritariamente prese in esame le questioni, promosse in riferimento all'art. 76 Cost., fondate su censure dall'analogo, quando non del tutto identico, tenore argomentativo. Le dieci ricorrenti, infatti, impugnano plurime disposizioni del d.lgs. n. 104 del 2017 lamentando che sono state adottate in eccesso di delega, posto che il profondo riassetto delle competenze, in materia di VIA, tra Stato e Regioni, operato dal legislatore delegato, non troverebbe alcuna base di legittimazione, ne' nella legge di delegazione, ne' nella direttiva europea che il Governo era chiamato ad attuare. In particolare, e' impugnato l'art. 3, che modifica l'art. 6 cod. ambiente, il quale definisce l'oggetto delle procedure di valutazione ambientale strategica (VAS), di VIA, di verifica di assoggettabilita' a VIA e di autorizzazione integrata ambientale (AIA). Alcune ricorrenti (Regione Lombardia, Regione Puglia, Regione Abruzzo, Regione Veneto, Regione autonoma Sardegna e Regione Calabria) si concentrano, piu' nel dettaglio, sull'art. 3, comma 1, lettera g), il quale consente al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, di esonerare dalla procedura di impatto ambientale progetti o parti di progetti aventi quale unico obiettivo la difesa nazionale o la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile, qualora ritenga che l'applicazione della disciplina possa pregiudicare i suddetti obiettivi. Viene censurato anche l'art. 3, comma 1, lettera h), il quale dispone che il Ministro dell'ambiente, in casi eccezionali e previo parere del Ministro dei beni culturali, possa esentare in tutto o in parte un progetto specifico dalla procedura di VIA. Oggetto di ricorso e' anche l'art. 4, il quale novella l'art. 7 cod. ambiente, che - a seguito dello "scorporo" da esso delle disposizioni relative alla VIA (ora allocate nel nuovo art. 7-bis) - regola le competenze in materia di VAS e di AIA. Censurato e' altresi' l'art. 5, il quale, inserendo nel cod. ambiente il sopra richiamato art. 7-bis, ridisegna la distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni in materia di VIA e di verifica di assoggettabilita' a VIA, sul piano tanto normativo quanto amministrativo. In particolare, la nuova disciplina ripartisce i progetti tra lo Stato e le Regioni tramite rinvio agli Allegati (II e II-bis, per la competenza statale, e III e IV, per la competenza regionale), alla Parte seconda cod. ambiente (commi 2 e 3 del nuovo art. 7-bis), imponendo alle Regioni e alle Province autonome di assicurare che le procedure di loro competenza siano svolte in conformita' al medesimo cod. ambiente (come modificato dal d.lgs. n. 104 del 2017), oltre che alla normativa europea. Le ricorrenti considerano poi viziati per eccesso di delega l'art. 12, nella parte in cui sostituisce l'art. 23, comma 4, secondo periodo, cod. ambiente (trasmissione, a tutti gli enti potenzialmente interessati, della documentazione richiesta al proponente ai fini della VIA); l'art. 13, nella parte in cui sostituisce l'art. 24, comma 3, secondo periodo, del medesimo decreto (il quale stabilisce il termine di sessanta giorni per la presentazione di osservazioni e pareri da parte della amministrazioni potenzialmente interessate a fronte di modifiche o integrazioni apportate al progetto ad opera del proponente); l'art. 14, sia nella parte in cui sostituisce l'art. 25, comma 1, primo periodo, cod. ambiente (concernente la valutazione di impatto ambientale compiuta tenendo conto dei pareri degli enti potenzialmente interessati), sia nella parte in cui, sostituendo il contenuto normativo dell'art. 25 del d.lgs. n. 152 del 2006, nei provvedimenti di VIA di competenza statale non richiede piu' il previo parere della Regione interessata. Inoltre, sono censurati gli artt. 8, 14, 16 e 17 del d.lgs. n. 104 del 2017, laddove prevedono il coinvolgimento del Ministro dei beni culturali e non della Regione interessata per gli interventi di VIA statale da realizzare nel territorio regionale. E' impugnato anche l'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, introduttivo dell'art. 27-bis cod. ambiente, il quale disciplina il provvedimento unico regionale. Ai sensi di tale disposizione, nei procedimenti di VIA per i quali e' competente la Regione, il relativo provvedimento, finalizzato al rilascio di tutti i provvedimenti altrimenti denominati, viene rilasciato a seguito di apposita conferenza di servizi convocata in modalita' sincrona ai sensi dell'art. 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). Impugnati, infine, sono l'art. 22, commi 1, 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017, che modifica gli Allegati al cod. ambiente recanti gli elenchi dei progetti di competenza statale o regionale, riallocando in capo allo Stato una significativa aliquota di tipologie progettuali, e l'art. 26, comma 1, lettera a), del medesimo decreto, il quale si limita a disporre le correlative abrogazioni. 