16.3.- A proposito del meccanismo di proroga di cui all'art.  31,
comma 3, della legge n. 234 del 2012, la  lettura  estensiva  offerta
dall'Avvocatura non sarebbe praticabile, in quanto la fissazione  del
termine e' contenuta in una norma speciale,  rappresentata  dal  solo
art. 31, comma 1,  della  citata  legge.  Interpretazione  estensiva,
d'altra  parte,  contraddittoria  rispetto   alla   ritenuta   natura
recettizia del richiamo operato dall'art. 1, comma 2, della legge  di
delega, giacche' allo stesso rinvio  verrebbe  attribuito  un  valore
diverso a due effetti: recettizio, nella misura de termine, e  mobile
quanto alla "procedura" di proroga. 
    16.4.-  Sul  tema  della  acquisizione  dei   pareri,   la   tesi
dell'Avvocatura,  secondo  la  quale  in  tema  di  VIA,  attesa   la
competenza  esclusiva  dello  Stato,  il  parere   della   Conferenza
Stato-Regioni sarebbe non  "obbligatorio  per  legge",  la  Provincia
ricorrente osserva che nella specie non viene in discorso la sentenza
n. 251 del 2016 (ipotesi di intreccio di competenze  non  risolvibile
sul piano della prevalenza, la quale darebbe luogo,  piuttosto,  alla
necessita' della intesa e non del parere), ma la  previsione  dettata
dall'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997,  per  il  quale  il
parere della Conferenza e' obbligatorio nelle materie  di  competenza
delle Regioni o delle Province autonome, conformemente  al  principio
di leale collaborazione, di cui all'art. 120, secondo comma, Cost. La
disposizione indicata si riferirebbe, infatti,  a  tutti  i  casi  di
interferenza tra ambiti competenziali,  come,  dopo  la  riforma  del
Titolo V, della Parte seconda della Costituzione, avviene in tutte le
materie trasversali, quali la disciplina ambientale: in  particolare,
con riferimento alla VIA e alla Valutazione di  incidenza  ambientale
(VINCA), «che condiziona direttamente la regolazione dei procedimenti
amministrativi  regionali  (e  provinciali)  e  le  stesse   funzioni
amministrative esercitate da Regione e Province autonome, nei termini
gia' compiutamente  esposti  nel  ricorso».  Si  conclude  sul  punto
osservando  che  se  il  legislatore  fosse  intervenuto  con   legge
ordinaria non sarebbe stato  necessario  acquisire  il  parere  della
Conferenza per i profili di prevalente competenza statale:  nel  caso
di decreto delegato, il Governo era obbligato ad acquisire il parere. 
    16.5.-  A  proposito  dell'applicazione  della  disciplina  della
proroga del termine per l'esercizio della delega, si ribadisce che la
doglianza si e' concentrata sull'abuso del procedimento, che  avrebbe
ingenerato una proroga artificiosa, e sulla  violazione  dell'obbligo
costituzionale - desumibile dall'art. 117, primo comma,  Cost.  -  di
tempestivo recepimento della direttiva. Ragione per la quale il  caso
di specie sarebbe diverso da quello che e' stato  scrutinato  con  la
sentenza n. 261 del 2017. La disciplina dettata dall'art. 1, comma 3,
della legge  di  delega,  riflettendosi  nei  rapporti  con  l'Unione
europea, prevedeva una  scansione  precisa  che  faceva  scattare  la
proroga solo nel momento in cui mancasse l'ultimo parere  che  veniva
riservato alle Commissioni parlamentari. 
    16.6.- A proposito delle censure relative agli artt. 5, comma  1,
22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 104  del
2017, connesse  al  massiccio  spostamento  in  capo  allo  Stato  di
funzioni provinciali, si contesta l'assunto dell'Avvocatura  relativo
alla  competenza  statale   esclusiva   in   materia,   evocando   la
giurisprudenza costituzionale che avrebbe sempre riconosciuto che  la
Provincia autonoma dispone di funzioni regolatorie  ed  esecutive  in
materia, mentre il dovere di  rispettare  i  limiti  derivanti  dalla
legislazione statale non contrasta con tale competenza,  dal  momento
che anche le potesta' statutarie si imbattono  nei  limiti  tracciati
dagli artt. 4 e 5 dello statuto speciale. Si ribadisce,  al  riguardo
la pertinenza del richiamo al gia' citato art. 19-bis del  d.P.R.  n.
381 del 1974, di attuazione  dello  Statuto  in  tema  di  competenza
provinciale in tema di VIA, circa le funzioni delegate dallo Stato in
materia di opere pubbliche e, quindi, "anche" alle funzioni delegate,
presupponendo che la legislazione provinciale riguardi la VIA,  anche
per cio' che attiene alle materie "proprie" della Provincia autonoma.
Il tutto - afferma la Provincia ricorrente -  sarebbe  asseverato  da
quanto previsto dal novellato art. 13 dello  statuto  speciale,  ove,
nella determinazione delle concessioni in materia di demanio  idrico,
siano  valutati  anche  "gli  aspetti  paesaggistici  e  di   impatto
ambientale". 
    16.7.- Errato sarebbe anche l'assunto secondo il quale  la  nuova
allocazione delle competenze era necessario in  ragione  dell'assetto
delle competenze derivante dalla riforma del Titolo V  della  seconda
parte della Costituzione, dal momento che, per un verso, l'originaria
ripartizione era stata gia' rivista dal d.lgs. n. 152 de 2006 e,  per
altro, simile  linea  sarebbe  stata  «giocata  contro»  le  Province
autonome e dunque contro l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. 
    16.8.-  In  merito  agli  obblighi  di   adeguamento,   stabiliti
dall'impugnato art. 23, comma  4  -  in  contrasto  con  le  garanzie
contenute nell'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992, e con la disciplina
del potere sostitutivo di cui  all'art.  117,  quinto  comma,  e  con
l'art. 120, secondo comma, Cost.,  nonche'  rispetto  alle  norme  di
attuazione dello statuto speciale contenute nell'art. 8 del d.P.R. n.
526 del 1987 - si osserva, a fronte dei rilievi della Avvocatura, che
lo Stato nell'esercitare la propria competenza a norma dell'art. 117,
secondo  coma,  Cost.,  non  puo'  cancellare  i   poteri   normativi
provinciali  previsti  dallo  statuto  e  dalle  relative  norme   di
attuazione; ribadendosi, per il resto,  i  rilievi  gia'  svolti  nel
ricorso. 
    17.- Con ricorso notificato il 4-7 settembre  2017  e  depositato
l'8 settembre 2017 (reg. ric.  69  del  2017),  la  Regione  autonoma
Friuli-Venezia  Giulia  ha   promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 5, comma 1 - nella parte in cui  introduce
i commi 2 e 3 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006  -  12,  13,
comma 1, 14, 22, commi da 1 a 4, e  26,  comma  1,  lettera  a),  del
d.lgs. n. 104 del 2017, deducendo la violazione degli artt. 3, 5, 76,
97, 117, primo, secondo e terzo comma, e  118  Cost.,  nonche'  degli
artt. 4 e 5 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) e  dell'art.  10  della
legge cost. n. 3 del 2001. 
    17.1.- L'impugnato art. 5, introducendo i commi 2 e  3  dell'art.
7-bis del d.lgs. n. 152 del  2006,  opera  un  rinvio  agli  appositi
allegati, ripartiti per progetti sottoposti a VIA  statale,  progetti
sottoposti a verifica  di  assoggettabilita'  VIA  in  sede  statale,
progetti sottoposti a VIA e a verifica di  assoggettabilita'  VIA  in
sede regionale. 
    17.2.- Ad avviso della ricorrente, l'impugnato  art.  22,  a  sua
volta, opera una  modifica  del  contenuto  degli  elenchi  in  senso
"unidirezionale", giacche', attraverso le nuove  classificazioni,  si
determina un sensibile depotenziamento  delle  competenze  regionali,
con contestuale incremento della competenza statale. Gli  spostamenti
all'ambito  rimesso   all'attivita'   amministrativa   statale   sono
completati attraverso l'abrogazione della  precedente  disciplina  da
parte del censurato art. 26 del d.lgs. n. 104 del 2017. 
    La contestata  riduzione  delle  competenze  dell'amministrazione
regionale determinerebbe un'ulteriore  limitazione  delle  competenze
regionali, definite dagli artt. 4 e 5 dello statuto  di  autonomia  e
dall'art. 117, terzo comma,  Cost.,  venendo  queste  in  rilievo  in
procedimenti  complessi  come  quello  di  valutazione   dell'impatto
ambientale. 
    17.3.- Il censurato art.  12  sostituisce  l'art.  23,  comma  4,
secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, ove si  prevede  che,  a
seguito  della  presentazione  dell'istanza  e  della  sua  eventuale
integrazione, «l'autorita' competente  comunica  contestualmente  per
via telematica  a  tutte  le  Amministrazioni  e  a  tutti  gli  enti
territoriali potenzialmente  interessati  e  comunque  competenti  ad
esprimersi sulla realizzazione del progetto, l'avvenuta pubblicazione
della documentazione nel proprio sito web»; l'art. 13,  comma  1,  ha
riformato l'art. 24, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 152  del
2006, ove si prevede  che  «Entro  il  medesimo  termine  [60  giorni
dall'avviso pubblico di presentazione dell'istanza di VIA,  ai  sensi
del novellato art. 24, comma 1, del decreto legislativo  n.  152  del
2006]  sono   acquisiti   per   via   telematica   i   pareri   delle
Amministrazioni  e  degli  enti  pubblici  che  hanno   ricevuto   la
comunicazione di cui all'art. 23,  comma  4»;  l'impugnato  art.  13,
comma 1, ha riformato l'art. 24, comma 5, secondo periodo, del d.lgs.
n. 152 del 2006,  ove  si  prevede  che,  in  caso  di  richiesta  di
modifiche o integrazioni della documentazione da parte  dell'istante,
«in relazione alle  sole  modifiche  o  integrazioni  apportate  agli
elaborati progettuali e alla documentazione si applica il termine  di
trenta  giorni  per  la  presentazione  delle   osservazioni   e   la
trasmissione dei pareri delle Amministrazioni e degli  enti  pubblici
che hanno ricevuto la comunicazione di cui  all'art.  23,  comma  4»;
ancora, l'impugnato art. 14 ha modificato l'art. 25, comma  1,  primo
periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006, in base al quale  «[l]'autorita'
competente valuta la  documentazione  acquisita  tenendo  debitamente
conto  dello  studio   di   impatto   ambientale,   delle   eventuali
informazioni  supplementari  fornite  dal  proponente,  nonche',  dei
risultati delle consultazioni svolte, delle informazioni  raccolte  e
delle osservazioni e dei pareri ricevuti a norma degli articoli 24  e
32». 
    17.3.1.- Il profilo di lesione emergerebbe dal raffronto  con  la
precedente formulazione dell'art. 25, comma 2, del d.lgs. n. 152  del
2006:  «l'autorita'  competente  acquisisce   e   valuta   tutta   la
documentazione presentata, le osservazioni, obiezioni e  suggerimenti
inoltrati ai sensi dell'art. 24, nonche', nel caso  dei  progetti  di
competenza dello Stato,  il  parere  delle  regioni  interessate  che
dovra' essere reso entro novanta giorni dalla  presentazione  di  cui
all'art. 23, comma l». 
    Nella precedente  formulazione  il  ruolo  regionale  nella  «VIA
statale» sarebbe  stabilito  «in  maniera  esplicita»,  fugando  ogni
dubbio sulla necessaria consultazione delle Regioni nel  procedimento
stesso; la nuova formulazione, invece, ridurrebbe simile garanzia  di
partecipazione procedimentale, atteso che le  disposizioni  impugnate
farebbero riferimento soltanto alle «Amministrazioni»  e  agli  «enti
territoriali  potenzialmente  interessati»  alla  realizzazione   del
progetto. 
    Per la ricorrente,  l'amministrazione  statale  competente,  alla
quale  verrebbe  affidato,  senza  la   determinazione   di   criteri
valutativi, l'apprezzamento di quali siano tali «Amministrazioni»  ed
«enti», potrebbe opinare  la  mancata  competenza  della  Regione  in
proposito, con la conseguenza che la essa sarebbe «messa di fronte al
fatto compiuto», anche dopo la scadenza dei  termini  utili  per  far
valere le proprie ragioni in sede giurisdizionale. 
    Ad avviso della Regione autonoma, le menzionate disposizioni  non
avrebbero  adeguatamente  recepito  la   direttiva   2014/52/UE;   al
contrario, ne avrebbero violato l'art. 6, paragrafo 1, lettera a). 
    Il d.lgs. n. 104 del 2017 non avrebbe rispettato i criteri  della
legge di delega n. 114 del 2015, espressi dagli artt. 1 e 14 e  dagli
artt. 31 e 32 della legge n.  234  del  2012,  in  quanto  richiamati
dall'art. 1 della legge delega stessa,  nonche'  dalla  direttiva  da
recepire (atteso che,  per  costante  giurisprudenza  costituzionale,
«nel caso di delega per l'attuazione di una direttiva comunitaria,  i
principi che quest'ultima esprime si aggiungono a quelli dettati  dal
legislatore nazionale e assumono valore di parametro  interposto»  in
riferimento all'art. 76 Cost.; sono richiamate le sentenze n. 250 del
2016 e n. 210 del 2015). 
    Per la ricorrente il dato normativo di riferimento, rappresentato
dal richiamato art.  6,  paragrafo  1,  della  direttiva  2014/52/UE,
imporrebbe  la  consultazione  delle   amministrazioni   territoriali
competenti sul  territorio  sul  quale  si  riverberano  gli  effetti
ambientali dell'intervento sottoposto a VIA. Per la Regione  autonoma
la disposizione della direttiva  richiederebbe  la  consultazione  di
ogni  amministrazione  che  risponda  al   criterio   di   competenza
«funzionale» (responsabilita' in materia di ambiente) o  territoriale
(«competenze locali o regionali»). Sarebbe pertanto  sufficiente  che
un'amministrazione avesse una  sola  di  queste  caratteristiche  per
entrare nell'ambito d'applicazione della norma, sicche' l'istruttoria
non potrebbe considerarsi  completa  se  l'autorita'  statale  avesse
consultato  solamente  un'amministrazione  che   ha   responsabilita'
ambientali «o» una che ne ha di territoriali. 
    Per recepire adeguatamente la direttiva, lo Stato avrebbe  dovuto
garantire   la   partecipazione   al   procedimento   di   tutte   le
amministrazioni territoriali (vengono citati gli artt. 7  e  seguenti
della Convenzione sull'accesso alle informazioni,  la  partecipazione
del pubblico ai processi decisionali e l'accesso  alla  giustizia  in
materia ambientale, con due allegati, fatta ad Aahrus  il  25  giugno
1998 e ratificata con legge 16 marzo 2001, n. 108, e  richiamata  nel
considerando  n.  18  della  direttiva  2011/92/UE);   le   impugnate
disposizioni  pertanto  non  avrebbero  adeguatamente   recepito   la
direttiva richiamata, prevedendo genericamente la consultazione degli
enti territoriali interessati. 
    17.3.2.- Risulterebbe evidente  anche  il  vizio  di  eccesso  di
delega, per violazione degli artt. 1 e 14  della  legge  n.  114  del
2015, con conseguente violazione  dell'art.  76  Cost.,  nonche',  la
lesione dei principi di ragionevolezza  e  di  buon  andamento  della
pubblica amministrazione ex  artt.  3  e  97  Cost.,  atteso  che  il
legislatore statale, invece di «designare» in astratto  gli  enti  da
consultare  avrebbe  lasciato  l'amministrazione  statale  procedente
«arbitra dell'intero procedimento»  nel  coinvolgimento  degli  enti,
determinando un  «irragionevole  malfunzionamento»  del  procedimento
stesso. 
    Il vizio di eccesso di delega emergerebbe anche dalla  violazione
dei principi  e  criteri  direttivi  per  l'esercizio  della  delega,
sanciti dall'art. 32, comma 1, lettera g), della  legge  n.  234  del
2012, richiamato dall'art. 1 della citata legge  delega  n.  114  del
2015,  che  indicano  l'individuazione  delle  «opportune  forme   di
coordinamento» procedimentale per  i  casi  di  coinvolgimento  delle
competenze di piu' amministrazioni. 
    Nella  specie  il  procedimento   di   VIA   determinerebbe   una
«sovrapposizione  di  competenze»  tra  amministrazione   statale   e
regionale; ciononostante, in violazione dell'art. 117, secondo comma,
Cost., sarebbe stato negato il  necessario  coinvolgimento  regionale
derivante dall'intreccio delle competenze. 
    Il procedimento di VIA avrebbe ad oggetto la  localizzazione,  la
realizzazione e la successiva gestione di interventi di  rilievo  per
l'ambiente, le  comunita'  locali,  il  loro  sviluppo  e  la  salute
pubblica. Si tratterebbe di procedimenti che concernono  la  gestione
tanto dei beni ambientali quanto delle altre risorse socio-economiche
di un territorio. In simile contesto, il procedimento inciderebbe  su
numerose competenze che lo statuto di autonomia e l'art.  117,  comma
3, Cost., attribuiscono alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e
in particolare: le materie di competenza primaria regionale ex art. 4
dello statuto, quali «industria e commercio»; «viabilita', acquedotti
e lavori pubblici  di  interesse  locale  e  regionale»;  «turismo  e
industria   alberghiera»;   «trasporti    su    funivie    e    linee
automobilistiche, tranviarie e filoviarie, di  interesse  regionale»;
«urbanistica»; «acque minerali e termali»; le materie  di  competenza
concorrente ex art. 5 dello statuto «disciplina dei servizi  pubblici
di interesse regionale ed assunzione di tali servizi»; «miniere, cave
e torbiere»; «linee marittime  di  cabotaggio  tra  gli  scali  della
Regione»; «utilizzazione delle acque  pubbliche,  escluse  le  grandi
derivazioni: opere idrauliche  di  4ª  e  5ª  categoria»;  «igiene  e
sanita'»; «servizi antincendi»; «opere di prevenzione e soccorso  per
calamita' naturali»; le materie di  competenza  concorrente  ex  art.
117, comma 3, Cost. (applicabile alle Regioni speciali secondo l'art.
10 della legge cost. n. 3 del 2001) «tutela e sicurezza del  lavoro»;
«ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione  per  i
settori produttivi»;  «tutela  della  salute»;  «protezione  civile»;
«porti  e  aeroporti  civili»;  «grandi  reti  di  trasporto   e   di
navigazione»;  «produzione,  trasporto  e   distribuzione   nazionale
dell'energia»; «valorizzazione dei beni culturali e ambientali. 
    Emergerebbe la competenza  della  Regione  autonoma,  quale  ente
esponenziale della comunita' territoriale (e' richiamata la  sentenza
n. 81 del 2013, oltre alle sentenze n. 303 del 2003, n. 407 e n.  536
del  2002).  La  ricorrente   valorizza   anche   la   giurisprudenza
amministrativa che  avrebbe  sottolineato  il  «carattere  ampiamente
discrezionale che  connota  la  valutazione  di  impatto  ambientale»
(sentenze del Consiglio di Stato, sezione quinta, 23 marzo  2015,  n.
1564; 31 maggio 2012, n. 3254;  22  giugno  2009,  n.  4206;  sezione
quarta, 5 luglio 2010, n. 4246; sezione sesta,  17  maggio  2006,  n.
2851). 