8.1.- Ad avviso delle ricorrenti, le disposizioni censurate, che rendono manifesta l'innovativita' del complessivo intervento di riforma, non sarebbero consentite dai principi e criteri direttivi dettati dall'art. 14 della legge delega, inerenti alla «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure di VIA, al rafforzamento della loro qualita', alla revisione e razionalizzazione del sistema sanzionatorio e alla destinazione dei proventi delle sanzioni amministrative. Nessuno di tali criteri, sostengono le ricorrenti, avrebbe autorizzato il legislatore delegato ad intervenire sul riparto delle attribuzioni tra i diversi livelli istituzionali, segnatamente nella direzione di una marcata attrazione delle competenze verso il centro. D'altra parte, a fronte di deleghe al riassetto o al riordino, l'esercizio di poteri innovativi potrebbe ritenersi ammissibile soltanto nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalita' del legislatore delegato (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 50 del 2014, n. 162 e n. 80 del 2012 e n. 293 del 2010). Tanto meno, poi, l'intervento in questione potrebbe trovare fondamento nei principi e criteri direttivi generali della legge quadro europea, richiamati dall'art. 1, comma 1, della legge delega n. 114 del 2015. L'art. 32, comma 1, lettera g), della suddetta legge quadro prevede, al contrario, che, quando si verifichino sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse, debbano essere rispettati i «principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione e le competenze delle regioni e degli altri enti territoriali». La direttiva 2014/52/UE, dal canto suo, non esprimerebbe alcuna opzione in punto di competenza accentrata o decentrata, riconoscendo che gli Stati membri dispongono di varie possibilita' per l'attuazione dei relativi obiettivi. 8.2.- In via preliminare, va respinta l'eccezione di inammissibilita', sollevata dalla difesa statale con riferimento al ricorso della Provincia autonoma di Bolzano, per genericita' delle censure e mancata indicazione delle competenze legislative asseritamente lese dall'intervento normativo in oggetto. I termini delle questioni di legittimita' costituzionale prospettate sono infatti identificati con sufficiente precisione, risultando soddisfatto l'onere, gravante sulla ricorrente, di individuazione delle disposizioni impugnate, dei parametri evocati e delle ragioni delle violazioni lamentate, secondo quanto costantemente richiesto da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 103 del 2018, sentenze n. 247, n. 245 e n. 231 del 2017). 8.3.- Tutte le ricorrenti hanno adeguatamente motivato in ordine alla ridondanza del vizio di eccesso di delega sulle loro competenze, emergendo indiscutibilmente, dai loro ricorsi, quali tra queste sarebbero illegittimamente incise dalle disposizioni impugnate. 8.4.- Le questioni, tuttavia, non sono fondate. 8.4.1.- Deve escludersi, innanzitutto, che la legge n. 114 del 2015 rientri nel novero delle deleghe di mero riassetto o riordino, in ragione delle quali, per costante giurisprudenza di questa Corte, i poteri del legislatore delegato di introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto alla previgente disciplina normativa devono considerarsi circoscritti entro limiti puntuali. Va rilevato, infatti, che i principi e criteri direttivi della odierna delega, di cui si e' gia' detto e sui quali a breve si tornera', necessariamente integrati con le indicazioni recate dalla direttiva europea da attuare, prefiguravano, al contrario, una complessiva riforma - ben oltre, dunque, il mero riassetto privo di innovazioni - di un settore strategico per la tutela ambientale quale e' la VIA. D'altronde, l'attuazione di una direttiva dell'Unione europea, per di piu' modificativa di una precedente, non puo' non implicare l'adozione di misure normative innovative, volte a realizzare, nell'ordinamento interno, le finalita' e agli obiettivi posti a livello europeo. 8.4.2.- Per quel che concerne lo scrutinio del supposto contrasto con i principi e criteri direttivi della delega o con i principi espressi dalla direttiva europea, va ricordato che la giurisprudenza di questa Corte e' costante nell'affermare che «la legge delega, fondamento e limite del potere legislativo delegato, non deve contenere enunciazioni troppo generali o comunque inidonee a indirizzare l'attivita' normativa del legislatore delegato, ma ben puo' essere abbastanza ampia da preservare un margine di discrezionalita', e un corrispondente spazio, entro il quale il Governo possa agevolmente svolgere la propria attivita' di "riempimento" normativo, la quale e' pur sempre esercizio delegato di una funzione "legislativa"» (sentenza n. 104 del 2017). In questo quadro, la valutazione di conformita' del decreto legislativo alla sua legge delega «richiede