    Conseguentemente, nel disciplinare il  procedimento  di  adozione
della  VIA  statale,  il  d.lgs.  n.  104  del  2017  avrebbe  dovuto
espressamente  prevedere  la  partecipazione  al  procedimento  della
Regione  ricorrente  per  gli  interventi  che   ricadono   nel   suo
territorio,   e   non   genericamente    la    consultazione    delle
amministrazioni «potenzialmente interessate», in lesione dei principi
e criteri direttivi della legge delega e di conseguenza dell'art.  76
Cost.,  che  determinerebbe   un'irragionevole   compressione   delle
competenze della ricorrente, di cui agli artt. 4 e  5  dello  statuto
speciale e dell'art.117 Cost. 
    17.3.3.- Per  la  ricorrente,  inoltre,  l'inespressa  previsione
dell'obbligo di richiedere il parere regionale  nel  procedimento  di
VIA statale, per contrasto con l'art. 32, comma 1, lettera g),  della
legge n.  234  del  2012,  determinerebbe  anche  la  violazione  del
principio di leale  collaborazione.  Ricorda  la  ricorrente  che  la
giurisprudenza costituzionale imporrebbe l'adozione di meccanismi  di
partecipazione procedimentale delle Regioni, sia quando  la  funzione
pubblica regolata si pone all'incrocio di varie materie  regionali  e
statali, legate «in un nodo inestricabile» (e' richiamata la sentenza
n. 21 del 2016), sia quando un giudizio di  prevalenza  e'  possibile
(sentenza n. 230 del 2013). Ancorche' la disciplina della VIA sarebbe
riconducibile alla materia della «tutela dell'ambiente»,  l'incidenza
sugli  ambiti  competenziali  regionali  imporrebbe  «una   reale   e
significativa  partecipazione   della   Regione»   al   procedimento,
assicurata solo attraverso la garanzia della consultazione regionale.
Anche per  questo  profilo  la  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione   determinerebbe   un'irragionevole   e    illegittima
compressione dell'autonomia della ricorrente negli  ambiti  materiali
sopra elencati, ai sensi degli artt. 4 e 5 dello statuto e  dell'art.
117, terzo comma, Cost. 
    17.3.4.-  La  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia   ritiene
altresi' illegittimo l'art. 13, comma 1, del d.lgs. n. 104 del  2017,
nella parte in cui sostituisce l'art. 24, comma 5, del d.lgs. n.  152
del 2006. La disposizione sarebbe illegittima nella parte in cui,  in
caso di VIA statale, rimetterebbe alla discrezionalita'  dello  Stato
la richiesta di  un  supplemento  di  parere  da  parte  delle  altre
amministrazioni consultate, in caso di modifiche o integrazioni  agli
elaborati progettuali, anziche' prevedere  che  ad  esse  sia  sempre
consentito di formulare ulteriori osservazioni e pareri. 
    Il  mancato  riconoscimento  di  tale   garanzia   procedimentale
determinerebbe la violazione dell'art. 76 Cost., per  violazione  dei
principi direttivi espressi dall'art. 1, paragrafo 6, della direttiva
2014/52/UE, nonche' dall'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n.
234 del 2012, richiamato dall'art. 1 della legge  n.  114  del  2015;
l'illegittimo  esercizio  della  competenza  legislativa  statale  in
materia di «tutela dell'ambiente», ex art. 117, comma 2, lettera  s),
Cost.; la violazione dei principi di ragionevolezza,  buon  andamento
della pubblica amministrazione e leale collaborazione, ex artt. 3, 5,
97, 117 e 118,  Cost.  Tali  vizi  determinerebbero  un'irragionevole
compressione dell'autonomia regionale,  negli  ambiti  di  competenza
legislativa, ai sensi degli artt. 4 e  5  dello  statuto  speciale  e
dell'art. 117, comma terzo, Cost. 
    17.3.5.- La ricorrente censura altresi' gli artt. 5, 12, 13,  14,
22 e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017, per violazione del  principio  di
leale collaborazione di cui agli artt. 5, 117 e  118  Cost.  (per  un
ulteriore profilo), oltre che per violazione degli artt. 4 e 5  dello
statuto speciale e dell'art. 117 Cost. 
    Ribadisce la Regione autonoma di  non  contestare  la  competenza
statale nel  regolare  il  procedimento  di  VIA;  lamenta  pero'  la
violazione del principio  di  leale  collaborazione  per  il  profilo
relativo al procedimento di adozione del decreto delegato n. 104,  in
conformita' ai dettami della sentenza n. 251 del 2016 (e'  richiamata
anche la sentenza n. 81 del 2013). 
    Anche  ove  si  configurasse  la  «prevalenza»  della  competenza
esclusiva statale  in  materia  di  «tutela  dell'ambiente»,  sarebbe
comunque necessario il  ricorso  all'intesa  con  la  ricorrente  per
l'adozione  del  decreto  delegato  qui  impugnato  (si  richiama  la
sentenza n. 230 del 2013); anche in  questo  caso  la  partecipazione
regionale non sarebbe garantita dalla  formula  «sentite  le  regioni
interessate». 
    Nella definizione del  decreto  delegato,  lo  Stato,  dopo  aver
acquisito  il  «parere  favorevole  condizionato»  della   Conferenza
Stato-Regioni (richiamato l'atto rep. n. 61/ESR del 4  maggio  2017),
non  avrebbe  ritenuto  di  attivare  le  ulteriori   «procedure   di
consultazione» tese al «superamento delle  divergenze,  basate  sulla
reiterazione delle trattative o su specifici strumenti di mediazione»
(sono richiamate le sentenze n. 1 e n. 251 del 2016; n. 121 del 2010)
e avrebbe confermato il testo  dello  schema  di  decreto  sottoposto
all'esame  della  Conferenza,  senza  recepire   alcuna   indicazione
formulata nel parere. 
    Non sarebbero state recepite le proposte emendative  relative  al
ruolo delle Regioni nel procedimento di VIA in  sede  statale  (artt.
12, 13 e 14 del d. lgs. n. 104 del 2017; sono  richiamate  le  pagine
«5,  12,  17  del  parere  della  Conferenza  Stato-Regioni»);   alla
riduzione delle competenze regionali sugli interventi sottoposti alla
valutazione d'impatto ambientale e alla verifica di assoggettabilita'
alla VIA (artt. 5 e 22 del d.lgs. n. 104 del 2017; «cfr. p. 5, 6,  7,
12, 22 e 27 del parere della Conferenza Stato-Regioni»); alla  deroga
per i progetti concernenti interventi di protezione  civile  (art.  3
del d.lgs. n. 104 del 2017; «cfr. p. 15 del parere  della  Conferenza
Stato-Regioni»),  determinando  cosi'  una  condotta   «di   blocco»,
estranea al principio di leale collaborazione. 
    17.3.6.-  Premessi  tali  rilievi,  la   ricorrente   deduce   la
insussistenza, nella legge di delega, di principi e criteri direttivi
che legittimassero una simile operazione di  riparto  di  competenze.
D'altra parte, la Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea  avrebbe
rimesso agli Stati la liberta' di regolare  le  competenze  normative
sul  piano  interno.  Nel  caso  di  specie  dovrebbe  applicarsi  la
giurisprudenza costituzionale che, in tema di delega per il riassetto
di complessi normativi,  permette  di  modificare  il  riparto  delle
competenze tra Stato e Regioni solo nel  caso  in  cui  la  legge  di
delega lo abbia espressamente consentito. Non ricorrendo tale  ultima
condizione, risulterebbe violato l'art. 76 Cost. ed  illegittimamente
esercitata la competenza statale in materia di  tutela  dell'ambiente
(art.  117,  secondo  comma,  lettera  s,  Cost.),  con   correlativa
illegittima compressione della competenza della ricorrente, garantita
dagli artt. 4 e 5 dello  statuto  speciale  e  dall'art.  117,  terzo
comma, Cost. 
    18.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dalla Avvocatura generale dello Stato,  ha  depositato  il  13
ottobre 2017, memoria  di  costituzione,  chiedendo  il  rigetto  del
ricorso. 
    18.1.-  A  proposito  della  dedotta   violazione   delle   norme
statutarie, congiuntamente a quella dell'art. 117,  secondo  e  terzo
comma, Cost., il relativo motivo di ricorso sarebbe inammissibile per
genericita' e carenza di motivazione. 
    La ricorrente avrebbe infatti lamentato la violazione degli artt.
4 e 5 dello statuto speciale, senza indicare le ragioni per le  quali
la disciplina statale sulla VIA inciderebbe  sulle  materie  previste
dalle indicate disposizioni statutarie, ne' quali progetti attribuiti
alla competenza statale ricadrebbero fra  quelle  materie.  Sarebbero
state poi cumulativamente evocate le disposizioni statutarie e quelle
costituzionali senza operare differenziazioni fra le  stesse,  tenuto
conto della clausola di adeguamento automatico prevista dall'art.  10
della legge costituzionale n. 3 del 2001. 
    18.2.- La censura sarebbe comunque infondata, in quanto la  nuova
allocazione   di   funzioni   si   inquadrerebbe   nei   criteri   di
semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione delle procedure e
di rafforzamento delle procedure di valutazione di impatto ambientale
e di rafforzamento della qualita' delle stesse,  enunciati  nell'art.
14, comma 1, della legge delega n. 114 del 2015. Infatti,  sottolinea
l'Avvocatura, armonizzare, razionalizzare e rafforzare  le  procedure
comporta anche la possibilita' di  modificare  il  quadro  allocativo
delle competenze, non senza sottolineare come tale nuova ripartizione
risulti  rispondente  al  generale  criterio  di   delega   contenuto
nell'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n. 234  del  2012,  in
tema  di  ripartizione  delle  funzioni   fra   enti   in   caso   di
sovrapposizioni di competenze o coinvolgimento di competenze fra piu'
amministrazioni, in vista della unitarieta' dei processi  decisionali
e  della  ottimizzazione  dell'azione  amministrativa.   Dunque,   il
legislatore delegato  era  chiamato  a  verificare  il  rispetto  dei
principi di sussidiarieta',  differenziazione,  adeguatezza  e  leale
collaborazione, anche alla luce dell'esperienza maturata nel tempo, e
ad  adeguare  tale  assetto  al  quadro  delle  competenze   che   la
Costituzione «riconosce e garantisce alle  Regioni  tanto  sul  piano
della  potesta'   normativa   quanto   sul   piano   della   potesta'
amministrativa, ove il primo non fosse conforme al secondo». 
    Il  che  sarebbe  puntualmente  avvenuto  nel  caso  di   specie.
Attraverso  le  modifiche  apportate  con  le  norme  impugnate,   il
legislatore   delegato   avrebbe   infatti   conseguito   l'obiettivo
strategico - sottolinea l'Avvocatura - di razionalizzare  il  riparto
di competenze amministrative tra Stato e regioni, attraendo a livello
statale le procedure per i progetti relativi alle  infrastrutture  ed
agli impianti energetici sulla base della dimensione  sovra-regionale
degli impatti da valutare, fatte salve le valutazioni di progetti  ad
impatto endo-regionale. Valutazioni che, agli effetti dello scrutinio
di adeguatezza o inadeguatezza del livello regionale,  devono  essere
effettuate ex ante e per classi di casi,  presentandosi  il  criterio
"dimensionale" degli impianti come espressivo del  principio  sancito
dall'art. 118, primo comma, Cost., per la corretta allocazione  delle
funzioni amministrative ai diversi livelli territoriali di governo. 
    18.3.- A proposito del motivo di ricorso nel quale si lamenta  la
violazione del principio di leale collaborazione ex artt.  5,  117  e
118 Cost., per mancata richiesta della  intesa  nell'esercizio  della
delega legislativa, nonche' la violazione degli artt.  4  e  5  dello
statuto  di  autonomia,  si  osserva  che,  versandosi   in   materia
«trasversale» e «prevalente», la normativa statale in tema di  tutela
dell'ambiente si imporrebbe integralmente nei confronti delle Regioni
che non possono contraddirla. Il che vale anche nei  confronti  delle
Regioni ad  autonomia  speciale.  La  giurisprudenza  costituzionale,
d'altra parte, ha in varie occasioni puntualizzato come  la  tematica
della VIA debba ascriversi esclusivamente alla competenza statale  in
materia  ambientale,  malgrado  la   possibile   incidenza   rispetto
all'esercizio  delle  funzioni  regionali.   Il   che   assevera   la
legittimita' delle disposizioni censurate, non trascurando  il  fatto
che, nel novellare l'art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006,  il  decreto
impugnato ha previsto il necessario coinvolgimento non soltanto della
Regione, ma di tutte le amministrazioni  potenzialmente  interessate.
La difesa  regionale,  dunque,  avrebbe  confuso  fra  loro  i  piani
dell'«intreccio inestricabile» tra materie,  che  avrebbe  comportato
l'intesa, rispetto alla  semplice  «incidenza»  rispetto  a  funzioni
regionali, che e' quanto normalmente accade per materie  trasversali,
come la tutela dell'ambiente o la fissazione dei  livelli  essenziali
delle prestazioni. 
    In merito, poi, alle doglianze relative  al  mancato  recepimento
delle  proposte   emendative   avanzate   in   sede   di   Conferenza
Stato-Regioni, si segnala come nella relazione  illustrativa  che  ha
accompagnato lo schema  di  decreto,  siano  state  «dettagliatamente
analizzate tutte le condizioni e proposte emendative formulate  dalle
Regioni,  fornendo  per  tutte  quelle  non  accolte   una   puntuale
descrizione delle motivazioni alla base del mancato accoglimento». 
    18.4.-  L'Avvocatura  generale  dello   Stato   eccepisce   anche
l'infondatezza delle censure di cui agli artt. 12, 13 e 14, in quanto
secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, nella procedura  di
VIA  ascrivibile  alla  competenza  statale,  come  disciplinata  dal
novellato art. 23 del d.lgs. n.  152  del  2006,  dette  disposizioni
assicurerebbero  la  piena  e  completa  attuazione  della  normativa
europea e la partecipazione «e la tempestiva informazione di tutte le
Amministrazioni  e  di  tutti  gli  enti   territoriali   che   siano
interessati» e comunque competenti ad esprimersi sulla  realizzazione
del progetto. 
    18.5.- Infondata  sarebbe  la  censura,  sempre  riferibile  agli
impugnati artt. 12, 13 e 14,  con  riferimento  alla  violazione  dei
principi  di  ragionevolezza  e  buon  andamento,   in   quanto   non
esisterebbe alcuna discrezionalita' in  capo  allo  Stato  quanto  al
coinvolgimento degli enti territoriali interessati. 
    18.6.-    L'Avvocatura    dello    Stato    eccepisce,    infine,
l'inammissibilita' della censura riferita all'eccesso di  delega,  in
violazione  dell'art.  76  Cost.,  perche'  non  sarebbe  mai   stata
sollevata la questione di costituzionalita' della legge delega. 
    18.6.1.- La censura sarebbe comunque infondata per le motivazioni
gia'   illustrate,   riferite    all'ampia    partecipazione    delle
amministrazioni interessate alla realizzazione del  progetto  su  cui
interviene la VIA.  Ritiene  erronea  la  ricostruzione  dell'assetto
competenziale in  materia  di  VIA,  con  particolare  riguardo  alla
sussistenza di un «intreccio di competenze», ribadendo che l'istituto
della VIA ricadrebbe  nell'ambito  materiale  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., da cui si ricaverebbe l'inesistenza
di alcuna violazione del principio di leale collaborazione. 
    19.- La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha depositato,  il
29 maggio 2018, memoria con la quale ha insistito  nelle  conclusioni
gia' rassegnate. 
    19.1.- A  proposito  della  eccezione  di  inammissibilita',  per
genericita' e difetto di  motivazione,  delle  censure  rivolte  agli
artt. 5, 22 e 26 del decreto impugnato, si osserva  che  nel  ricorso
sono stati analiticamente indicati i progetti  gia'  attribuiti  alla
competenza regionale trasferiti a quella statale. 
    In merito, poi,  all'eccezione  di  inammissibilita'  perche'  la
ricorrente  avrebbe  cumulativamente  dedotto   la   violazione   dei
parametri statutari e di quelli costituzionali, dal momento che  solo
uno tra i due e' destinato ad applicarsi, alla stregua della clausola
di adeguamento automatico di cui all'art. 10 della legge cost.  n.  3
del 2001, si osserva che - a differenza di quanto accade nel caso  di
ricorso dello Stato contro una legge  di  una  Regione  ad  autonomia
speciale  -  la  Regione   ad   autonomia   speciale   puo'   evocare
congiuntamente il parametro statutario e quello  costituzionale,  dal
momento  che  le  garanzie  costituzionali  si  aggiungono  a  quelle
statutarie. 
    Nel merito, le deduzioni svolte dall'Avvocatura per contestare la
fondatezza della questione relativa all'eccesso di delega,  sarebbero
non fondate.  Si  osserva,  infatti,  che  tanto  per  i  profili  di
«semplificazione,   armonizzazione    e    razionalizzazione    delle
procedure», che per quelli di  «rafforzamento  della  qualita'  della
procedura» e di «smart regulation», l'identificazione  dell'autorita'
procedente sarebbe del tutto irrilevante. 
    20.- Con ricorso notificato il 1°-6 settembre 2017  e  depositato
il 13 settembre 2017 (reg. ric. n. 70 del 2017), la Regione  autonoma
Sardegna ha promosso questioni di legittimita'  costituzionale  degli
artt. 5, comma 1, 12, 13 e 14, 22, commi da 1 a 4, e 26, identiche  a
quelle sollevate dalla Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia  (reg.
ric. n. 69 del 2017), salvo il  riferimento  -  quanto  ai  parametri
statutari che si assumono violati - agli artt.  3  e  4  della  legge
costituzionale 26 febbraio  1948,  n.  3  (Statuto  speciale  per  la
Sardegna). 
    20.1.- Le restanti censure di cui agli artt. 3, comma 1,  lettere
g) e h), 8, 16 e 17, riguardano la partecipazione al procedimento  di
VIA (e/o ai procedimenti connessi) da parte del Ministero dei beni  e
delle   attivita'   culturali   e   del   turismo   (MIBACT),    come
amministrazione incaricata della protezione del paesaggio. 
    20.1.1.- L'art. 3, comma 1, lettera  g),  viene  censurato  nella
parte in cui rimette al Ministro dell'ambiente, dopo una  valutazione
caso per caso, l'esclusione di  progetti  aventi  come  obiettivo  la
difesa nazionale e la protezione civile  dal  campo  di  applicazione
delle norme di cui al Titolo III della Parte II dello  stesso  d.lgs.
n.  104  del  2017,  qualora  ritenga  che  tale  applicazione  possa
pregiudicare i suddetti obiettivi. 
    20.1.1.1.- Per la ricorrente, la «protezione civile» rientrerebbe
tra le materie di competenza concorrente,  ai  sensi  dell'art.  117,
terzo comma, Cost. (ad essa applicabile, ai sensi dell'art. 10  della
legge cost. n. 3 del 2001). Ne conseguirebbe  l'illegittimita'  della
disposizione, in violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., e  dei
parametri gia' richiamati, nella parte in  cui  non  prevede  che  la
decisione di  deroga  sia  assunta  anche  d'intesa  con  la  Regione
autonoma, in virtu' della sua specifica  competenza  in  materia.  La
Regione autonoma  Sardegna  reitera  le  proprie  argomentazioni  per
dimostrare che le disposizioni impugnate sono illegittime nella parte
in cui non prevedono un  coinvolgimento  delle  Regioni  al  medesimo
livello di intensita' e di efficacia giuridica assicurato al MIBACT. 
    Ove questa  Corte  non  dovesse  ritenere  di  dover  sancire  il
parallelismo tra le attribuzioni del MIBACT e quelle della ricorrente
nei procedimenti indicati, la ricorrente chiede che sia garantita  la
partecipazione  procedimentale  almeno   nella   forma   del   parere
obbligatorio. 
    20.1.2.- L'art. 3, comma 1, lettera h), prevede che: «Fatto salvo
quanto previsto dall'art.  32  [ovverosia  i  casi  di  consultazione
transfrontaliera], il  Ministro  dell'ambiente  e  della  tutela  del
territorio e del mare puo', in casi eccezionali,  previo  parere  del
Ministro dei beni e delle attivita' culturali e del turismo, esentare
in tutto o in parte un progetto specifico dalle disposizioni  di  cui
al titolo III della  parte  seconda  del  presente  decreto,  qualora
l'applicazione  di  tali  disposizioni  incida  negativamente   sulla
finalita'  del  progetto,  a  condizione  che  siano  rispettati  gli
obiettivi  della  normativa  nazionale  ed  europea  in  materia   di
valutazione di impatto ambientale». 
    20.1.3.- L'art. 8, nella parte in cui modifica l'art.  19,  comma
8, del d.lgs. n.  152  del  2006,  stabilisce:  «qualora  l'autorita'
competente stabilisca di non assoggettare il progetto al procedimento
di VIA,  specifica  i  motivi  principali  alla  base  della  mancata
richiesta di tale valutazione  in  relazione  ai  criteri  pertinenti
elencati nell'allegato V, e, ove richiesto  dal  proponente,  tenendo
conto delle eventuali osservazioni del Ministero  dei  beni  e  delle
attivita' culturali e  del  turismo  per  i  profili  di  competenza,
specifica le condizioni ambientali necessarie per evitare o prevenire
quelli che potrebbero  altrimenti  rappresentare  impatti  ambientali
significativi e negativi». 
    20.1.4.- L'art. 16, nella parte in cui modifica l'art. 27,  comma
8, del d.lgs. n.  152  del  2006,  prescrive  che:  «fatto  salvo  il
rispetto dei termini previsti dall'art. 32, comma 2, per il  caso  di
consultazioni transfrontaliere, entro dieci giorni dalla scadenza del
termine di conclusione  della  consultazione  ovvero  dalla  data  di
ricevimento delle  eventuali  integrazioni  documentali,  l'autorita'
competente convoca una conferenza di servizi alla  quale  partecipano
il proponente  e  tutte  le  amministrazioni  competenti  o  comunque
potenzialmente interessate al rilascio del provvedimento di VIA e dei
titoli abilitativi in materia ambientale richiesti dal proponente. La
conferenza  di  servizi  si  svolge  secondo  le  modalita'  di   cui
all'articolo 14-ter, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7, della  legge  7  agosto
1990, n. 241. Il termine di conclusione dei lavori  della  conferenza
di servizi e' di duecentodieci giorni. La determinazione motivata  di
conclusione  della  conferenza  di  servizi,   che   costituisce   il
provvedimento  unico  in  materia  ambientale,   reca   l'indicazione
espressa del provvedimento di  VIA  ed  elenca,  altresi',  i  titoli
abilitativi  compresi  nel  provvedimento  unico.  La  decisione   di
rilasciare i titoli di cui al comma  2  e'  assunta  sulla  base  del
provvedimento di VIA, adottato dal  Ministro  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare, di concerto  con  il  Ministro  dei
beni e delle attivita' culturali e del turismo,  ai  sensi  dell'art.
25». 
    20.1.5.- L'art. 17 modifica l'art. 28, comma 2, del d.lgs. n. 152
del 2006, statuendo che l'autorita' competente, in collaborazione con
il Ministero dei beni e delle attivita' culturali e del turismo per i
profili di  competenza,  «verifica  l'ottemperanza  delle  condizioni
ambientali di cui al comma 1 al fine di identificare  tempestivamente
gli impatti ambientali  significativi  e  negativi  imprevisti  e  di
adottare le opportune misure correttive». 
    20.1.6.- Le disposizioni richiamate sarebbero  illegittime  nella
parte in cui, per i procedimenti concernenti interventi da realizzare
nel territorio sardo, o che  su  di  esso  possono  produrre  impatti
ambientali, non  prevedono  la  partecipazione  procedimentale  della
Regione autonoma Sardegna. 
    La ricorrente rammenta di essere titolare di  una  competenza  in
materia di tutela del paesaggio, ai sensi degli artt. 3 dello statuto
e 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n.  480  (Nuove  norme  di  attuazione
dello statuto speciale della Regione autonoma della  Sardegna).  Tale
ultima disposizione darebbe attuazione  allo  statuto  d'autonomia  e
avrebbe trasferito all'amministrazione regionale le attribuzioni  del
Ministero  per  i  beni  e  le  attivita'  culturali  in  materia  di
«redazione» e «approvazione dei piani territoriali paesistici». 
    In virtu' di tale competenza, la ricorrente, nell'esercizio della
propria competenza legislativa primaria, potrebbe  intervenire  sulla
regolamentazione dei beni  di  pregio  paesaggistico,  ancorche'  nel
rispetto delle disposizioni di tutela fissate dal legislatore statale
(e' citata la sentenza n. 308  del  2013).  Tale  competenza  sarebbe
rilevante nel procedimento di VIA, atteso che uno dei  suoi  elementi
fondamentali   sarebbe   la   localizzazione   dell'intervento    che
inciderebbe nell'esercizio della competenza legislativa in materia di
«edilizia e urbanistica» (art. 3, comma 1, lettera f,  dello  statuto
speciale), la quale si estenderebbe alla tutela paesaggistica. 
    Per i procedimenti concernenti gli interventi  che  ricadono  nel
territorio sardo, il  legislatore  statale  dovrebbe  garantire  alla
ricorrente una partecipazione avente la medesima efficacia  giuridica
assicurata  al  MIBACT;   tale   partecipazione   procedimentale   si
imporrebbe in ossequio al principio di  leale  collaborazione,  anche
nel caso  di  «prevalenza»  della  materia  di  competenza  esclusiva
statale, anche sulla base di quanto indicato dall'art. 32,  comma  1,
lettera g), della legge n. 234 del 2012, richiamato dall'art. 1 della
legge delega n. 114 del 2015. 
    21.- Costituitosi in giudizio a  mezzo  dell'Avvocatura  generale
dello Stato, con atto depositato l'11 ottobre 2017, il Presidente del
Consiglio dei ministri ha chiesto il rigetto del  ricorso,  svolgendo
difese del tutto analoghe a quelle prospettate in rapporto al ricorso
della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, per quanto attiene alle
censure coincidenti con detto ricorso. 
    21.1.- Ad avviso dell'Avvocatura, risulterebbero infondate  anche
le censure degli artt. 3, 8, 14, 16 e 17, in riferimento  all'art.  3
dello statuto speciale, all'art. 6 del d.P.R. n.  480  del  1975,  al
principio di leale collaborazione e all'art. 76 Cost.,  in  relazione
all'art. l della legge  delega  n.  114  del  2015,  e  in  relazione
all'art. 32 della legge n. 234 del 2012, nonche'  in  violazione  dei
principi  di  ragionevolezza  e   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione. 
    L'art. 3 dello statuto  speciale,  infatti,  tra  le  materie  di
competenza legislativa esclusiva della Regione autonoma Sardegna  non
contemplerebbe ne' la tutela del paesaggio, ne' quella dell'ambiente. 
    Pur  riconoscendo  la  titolarita'   regionale   della   potesta'
legislativa primaria in materia di «edilizia ed urbanistica» ai sensi
dell'art. 3, comma  l,  lettera  f),  dello  statuto  speciale  e  la
competenza esclusiva in materia di «piani  territoriali  paesistici»,
ai sensi dell'art. 6, comma 2,  del  d.P.R.  n.  480  del  1975,  per
l'Avvocatura  esse  devono  essere  esercitate  in  armonia  con   la
Costituzione e con i principi dell'ordinamento giuridico, rispettando
gli obblighi internazionali,  gli  interessi  nazionali,  nonche'  le
norme fondamentali delle riforme economico-sociali,  quali  sarebbero
quelle in tema di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e  dei  beni
culturali», adottate dallo Stato  in  base  alla  competenza  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.  (sono  richiamate  le
sentenze n. 51 del 2006 e n. 536 del 2002). 
    21.2.-   Priva   di   fondamento   sarebbe   anche   la   censura
dell'impugnato art. 3, comma 1, lettera  g),  sulla  possibilita'  di
sottrarre alla VIA gli interventi aventi  quali  unico  obiettivo  la
risposta alle emergenze che riguardano la protezione civile. 
    I commi 10 e 11 del nuovo art. 6 del  d.lgs.  n.  152  del  2006,
introdotti dall'art. 3 del d.lgs. n. 104 del 2017, avrebbero lo scopo
di allineare  la  disciplina  nazionale  alla  richiamata  direttiva,
distinguendo, da un lato, i progetti aventi quale unico obiettivo  la
difesa e la risposta alle  emergenze  che  riguardano  la  protezione
civile (comma 10);  dall'altro,  le  piu'  stringenti  condizioni  di
esenzione nei casi eccezionali (comma 11). La  disciplina  introdotta
si rivelerebbe garantista con riferimento alla potenziale  esclusione
dei progetti dalla disciplina recata dal Titolo III  della  Parte  II
del d.lgs. n. 152  del  2006,  grazie  alla  riserva  del  potere  di
esenzione dalla VIA in capo al Ministro dell'ambiente e della  tutela
del  territorio  e  del  mare,  che  ne  assume  la   responsabilita'
politicoamministrativa  sul  territorio  nazionale  e  nei  confronti
dell'Unione europea. Non si ravviserebbero  ragioni  per  ridurre  lo
standard di tutela ambientale, consentendo che le  esclusioni  citate
possano essere disposte dalla singola Regione. 
    Sulla violazione del  riparto  costituzionale  delle  competenze,
ricorda l'Avvocatura come questa Corte comprenda la disciplina  della
VIA  nella  competenza  esclusiva  statale  in  materia  di   «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema», di cui all'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.» (sono richiamate le sentenze n. 186 del  2010,  n.
225 del 2009 e n. 117  del  2015);  l'esclusivita'  della  competenza
statale  in  materia,  pur  incidendo  sull'esercizio  di  competenze
regionali, determinerebbe la «prevalenza» della normativa statale (e'
richiamata la sentenza n. 234 del 2009). 
    21.3.- Infondata sarebbe anche la censura del richiamato art.  3,
comma  l,  lettera  g),  per  violazione  del  principio   di   leale
collaborazione. 
    La disposizione sarebbe  riconducibile  alla  legge  24  febbraio
1992, n. 225, (Istituzione del Servizio  nazionale  della  protezione
civile), che, all'art. 5, contiene la disciplina degli interventi  da
operarsi durante la «dichiarazione dello stato di emergenza». In tale
contesto,  il  decreto  del  Ministro  dell'ambiente,  per   disporre
l'esclusione di taluni progetti dal campo di applicazione delle norme
in materia  di  VIA,  sarebbe  consequenziale  rispetto  alla  previa
valutazione - effettuata in  via  esclusiva  dal  Dipartimento  della
protezione  civile  d'intesa  con  la  Regione  interessata  -  degli
interventi aventi quale  obiettivo  la  risposta  alle  emergenze  di
protezione civile. L'art. 5, comma 2, della legge n.  225  del  1992,
stabilirebbe che per  l'attuazione  degli  interventi  di  protezione
civile da effettuarsi durante lo stato di emergenza si  provvede  con
apposita ordinanza da  emanarsi  «acquisita  l'intesa  delle  regioni
territorialmente interessate». 
    22.- Alle difese statali ha replicato la ricorrente  con  memoria
illustrativa,  anche  in  questo   caso   di   contenuto   pienamente
corrispondente  a  quello  della  memoria  della   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia, per quanto riguarda le censure coincidenti  in
essa contenute. 
    23.- Con ricorso notificato il 4-7 settembre 2017 e depositato il
13 settembre 2017 (reg. ric. n. 71 del 2017), la Regione Calabria  ha
promosso questioni di  legittimita'  costituzionale  degli  artt.  3,
comma 1, lettera g), 5, 16, commi 1 e 2, 21, 22, commi da 1 a 4,  26,
comma 1, lettera a), e 27 del d.lgs. n. 104 del  2017,  deducendo  la
violazione degli artt. 3, 5, 32, 76, 81, 117, 118 e 120 Cost. 
    23.1.-  La   ricorrente,   dopo   aver   rievocato   l'articolato
procedimento di approvazione  del  decreto  impugnato,  sottolineando
come le Regioni e le Province autonome avessero espresso in  sede  di
Conferenza Stato-Regioni una posizione nettamente divergente rispetto
al contenuto  dello  schema  di  decreto,  considerato  che  l'ambito
materiale  attinto  dal   provvedimento,   che   sottraeva   numerose
competenze alle Regioni, si inseriva nell'ambito di  materie  oggetto
di potesta' legislativa  concorrente.  Poiche'  tali  divergenze  non
sarebbero state prese  in  adeguata  considerazione,  e  poiche'  non
sarebbe stato nella specie assicurato un adeguato coinvolgimento  dei
vari  livelli  di  governo  coinvolti,  si  sarebbe  di   conseguenza
determinata una lesione del principio di leale collaborazione. 
    23.2.- L'art.  3,  comma  1,  lettera  g),  viene  censurato  con
argomentazioni coincidenti  con  quelle  dei  ricorsi  delle  Regioni
Lombardia,  Abruzzo,  Puglia  e  Veneto:  la   disposizione   avrebbe
introdotto la possibilita' di attribuire alla  «autorita'  competente
in sede statale» la valutazione caso per caso  dell'esclusione  della
VIA per  i  «progetti  relativi  ad  opere  ed  interventi  destinati
esclusivamente a scopo di difesa nazionale» e avrebbe inserito tra  i
progetti che possono essere esclusi anche quelli  che  riguardano  le
«emergenze  di  protezione  civile».  Si   prevedrebbe,   cosi',   un
procedimento  identico  per  progetti  che  riguardano  due   materie
diverse. 
    Lo Stato avrebbe avocato a se' la possibilita' di  valutare  caso
per caso i progetti per far fronte ad emergenze di protezione civile,
incidendo su materie di competenza concorrente,  senza  prevedere  un
coinvolgimento  regionale,  in  lesione  del   principio   di   leale
collaborazione, comprimendo le prerogative regionali anche in materia
di tutela della salute delle persone e dell'ambiente,  in  violazione
degli artt. 32 e 3 Cost. In particolare, la tutela del  diritto  alla
salute, di cui  all'art.  32  Cost.,  nella  sua  dimensione  sociale
esprimerebbe un diritto alla salubrita' dell'ambiente,  nel  rispetto
del principio della liberta' di iniziativa economica privata, che non
puo' svolgersi in modo dannoso per la  sicurezza  delle  persone.  Il
contenuto  di  tale  diritto  si  tradurrebbe  anche  «nella   tutela
costituzionale  dell'integrita'  psico-fisica,  del  diritto  ad   un
ambiente salubre» e sarebbe connesso al valore della dignita'  umana,
di cui all'art. 3 Cost. 
    23.3.- L'impugnato art. 5 ha introdotto l'art. 7-bis  nel  d.lgs.
n.  152  del  2006,  ove   vengono   definite,   con   un   sensibile
ridimensionamento di quelle regionali, le competenze  in  materia  di
VIA  e  di  assoggettabilita'  a  VIA,  con  correlativa   violazione
dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in   quanto   sarebbe   stato
compromesso  l'esercizio  della  potesta'  legislativa  regionale  in
materie  concorrenti,  (tra  le  altre,  porti  e  aeroporti  civili,
produzione,  governo  del  territorio,  trasporto   e   distribuzione
dell'energia), e, in particolare, in tema  di  tutela  della  salute,
attese le finalita' della valutazione  di  impatto  ambientale,  come
emergerebbe dal punto 41 delle premesse della direttiva  da  attuare,
nonche' dall'art. 4 del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    La necessita' di scomporre tra i vari  ambiti  di  competenza  le
diverse funzioni che  la  direttiva  comunitaria  coinvolge  in  modo
unitario, comporta che le diverse materie concorrono fra  loro  senza
alcun rapporto di prevalenza; cosicche' - osserva la ricorrente -  la
complessita' del settore oggetto di recepimento evocava la necessita'
di un coinvolgimento piu' intenso dei  vari  livelli  di  governo  e,
dunque,  il  ricorso  allo  strumento  della  intesa,  in  seno  alla
Conferenza Stato-Regioni. 
    Si rileva, poi, con riferimento  all'art.  76  Cost.,  che  nella
specie la legge delega non avrebbe previsto  una  compressione  della
potesta' normativa regionale nella materia,  sicche',  non  essendovi
proporzionalita' ne' rispondenza logica di tale compressione rispetto
alle finalita' perseguite, sussisterebbe  un  eccesso  di  delega  in
relazione ai principi e criteri direttivi posti dagli artt.  1  e  14
della legge delega n. 114 del 2015. 
    23.4.- E'  impugnato  altresi'  l'art.  16,  commi  1  e  2,  per
violazione degli artt. 5, 76, 117, 118 e 120 Cost. 
    La   disposizione   introduce   il    cosiddetto    provvedimento
autorizzatorio unico regionale. Fa  presente  la  ricorrente  che  la
disposizione non era  prevista  nella  bozza  di  schema  di  decreto
inviato dal  Governo  alla  Conferenza  permanente;  la  disposizione
sarebbe stata introdotta «senza che fosse  concessa  la  possibilita'
alle regioni e alle province autonome di  esaminare  il  testo  della
disposizione e presentare le proprie osservazioni»,  in  lesione  del
principio di leale collaborazione. 
    Sotto  altro  profilo,  la  ricorrente   sottolinea   l'eccessivo
dettaglio  delle  disposizioni  che  introducono   il   provvedimento
autorizzatorio unico regionale. Esso comprenderebbe non solo la  VIA,
ma anche i titoli abilitativi  necessari  per  la  realizzazione  dei
relativi  progetti  e  per  l'esercizio  delle  attivita'   da   essi
derivanti.  Viene   richiamata   la   giurisprudenza   costituzionale
contraria a «normative eccessivamente puntuali» (sentenze n. 189  del
2015, n. 278 del 2010). 
    23.5.- Si impugna, poi, l'art. 21, nel quale sono  dettate  norme
in tema di tariffe da applicare ai proponenti, nella parte in cui non
prevede un  adeguato  coinvolgimento  delle  Regioni  nella  fase  di
approvazione del decreto ministeriale, con il quale si dispongono  le
modalita' di determinazione delle tariffe per la copertura dei  costi
istruttori, con  correlativa  lesione  delle  potesta'  organizzative
delle Regioni e in violazione degli artt. 5, 117 e 120 Cost. 
    23.6.- Gli artt. 22, commi da 1 a 4, e 26, comma 1,  lettera  a),
vengono censurati nella parte in cui, modificando gli  Allegati  alla
Parte II del d.lgs. n. 152 del 2006, determinano una sottrazione alle
Regioni  di  un  considerevole  numero   di   tipologie   progettuali
(riguardanti materie di competenza legislativa anche regionale),  che
vengono attribuite alla competenza statale. Il tutto, si osserva,  in
controtendenza  rispetto  ai   precedenti   interventi   sul   codice
dell'ambiente, ove era stato invece incrementato l'ambito applicativo
della VIA regionale, e neppure  in  linea  con  i  criteri  stabiliti
dall'art. 31, comma 1, lettera g), della legge n. 234 del 2012. 