un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli: l'uno, relativo alle norme che determinano l'oggetto, i principi ed i criteri direttivi indicati dalla delega, da svolgere tenendo conto del complessivo contesto in cui si collocano ed individuando le ragioni e le finalita' poste a fondamento della legge di delegazione; l'altro, relativo alle norme poste dal legislatore delegato, da interpretarsi nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega» (sentenza n. 250 del 2016). Quando si tratti, poi, di dare attuazione, per il mezzo del binomio legge di delega-decreto legislativo, alla normativa europea, si e' affermato, altrettanto costantemente, che «i principi che quest'ultima esprime si aggiungono a quelli dettati dal legislatore nazionale e assumono valore di parametro interposto, potendo autonomamente giustificare l'intervento del legislatore delegato» (sentenze n. 210 del 2015 e n. 134 del 2013; nello stesso senso, la sentenza n. 32 del 2005). 8.4.3.- Nella specie, obiettivo della direttiva - come si e' ampiamente gia' visto - e' quello di migliorare la qualita' della procedura di VIA, allineandola ai principi della «regolamentazione intelligente», diretta a semplificare le procedure e a ridurre gli oneri amministrativi (considerando n. 6), facendo si' che le procedure stesse possano svolgersi entro un lasso di tempo ragionevole (considerando n. 36). La legge delega, in conformita' alla direttiva, ha indicato, in particolare, la semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di VIA, nonche' il rafforzamento della loro qualita', quali principi e criteri direttivi cui doveva dar seguito il Governo. La modifica, posta in essere dalle disposizioni impugnate, della distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni in materia di VIA e dei relativi procedimenti non e' certo estranea alla ratio della delega. Come si spiega nella relazione di accompagnamento allo schema di decreto legislativo trasmesso alle Camere, la strategia adottata si giustifica con l'esigenza di rendere omogenea su tutto il territorio nazionale l'applicazione delle nuove regole, in modo da recepire fedelmente la direttiva, che reca una disciplina piuttosto dettagliata, superando la pregressa situazione di frammentazione e contraddittorieta' della regolamentazione, dovuta alle diversificate discipline regionali: frammentazione cui erano imputabili le criticita' riscontrate nella gestione delle procedure, generatrice anche di una preoccupante dilatazione dei loro tempi di definizione. Vero e' che la "centralizzazione" delle competenze non era specificamente imposta ne' dalla legge delega ne' dalla direttiva - la quale si riferisce genericamente all'«autorita' competente» in materia di VIA, prendendo atto delle diverse possibilita' che gli Stati membri hanno per la sua attuazione - ma la soluzione prescelta dal legislatore delegato e' frutto legittimo dell'esercizio di quel margine di discrezionalita' riconosciuto al Governo per raggiungere gli obiettivi posti dalla direttiva e dalla legge delega. Cio' non significa - ovviamente - che l'odierna conformazione della disciplina in tema di VIA, per il solo fatto di non essere stata adottata in eccesso di delega, sia per cio' solo rispettosa delle competenze regionali costituzionalmente garantite: questa, infatti, e' valutazione di tutt'altro tenore, che va condotta alla stregua di parametri diversi da quelli concernenti la conformita' delle disposizioni impugnate alla delega legislativa. 8.4.4.- Neppure colgono nel segno alcune delle ricorrenti quando sostengono che la disciplina impugnata sarebbe in contrasto, in particolare, con il principio e criterio direttivo di cui all'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012, richiamato dalla legge delega: principio che avrebbe imposto al Governo, nei casi in cui si verifichino «sovrapposizioni di competenze tra amministrazioni diverse», di individuare procedure rispettose dei «principi di sussidiarieta', differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione» e delle «competenze delle regioni e degli altri enti territoriali». Come rilevato dall'Avvocatura generale dello Stato, proprio il richiamo del delegante ai principi di sussidiarieta' e adeguatezza, lungi dal cristallizzare e rendere immodificabile dal legislatore delegato il pregresso assetto di competenze, imponeva al Governo di verificare, alla luce dell'esperienza maturata, se l'assetto stesso fosse conforme ai principi evocati e di eventualmente apportarvi, all'esito, le opportune modificazioni, in quell'ottica di semplificazione e razionalizzazione complessivamente richiesta dalla legge delega. Al riguardo, va anzi osservato come, alla luce dei puntuali rilievi posti in luce nella relazione di accompagnamento dello schema di decreto delegato, fosse evidente che era proprio la consistente varieta' di discipline e sovrapposizioni di competenze ad aver determinato in misura rilevante, oltre ad una incongrua varieta' di disposizioni procedimentali, una consistente e intollerabile dilatazione dei tempi di definizione delle procedure, specie nei casi di maggior complessita' sul versante dell'impatto ambientale. Il che, evidentemente, oltre a compromettere gli opposti obiettivi perseguiti dalla nuova direttiva europea, poneva in discussione anche gli interessi dei vari soggetti coinvolti nelle procedure. 