    Deriverebbe da cio' la violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,
Cost., in quanto viene compromessa la potesta' legislativa  regionale
in  collegate  materie  a  legislazione  concorrente;  la  violazione
dell'art. 118 Cost., in quanto vengono ridimensionate  le  competenze
amministrative regionali e quelle conferite dalla stessa Regione agli
enti  locali,  prescindendo  da  valutazioni  sulla  adeguatezza  del
livello  istituzionale  coinvolto,  con  correlativa  violazione  del
principio di leale collaborazione e, dunque,  degli  artt.  5  e  120
Cost., anche perche' la compressione del potere legislativo regionale
si sarebbe realizzato senza lo strumento della intesa. 
    Violato sarebbe infine anche l'art. 76 Cost., in quanto la  legge
delega non contempla espressamente la  revisione  del  riparto  delle
potesta' legislative ed amministrative tra Stato e Regioni. 
    24.- Si impugna infine l'art. 27 del d.lgs. n. 104 del  2017,  il
quale  introduce  una  clausola  di   invarianza   finanziaria,   per
violazione degli artt. 76 e 81 Cost. 
    Si osserva che tale clausola  sarebbe  del  tutto  aleatoria,  in
quanto le procedure  VIA  implicano  nuovi  oneri  per  le  autorita'
competenti  in  ragione  dei  nuovi  adempimenti  procedurali,  e  in
contrasto con quanto previsto in tema di spese per l'attuazione delle
direttive da parte dell'art. 1, comma 4, della legge delega. 
    25.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dalla Avvocatura generale dello Stato,  ha  depositato  il  13
ottobre 2017 memoria di costituzione chiedendo il rigetto del ricorso
in quanto infondato. 
    25.1.-  Vengono  utilizzate  le   medesime   argomentazioni   per
confutare la censura dell'impugnato art. 3, comma 1, lettera  g),  da
parte delle Regioni Abruzzo, Lombardia e Veneto. 
    25.2.- A  proposito  delle  doglianze  relative  all'art.  5  del
decreto impugnato, l'Avvocatura osserva che la disciplina  contestata
ha inteso rendere omogenea  per  tutto  il  territorio  nazionale  la
disciplina in materia di VIA,  al  fine  di  recepire  fedelmente  la
direttiva comunitaria, che ha previsto al riguardo regole dettagliate
sul procedimento, non trascurando peraltro lo  spazio  che  e'  stato
mantenuto in capo agli enti locali. Dalla  analisi  delle  variazioni
intervenute in  materia  risulterebbe  evidente  che  il  legislatore
avrebbe  correttamente  ritenuto  la  materia  della  valutazione  di
impatto ambientale  come  afferente  alla  tutela  dell'ambiente,  di
esclusiva  competenza  statale,  pur  se  con  incidenza  su   ambiti
materiali di competenza regionale. 
    25.3.- Viene eccepita altresi' l'infondatezza  delle  censure  di
cui all'art. 16 commi 1  e  2,  del  d.lgs.  n.  104  del  2017,  sul
provvedimento autorizzatorio unico  regionale,  con  argomenti  spesi
nelle altre memorie difensive. 
    25.4.- Non fondate sarebbero anche le censure rivolte all'art. 21
del decreto impugnato, con le  quali  la  Regione  Calabria  lamenta,
nella sostanza, il mancato coinvolgimento delle Regioni nel  processo
decisionale per definire le  risorse  destinate  a  coprire  i  costi
istruttori dei  procedimenti  VIA,  nonche'  la  lesione  dei  poteri
organizzativi  in  violazione   dei   principi   di   sussidiarieta',
differenziazione e  adeguatezza,  nonche'  leale  collaborazione.  Si
osserva, al riguardo, che la norma censurata si limita  a  sostituire
il comma 1 dell'art. 33 del d.lgs. n. 152  del  2006,  mentre  lascia
inalterato il comma 2 dello stesso articolo  ove  sono  stabilite  le
competenze regionali in tema di tariffe da  stabilire  a  carico  dei
proponenti. Dunque, la norma impugnata contiene un principio generale
per determinare le tariffe da applicare tanto per la VIA statale  che
per quella regionale. Nella parte in cui la norma  impugnata  rimette
ad  un  decreto  del  ministro  dell'ambiente  la  determinazione  in
concreto delle tariffe, essa si  riferisce  esclusivamente  alla  VIA
statale;  pertanto,  le  Regioni  sono  dunque   «protagoniste»   del
procedimento di determinazione delle  tariffe  per  le  procedure  di
propria competenza, dovendo solo rispettare  la  norma  di  principio
circa i criteri di commisurazione. 
    Va poi rammentato, soggiunge l'Avvocatura, che  le  modalita'  di
svolgimento del procedimento VIA  vanno  ricondotte  alla  competenza
esclusiva di cui all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  m),  Cost.
inerente la determinazione dei livelli essenziali delle  prestazioni,
in  quanto  la  individuazione  delle  norme  generali  inerenti   la
determinazione delle tariffe da  applicare  su  tutto  il  territorio
nazionale deve ritenersi  aspetto  centrale  del  livello  essenziale
della prestazione amministrativa fissata in materia dal legislatore. 
    25.5.- In merito, poi, alle censure relative agli artt. 22, commi
da 1 a 4, e 26  del  decreto  impugnato,  l'Avvocatura  eccepisce  la
inammissibilita' del ricorso, in quanto non sarebbe  stata  sollevata
mai questione di legittimita' costituzionale della legge di delega. 
    La  censura  sarebbe  inammissibile  anche  perche'  generica   e
immotivata,  in  quanto  non  sono  individuati   progetti   la   cui
sottrazione  alla  competenza  regionale  comporterebbe  la   lesione
dell'art. 118 Cost. e non viene svolto alcun argomento per  sostenere
l'adeguatezza del livello regionale a svolgere la  relativa  funzione
amministrativa. 
    La censura sarebbe comunque  infondata  in  quanto  la  revisione
dell'assetto delle competenze si inquadrerebbe nei principi e criteri
direttivi tracciati dall'art. 14, comma 1, della legge delega n.  114
del 2015, tanto sul versante della armonizzazione e razionalizzazione
delle procedure che su quello del rafforzamento della qualita'  delle
procedure, in  vista  delle  sinergie  con  le  politiche  europee  e
nazionali,   specie   in   tema   di    politiche    energetiche    e
infrastrutturali. Non  sarebbe  neppure  pertinente  il  richiamo  al
criterio di cui all'art. 32, comma 1, lettera g), della legge n.  234
del  2012  per  le  ipotesi  di  sovrapposizioni  di  competenze  tra
amministrazioni diverse, in quanto tale criterio direttivo si  limita
a   sancire   il   rispetto   dei   principi    di    sussidiarieta',
differenziazione, adeguatezza e leale collaborazione in  ordine  alle
competenze regionali sul piano  normativo  e  amministrativo.  Ed  e'
quanto il legislatore avrebbe fatto, sul presupposto della dimensione
"sovra-regionale" delle procedure VIA in  tema  di  infrastrutture  e
impianti energetici attratti nella competenza statale, in  linea  con
quanto previsto dall'art. 118, primo comma,  Cost.  per  la  corretta
allocazione   delle   funzioni   amministrative   ai   vari   livelli
territoriali di governo. 
    25.6.-  A  proposito,  infine,  della  clausola   di   invarianza
finanziaria  di  cui  all'impugnato  art.  27,  l'Avvocatura   deduce
l'inammissibilita' del motivo di ricorso perche' del tutto generica e
immotivata,  e  comunque  infondata  in  quanto  nessun  nuovo  onere
procedimentale sarebbe stato posto a carico delle Regioni. La pretesa
violazione dell'art. 1, comma 4, della  legge  delega  sarebbe,  poi,
oltre che non perspicua, comunque infondata,  in  quanto  residua  in
capo agli enti territoriali la possibilita' di definire, con  proprie
modalita' di  quantificazione,  gli  oneri  da  porre  a  carico  dei
proponenti  a  copertura  dei  costi   sopportati   dalla   autorita'
competente. 
    26.- La Regione Calabria ha depositato il 29 maggio 2018  memoria
con la quale ha insistito nelle conclusioni gia' rassegnate. 
    A proposito del motivo di ricorso riguardante l'art. 5 del d.lgs.
n. 104  del  2017,  si  ribadisce  che,  in  mancanza  di  specifiche
direttive della legge di delega, non poteva ritenersi  consentito  al
legislatore delegato  operare  una  cosi'  profonda  revisione  della
ripartizione delle competenze in materia  di  VIA,  ribadendosi  che,
nella specie,  il  Governo  avrebbe  disatteso  anche  le  previsioni
dettate dall'art. 32, comma 1, lettera g), della  legge  n.  234  del
2012. 
    In merito, poi, alle doglianze formulate in ordine agli artt. 22,
commi da 1 a 4, e 26, comma 1, lettera a),  del  d.lgs.  n.  104  del
2017,  si  osserva  che,  analizzando  i  progetti  per  i  quali  la
competenza  e'  passata  dalle  Regioni  allo   Stato,   la   materia
dell'ambiente si incrocia con diversi ambiti materiali di  competenza
concorrente,  e  si  attrae  nella  competenza   statale   anche   la
valutazione su modifiche o estensioni di progetti anche se oggetto di
autorizzazioni regionali gia' intervenute. 
    Si  insiste,  ugualmente,  sull'accoglimento  anche  degli  altri
motivi di ricorso. 
    27.- Con ricorso notificato il 4-11 settembre 2017  e  depositato
il 14 settembre 2017  (reg.  ric.  n.  73  del  2017),  la  Provincia
autonoma  di  Bolzano   ha   promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 1, «se ed in quanto  riferito  alle
Province autonome» - nella parte in cui introduce l'art. 7-bis, commi
2, 3, 7, 8 e 9, nel d.lgs. n. 152 del 2006 - dell'art. 8, «se  ed  in
quanto riferito alle Province autonome»; dell'art. 16, commi  1,  «in
quanto non prevede un coinvolgimento delle Province  autonome»,  e  2
«se ed in quanto riferito  alle  Province  autonome»;  dell'art.  22,
commi 1, 2, 3 e 4, «se riferito alle Province autonome», e  dell'art.
23, commi 1 e 4, del d.lgs. n. 104 del 2017. 
    27.1.- In via  preliminare,  la  Provincia  ricorrente  passa  in
rassegna i contenuti delle norme censurate, rilevando come i commi  2
e 3 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152 del 2006, aggiunto dall'art. 5,
comma 1, del d.lgs. n. 104 del  2017,  individuino  nel  dettaglio  i
progetti sottoposti a VIA o a verifica di assoggettabilita' a VIA  in
sede statale (allegati II e II-bis alla Parte seconda del  d.lgs.  n.
152 del 2006) e quelli sottoposti alle  predette  procedure  in  sede
regionale (Allegati III e IV). 
    In forza del  comma  8  del  medesimo  art.  7-bis,  le  Province
autonome,  al  pari  delle  Regioni,  nell'esercizio  delle   proprie
potesta' legislative debbono conformarsi alla legislazione europea  e
a quanto previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006, fatto salvo  il  potere
di  stabilire   ulteriori   regole   per   la   semplificazione   dei
procedimenti,  per  la  consultazione  del  pubblico  e  degli  altri
soggetti pubblici interessati, per il coordinamento dei  procedimenti
di competenza regionale e locale, nonche'  per  la  destinazione  dei
proventi  derivanti  dalle  sanzioni  amministrative  alle  finalita'
indicate  dallo  stesso  d.lgs.  n.  152  del  2006,  ferma  restando
l'inderogabilita' dei termini procedimentali massimi. 
    Alla stregua di quanto previsto dall'art. 23, comma 4, del d.lgs.
n. 104 del 2017, le potesta' normative delle Province autonome (cosi'
come delle Regioni) si limitano, in pratica, al semplice  adeguamento
dei rispettivi ordinamenti entro il termine perentorio di  centoventi
giorni dall'entrata in vigore dello stesso decreto, con la previsione
che, decorso inutilmente detto termine, in  assenza  di  disposizioni
regionali o provinciali vigenti idonee allo  scopo,  si  applicano  i
poteri sostitutivi di cui all'art. 117, quinto comma, Cost.,  secondo
quanto previsto dagli artt. 41 e 43 della legge n. 234 del 2012. 
    Il decreto delegato interviene in modo egualmente puntuale  sulle
funzioni amministrative delle Province  autonome  (cosi'  come  delle
Regioni), imponendo loro, tra l'altro, di assicurare che le procedure
di VIA e verifica di assoggettabilita' a VIA di competenza  regionale
siano svolte in conformita' agli artt. da 19 a 26 e da  27-bis  a  29
del d.lgs. n. 152 del 2006 (comma 7 dell'art. 7-bis del d.lgs. n. 152
del 2006), nonche' di informare il Ministero  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio e del mare, a partire dal 31  dicembre  2017  e
con cadenza biennale, circa i provvedimenti adottati e i procedimenti
di verifica di assoggettabilita' a VIA e di VIA, fornendo  una  serie
di atti (comma 9 dell'art. 7-bis). 
    Con  il  decreto  legislativo  in  questione   viene,   altresi',
sensibilmente modificato il riparto delle competenze  amministrative,
attribuendo alla  competenza  dello  Stato  un  rilevante  numero  di
progetti  e  interventi  che  nel  regime  previgenti  erano   invece
attribuiti alla competenza delle Regioni (art. 22 del d.lgs.  n.  104
del 2017 e correlative abrogazioni disposte dall'art. 26).  A  questo
riguardo, il ricorso reca, «a titolo di esempio», un lungo elenco  di
progetti attualmente inseriti negli Allegati II e  II-bis,  e  dunque
tra quelli di competenza statale e non piu' regionale. 
    27.2.- Cio' premesso, la Provincia autonoma ricorrente assume che
il decreto legislativo in questione violerebbe  anzitutto  l'art.  76
Cost., per tardivita'  dell'esercizio  della  delega  legislativa  da
parte del Governo. L'art. 1, comma 2, della legge  n.  114  del  2015
individuava,  infatti,  il  termine  per  l'esercizio  della   delega
mediante rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n.  234  del  2012,
recependo,  in  tal  modo,  le  successive  modifiche   della   norma
richiamata. 
    A seguito della modifica operata dall'art. 29, comma  1,  lettera
b), della legge n. 115 del 2015, il richiamato art. 1 della legge  n.
234 del 2012 stabilisce che, in relazione  alle  deleghe  legislative
conferite con la legge di  delegazione  europea  per  il  recepimento
delle direttive, il Governo  debba  adottare  i  decreti  legislativi
entro il termine di quattro mesi antecedenti a quello di  recepimento
indicato in ciascuna delle direttive. Nella  specie,  il  recepimento
della  direttiva  2014/52/UE  sarebbe  dovuto  avvenire,   ai   sensi
dell'art. 2, paragrafo 1, entro il 16 maggio 2017. Di conseguenza, il
Governo avrebbe dovuto esercitare la delega entro il 16 gennaio 2017:
termine che non e' stato rispettato, essendo il decreto stato emanato
soltanto il 16 giugno 2017. 
    Irrilevante sarebbe la circostanza che nelle note  del  16  marzo
2017, con  le  quali  lo  schema  di  decreto  legislativo  e'  stato
trasmesso  alla  Conferenza   Stato-Regioni   e   alle   Camere   per
l'espressione dei rispettivi pareri, venga indicato come termine  per
l'esercizio della delega lo stesso 16 marzo 2017, sull'assunto che la
legge delega avrebbe fatto rinvio al testo originario  dell'art.  31,
comma 1, della legge n. 234 del 2014, che  prevedeva  il  termine  di
scadenza  di  due  mesi,  anziche'  quattro  mesi,  dal  termine   di
recepimento fissato nella direttiva. 
    Secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,  infatti,  si   deve
presumere che  i  rinvii  contenuti  nelle  leggi  abbiano  carattere
mobile, anziche' fisso, sicche' la natura recettizia del rinvio  deve
essere espressa, oppure desumibile da elementi univoci e  concludenti
(e'  citata  la  sentenza  n.  258  del  2014):  evenienze  che   non
ricorrerebbero nel caso di specie. 
    La ricorrente rileva, per altro verso, che - in  assenza  di  una
chiara previsione di  "cedevolezza"  della  normativa  statale  -  le
disposizioni  contenute  nel  decreto  legislativo  impugnato   hanno
indubbie  ripercussioni  sulla  legislazione   gia'   vigente   nella
Provincia  autonoma  di  Bolzano  nelle  materie  di  sua  competenza
indicate piu' avanti nel ricorso, incidendo, quindi, sulla disciplina
di rango costituzionale e statutario del riparto di competenze tra lo
Stato e la  Provincia:  con  la  conseguenza  che  quest'ultima  deve
ritenersi legittimata a far valere il  vizio  di  eccesso  di  delega
legislativa, che pure esula dalla disciplina del riparto. 
    27.3.- Il decreto legislativo violerebbe l'art. 76  Cost.,  anche
sotto  il  profilo  del  mancato  rispetto  dei  principi  e  criteri
stabiliti nella legge di delega. 
    Non sarebbero stati rispettati, infatti, ne' i principi  generali
per  l'attuazione  delle  direttive  dell'Unione  europea,  tra  cui,
principalmente, il divieto di  aggravare  i  livelli  di  regolazione
rispetto a quelli minimi richiesti dalle direttive stesse  (art.  32,
comma l, lettera c, della legge n. 234  del  2012),  ne'  i  principi
specifici  indicati  dall'art.  14  della  legge  n.  114  del  2015,
riconducibili  essenzialmente  ai  concetti  di   semplificazione   e
coordinamento con altre procedure del settore dell'ambiente,  nonche'
di miglioramento della qualita' del  procedimento  («regolamentazione
intelligente»), e, in ultima analisi, di maggiore efficienza. 
    Il decreto legislativo censurato avrebbe  spostato,  in  effetti,
pressoche' in blocco le competenze dalle Regioni allo Stato,  andando
cosi' ben oltre non solo i principi della delega, ma anche la  stessa
direttiva 2014/52/UE,  la  quale  non  potrebbe  disporre  un  simile
spostamento di competenze nell'ordinamento interno degli Stati membri
e che neppure, peraltro, lo imporrebbe. 
    Risulterebbe violato, inoltre, il disposto dell'art. 32, comma 1,
lettera g), della legge n. 234  del  2012  (richiamato  dall'art.  1,
comma 1, della legge delega n. 114 del 2015),  in  forza  del  quale,
quando   si   verifichino   sovrapposizioni   di    competenze    tra
amministrazioni diverse, i decreti legislativi  debbono  individuare,
«attraverso le piu' opportune forme di coordinamento,  rispettando  i
principi di sussidiarieta',  differenziazione,  adeguatezza  e  leale
collaborazione e le competenze  delle  regioni  e  degli  altri  enti
territoriali,  le  procedure  per  salvaguardare  l'unitarieta'   dei
processi decisionali, la trasparenza,  la  celerita',  l'efficacia  e
l'economicita' nell'azione amministrativa e la chiara  individuazione
dei soggetti responsabili». 
    Nel  procedimento  di  adozione  del  decreto   legislativo,   il
principio  di  leale  collaborazione  non  e'  stato,  per  converso,
rispettato. Il Governo non si e', infatti, adeguato ai rilievi ne' ha
cercato un'intesa, benche' vi fosse tenuto in forza dell'intreccio di
materie di competenza dello Stato e delle Province autonome: cio', in
conformita'   alla   piu'   recente   giurisprudenza   della    Corte
costituzionale,  che  in  simile  situazione  subordina  alle  intese
l'esercizio da parte del Governo della funzione legislativa delegata,
diversamente dalla funzione legislativa esercitata dal Parlamento (e'
citata la sentenza n. 251 del 2016). 
    Non  sarebbe  stato  rispettato,  per  altro  verso,  neppure  il
principio di sussidiarieta', con conseguente violazione dell'art. 118
Cost., cosi' come sarebbero state violate le regole che  disciplinano
la chiamata in sussidiarieta'. 
    27.4.- La  nuova  normativa  statale  inciderebbe,  altresi',  in
ambiti di materia che, in forza del d.P.R. 31  agosto  1972,  n.  670
(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali  concernenti
lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), sono attribuiti alla
potesta'   legislativa,   nonche'   alla   corrispondente    potesta'
regolamentare ed amministrativa delle Province autonome: potesta' che
da tempo sono state anche effettivamente esercitate. 
    Lo statuto speciale - in combinato disposto con l'art. 117  Cost.
e con l'art. 10 della legge  cost.  n.  3  del  2001  -  attribuisce,
infatti,  alle  Province  autonome  in  via  esclusiva  la   potesta'
legislativa  in  un'ampia  gamma  di   materie,   quali   «tutela   e
conservazione  del  patrimonio  storico,   artistico   e   popolare»,
«urbanistica e piani  regolatori»,  «tutela  del  paesaggio»,  «porti
lacuali», «opere di prevenzione e di pronto  soccorso  per  calamita'
naturali» e, in altri termini, «protezione  civile»,  «alpicoltura  e
parchi per la protezione della flora  e  della  fauna»,  «viabilita',
acquedotti   e   lavori   pubblici   di    interesse    provinciale»,
«comunicazioni e trasporti  di  interesse  provinciale»,  «turismo  e
industria alberghiera», «agricoltura,  foreste  e  corpo  forestale»,
«artigianato», «opere idrauliche» (art. 8, numeri 3, 5, 6, 9, 11, 13,
16, 17, 18, 20, 21, 24) e «commercio» (art. 9,  n.  3).  Attribuisce,
altresi', alle Province autonome la potesta' legislativa  concorrente
nella materia «igiene e sanita'»  -  riqualificata  come  piu'  ampia
«tutela della salute» alla luce dell'art. 117, terzo comma, Cost., in
combinato disposto con l'art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001 -  e
nella materia «utilizzazione delle acque pubbliche» (art. 9, numeri 9
e 10). In tutte tali materie le Province autonome esercitano anche le
correlate potesta' amministrative (art. 16). 
    Sul piano organizzativo - e, dunque, in  un  ambito  comune  alle
varie materie  ora  elencate  -  alle  Province  autonome  competono,
altresi', per statuto la funzione normativa e  quella  amministrativa
in materia di «ordinamento degli uffici e del  personale»  (artt.  8,
numero 1, e 16), nell'esercizio della quale sono  stati  disciplinati
anche i procedimenti amministrativi. 
    L'assegnazione  delle  predette   potesta'   e'   operata   dalle
rispettive norme di attuazione statutaria. Al  riguardo,  assumerebbe
particolare rilievo il  d.P.R.  22  marzo  1974,  n.  381  (Norme  di
attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto  Adige
in materia di urbanistica ed  opere  pubbliche),  che  trasferisce  e
delega  alle  Province  le  funzioni  dello  Stato  in   materia   di
utilizzazione delle acque pubbliche, di opere idrauliche, di opere di
prevenzione e pronto soccorso per calamita' pubbliche, di viabilita',
acquedotti e lavori pubblici. L'art.  19-bis  del  citato  decreto  -
aggiunto dall'art. 8 del decreto legislativo 11 novembre 1999, n. 463
-  riconosce,  infatti,  espressamente  alle  Province  autonome   la
competenza in materia di VIA nell'esercizio delle funzioni  delegate:
dal che si desumerebbe che a  maggior  ragione  le  Province  debbono
ritenersi titolari di tale competenza nelle materie proprie. 
    Inoltre, gia' secondo la normativa di attuazione  statutaria  del
1987 (d.P.R. 19 novembre 1987, n. 526),  alle  Province  autonome  e'
attribuito il  potere  di  dare  diretta  attuazione  alle  direttive
europee nelle materie di  competenza  esclusiva:  potere  esteso  nel
1989,  con  legge  ordinaria,  anche  alle  materie   di   competenza
concorrente (art. 9, commi 1 e 2, della legge 9 marzo  1989,  n.  86,
recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia al  processo
normativo comunitario e sulle procedure di esecuzione degli  obblighi
comunitari»)  e  indi  elevato,  nel  2001,  con   norma   di   rango
costituzionale,  a  principio  fondamentale  dell'ordinamento   della
Repubblica (art. 117, quinto  comma,  Cost.,  come  modificato  dalla
legge cost. n. 3 del 2001). 
    Sarebbe  assodato,  d'altro  canto  -  alla  luce  del   disposto
dell'art. 10 della legge cost.  n.  3  del  2001  -  che  il  sistema
normativo e organizzativo fondato sullo statuto speciale continui  ad
operare anche dopo la riforma del Titolo V della Parte seconda  della
Costituzione, trattandosi di riforma che non restringe  la  sfera  di
autonomia  gia'  spettante  alle  Province  autonome,  ma  puo'  solo
ampliarla. 
    In questa prospettiva, questa Corte ha recente  affermato  -  con
particolare riguardo al  servizio  idrico  -  che  il  sistema  delle
attribuzioni provinciali «non e' stato  sostituito  dalla  competenza
esclusiva dello Stato in materia di tutela  della  concorrenza  e  di
tutela dell'ambiente» (sentenza n. 51 del 2016). 
    27.5.- Analogamente,  per  quanto  attiene  alla  disciplina  del
potere sostitutivo, non vi potrebbero essere disposizioni, specie  di
legge ordinaria, peggiorative rispetto all'assetto  costituzionale  e
statutario anteriore alla riforma del 2001.  Questa  Corte  ha  avuto
modo, in particolare, di chiarire che solo per le  materie  di  nuova
acquisizione da parte  delle  Province  autonome  la  disciplina  del
potere  sostitutivo  statale  e'  demandata  a  nuova  normativa   di
attuazione statutaria, mentre per le materie  gia'  attribuite  dallo
statuto rimangono ferme le previgenti norme di attuazione,  e  dunque
anche l'art. 8 del d.P.R. n. 526 del 1987 (e' citata la  sentenza  n.
236 del 2004). 
    Specifiche norme di attuazione statutaria -  e,  in  particolare,
l'art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione  dello
statuto speciale per il Trentino-Alto Adige concernenti  il  rapporto
tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonche'
la potesta'  statale  di  indirizzo  e  coordinamento)  -  prevedono,
inoltre, che la legislazione  regionale  e  provinciale  deve  essere
adeguata unicamente ai principi e norme costituenti, limiti  indicati
dagli artt. 4 e 5 dello statuto, recati  da  atto  legislativo  dello
Stato, entro i  sei  mesi  successivi  alla  pubblicazione  dell'atto
medesimo nella Gazzetta Ufficiale o nel piu' ampio  termine  da  esso
stabilito e che, nel frattempo, restano applicabili  le  disposizioni
legislative  regionali  e  provinciali  preesistenti.  Si  tratta  di
previsione di «rango parastatutario» e, comunque  sia,  sovraordinato
alla   legislazione   ordinaria,   alla   quale   la   giurisprudenza
costituzionale ha  costantemente  riconosciuto  valore  di  parametro
costituzionale  nel  giudizio  in  via  principale  (sono  citate  le
sentenze n. 191 del 2017, n. 380 del 1997 e n. 356 del 1994). 
    Secondo quanto chiarito dalla Corte costituzionale (e' citata  la
sentenza n. 380 del 1997), la citata disposizione statutaria vieta al
legislatore statale - salvo che negli ambiti in cui il  comma  4  del
medesimo art. 2  fa  salva  l'immediata  applicabilita'  delle  leggi
statali (leggi costituzionali e atti legislativi nelle materie in cui
alla Provincia e' attribuita delega di funzioni  statali  o  potesta'
legislativa integrativa) - di riconoscere alle norme da esso  dettate
nelle  materie  di  competenza  provinciale   immediata   e   diretta
applicabilita', prevalente su quella della  legislazione  provinciale
preesistente. Le norme di attuazione garantiscono, in tal modo,  alla
Provincia uno spazio temporale per  procedere  all'adeguamento  della
propria  legislazione  ai  vincoli  che,  in  forza  dello   statuto,
discendano dalle nuove leggi statali. 
    Cio' comporterebbe l'illegittimita' dell'art. 23,  comma  4,  del
d.lgs. n. 104 del 2017, in  forza  del  quale  le  Province  autonome
debbono adeguare la loro  disciplina  in  materia  di  VIA  entro  il
termine perentorio di centoventi giorni dall'entrata  in  vigore  del
medesimo decreto. 
    Nell'esercizio delle potesta' statutarie, la  Provincia  autonoma
di  Bolzano  ha  provveduto  a  disciplinare  con  proprie  leggi   e
regolamenti anche la procedura di VIA (legge della Provincia autonoma
di Bolzano 5 aprile 2007, n. 2, recante «Valutazione  ambientale  per
piani e progetti»; decreto del Presidente della Giunta provinciale 26
marzo 1999, n. 15, recante  «Regolamento  relativo  alla  valutazione
dell'impatto ambientale»; decreto del Presidente  della  Provincia  7
agosto 2002, n. 27, recante «Modifica dell'Allegato  II  della  legge
provinciale  24  luglio  1998,  n.   7,   "Valutazione   dell'impatto
ambientale"»). E', inoltre,  attualmente  in  trattazione  presso  il
Consiglio provinciali il disegno di legge provinciale  n.  135/17-XV,
recante «Valutazione ambientale per piani e progetti», finalizzato  a
dare attuazione a plurime direttive europee. 
    Sarebbe,  pertanto,  evidente  come  la  disciplina  statale   in
questione leda  l'assetto  statutario,  costituendo  esercizio  della
funzione legislativa dello Stato nelle materie  di  loro  competenza.
Cio',  anche  perche'  essa  non  prevede  una  adeguata  formula  di
"cedevolezza", come e'  richiesto  per  i  provvedimenti  sostitutivi
(art. 41, in relazione all'art. 40, comma 3, della legge n.  234  del
2012), limitandosi ad operare solo  «un  blando  rinvio  al  predetto
articolo 41, in relazione ai poteri sostitutivi dello Stato». 
    La  normativa  recata  dal  decreto  legislativo  censurato   non
potrebbe determinare neppure l'abrogazione, decorso un certo termine,
della preesistente normativa  della  Provincia  autonoma  ricorrente,
dovendo quest'ultima essere, nel caso di mancato adeguamento ai nuovi
vincoli, eventualmente  impugnata  dal  Governo  davanti  alla  Corte
costituzionale, secondo quanto previsto dall'art.  2,  comma  2,  del
d.lgs. n. 266 del 1992: laddove invece, ai sensi dell'art. 23,  comma
4, del d.lgs. n. 104 del 2017, la  "inidoneita'"  delle  disposizioni
previgenti  della  Provincia  autonoma  legittimerebbe   tout   court
l'esercizio  dei  poteri   sostitutivi   statali,   con   conseguente
abrogazione delle norme preesistenti. 
    27.6.- Nel confronto con  la  direttiva  2014/52/UE,  il  decreto
legislativo in  questione  violerebbe  anche  con  il  «principio  di
legalita', in relazione  ai  vincoli  derivanti  dall'Unione  europea
(art. 117, primo comma, Cost.)». Il decreto legislativo e',  infatti,
«un atto governativo ed incontra i limiti  imposti  dalla  legge,  in
senso formale, come atto parlamentare che lo autorizza, nonche' dalla
direttiva che attua»: sicche' «non puo' legittimamente  vincolare  le
autonomie territoriali al di la' di quanto  discende  dagli  obblighi
derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea». 
    27.7.-  Le  disposizioni  censurate  violerebbero,  altresi',  il
principio di ragionevolezza, e quindi gli artt. 3  e  97  Cost.,  non
essendo giustificato uno spostamento cosi'  massiccio  di  competenze
dalle Regioni allo  Stato  in  funzione  di  un  miglioramento  della
qualita' del procedimento, della  semplificazione  e  della  maggiore
efficienza.  Non  si  comprenderebbe,  infatti,  come  una   gestione
accentrata e unitaria a livello statale possa essere piu'  efficiente
di una decentrata e diversificate nelle varie autonomie territoriali. 
    Anche la violazione del principio di ragionevolezza  verrebbe  ad
incidere sulla preesistente normativa di attuazione  delle  direttive
europee adottata dalla Provincia ricorrente, di cui il d.lgs. n.  266
del  1992  garantisce  la  continuita',  riflettendosi  quindi  sulla
disciplina costituzionale e statutaria di  riparto  delle  competenze
tra lo Stato e le Province autonome. 
    Da ultimo, risulterebbe violato anche l'art. 4 del d.lgs. n.  266
del 1992, che esclude, in via generale, che la legge possa attribuire
ad  organi  statali  l'esercizio  di  funzioni  amministrative  nelle
materie di competenza statutaria. 
    27.8.- Per la ricorrente  sarebbero  illegittime,  in  subordine,
alcune disposizioni del d.lgs. n. 104 del 2017, ove applicabili  alle
province autonome: l'art. 8 che sostituisce l'art. 19 del  d.lgs.  n.
152 del 2006; l'art. 16, comma  l,  che  sostituisce  l'art.  27  del
d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto non prevede un coinvolgimento delle
province autonome; l'art. 16, comma 2, che  introduce  l'art.  27-bis
nel d.lgs. n. 152 del 2006; l'art. 24 che modifica  l'art.  14  della
legge n. 241 del 1990. 
    Per effetto del richiamo agli artt. da «19 a 26  e  da  27-bis  a
29», contenuto nel comma 7 dell'art. 7-bis  del  d.lgs.  n.  152  del
2006, sarebbero lesive delle  competenze  provinciali  le  norme  che
definiscono regole di procedimento «di estremo  dettaglio  e  termini
perentori», sia per il procedimento di verifica di  assoggettabilita'
a VIA di competenza regionale (art. 19 del d.lgs. n.  152  del  2006,
come introdotto dall'art. 8 del d.lgs. n. 104 del 2017), sia  per  il
procedimento finalizzato al rilascio del provvedimento autorizzatorio
unico regionale (art.  27-bis  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  come
introdotto dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n.  104  del  2017).  Il
carattere di estremo dettaglio  delle  disposizioni  statali  sarebbe
irragionevole e sproporzionato, in contrasto con gli  artt.  3  e  97
Cost., rispetto allo scopo della semplificazione procedimentale. 
    Le disposizioni sul provvedimento autorizzatorio unico  regionale
ed il relativo procedimento di VIA di competenza regionale, lasciando
alle Province autonome soltanto la disciplina  delle  forme  e  delle
modalita' di consultazione del pubblico (art. 27-bis  del  d.lgs.  n.
152 del 2006, come introdotto dall'art. 16, comma 2,  del  d.lgs.  n.
104 del  2017),  nonche'  la  definizione  a  livello  statale  della
disciplina procedimentale con norme di dettaglio,  si  porrebbero  in
contrasto  con  norme  statutarie  sulla   potesta'   legislativa   e
amministrativa in materia di ordinamento degli uffici e del personale
(art. 8, n. 1, e art. 16 dello statuto speciale). 
    27.9.-  La  ricorrente  dubita,   inoltre,   della   legittimita'
costituzionale  dell'art.  24  del  d.lgs.  n.  104  del  2017,  che,
nell'ambito della disciplina del procedimento amministrativo  per  la
VIA di competenza regionale, prevedrebbe il ricorso  alla  Conferenza
di servizi con modalita' sincrona. Tale disposto, se  riferito  anche
alle Province autonome, sarebbe  costituzionalmente  illegittimo  per
contrasto con la competenza in materia di ordinamento  degli  uffici,
considerato che la  disposizione  statale  modificherebbe  l'art.  29
della legge n. 241 del 1990, la quale conterrebbe una disposizione di
salvaguardia dell'autonomia speciale. 
    La disciplina del procedimento per l'adozione  del  provvedimento
unico in materia ambientale di competenza statale (art. 27 del d.lgs.
n. 152 del 2006, come introdotto dall'art. 16, comma 1, del d.lgs. n.
104 del 2017) sarebbe  illegittima  perche'  non  prevedrebbe  alcuna
forma di collaborazione  con  le  Regioni  e  le  Province  autonome,
contrastando con quanto  richiesto  dalla  giurisprudenza  di  questa
Corte (richiamata la sentenza n.  303  del  2003),  quando  lo  Stato
attragga in sussidiarieta' funzioni amministrative anche  in  materie
che ricadono negli ambiti di competenza concorrente o residuale delle
Regioni e delle Province autonome  (ai  sensi  dell'art.  117,  commi
terzo e quarto, Cost., in combinato con l'art. 10 legge  cost.  n.  3
del 2001 e dello statuto speciale). 
    27.10.- La forma di partecipazione prevista (nuovo art. 27, commi
4 e 5) sarebbe «debole», in  quanto  la  posizione  della  ricorrente
resterebbe assorbita da quella prevalente della Conferenza di servizi
(art. 14-ter della legge n. 241 del 1990, richiamato nel comma 8  del
nuovo art. 27), in assenza di rimedi specifici per le amministrazioni
dissenzienti   nella   stessa   legge   organica   sul   procedimento
amministrativo (art. 14-quinquies della legge n. 241 del 1990). 
    La ricorrente censura le predette disposizioni, anche considerato
che non risultano accolte  le  richieste  formulate  dalla  Provincia
autonoma di Bolzano in sede  di  espressione  del  preventivo  parere
prescritto della Conferenza Stato-Regioni, nella seduta del 4  maggio
2017, con cui si chiedeva di sopprimere i riferimenti  espressi  alle
Province autonome contenuti nello schema di decreto legislativo e  di
integrarlo con una apposita disposizione di salvaguardia delle  norme
statutarie e di  attuazione  statutaria,  anche  con  riferimento  al
previsto potere sostitutivo statale per il caso  di  inattivita'  nel
recepimento  delle   direttive   UE.   Le   disposizioni   impugnate,
introducendo, verosimilmente anche  con  riferimento  alla  Provincia
autonoma di Bolzano, una disciplina vincolante in materie in  cui  la
stessa  ha  potesta'  legislativa,  regolamentare  ed  amministrativa
proprie, che la ricorrente avrebbe gia'  esercitato,  comprimerebbero
illegittimamente le prerogative riconosciute alla stessa. 
    28.- Si e' costituito, con atto depositato il 20 ottobre 2017, il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che  il  ricorso  sia
dichiarato infondato. 
    28.1.- Quanto alla censura di violazione dell'art. 76 Cost.,  per
tardivita' dell'esercizio della delega legislativa, essa risulterebbe
inammissibile,  stante  la  mancata  corrispondenza  tra  il  rilievo
formulato (che varrebbe a travolgere l'intero decreto legislativo)  e
il petitum, limitandosi  la  Provincia  ricorrente  a  richiedere  la
declaratoria di illegittimita' costituzionale di  singole  previsioni
del decreto stesso. 
    Nel merito, la censura risulterebbe, comunque sia, infondata. 
    La legge di delega n. 114 del  2015  (entrata  in  vigore  il  15
agosto 2015) individua il termine per  l'attuazione  della  direttiva
sulla VIA per relationem, ossia mediante rinvio all'art. 31, comma 1,
della legge n. 234 del  2012.  Tale  ultima  disposizione  e'  stata,
pero', oggetto di modifica ad opera  della  legge  n.  115  del  2015
(entrata in vigore il 18 agosto 2015, e  dunque  in  data  successiva
alla legge di delega di cui si discute), per effetto della  quale  il
Governo adotta i decreti legislativi entro il termine di quattro mesi
- e non piu' due mesi, come nella versione originaria - antecedenti a
quello di recepimento indicato in ciascuna delle direttive. 