8.4.5.- Infine, sono inammissibili le questioni di legittimita', prospettate dalla sola Provincia autonoma di Bolzano, concernenti la violazione del principio e criterio direttivo dettato dall'art. 32, comma 1, lettera c), della legge n. 234 del 2012. Tale norma, infatti, prevede che gli atti di recepimento delle direttive UE non possono prevedere l'introduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse. La ricorrente, pero', si limita a richiamare il divieto imposto dal legislatore delegante, senza indicare ne' quali sarebbero i livelli minimi di regolazione stabiliti dalla direttiva, ne' per quali ragioni le disposizioni impugnate li avrebbero, in ipotesi, resi piu' gravosi. 9.- Per quanto concerne lo scrutinio delle ulteriori questioni di legittimita' costituzionale, promosse con riferimento ai parametri relativi alla distribuzione costituzionale delle competenze, esso verra' condotto, in ragione delle diverse condizioni di autonomia costituzionalmente garantite, esaminando dapprima quelle promosse dalle Regioni a statuto ordinario e, successivamente, quelle proposte dalle Regioni a statuto speciale. 10.- Le Regioni Lombardia, Puglia, Abruzzo, Veneto e Calabria hanno impugnato l'art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui consente al Ministro dell'ambiente di esonerare dalle procedure di VIA, in tutto o in parte, progetti predisposti per rispondere ad emergenze di protezione civile. Sarebbero violati gli artt. 3, 5, 32, 97, 117, terzo comma, 118 e 120 Cost., con censure in larga parte sovrapponibili. In particolare, le ricorrenti lamentano una compressione delle competenze concorrenti in materia di protezione civile e di tutela della salute. Data la concorrenza di competenze, vi sarebbe una lesione del principio di leale collaborazione, perche' la norma impugnata non avrebbe previsto la necessaria intesa con la Regione sul cui territorio dovrebbe essere realizzato il progetto. Sarebbe violato, poi, l'art. 3 Cost. - in alcuni ricorsi evocato in combinato disposto con l'art. 97 Cost. - per mancanza di proporzionalita' e rispondenza logica rispetto alle finalita' dichiarate dell'intervento normativo. Infine, vi sarebbe violazione dell'art. 118 Cost., sub specie di illegittima compressione delle competenze amministrative affidate alle cure degli enti regionali. La sola Regione Puglia censura anche, in combinato disposto con l'art. 3, comma 1, lettera g), l'art. 18, comma 3, dello stesso decreto legislativo, il quale disciplina la cosiddetta VIA postuma, nella parte in cui autorizza la continuazione dell'attivita' nonostante l'acclarata violazione dei termini di valutazione ambientale, per violazione degli artt. 3, 9, 24 e 97 Cost. In parte qua, il decreto consentirebbe attivita', potenzialmente lesive per l'ambiente, entro un termine non specificato in via legislativa. 10.1.- In via preliminare, va dichiarata l'inammissibilita' delle questioni promosse dalla Regione Puglia, sul combinato disposto di cui sopra, per difetto di motivazione in ordine alla ridondanza dei vizi evocati su proprie competenze, accogliendo, sul punto, l'eccezione avanzata dalla difesa statale. Questa Corte ha costantemente affermato (da ultimo, sentenze n. 78 del 2018, n. 13 del 2017, n. 287, n. 251 e n. 244 del 2016) che le Regioni possono evocare parametri di legittimita' costituzionale diversi da quelli che sovrintendono al riparto di competenze fra Stato e Regioni solo a due condizioni: quando la violazione denunciata sia potenzialmente idonea a riverberarsi sulle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite (sentenze n. 8 del 2013 e n. 199 del 2012) e quando le Regioni ricorrenti abbiano sufficientemente motivato in ordine alla ridondanza della lamentata illegittimita' costituzionale sul riparto di competenze, indicando la specifica competenza che risulterebbe offesa e argomentando adeguatamente in proposito (sentenze n. 65 e n. 29 del 2016, n. 251, n. 189, n. 153, n. 140, n. 89 e n. 13 del 2015). Le questioni prospettate con riferimento all'impugnazione dell'art. 18, comma 3, del d.lgs. n. 104 del 2017 non soddisfano nessuna delle due condizioni, prive come sono di qualsiasi riferimento alla specifica competenza legislativa che si assume violata e risultando impossibile, dunque, individuare la potenziale lesione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite. Di qui l'inammissibilita' delle questioni. 10.2.