    La tesi della ricorrente, secondo la quale quello contenuto nella
legge n. 114 del 2015 sarebbe un rinvio mobile,  esteso  a  tutte  le
modifiche  subite  dalla  fonte  richiamata,  non   potrebbe   essere
condiviso.  Secondo  la  giurisprudenza  costituzionale,  infatti,  i
rinvii assumono carattere recettizio non solo ove la norma  rinviante
li qualifichi espressamente come tali, ma anche  quando  tale  natura
sia  deducibile  da  elementi   univoci   e   concludenti:   elementi
riscontrabili nel caso di specie. 
    In secondo luogo, vi sarebbe almeno un caso nel quale la  pretesa
di  applicare  retroattivamente  la   modifica   in   discorso,   con
conseguente abbreviazione del termine, avrebbe prodotto  la  scadenza
di una delega ancora in corso. Cio' sarebbe avvenuto, in specie,  con
riferimento alla delega per l'attuazione della direttiva  2012/29/UE,
non ancora esercitata al momento dell'entrata in vigore  della  legge
n. 115 del 2015. Posto che il termine di recepimento della  direttiva
era fissato al 16 novembre 2015, opinando nel senso prospettato dalla
ricorrente il termine per l'esercizio della  delega  sarebbe  passato
dal 16 settembre al 16 luglio 2015, e,  dunque,  a  data  addirittura
antecedente alla novella di cui alla stessa legge n.  115  del  2015.
Effetto, questo, paradossale e illogico, in quanto atto a determinare
il venir meno  dello  stesso  potere  delegato  di  attuazione  della
direttiva,  con  grave  pregiudizio  per  la  tempestivita'  che   e'
richiesta nell'adempimento  degli  obblighi  sovranazionali.  Sarebbe
palese l'assoluta irragionevolezza di un tale  esito,  per  il  quale
l'abbreviazione  dei  termini  per  l'attuazione  delle  direttive  -
verosimilmente  disposta  per  favorirne  il  pronto  recepimento   -
conseguirebbe un effetto esattamente opposto. 
    Una volta, peraltro, che si sia stabilito il carattere recettizio
del rinvio operato dalla  delega  per  l'attuazione  della  direttiva
2012/29/UE, alla medesima conclusione dovrebbe ovviamente  pervenirsi
per tutte le deleghe antecedenti all'entrata in vigore della legge n.
115 del 2015, compresa quella di cui si  discute,  la  quale  sarebbe
stata, pertanto, esercitata entro i termini previsti dalla  legge  di
delegazione. 
    28.2.- La seconda censura di violazione dell'art. 76  Cost.,  per
mancato rispetto dei principi e criteri direttivi dettati dalla legge
di  delegazione  in  tema   di   semplificazione   e   coordinamento,
risulterebbe  parimente  inammissibile  per  la   genericita'   delle
deduzioni   della   ricorrente,   riferite   in   modo   unitario   e
indifferenziato  all'intero  decreto  legislativo,  senza   che   sia
consentito individuare  le  specifiche  legislative  della  Provincia
autonoma che risulterebbero lese. 
    Nel merito, la censura sarebbe infondata per ragioni  analoghe  a
quelle esposte in relazione alla similare  questione  promossa  dalla
Regione Puglia (reg. ric. n. 65 del 2017). 
    28.3.- Anche la terza censura generale, concernente la violazione
del principio di leale collaborazione nel  procedimento  di  adozione
del decreto  legislativo,  risulterebbe  inammissibile,  non  essendo
indicate le norme del  decreto  che  si  assumerebbero  lesive  delle
prerogative statutarie. 
    Nel merito, la censura sarebbe infondata. Premesso che, in quanto
"trasversale" e "prevalente", la  normativa  statale  in  materia  di
tutela dell'ambiente si  impone  integralmente  nei  confronti  delle
amministrazioni  territoriali,  l'Avvocatura  generale  dello   Stato
formula considerazioni analoghe  a  quelle  svolte  in  relazione  al
ricorso della Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (reg. ric.  n.  63
del 2017), riguardo al fatto che la ricorrente -  nel  richiamare  la
sentenza n. 251 del 2016 della Corte costituzionale - avrebbe confuso
il paradigma giurisprudenziale dell'«intreccio»  di  competenze,  non
pertinente al caso di specie, con quello della  semplice  «incidenza»
delle norme dello Stato su funzioni delle amministrazioni locali, che
naturalmente caratterizza le materie "trasversali". 
    Quanto al mancato recepimento delle proposte emendative  avanzate
dalle Regioni e dalle Province autonome in sede  di  espressione  del
parere - peraltro non obbligatorio - della Conferenza  Stato-Regioni,
l'Avvocatura ribadisce come nella relazione illustrativa dello schema
di decreto delegato si dia puntuale  conto  delle  ragioni  del  loro
mancato accoglimento. 
    28.4.- La quarta censura generale, relativa all'asserito  mancato
rispetto  del  principio  di  sussidiarieta'  e  delle   regole   che
disciplinano  la  chiamata  in  sussidiarieta',  sarebbe   di   nuovo
inammissibile  per  genericita',   risultando   priva   di   supporto
argomentativo. 
    Nel  merito,  anche  tale  censura  si   baserebbe   sull'erroneo
presupposto che la disciplina in materia di VIA sia  riconducibile  a
una pluralita' di materie, anche di  competenza  provinciale,  quando
essa invece si colloca nella competenza esclusiva dello  Stato  sulla
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema. 
    Andrebbe, dunque,  escluso  che  il  legislatore  delegato  fosse
tenuto all'intesa con le Regioni e le Province  autonome,  in  quanto
tale   modulo   procedurale   e'   richiesto   dalla   giurisprudenza
costituzionale in relazione alla chiamata in sussidiarieta', peraltro
con  riferimento  alle  modalita'   di   esercizio   della   funzione
amministrativa  e  non  al  procedimento  di   formazione   dell'atto
legislativo. 
    28.5.- Priva di ogni  fondamento  sarebbe,  poi,  la  censura  di
violazione dell'art. 19-bis del d.P.R. n. 381 del 1974. 
    Tale disposizione prevede che le Province autonome di Trento e di
Bolzano applichino la normativa provinciale  in  materia  di  VIA  in
riferimento alle  sole  funzioni  delegate  dallo  Stato,  diverse  e
ulteriori  rispetto   a   quelle   statutariamente   garantite,   con
l'obiettivo di ammettere anche in relazione ad esse  la  legislazione
provinciale. Trattandosi, dunque, di previsione  che  fonda  in  capo
alla Provincia una competenza legislativa praeter statutum, essa  non
puo' valere in rapporto a funzioni diverse da quelle  alle  quali  si
riferisce. 
    D'altra parte, il d.lgs. n. 104 del 2017  circoscrive  gli  spazi
disponibili al legislatore provinciale in materia di VIA, ma  non  li
azzera, con la conseguenza che l'invocata norma di attuazione risulta
comunque sia rispettata. 
    28.6.- Quanto all'assunto della Provincia ricorrente, secondo  il
quale le disposizioni impugnate violerebbero la propria competenza  a
dare  immediata  attuazione  alle  direttive  europee  nelle  materie
provinciali, sarebbe decisivo, in senso contrario, ancora una  volta,
il rilievo della sicura riconducibilita' della disciplina  della  VIA
alla competenza legislativa esclusiva statale in  materia  di  tutela
dell'ambiente e - con riguardo alla regolamentazione del procedimento
amministrativo - anche a quella  in  materia  di  livelli  essenziali
delle prestazioni (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.) 
    Affatto inconferente risulterebbe, di  conseguenza,  il  richiamo
all'art. 41 della legge n. 234  del  2012,  in  forza  del  quale  la
disciplina statale deve caratterizzarsi come cedevole solo qualora lo
Stato abbia esercitato il potere sostitutivo previsto dall'art.  117,
quinto comma, Cost.: laddove, invece, nel caso in esame, lo Stato  ha
inteso attuare la direttiva europea in un ambito di propria esclusiva
spettanza. 
    28.7.- Con riguardo alla questione che investe l'art.  23,  comma
4, del d.lgs. n. 104 del 2017, censurato sul rilievo che la normativa
statale non potrebbe  determinare  l'abrogazione  della  preesistente
normativa  della  Provincia  autonoma,  il  resistente  osserva,   in
contrario,  come  la  circostanza  che  la   Provincia   abbia   gia'
disciplinato la  materia  della  VIA  non  impedisca  allo  Stato  di
intervenire  nuovamente,  dettando,  in  attuazione  della  direttiva
europea e  nell'esercizio  delle  sue  competenze  esclusive,  regole
procedimentali vincolanti che consentano l'uniforme  svolgimento  del
procedimento di VIA su tutto il territorio nazionale. 
    Anche a questo proposito, varrebbe altresi' il  rilievo  che  gli
spazi rimessi al legislatore provinciale, se pure ridimensionati, non
vengono pero' azzerati, potendo le Regioni  e  le  Province  autonome
intervenire con proprie leggi e regolamenti al fine  di  disciplinare
gli aspetti indicati dall'art. 7-bis, comma 8, del d.lgs. n. 152  del
2006, come introdotto dall'art. 5 del d.lgs. n. 104 del 2017. 
    Improprio sarebbe, inoltre, il  richiamo  della  ricorrente  alla
clausola di salvaguardia prevista dall'art. 35-bis del d.lgs. n.  152
del 2006, la quale, da un lato, ha ad oggetto tutte le previsioni del
codice dell'ambiente, e non solo quelle relative ai  procedimenti  di
VIA; dall'altro, mira a  far  salve  le  competenze  delle  autonomie
speciali  statutariamente  fondate.   Essa   non   sarebbe,   dunque,
riferibile alla disciplina della VIA, riconducibile  alla  competenza
esclusiva dello Stato. 
    28.8.- Quanto alla denunciata violazione,  con  riferimento  alla
direttiva 2014/52/UE, del principio di  legalita'  «in  relazione  ai
vincoli derivanti dall'Unione europea (art. 117, primo comma, Cost.),
la censura sarebbe  inammissibile,  non  essendo  stati  puntualmente
individuati  ne'  il  parametro  della  direttiva  violato,  ne'   la
disposizione  del   decreto   legislativo   che   determinerebbe   la
violazione. 
    Nel merito, il d.lgs. n. 104 del 2017 risulterebbe, in ogni caso,
pienamente   conforme   alla   direttiva   e   alla   legge   delega,
caratterizzata da principi  e  criteri  direttivi  che  circoscrivono
adeguatamente la  materia  e  gli  obiettivi  del  decreto  delegato,
dovendosi  comunque  sia  riconoscere  al  Governo  un   margine   di
discrezionalita' tecnica, in difetto del quale  non  sarebbe  neppure
piu' utile il ricorso allo schema della delegazione legislativa. 
    28.9.- Le ulteriori censure generali della Provincia autonoma  di
Bolzano, intese a denunciare la violazione degli artt. 3 e 97  Cost.,
e dell'art. 4 del d.lgs. n. 266 del  1992,  sarebbero  inammissibili,
non essendo state puntualmente individuate le norme  statali  oggetto
di impugnazione. 
    Le censure riferite agli artt. 3 e 97 Cost.,  sarebbero  altresi'
inammissibili per la  loro  genericita',  non  avendo  la  ricorrente
precisato quali siano le funzioni  amministrative  nelle  materie  di
competenza statutaria compresse dalla legislazione  statale,  ne'  le
motivazioni che renderebbero  irragionevole  la  riallocazione  delle
competenze legislative in materia di VIA. 
    Nel  merito,  le  censure   risulterebbero   infondate   per   le
considerazioni gia'  addotte  in  relazione  alla  censura  intesa  a
lamentare  l'indebito  spostamento  di  competenze  dalle  Regione  e
Province autonome allo Stato. 
    Egualmente infondata sarebbe la censura di violazione dell'art. 4
del d.lgs. n. 266 del 1992, nella parte in cui vieta di attribuire ad
organi statali l'esercizio di funzioni amministrative  nelle  materie
di competenza della Regione o delle Province  autonome:  ipotesi  che
non ricorrerebbe nella specie, dal momento  che  -  come  piu'  volte
osservato  -  la  disciplina  della  VIA  ricade  nell'ambito   della
competenza esclusiva dello Stato. 
    28.10.- Le considerazioni dinanzi esposte varrebbero a dimostrare
l'infondatezza anche delle censure riferite singolarmente agli  artt.
5, comma 1, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 23, commi 1 e 4, del  d.lgs.  n.
104 del 2017. 
    Tali censure sarebbero, prima ancora, inammissibili per  la  loro
genericita', non  essendo  esattamente  individuate  le  norme  dello
statuto speciale che sarebbero lese. 
    28.11.- L'Avvocatura eccepisce altresi' l'inammissibilita'  della
censura dell'art. 27-bis del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  introdotto
dall'art. 16, comma 2, del d.lgs. n. 104 del 2017,  che  contesta  la
disciplina statale sul provvedimento unico regionale  in  materia  di
VIA, nella parte in cui si riferisce genericamente a  parametri  gia'
evocati, senza  chiarire  con  esattezza  quali  sarebbero  le  norme
statutarie violate in relazione al vizio specifico. 
    Essa  sarebbe  infondata,  anche  per  la  parte  riferita   alle
disposizioni  dello  statuto  speciale   relative   alla   competenza
provinciale sulla propria organizzazione interna. 
    Ribadisce  l'Avvocatura  che  la  disciplina  in  tema   di   VIA
rientrerebbe nella competenza  esclusiva  dello  Stato  sulla  tutela
dell'ambiente  e,  per  quanto  concerne  il  procedimento   di   VIA
regionale, in quella, parimenti  esclusiva,  sui  livelli  essenziali
delle  prestazioni.  Di  conseguenza,  non  si  realizzerebbe  alcuna
espropriazione delle competenze provinciali. 
    28.12.- Infondata sarebbe anche la censura dell'art. 16, comma l,
che ha modificato l'art. 27 del d.lgs. n. 152 del 2006,  introducendo
il  provvedimento  autorizzatorio  unico  statale,   il   quale   non
consentirebbe un idoneo coinvolgimento delle Regioni e delle Province
autonome. 
    Non  si  verificherebbe  nel  caso  di  specie  una  chiamata  in
sussidiarieta', venendo in considerazione, in materia  di  VIA,  solo
competenze statali di tipo esclusivo. Del  pari,  nessuna  violazione
del principio di leale collaborazione  discenderebbe  dal  meccanismo
delle posizioni prevalenti, previsto come criterio decisionale  della
conferenza  di  servizi  in  modalita'  asincrona  nel   quadro   del
procedimento autorizzatorio unico statale. Tale  modalita',  infatti,
rappresenterebbe un ragionevole punto di equilibrio tra l'esigenza di
garantire la posizione delle  amministrazioni  che  partecipano  alla
conferenza e quella di assicurare  la  conclusione  entro  i  termini
perentori di un procedimento di competenza dello Stato. 
    28.12.1.-  Infondati  sarebbero  poi  i  dubbi  formulati   dalla
Provincia ricorrente  a  proposito  dell'applicabilita'  dei  rimedi,
previsti  dalla  legge  n.  241  del  1990,  per  le  amministrazioni
dissenzienti. 
    Osserva la difesa statale che il rinvio dell'art. 27  del  d.lgs.
n. 152 del 2006 all'art. 14-ter della legge  n.  241  del  1990,  non
escluderebbe  il  richiamo  e  il  rinvio  agli  artt.  14-quater   e
14-quinquies, che sarebbe implicito. 
    Non si riscontrerebbe alcuna violazione del  principio  di  leale
collaborazione  nel  procedimento  unico  ambientale  di   competenza
statale,  che  determinerebbe  «un  efficiente  coordinamento   delle
amministrazioni statali e  locali  coinvolte  a  vario  titolo  nella
realizzazione del progetto»,  anche  attraverso  l'applicazione,  ove
necessario, del rimedio per  le  amministrazioni  dissenzienti  (art.
14-quinques). 
    28.13.-  Inammissibile,  infine,  sarebbe  la  censura   relativa
all'art. 24 del d.lgs. n. 104 del  2017,  per  mancanza  assoluta  di
argomentazioni a sostegno. 
    29.- La Provincia autonoma  di  Bolzano  ha  depositato  memoria,
insistendo per l'accoglimento del ricorso. 
    29.1.-  La  Provincia   ritiene   infondate   le   eccezioni   di
inammissibilita'   delle   censure   di   incostituzionalita',    per
genericita'   e   carenza   di   adeguata   motivazione,    formulate
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  rilevando  come  nel  ricorso
introduttivo siano stati individuati specificamente  i  trasferimenti
di competenze operati per effetto del decreto legislativo impugnato e
le singole norme che  si  hanno  disposti,  indicando  altresi',  con
argomentazioni  tutt'altro  che  sintetiche,  i  diversi  profili  di
illegittimita' in rapporto a una specifica serie di norme  sia  della
Costituzione,  sia  dello  statuto  di  autonomia  e  delle  relative
disposizioni di attuazione. 
    In  particolare,  nel  ricorso   introduttivo   sarebbero   stati
individuati specificamente i trasferimenti di competenza operati  per
effetto del decreto legislativo impugnato 
    29.2.- Per  quanto  attiene,  poi,  alla  censura  di  violazione
dell'art.  76  Cost.,  per  tardivita'  dell'esercizio  della  delega
legislativa, la censura non sarebbe affatto inammissibile, posto  che
l'interesse  della  Provincia  e'  di  quello  di  far  caducare   le
disposizioni del d.lgs.  n.  104  del  2017  invasive  delle  proprie
competenze legislative e amministrative. 
    Nel merito, la Provincia ribadisce che  il  rinvio  all'art.  31,
comma 1, della legge n. 234 del 2012, operato dall'art. 1,  comma  2,
della legge n. 114 del 2015 al fine di  individuare  il  termine  per
l'esercizio della delega,  deve  ritenersi  di  carattere  mobile,  e
dunque  comprensivo  anche  delle  modifiche  apportate  alla   norma
richiamata dall'art. 29, comma 1, lettera b), della successiva  legge
n. 115 del 2015. 
    29.3.- In relazione, poi, alla dedotta  violazione  dell'art.  76
Cost., per mancato rispetto dei principi di delega, contrariamente  a
quanto sostenuto dall'Avvocatura generale dello Stato,  il  massiccio
spostamento delle competenze dalle Regioni e Province  autonome  allo
Stato, disposto dal  legislatore  delegato,  non  potrebbe  ritenersi
compreso in alcuno dei criteri fissati dall'art. 14  della  legge  n.
114 del 2015. 
    Tali   competenze   statutarie   non   potrebbero    considerarsi
circoscritte dalla competenza in materia di ambiente attribuita  allo
Stato con la legge cost. n. 3 del 2001, la quale, in virtu'  del  suo
art. 10, non ha ristretto lo spazio di autonomia spettanti agli  enti
ad autonomia differenziata in virtu'  dello  statuto  speciale,  come
chiarito anche dalla giurisprudenza costituzionale (e'  riportata  la
sentenza n. 212 del 2017). Proprio per questo, la nuova  ripartizione
delle competenze in materia di VIA, anziche' rispondere  al  generale
principio di delega di cui all'art. 32, comma l,  lettera  g),  della
legge n. 234 del 2012, come vorrebbe l'Avvocatura, lo  violerebbe  in
modo evidente. 
    29.4.- Stante, quindi, la configurabilita'  di  un  intreccio  di
materie, e non  di  una  semplice  «incidenza»,  sarebbe  altrettanto
evidente come nel procedimento di adozione  del  decreto  legislativo
siano stati violati sia il principio di leale  collaborazione  -  non
essendosi  il  Governo  adeguato  ai  rilievi,  ne'  avendo   cercato
un'intesa,  benche'  vi  fosse  tenuto  -   sia   il   principio   di
sussidiarieta'. 
    29.5.- In tale prospettiva, sussisterebbe indubbiamente anche  la
violazione  della  norma  di  attuazione  allo  Statuto  speciale  di
autonomia di  cui  all'art.  7  del  d.P.R.  n.  526  del  1987,  ora
«consacrata» dall'art. 117, quinto comma, Cost., che  riconosce  alla
ricorrente Provincia il potere  di  dare  immediata  attuazione  alle
direttive dell'Unione europea nelle materie  di  propria  competenza,
salvo adeguarsi,  nei  limiti  previsti  dallo  Statuto  speciale  di
autonomia,  alle  leggi  statali  di  attuazione  dei  predetti  atti
dell'Unione europea. 
    Sarebbe,  pertanto,  tutt'altro  che  inconferente  il   richiamo
all'art. 41 della legge n. 234 del 2012,  ove  si  consideri  che  le
disposizioni impugnate vengono a  sovrapporsi  e  a  condizionare  la
disciplina provinciale, recando una disciplina che non ha i caratteri
della suppletivita' e della cedevolezza richiesti  per  la  finalita'
sostitutiva di cui al predetto articolo. 
    29.6.-   La   normativa   statale   non   potrebbe    determinare
l'abrogazione, neppure tacitamente e in via di fatto, della normativa
provinciale preesistente, stante la  specifica  norma  di  attuazione
statutaria di cui al citato art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992. 
    A questo riguardo, la  Provincia  segnala  che,  nelle  more,  e'
entrata in vigore  la  legge  provinciale  13  ottobre  2017,  n.  17
(Valutazione ambientale per piani,  programmi  e  progetti),  con  la
quale e' stata data attuazione a tre direttive  dell'Unione  europea,
tra  cui  la  direttiva  2011/92/UE,   modificata   dalla   direttiva
2014/52/UE, concernente la  valutazione  dell'impatto  ambientale  di
determinati progetti pubblici e privati, nonche' alla  Parte  seconda
del  d.lgs.  n.  152  del  2006.  Tale  legge  disciplina  i  diversi
procedimenti di valutazione ambientale a livello provinciale, tenendo
conto anche delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 104 del 2017,  in
discussione, entro i limiti prescritti dall'art. 2 del d.lgs. n.  266
del 1992. La ricorrente da', peraltro, atto  che  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  ha  proposto  questioni   di   legittimita'
costituzionale di alcune disposizioni della citata legge provinciale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con i ricorsi indicati in  epigrafe,  le  Regioni  a  statuto
ordinario Lombardia, Puglia, Abruzzo, Veneto e Calabria, le Regioni a
statuto speciale Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, Friuli-Venezia  Giulia
e Sardegna, e le due Province autonome di Trento e di  Bolzano  hanno
promosso,  in  riferimento  a  plurimi  parametri  costituzionali   e
statutari,  questioni  di  legittimita'  costituzionale   dell'intero
decreto  legislativo  16  giugno  2017,  n.  104  (Attuazione   della
direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  16
aprile 2014, che modifica la  direttiva  2011/92/UE,  concernente  la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati, ai sensi degli artt. 1 e 14 della legge 9 luglio 2015,  n.
114), o di sue singole disposizioni. 
    Il decreto legislativo impugnato e'  stato  adottato  sulla  base
della delega legislativa conferita dagli artt. 1 e 14 della  legge  9
luglio 2015, n. 114 (Delega  al  Governo  per  il  recepimento  delle
direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea  -
Legge di delegazione europea 2014), al fine di dare  attuazione  alla
direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del  Consiglio  del  16
aprile 2014, che modifica  la  direttiva  2011/92/UE  concernente  la
valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti  pubblici
e privati.  Nel  conferire  al  Governo  la  delega  legislativa  per
l'attuazione della direttiva, il legislatore delegante, per un verso,
ha fatto rinvio a talune disposizioni della legge 24  dicembre  2012,
n. 234, recante «Norme generali sulla partecipazione dell'Italia alla
formazione  e  all'attuazione  della  normativa  e  delle   politiche
dell'Unione europea» (da ora in poi, anche: legge quadro europea), e,
per altro verso, ha stabilito specifici principi e criteri direttivi. 
    Sulla  base  delle  norme  di  delega,  il  decreto   legislativo
impugnato ha  realizzato  un'ampia  riforma  della  disciplina  delle
procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e di verifica di
assoggettabilita' a VIA contenuta nel decreto  legislativo  3  aprile
2006, n. 152, recante «Norme in materia ambientale» (da ora  in  poi,
anche: cod. ambiente). Le doglianze delle ricorrenti traggono origine
dal rilievo che le modifiche operate hanno comportato un riassetto  -
nel segno di una marcata e, in assunto, illegittima  centralizzazione
- delle competenze,  tanto  normative  quanto  amministrative,  dello
Stato e delle Regioni nella materia considerata. 
    2.- In considerazione della identita', anche solo parziale, delle
norme impugnate e delle censure proposte,  i  giudizi  devono  essere
riuniti per essere trattati  congiuntamente  e  decisi  con  un'unica
pronuncia. 
    3.- Devono essere prioritariamente  scrutinate,  per  ragioni  di
pregiudizialita'  logico-giuridica,  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'intero decreto legislativo,  promosse  da  alcune
delle ricorrenti. Queste ultime hanno chiaramente  ed  esaustivamente
indicato le competenze regionali o provinciali  asseritamente  incise
dall'atto impugnato, con cio' assolvendo l'onere di motivare circa la
ridondanza del vizio di eccesso di  delega  sulle  loro  attribuzioni
costituzionalmente garantite. 
    3.1.- La  Regione  Puglia  e  la  Provincia  autonoma  di  Trento
assumono  che  il  decreto  legislativo  sarebbe  stato  adottato  in
violazione dell'art. 76 della Costituzione  (e  anche  dell'art.  77,
secondo la Provincia autonoma di Trento), per tardivo esercizio della
delega. 
    Analoga censura, pur se formalmente  rivolta  ai  soli  artt.  5,
comma 1 - nella parte in cui introduce l'art. 7-bis, commi 2, 3, 7, 8
e 9, nel d.lgs. n. 152 del 2006 -, 22, commi 1, 2, 3 e 4, e 23, commi
1 e 4, del d.lgs.  n.  104  del  2017,  e'  altresi'  proposta  dalla
Provincia autonoma di Bolzano. 
    Le ricorrenti osservano che l'art. 1, comma 2, della legge n. 114
del 2015 ha individuato  il  termine  per  l'esercizio  della  delega
mediante rinvio all'art. 31, comma 1, della legge n.  234  del  2012.
Tale disposizione, nel  testo  vigente  al  momento  dell'entrata  in
vigore della legge di delega, prevedeva che i decreti legislativi per
l'attuazione delle direttive europee dovessero essere adottati  entro
i due mesi antecedenti il termine di recepimento della  direttiva  da
attuare. La direttiva 2014/52/UE doveva essere recepita entro  il  16
maggio 2017 e, pertanto, il  termine  per  l'esercizio  della  delega
sarebbe scaduto il 16 marzo 2017. 
    Successivamente all'entrata in vigore della legge delega,  l'art.
29 della legge 29 luglio 2015, n. 115 (Disposizioni per l'adempimento
degli obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  all'Unione
europea - Legge europea 2014), ha modificato la disposizione  oggetto
del rinvio (l'art. 31,  comma  1,  della  legge  n.  234  del  2012),
prevedendo che i decreti legislativi di  attuazione  delle  direttive
devono essere adottati entro i quattro mesi antecedenti il termine di
recepimento della direttiva. 
    Secondo le ricorrenti, il  Governo  era  tenuto  al  rispetto  di
questo diverso e piu' ristretto  termine.  Il  rinvio  operato  dalla
legge delega andrebbe inteso, infatti, come rinvio mobile, e non gia'
come rinvio fisso o  recettizio.  Il  rinvio  fisso  potrebbe  essere
ravvisato - per ripetuta affermazione di questa Corte (e' richiamata,
in particolare, la sentenza n. 258 del 2014) - solo  in  presenza  di
una volonta' espressa del legislatore, ovvero di elementi «univoci  e
concludenti», non riscontrabili nella specie. 
    Il termine di esercizio della delega sarebbe scaduto, percio', il
16 gennaio 2017, con conseguente  tardivita'  del  decreto  delegato,
emanato invece il 16 giugno 2017. 
    3.1.1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso   dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,   ha    eccepito
l'inammissibilita' delle questioni promosse dalla Provincia  autonoma
di Bolzano, stante la mancata  corrispondenza  tra  le  censure  (che
varrebbero a travolgere l'intero decreto legislativo) e  il  petitum,
limitandosi la Provincia ricorrente a richiedere la  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale di singole disposizioni del decreto. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    La ricorrente ha ritenuto di impugnare le sole  disposizioni  che
reputa lesive delle proprie competenze costituzionalmente  garantite.
La circostanza  che  il  vizio  lamentato  potrebbe  determinare,  in
ipotesi, l'illegittimita' costituzionale non solo delle  disposizioni
censurate, ma del decreto legislativo nella sua interezza, non vale -
contrariamente a quanto sostenuto dal resistente - a rendere  dovuta,
pena  la  sua  inammissibilita',  l'impugnazione   dell'intero   atto
normativo. 
    3.1.2.- Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    L'Avvocatura dello Stato ha correttamente rilevato, infatti,  che
interpretare quale rinvio mobile il  rinvio  all'art.  31,  comma  1,
della legge n. 234 del 2012, operato dalla legge delega, si  porrebbe
in contrasto con il  principio  generale  di  irretroattivita'  delle
leggi di cui all'art. 11 delle  disposizioni  preliminari  al  codice
civile, il quale impone  di  ritenere  che  il  "nuovo"  termine  per
l'esercizio delle deleghe di attuazione della  normativa  europea  si
applica alle sole deleghe legislative conferite successivamente  alla
modifica del richiamato art. 31, comma 1. 
    Non giova opporre,  come  fanno  invece  le  ricorrenti,  che  il
principio di irretroattivita' vale solo  per  le  norme  sostanziali,
mentre nella specie  si  tratterebbe  di  una  norma  procedimentale,
soggetta  al  principio  tempus  regit  actum.   Di   la'   da   ogni
considerazione sul fatto che la norma che fissa il termine entro  cui
esercitare  la  delega  non  e'  meramente  procedimentale,   perche'
determina quel «tempo limitato» (art. 76 Cost.) durante il  quale  il
Governo ha il potere di esercitare in via eccezionale  una  funzione,
quella legislativa,  che  ordinariamente  spetta  alle  Camere,  deve
escludersi, salvo espressa indicazione di  segno  contrario,  che  la
modifica - in senso abbreviativo - del termine per l'esercizio di  un
potere o di una facolta' possa applicarsi in  confronto  a  poteri  e
facolta' gia' insorti e rispetto ai quali sta decorrendo  il  termine
originario: il che e' precisamente la situazione del caso di  specie,
essendo la legge  delega  entrata  in  vigore  prima  della  modifica
all'art. 31, comma 1, della  legge  n.  234  del  2012.  Una  diversa
soluzione  rischierebbe  di  produrre,   d'altra   parte,   risultati
illogicamente penalizzanti,  potendo  determinare  -  in  assenza  di
un'univoca manifestazione in tal senso da parte  del  titolare  della
funzione  legislativa  -  il  radicale  azzeramento  del  potere  del
delegato. 
    L'interpretazione  del  rinvio  in  esame  quale  rinvio   fisso,
d'altronde, e' quella che risponde all'esigenza  che  il  legislatore
delegante  determini  il  «tempo  limitato»  entro  cui  puo'  essere
esercitata la delega «in uno qualunque dei  modi  che  consentano  di
individuare, in via diretta, o anche indirettamente con l'indicazione
di un evento futuro ma certo, il momento iniziale e quello finale del
termine» (sentenza n. 163 del  1963).  Se,  infatti,  il  potere  del
Governo di esercizio della funzione legislativa ex art. 76 Cost. deve
essere temporalmente delimitato dalla legge delega,  l'individuazione
certa del termine ottenuta attraverso il rinvio ad  una  disposizione
di carattere generale (quale il procedimento, ed i relativi  termini,
delineato  dalla  legge  n.  234  del  2012)  non  puo'  considerarsi
modificata, in mancanza di  una  espressa  volonta'  del  legislatore
delegante, in caso di intervento normativo sulla disposizione oggetto
del rinvio. La necessita' che il termine per l'esercizio della delega
sia definito, pur se  indirettamente  determinato,  rende  obbligata,
dunque, l'opzione ermeneutica secondo cui l'art. 1,  comma  2,  della
legge n. 114 del 2015 e' disposizione recante un rinvio fisso:  cosi'
interpretata la norma di delega, infatti, il delegante ha individuato
con certezza il «tempo limitato» di cui  all'art.  76  Cost.,  senza,
peraltro, che cio'  gli  impedisca,  in  un  momento  successivo,  di
intervenire espressamente, a delega aperta,  per  rideterminare,  con
altrettanta certezza, il momento finale del termine. 
    3.2.- La Provincia autonoma di Trento (e la  Regione  Puglia,  ma
soltanto nella memoria illustrativa, il che  rende  inammissibile  la
questione da questa promossa) ritiene che, anche a voler  considerare
fisso il rinvio di cui all'art. 1, comma 2, della legge  n.  114  del
2015,  il  decreto  legislativo  sarebbe  stato  del  pari   adottato
tardivamente. 
    Come si e' gia' visto, infatti, il termine per l'esercizio  della
delega sarebbe scaduto il 16 marzo 2017.  In  tale  stessa  data,  il
Governo ha trasmesso lo schema di decreto  legislativo  alle  Camere,
perche', secondo quanto prescritto dall'art. 1, comma 3, della  legge
delega,  venisse   espresso   il   parere   dei   competenti   organi
parlamentari: parere, questo, che doveva essere reso  entro  quaranta
giorni dalla trasmissione (art. 31, comma 3, della legge n.  234  del
2012). A opinione del Governo, si sarebbe in tal modo determinata  la
condizione prevista dal medesimo art. 31, comma 3, per la proroga  di
tre mesi (id est: dal 16 marzo 2017 al 16 giugno  2017)  del  termine
per l'esercizio della delega: ai sensi del citato art. 31,  comma  3,
infatti, se il termine per rendere il parere parlamentare cade  entro
i trenta giorni antecedenti la scadenza dei termini di delega o, come
nel caso di specie, successivamente a tale scadenza, quest'ultima e',
per l'appunto, prorogata di tre mesi. In ragione di tale  slittamento
del  termine,  pertanto,   la   delega   sarebbe   stata   esercitata
tempestivamente, dal momento che il d.lgs n. 104 del  2017  e'  stato
emanato il 16 giugno 2017 (ed e' alla  data  di  emanazione  che,  ai
sensi dell'art. 14, comma 2, della legge  23  agosto  1988,  n.  400,
recante «Disciplina dell'attivita' di  Governo  e  ordinamento  della
Presidenza del Consiglio dei Ministri», deve  farsi  riferimento  per
verificare il rispetto del requisito del «tempo limitato»). 
    La Provincia autonoma di Trento, tuttavia, sostiene che nel  caso
di specie non poteva trovare applicazione l'art. 31, comma  3,  della
legge n. 234 del 2012, poiche' l'art. 1, comma 2, della legge delega,
nell'individuare i termini per il  suo  esercizio,  fa  espressamente
rinvio al solo comma 1 di tale art. 31, e  non  anche  al  successivo
comma 3,  il  quale  appunto  prevede  l'ipotesi  della  proroga.  Il
Governo,   pertanto,   avrebbe   potuto   esercitare    la    delega,
invariabilmente,  entro  il  16  marzo  2017   e,   conseguentemente,
l'emanazione del decreto legislativo sarebbe avvenuta fuori termine. 
    3.2.1.- La questione non e' fondata. 
    Come  e'  correttamente  rilevato  dall'Avvocatura  dello  Stato,
l'art. 1, comma 1, della legge n. 114 del 2015 testualmente  delegava
il  Governo  ad  esercitare  la  funzione  legislativa  «secondo   le
procedure, i principi e i criteri direttivi di cui agli articoli 31 e
32» della legge n. 234 del 2012. L'espresso richiamo  alle  procedure
non  puo'  che  riferirsi  all'intero  art.  31  -  la  cui   rubrica
precisamente  recita  «Procedure  per   l'esercizio   delle   deleghe
legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea»
- e, dunque, anche al comma 3, il quale, d'altro canto, non fa  altro
che prescrivere  la  procedura  da  seguire  per  l'acquisizione  dei
previsti pareri sullo schema di decreto legislativo. 
    Nella memoria illustrativa, la Provincia autonoma  di  Trento  ha
escluso la praticabilita' di tale opzione ermeneutica, sostenendo che
la fissazione  del  termine  per  l'esercizio  della  delega  sarebbe
contenuta in una norma speciale, quale sarebbe l'art.  31,  comma  1,
della legge n. 234  del  2012.  E'  sufficiente  rilevare,  in  senso
contrario a quanto affermato dalla ricorrente,  che  la  disposizione
pone, invece, una  norma  generale  relativa  all'individuazione  del
termine  per  l'attuazione,  tramite   decreto   legislativo,   della
normativa europea, come del pari e' generale la norma che prevede, al
ricorrere di determinati sviluppi procedimentali  nell'esercizio  del
potere delegato, lo slittamento di detto termine. 
    Ne' varrebbe sostenere -  come  pure  la  Provincia  autonoma  di
Trento fa nella memoria illustrativa -  che  sarebbe  contraddittorio
attribuire all'art.  1,  comma  2,  della  legge  delega  ora  valore
recettizio, nella determinazione  del  termine  per  l'esercizio  del
potere delegato, ora valore mobile, quanto al meccanismo per  la  sua
eventuale   proroga.   Tale   disposizione   di   delega   viene   in
considerazione, infatti, per la sola individuazione del  termine  per
l'adozione del decreto legislativo, tramite il rinvio fisso  all'art.
31, comma 1, della legge n.  234  del  2012;  l'applicabilita'  delle
procedure complessivamente  previste  dal  medesimo  art.  31  -  ivi
compresa,   ove   ne   ricorrano   i   presupposti    procedimentali,
l'operativita' della proroga del termine - e' prodotta,  invece,  dal
comma 1 dell'art. 1 della legge delega, a nulla rilevando, dunque, la
qualifica di rinvio recettizio da riconoscere al successivo comma  2.
E cio', a tacer del fatto che l'art. 31, comma 3, della legge n.  234
del 2012, comunque sia, e' ancora oggi vigente nella sua formulazione
originaria. 
    3.3.- La Provincia autonoma di Trento  impugna  l'intero  decreto
legislativo anche sotto altro profilo. 
    La ricorrente osserva che l'art. 1, comma 3, della  legge  delega
prevedeva che lo schema di decreto fosse trasmesso  alle  Commissioni
parlamentari «dopo l'acquisizione degli altri pareri  previsti  dalla
legge». Nella specie, quindi, il Governo avrebbe dovuto provvedere  a
tale trasmissione solo dopo aver acquisito il parere della Conferenza
Stato-Regioni,  prescritto  dall'art.  2,  comma   3,   del   decreto
legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento  delle
attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato,
le  regioni  e  le  province  autonome  di  Trento   e   Bolzano   ed
unificazione, per le materie ed i compiti di interesse  comune  delle
regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza  Stato-citta'
ed autonomie locali), per gli schemi di  decreto  legislativo  «nelle
materie di competenza  delle  regioni  o  delle  province  autonome»:
materie sicuramente incise dalla nuova disciplina della VIA. 