- Le restanti questioni, sollevate sull'art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017, non sono fondate. La norma impugnata riproduce quanto stabilito dalla disciplina europea, la quale, all'art. 1, paragrafo 3, della direttiva 2011/92/UE, modificata dalla piu' recente direttiva 2014/52/UE, stabilisce che «[g]li Stati membri possono decidere, dopo una valutazione caso per caso e se cosi' disposto dalla normativa nazionale, di non applicare la presente direttiva a progetti, o parti di progetti, aventi quale unico obiettivo la difesa o a progetti aventi quali unico obiettivo la risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile, qualora ritengano che la sua applicazione possa pregiudicare tali obiettivi». Inserendosi nel margine di discrezionalita' lasciato aperto dalla direttiva, la normativa nazionale ha previsto che sia lo Stato a decidere, di volta in volta, se abbassare gli standard di tutela ambientale, laddove necessario a fronteggiare un fatto emergenziale. Non a caso, questa Corte ha gia' affermato che «non e' inibito allo Stato, nell'esercizio di una scelta libera del legislatore nazionale, prevedere in modo non irragionevole l'esclusione della suddetta valutazione di impatto ambientale per opere di particolare rilievo quali quelle destinate alla protezione civile» (sentenza n. 234 del 2009). Di qui la non fondatezza delle censure promosse in relazione agli artt. 3 e 97 Cost. 10.2.1.- L'attribuzione allo Stato del potere di esonero non e' incongruente con la necessita' di garantire l'uniformita' della protezione ambientale. La disposizione impugnata interseca senz'altro la materia della protezione civile, ma prevale, nel caso di specie, la competenza esclusiva di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., stante l'esigenza di garantire uniformemente sul territorio nazionale, pur in ragione di particolari emergenze, i livelli di protezione ambientale. 10.2.2.- Priva di fondamento e' altresi' la censura di violazione del principio di leale collaborazione, principio salvaguardato, a monte, attraverso il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni, chiamata ad esprimere il parere sullo schema di decreto legislativo che annoverava tale norma. Deve essere sottolineato, poi, in linea con quanto sostenuto dall'Avvocatura generale dello Stato, che la leale collaborazione e' salvaguardata anche a "valle" del procedimento amministrativo. La delibera dello stato di emergenza, infatti, viene decisa, dal Consiglio dei ministri previa intesa con la Regione interessata, secondo quanto previsto dall'art. 24 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1 (Codice della protezione civile), che riproduce sul punto quanto stabiliva l'art. 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile). Alla luce di un inquadramento sistematico della norma, ben puo' dirsi che la decisione di esonero dalla VIA dovra' succedere alla decisione di realizzare interventi di protezione civile concertati con gli enti territoriali interessati. 11.- La Regione Veneto ha impugnato anche l'art. 3, comma 1, lettera h), il quale ha sostituito il comma 11 dell'art. 6 del d.lgs. n. 152 del 2006, prevedendo, come si e' gia' visto, che il Ministro dell'ambiente, in casi eccezionali e previo parere del Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, possa esentare in tutto o in parte un progetto specifico dalla procedura di VIA. In tali casi, il Ministero deve esaminare se sia opportuna un'altra forma di valutazione; mette a disposizione del pubblico coinvolto tutte le informazioni raccolte con le eventuali altre forme di valutazione e le ragioni per cui e' stata concessa l'esenzione; informa la Commissione europea dei motivi che giustificano l'esenzione fornendo le informazioni acquisite. Ad avviso della ricorrente sarebbero violati gli artt. 3, 97, 117, terzo comma, 118 Cost. e il principio di leale collaborazione. La disposizione sarebbe irragionevole e porterebbe un vulnus al principio di legalita', perche' consentirebbe al Ministro, a sua discrezione, di privare un progetto della valutazione di impatto ambientale. Essa rappresenterebbe un grimaldello in grado di alterare il sistema di riparto delle competenze esistenti tra Stato e Regione in materia di VIA, senza che sia prevista alcuna forma di partecipazione, decisoria o istruttoria, da parte delle Regioni, con conseguente violazione degli artt. 118 e 120 Cost. 11.1.- Le questioni di legittimita' costituzionale promosse dalla Regione Veneto non sono fondate. La censurata disposizione ricalca il tenore letterale della normativa europea (art. 2, paragrafo 4, direttiva 2011/92/UE, come rivista dalla direttiva 2014/52/UE), ponendo in capo al vertice dell'amministrazione centrale la scelta di derogare ai livelli di tutela ambientale e attribuendo, in modo non irragionevole, allo Stato la responsabilita' politico-amministrativa di esonerare specifici progetti di fronte alla Commissione europea. D'altronde, dal punto di vista interno, questa opzione trova coerente giustificazione nella necessaria uniformita' della protezione ambientale, cosi' evitando un esiziale frazionamento delle esigenze di tutela. La prevalenza della finalita' ambientale consente, anche in questo caso, di respingere le censure relative alla asserita violazione delle competenze regionali. 12.- Le Regioni Lombardia, Abruzzo, Calabria e Veneto impugnano, in forma sostanzialmente cumulativa, gli artt. 5, 22, commi da 1 a 4, e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017. I primi due articoli - come si e' gia' visto - riguardano i criteri di riparto delle competenze tra Stato e Regioni in tema di VIA e di assoggettabilita' a VIA, con rimodulazione contenutistica degli appositi Allegati alla Parte seconda cod. ambiente, e dai quali, in buona sostanza, si desume - rispetto al previgente regime - l'allocazione in capo allo Stato di una non trascurabile quantita' di tipologie progettuali per le quali la VIA e la verifica di relativa assoggettabilita' passano dalla competenza normativa e amministrativa delle Regioni a quella dello Stato. L'art. 26 dispone le corrispondenti e conseguenziali abrogazioni delle previgenti disposizioni, espressamente reputate incompatibili con la nuova disciplina in tema di allocazione delle competenze. 12.1.- Le Regioni ricorrenti lamentano che la nuova disciplina recata dalle disposizioni impugnate violi l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in quanto sarebbero illegittimamente incise le loro competenze ivi previste. Altresi' violato sarebbe l'art. 118 Cost., in quanto risulterebbero ridimensionate le competenze amministrative regionali e quelle gia' conferite dalla Regione agli enti locali, prescindendo da ogni valutazione sull'adeguatezza, o meno, del livello istituzionale coinvolto, con conseguente violazione anche del principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. Le sole Regioni Lombardia e Abruzzo sostengono che l'impugnato art. 5 sia in contrasto anche con l'art. 3 Cost. in quanto, per un verso, sarebbe irragionevole la diversita' di disciplina prevista per la VAS e la VIA, dal momento che per la prima l'art. 7 cod. ambiente, come modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 104 del 2017, ha confermato la competenza legislativa ed amministrativa delle Regioni e delle Province autonome; per un altro verso, risulterebbe del pari irragionevole che, in particolare attraverso i commi 7 e 8 del nuovo art. 7-bis del medesimo codice, risulti preclusa la possibilita' per le Regioni di stabilire livelli di tutela dell'ambiente piu' elevati rispetto alla disciplina statale. 12.2.- Preliminarmente, deve essere rigettata l'eccezione di inammissibilita', per genericita' e carenza di motivazione, delle questioni di legittimita' costituzionale aventi per oggetto gli artt. 22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017. Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, le ricorrenti avrebbero dovuto individuare i progetti la cui sottrazione alla VIA regionale determinerebbe violazione dell'art. 118 Cost., cosi' come avrebbero dovuto adeguatamente motivare circa l'adeguatezza del livello regionale allo svolgimento della relativa funzione amministrativa. I ricorsi passano in analitica rassegna le previsioni novellate dalle quali emerge l'allocazione di funzioni in capo allo Stato: la violazione dell'art. 118 Cost. risiederebbe proprio in tale circostanza, ovverosia nel fatto che vengono ridimensionate le competenze amministrative regionali e quelle a suo tempo conferite, prescindendo da valutazioni sulla adeguatezza o meno del livello istituzionale coinvolto, violando anche il principio di leale collaborazione. Le Regioni, dunque, si assumono lese dalla sottrazione di competenze a lungo esercitate, e tanto basta a ritenere sufficientemente motivate le censure di costituzionalita' in relazione agli evocati parametri costituzionali. 12.3.- Nel merito, le questioni di legittimita' costituzionale proposte in riferimento all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. non sono fondate. Non puo' esservi dubbio, infatti, sulla riconducibilita' delle disposizioni impugnate alla potesta' esclusiva statale in materia di «tutela dell'ambiente» e «dell'ecosistema». Esse modificano, come si e' visto, i criteri di riparto delle competenze tra Stato e Regioni in tema di VIA e di assoggettabilita' a VIA (artt. 5 e 22) e determinano espressamente l'abrogazione delle previgenti disposizioni reputate incompatibili (art. 26). Si tratta, detto altrimenti, del "cuore" della disciplina, poiche' sono precisamente le norme impugnate quelle che - in attuazione degli obiettivi, posti dalla direttiva e dalla delega, di «semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione di impatto ambientale» e di «rafforzamento della qualita' della procedura di valutazione di impatto ambientale» - determinano un tendenziale allineamento dei diversi schemi e modelli procedimentali, assegnando allo Stato l'apprezzamento dell'impatto sulla tutela dell'ambiente dei progetti reputati piu' significativi e, cosi', evitando la polverizzazione e differenziazione delle competenze che caratterizzava il previgente sistema. Fattore, quest'ultimo, che aveva originato sovrapposizione e moltiplicazione di interventi, oltre che normative differenziate le quali, accanto a diluizioni temporali reputate inaccettabili (puntualmente poste in evidenza dal Governo nella relazione illustrativa dello schema di decreto oggi all'esame di questa Corte), inducevano a deprecabili fenomeni di «delocalizzazione dei progetti verso aree geografiche a basso livello di regolazione ambientale». La unitarieta' e allocazione presso lo Stato delle procedure coinvolgenti progetti a maggior impatto ha, dunque, risposto ad una esigenza di razionalizzazione e standardizzazione funzionale all'incremento della qualita' della risposta ai diversi interessi coinvolti, con il correlato obiettivo di realizzare un elevato livello di protezione del bene ambientale. Gli argomenti sinora esposti valgono, altresi', a considerare non fondate le censure proposte in riferimento agli artt. 5, 118 e 120 Cost. 12.4.- In relazione alle questioni di legittimita' costituzionale aventi per oggetto il solo art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017, le Regioni ricorrenti hanno adeguatamente motivato in ordine alla ridondanza su loro competenze della lamentata violazione dell'art. 3 Cost. 12.4.1. - Nel merito, tuttavia, le censure non sono fondate. Non puo' considerarsi irragionevole la scelta del legislatore statale, titolare della competenza esclusiva nella materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema», di predisporre due discipline differenziate per istituti, quali la VIA e la VAS, che, pur essendo entrambi istituti «che valutano in concreto e preventivamente la "sostenibilita' ambientale"» (sentenza n. 225 del 2009), presentano, ad ogni modo, peculiarita' che li mantengono distinti: la VIA, difatti, svolge una funzione autorizzatoria rispetto al singolo progetto ad impatto ambientale, mentre la VAS si inserisce nella funzione di pianificazione, proponendo un esame degli effetti che puo' avere sull'ambiente l'attuazione di previsioni contenute in piani e programmi. La disposizione censurata, a dispetto di quanto sostenuto dalle ricorrenti, non esclude, inoltre, che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano possano, nell'esercizio delle proprie competenze legislative, stabilire livelli di tutela dell'ambiente piu' elevati di quelli previsti dalla normativa statale. Le previsioni di cui ai commi 7 e 8 del nuovo art. 7-bis cod. ambiente, le quali dispongono che le competenze regionali siano esercitate «in conformita'» alla normativa europea e alle disposizioni del medesimo decreto, non sono tali da impedire una normativa regionale che - salva l'inderogabilita', espressamente stabilita, dei termini procedimentali massimi di cui agli artt. 19 e 27-bis dello stesso cod. ambiente - garantisca maggiormente la salvaguardia dell'ambiente. Di qui, pertanto, l'infondatezza, anche sotto questo profilo, delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate in riferimento all'art. 3 Cost. 13.- Le Regioni Lombardia, Abruzzo e Calabria impugnano l'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017, introduttivo dell'art. 27-bis cod. ambiente, il quale disciplina il provvedimento unico regionale, per violazione degli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost. e del principio di leale collaborazione. Ai sensi di tale disposizione, come gia' messo in evidenza, nei procedimenti di VIA per i quali e' competente la Regione, il relativo provvedimento, che comprende tutti i provvedimenti altrimenti denominati necessari alla realizzazione del progetto, viene rilasciato a seguito di apposita conferenza di servizi convocata in modalita' sincrona ai sensi dell'art. 14-ter della legge n. 241 del 1990. Ad avviso delle ricorrenti (in particolare, della Regione Calabria), sarebbe violato il principio di leale collaborazione, perche' lo schema di decreto legislativo inviato alla Conferenza Stato-Regioni sarebbe stato privo della disposizione in esame, cosi' da non rendere edotte le Regioni circa la rilevante innovazione normativa. Sarebbe altresi' violato l'art. 3 Cost.: l'obbligatorieta' del provvedimento unico regionale sarebbe causa di irragionevole disparita' di trattamento rispetto alle procedure di VIA di competenza statale, per le quali non e' previsto il provvedimento unico, salvo specifica richiesta del proponente. Inoltre, il provvedimento unico regionale sarebbe disciplinato da una normativa eccessivamente dettagliata, che non lascerebbe alcuno spazio al legislatore regionale. Secondo la Regione Abruzzo, poi, l'introduzione di un provvedimento unico regionale sarebbe illogica, anche in considerazione del fatto che a livello statale il provvedimento unico non opera d'ufficio, ma su richiesta del proponente. Il procedimento delineato sarebbe altresi' lesivo del principio di buon andamento ex art. 97 Cost., perche' non vi sarebbe alcun coordinamento con altri procedimenti, essendo attribuito ad un'unica autorita', priva di competenze tecniche, il relativo potere amministrativo. Nella sola rubrica del motivo di ricorso, la Regione Calabria indica, quale disposizione impugnata, anche l'art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, che disciplina il provvedimento unico ambientale nei procedimenti di competenza statale, senza tuttavia dedicarvi alcuna argomentazione. La Regione Puglia, infine, contesta la legittimita' costituzionale dell'art. 14 del d.lgs. n. 104 del 2017, nella parte in cui, sostituendo l'art. 25 cod. ambiente, nei provvedimenti di VIA statale non richiede piu' il previo parere della Regione interessata (comma 2). Sarebbe di conseguenza violato il principio di leale collaborazione. 13.1.- In via preliminare, va dichiarata l'inammissibilita' delle questioni, sollevate dalla Regione Calabria, relative all'art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 104 del 2017, perche' le censure sono assolutamente prive di supporto argomentativo. 13.2.- Tutte le ricorrenti, invece, hanno adeguatamente motivato in relazione alla ridondanza del vizio di irragionevolezza e dell'asserita lesione del principio del buon andamento in relazione a loro competenze legislative potenzialmente lese dalla disposizione impugnata. 13.3.- Nel merito, tuttavia, le questioni non sono fondate. L'impugnato art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017 e' perfettamente coerente con la normativa sovranazionale, la quale non solo prevede la semplificazione delle procedure in materia di VIA, ma dispone anche che gli Stati membri prevedano procedure coordinate e comuni, nel caso in cui la valutazione risulti contemporaneamente dalla direttiva 2011/92/UE, come modificata dalla direttiva 2014/52/UE, e dalle altre direttive europee in materia ambientale ad essa collegate. Inoltre, l'art. 1, paragrafo 1), della direttiva 2014/52/UE stabilisce nel dettaglio un iter procedurale che trova sostanziale riproduzione nella disposizione censurata. La disciplina del provvedimento unico regionale, in coerenza con la delega conferita dal Parlamento, e' finalizzata a semplificare, razionalizzare e velocizzare la VIA regionale, nella prospettiva di migliorare l'efficacia dell'azione delle amministrazioni a diverso titolo coinvolte nella realizzazione del progetto. E' appena il caso di notare, peraltro, come la norma censurata non comporti alcun assorbimento dei singoli titoli autorizzatori necessari alla realizzazione dell'opera. Il provvedimento unico non sostituisce i diversi provvedimenti emessi all'esito dei procedimenti amministrativi, di competenza eventualmente anche regionale, che possono interessare la realizzazione del progetto, ma li ricomprende nella determinazione che conclude la conferenza di servizi (comma 7, del nuovo art. 27-bis cod. ambiente, introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017). Esso ha, dunque, una natura per cosi' dire unitaria, includendo in un unico atto i singoli titoli abilitativi emessi a seguito della conferenza di servizi che, come noto, riunisce in unica sede decisoria le diverse amministrazioni competenti. Secondo una ipotesi gia' prevista dal decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il riordino della disciplina in materia di conferenze di servizi, in attuazione dell'articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124) e ora disciplinata dall'art. 24 del decreto legislativo censurato, il provvedimento unico regionale non e' quindi un atto sostitutivo, bensi' comprensivo delle altre autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto. Evidente, allora, la riconducibilita' della disposizione alla competenza esclusiva in materia ambientale, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Per le medesime ragioni, non e' fondata la questione relativa all'art. 97 Cost. Ne' puo' sostenersi che il decreto legislativo censurato abbia realizzato una disparita' di trattamento tra Stato e Regioni, come lamentato dalla Regione Calabria, avendo previsto solo per i procedimenti regionali l'obbligo del provvedimento unico, mentre per i procedimenti di competenza statale spetta al proponente la scelta di avvalersi di tale strumento. Appartiene, infatti, alla discrezionalita' del legislatore statale, nell'esercizio della sua competenza esclusiva, anche in considerazione delle particolari dimensioni e del rilievo dei progetti da autorizzare a se' riservati, la modulazione dell'innovativo procedimento di VIA.