    Il Governo,  invece,  ha  trasmesso  lo  schema  alla  Conferenza
Stato-Regioni e  alle  Commissioni  parlamentari,  per  i  rispettivi
pareri, lo stesso giorno (16 marzo  2017).  Tale  espediente  sarebbe
servito a "lucrare" indebitamente la proroga del termine di esercizio
della delega di cui si e' detto, dando luogo, percio', ad  un  «abuso
di  procedimento»  in  violazione  dell'art.  76  Cost.  e,  inoltre,
eludendo il termine di recepimento previsto dalla direttiva  europea,
con conseguente violazione anche dell'art. 117, primo comma, Cost. In
subordine, la  ricorrente  ritiene  sia  stato  altresi'  violato  il
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120, secondo comma,
Cost., poiche' l'inversione dell'ordine dei pareri  avrebbe  impedito
alle Commissioni parlamentari di prendere cognizione delle  posizioni
delle Regioni e Province autonome  e  di  esprimersi  sulle  relative
osservazioni. 
    3.3.1.- Deve  essere  disattesa,  anzitutto,  la  tesi  difensiva
dell'Avvocatura dello Stato, secondo  la  quale,  nella  specie,  non
sarebbe stato  obbligatorio  acquisire  il  parere  della  Conferenza
Stato-Regioni, posto che - per costante giurisprudenza costituzionale
-  la  disciplina  della  VIA  non  rientrerebbe   nelle   competenze
regionali, ma nella materia della tutela dell'ambiente, di competenza
statale  esclusiva,  con  conseguente  difetto  del  presupposto   di
operativita' del citato art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 281 del 1997. 
    Va osservato, infatti, che  tale  ultima  disposizione  non  puo'
essere  riferita  ai  decreti  legislativi  che  intendano   invadere
competenze regionali esclusive, i quali, ovviamente, sarebbero di per
se' costituzionalmente illegittimi. Come ha  correttamente  osservato
la   ricorrente,   la   necessita'   di    acquisire    il    parere,
obbligatoriamente previsto dall'appena  citato  decreto  legislativo,
sussiste, invece, ogni qualvolta  lo  Stato,  esercitando  competenze
normative proprie in materie di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
Cost., oppure stabilendo principi  fondamentali  in  materie  di  cui
all'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  interferisce  con  ambiti   di
competenza regionale. 
    E  non  puo'  esservi  dubbio  che,  a  fronte  di  una   materia
trasversale quale la «tutela dell'ambiente», per di piu' allorche' si
detti la disciplina della VIA, possa  determinarsi  una  interferenza
con ambiti di  competenza  regionale.  D'altronde,  come  attesta  la
relazione allo schema di decreto legislativo, lo  stesso  Governo  ha
inteso come obbligatorio il parere della Conferenza Stato-Regioni.  E
cio' appare evidentemente assorbire qualsiasi diversa tesi  avanzata,
in astratto, dall'Avvocatura dello Stato. 
    3.3.2.- Le questioni sono, comunque sia, non fondate. 
    3.3.3.- Movendo dalla questione proposta in riferimento  all'art.
76 Cost., deve rilevarsi che questa Corte ne ha gia'  scrutinato  una
analoga, del  pari  promossa  in  base  all'assunto  che  il  decreto
legislativo  impugnato  fosse  stato  adottato  in  violazione  della
scansione  procedimentale,  in  ordine  alla  richiesta  dei  pareri,
prescritta dalla disposizione di delega, con cio' facendo scattare lo
slittamento del termine per l'esercizio  della  delega,  pure  allora
normativamente previsto. 
    Si e' affermato, in quella occasione, per un verso, che, al  fine
di  rispettare  la  norma  di  delega,  «[l]'adempimento  procedurale
imprescindibile» era  che  le  Commissioni  parlamentari  «rendessero
parere dopo avere avuto contezza  di  quelli  espressi»  dagli  altri
organi coinvolti nel procedimento; per un altro, che,  le  condizioni
per l'operativita' della proroga del termine  per  l'esercizio  della
delega erano costituite dalla trasmissione della richiesta di  parere
alle Commissioni parlamentari, dalla circostanza che il  termine  per
rendere tale parere sarebbe scaduto entro il lasso di tempo  indicato
dalla norma  di  delega  e,  infine,  dall'essere  stato  avviato  il
procedimento anche in  relazione  agli  altri  organi  coinvolti  per
volonta' del legislatore delegante, «in modo da permettere  a  questi
ultimi di rendere il parere e di garantirne l'acquisizione  da  parte
delle Commissioni parlamentari entro un tempo in grado di  assicurare
l'esaurimento del procedimento» (sentenza n. 261 del 2017). 
    L'art. 1, comma 3, della legge n. 114 del 2015, norma  interposta
nel presente giudizio di  legittimita'  costituzionale,  e'  ispirato
alla  medesima  ratio.  L'odierna  disposizione  delegante,  infatti,
prescrivendo che la trasmissione alle Commissioni parlamentari  dello
schema di decreto avvenisse una  volta  acquisiti  gli  altri  pareri
previsti dalla legge, ha imposto che tali Commissioni,  articolazione
interna del soggetto titolare  della  funzione  legislativa,  fossero
sentite e si esprimessero per ultime sullo schema di decreto, in modo
da rendere il proprio parere  potendo  tenere  in  considerazione  le
osservazioni contenute negli «altri pareri previsti dalla legge». 
    Emerge  chiaramente,  dall'esame  degli  sviluppi  procedimentali
successivi alla trasmissione dello schema di  decreto  legislativo  a
tutti gli organi chiamati a esprimere parere (avvenuta  il  16  marzo
2017, come attestato dagli atti parlamentari),  che  la  ratio  della
norma  di  delega  e'  stata  rispettata,  poiche'   le   Commissioni
parlamentari hanno reso il proprio parere avendo contezza  di  quello
precedentemente espresso dalla Conferenza Stato-Regioni. Difatti:  il
4 maggio 2017 quest'ultima ha reso parere favorevole, con condizioni;
le Commissioni VIII (Ambiente) e XIV (Politiche dell'Unione  europea)
della Camera dei deputati, successivamente alla formale  trasmissione
del parere della Conferenza Stato-Regioni, hanno espresso il  proprio
parere, rispettivamente, il 10 maggio e il 17 maggio 2017; infine, la
XIII Commissione del Senato della Repubblica  (Territorio,  ambiente,
beni ambientali) ha espresso il proprio parere  il  16  maggio  2017,
dopo aver ricevuto il parere della Conferenza Stato-Regioni,  e,  per
di piu', aver sentito, nel corso di  una  audizione  informale  il  9
maggio 2017, i rappresentanti di detta Conferenza. 
    Va rilevato, a conferma della piena «interlocuzione sullo  schema
di decreto delegato  degli  organi  chiamati  a  rendere  il  parere»
(sentenza n. 261  del  2017),  come  questi  ultimi  si  siano  tutti
espressi  oltre  i  termini  indirettamente  prescritti  dalla  legge
delega: la Conferenza Stato-Regioni, ai sensi dell'art. 2,  comma  3,
del d.lgs. n. 281 del 1997, avrebbe dovuto rendere  il  parere  entro
venti giorni dalla trasmissione dello schema di  decreto  e,  dunque,
non oltre il 5 aprile 2017; le Commissioni  parlamentari,  dal  canto
loro, disponevano, ai sensi dell'art. 31, comma 3, della legge n. 234
del 2012, richiamato dall'art. 1, comma 1,  della  legge  delega,  di
quaranta giorni, sempre a far data dalla trasmissione,  e,  pertanto,
si sarebbero dovute esprimere non oltre il 25 aprile 2017. Nonostante
l'avvenuta decorrenza dei termini, del resto ordinatori, il  Governo,
invece di procedere con l'adozione del decreto legislativo e  con  la
trasmissione del medesimo al Presidente della Repubblica per  la  sua
emanazione, secondo quanto  consentitogli  dal  richiamato  art.  31,
comma 3, ha opportunamente  deciso  di  attendere  l'espressione  dei
pareri. 
    Il complessivo procedimento, pertanto, si e' svolto con modalita'
che  hanno  consentito  alle  Commissioni   parlamentari   di   avere
conoscenza - condizione ineludibile, questa, per la legittimita'  del
procedimento  di  adozione  del  decreto  legislativo  -  del  parere
espresso dalla  Conferenza  Stato-Regioni.  Cio'  che,  peraltro,  e'
sufficiente per considerare non fondata la questione, promossa in via
subordinata e  basata  su  un'asserita  inversione  dei  pareri,  per
violazione del principio di leale collaborazione. 
    La circostanza  che  il  procedimento  di  adozione  del  decreto
legislativo sia avvenuto nel rispetto  della  ratio  della  norma  di
delega, dunque  senza  l'«abuso  di  procedimento»  denunciato  dalla
ricorrente, esclude altresi' che la  contestuale  trasmissione  dello
schema a Commissioni  parlamentari  e  Conferenza  Stato-Regioni  sia
valsa soltanto a ottenere indebitamente lo  slittamento  del  termine
per l'esercizio della delega. Tale  slittamento,  che  ha  consentito
l'emanazione del  decreto  legislativo  il  16  giugno  2017,  si  e'
verificato, difatti, in ragione della  sussistenza  delle  condizioni
previste dalla delega: trasmissione  dello  schema  di  decreto  alle
Commissioni parlamentari entro il termine per l'esercizio del  potere
delegato; coinvolgimento, entro quel medesimo  termine,  anche  della
Conferenza Stato-Regioni; infine, scadenza del termine per rendere il
parere da parte degli organi parlamentari in data successiva a quella
entro cui si sarebbe  dovuto  procedere  all'emanazione  del  decreto
legislativo. 
    3.3.4.- Non fondata e', poi, la questione in riferimento all'art.
117, primo comma, Cost., la cui violazione sarebbe stata  in  ipotesi
determinata dall'emanazione del decreto legislativo oltre il  termine
per il recepimento  della  direttiva.  E'  sufficiente  rilevare,  in
proposito,  come  il  suo  accoglimento  aggraverebbe  il  vulnus  al
parametro costituzionale evocato, poiche' l'annullamento  dell'intero
decreto legislativo renderebbe lo Stato italiano responsabile per  il
mancato recepimento della direttiva 2014/52/UE. 
    3.4.- La Regione Puglia  impugna  l'intero  decreto  legislativo,
lamentando sia stato adottato in contrasto con il principio di  leale
collaborazione, in quanto, incidendo la disciplina da esso recata  su
un intreccio di materie di competenza statale  e  regionale,  la  sua
adozione avrebbe dovuto essere preceduta dall'intesa con le  Regioni,
conformemente a quanto affermato da questa Corte con la  sentenza  n.
251 del 2016. 
    Censure  di  identico  tenore  sono  svolte  da  tutte  le  altre
ricorrenti in rapporto  non  all'intero  decreto  legislativo,  ma  a
singole disposizioni del decreto impugnato. 
    3.4.1.- Le ricorrenti ritengono che  il  principio  della  previa
intesa derivi direttamente  dalla  Costituzione  e  debba,  pertanto,
trovare applicazione anche in assenza di  espresse  previsioni  della
legge delega. 
    La Regione Valle d'Aosta/Vallee  d'Aoste  e  la  Regione  Puglia,
inoltre, chiedono a questa Corte - qualora ritenga che l'intesa debba
essere prevista a monte dal  legislatore  delegante  -  di  sollevare
innanzi a se' stessa questione di legittimita'  costituzionale  della
legge delega n. 114 del 2015. 
    3.4.2.- In relazione ad alcuni dei  ricorsi,  il  Presidente  del
Consiglio   dei   ministri   ha   eccepito   in    via    preliminare
l'inammissibilita' delle  censure,  in  quanto  non  precedute  dalla
tempestiva  impugnazione,  in  parte   qua,   della   legge   delega.
Impugnazione la cui  esperibilita'  e',  peraltro,  contestata  dalle
ricorrenti nelle memorie illustrative, sull'assunto che i principi  e
criteri direttivi della legge n. 114  del  2015  non  presenterebbero
quel  tasso  di   specificita'   e   concretezza   atto   a   rendere
immediatamente percepibile l'invasione delle competenze regionali. 
    3.4.3.- L'eccezione di inammissibilita' e' fondata. 
    Questa Corte ha  gia'  affermato  che,  alla  luce  dei  principi
desumibili dalla sentenza n. 251 del 2016, la norma  di  delega  puo'
essere impugnata «allo scopo di censurare le modalita' di  attuazione
della leale collaborazione  dalla  stessa  prevista  ed  al  fine  di
ottenere che il decreto delegato sia emanato previa intesa» (sentenza
n. 261  del  2017).  Dall'immediata  impugnabilita'  della  norma  di
delega, per violazione del principio di leale collaborazione, deriva,
per  un  verso,  che  «la  lesione  costituisce  effetto  diretto  ed
immediato di un vizio della stessa, non del decreto delegato» e,  per
un altro, che l'eventuale vizio  del  decreto  delegato  e',  dunque,
meramente riflesso, con la conseguenza che la censura  di  violazione
del principio di leale collaborazione «denuncia in realta'  un  vizio
che concerne direttamente  ed  immediatamente  la  norma  di  delega»
(sentenza n. 261 del 2017). 
    La mancata  impugnazione  della  legge  delega  non  puo'  essere
impropriamente surrogata, per le ragioni anzidette,  dalle  questioni
di legittimita' proposte negli odierni giudizi, le  quali,  pertanto,
vanno dichiarate inammissibili. Tali  ultime  argomentazioni  valgono
altresi'  a  escludere   che   questa   Corte   possa   prendere   in
considerazione  l'istanza  di  autorimessione  sulla  legge   delega,
proposta dalla Regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste e  dalla  Regione
Puglia (sentenza n. 261 del 2017). 
    4.- Al fine  di  procedere  allo  scrutinio  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale promosse avverso le singole  disposizioni
del decreto legislativo impugnato, e' necessario premettere un  esame
del contenuto normativo della  direttiva  2014/52/UE  e  della  legge
delega  n.  114  del  2015,  nonche'  una  ricostruzione  dell'ambito
materiale sul quale interviene il d.lgs. n. 104 del 2017. 
    5.- Come gia' anticipato, il d.lgs. n. 104 del 2017 ha realizzato
un ampio intervento di riforma  delle  procedure  di  valutazione  di
impatto ambientale, gia' puntualmente disciplinate dal cod.  ambiente
sulla scorta degli impulsi derivanti dal diritto  sovranazionale  sin
dalla  direttiva  85/337/CEE  del  Consiglio  del  27  giugno   1985,
concernente la valutazione  dell'impatto  ambientale  di  determinati
progetti pubblici e privati. 
    5.1.- Si tratta di un settore  ove  l'intervento  europeo  si  e'
manifestato in  tutta  la  sua  evidenza,  in  nome  di  finalita'  e
obiettivi che hanno sviluppato in senso progressivo le  stesse  norme
costituzionali, prive, sino alla riforma del Titolo V della Parte  II
della  Costituzione,   di   significativi   riferimenti   al   valore
ambientale, se si esclude il cenno al paesaggio  di  cui  all'art.  9
Cost. 
    Come questa Corte ha avuto modo di  affermare  in  una  risalente
decisione riguardante il "prototipo" della VIA, la normativa  interna
di recepimento della direttiva  85/337/CEE  ha  dato,  per  la  prima
volta, «riconoscimento specifico alla salvaguardia dell'ambiente come
diritto fondamentale della persona ed  interesse  fondamentale  della
collettivita'» (sentenza n. 210 del 1987). L'emersione  dell'ambiente
quale bene  giuridico  complesso,  insieme  situazione  soggettiva  e
interesse  obiettivo  della  collettivita',  ha  reso  necessaria  la
creazione di «istituti giuridici per la sua protezione»,  nell'ottica
di «una concezione unitaria [...] comprensiva  di  tutte  le  risorse
naturali e culturali» del Paese. In altri termini, l'ambiente esprime
valori che «la Costituzione  prevede  e  garantisce  (artt.  9  e  32
Cost.), alla stregua dei quali, le  [relative]  norme  di  previsione
abbisognano di una sempre piu' moderna interpretazione» (sentenza  n.
210 del 1987). 
    5.2.-  La  VIA  ha,  dunque,  una   duplice   valenza:   istituto
comunitariamente necessitato, essa ha rappresentato,  sin  dalle  sue
origini, uno strumento per individuare,  descrivere  e  valutare  gli
effetti di un'attivita' antropica sulle componenti ambientali  e,  di
conseguenza,  sulla  stessa  salute  umana,  in  una  prospettiva  di
sviluppo e garanzia dei valori costituzionali. Descritta dall'art.  5
cod. ambiente, la VIA ha giuridicamente una struttura anfibia: per un
verso, conserva una dimensione partecipativa e informativa,  volta  a
coinvolgere e a  fare  emergere  nel  procedimento  amministrativo  i
diversi interessi sottesi alla realizzazione di un'opera  ad  impatto
ambientale;  per  un  altro,  possiede  una  funzione  autorizzatoria
rispetto al singolo progetto esaminato. 
    5.3.- Il d.lgs. n. 104 del 2017 si inserisce  in  tale  contesto.
Esso declina nell'ordinamento italiano le innovazioni apportate dalla
direttiva 2014/52/UE che modifica la direttiva 2011/92/UE. 
    5.3.1.-  La  novella  sovranazionale  e'  incentrata,  anzitutto,
sull'obiettivo  di  migliorare  la  qualita'   della   procedura   di
valutazione dell'impatto ambientale, allineandola ai  principi  della
regolamentazione intelligente, e cioe' della  regolazione  diretta  a
semplificare le  procedure  e  a  ridurre  gli  oneri  amministrativi
implicati nella realizzazione  dell'opera.  In  coerenza  con  questi
obiettivi, la direttiva si propone di promuovere l'integrazione delle
valutazioni  dell'impatto  ambientale   nelle   procedure   nazionali
(considerando n. 21), realizzando procedure coordinate e/o comuni nel
caso in cui la valutazione risulti contemporaneamente dalla direttiva
in oggetto  e  da  altre  direttive  europee  in  materia  ambientale
(considerando n. 37). Essa si preoccupa di potenziare  l'accesso  del
pubblico alle informazioni ambientali anche mediante la pubblicazione
del  progetto   e   delle   osservazioni   in   formato   elettronico
(considerando  n.  18)  e  di  prevedere  l'eventuale  esonero  dalle
procedure per progetti, o parti di progetti,  destinati  a  scopo  di
difesa nazionale oppure aventi quale unica finalita' la risposta alle
emergenze che riguardano la protezione civile (considerando n.  19  e
n. 20). 
    La direttiva, inoltre, impone agli  Stati  membri  di  assicurare
trasparenza e responsabilita', documentando le  proprie  decisioni  e
considerando i  risultati  delle  consultazioni  effettuate  e  delle
pertinenti informazioni raccolte, adattando e chiarendo i criteri  di
selezione per stabilire quali progetti sottoporre a VIA,  richiedendo
altresi' di precisare il contenuto  della  determinazione  successiva
alla verifica di assoggettabilita' a VIA, in particolare in caso  non
sia richiesta una valutazione dell'impatto (considerando n. 29). 
    Infine, la direttiva invita gli Stati membri a garantire  che  il
processo decisionale si svolga «entro un lasso di tempo ragionevole»,
in funzione della natura,  complessita'  e  ubicazione  del  progetto
nonche' delle sue dimensioni (considerando n. 36) e a determinare, in
piena autonomia, sanzioni efficaci,  proporzionate  e  dissuasive  da
applicare in caso di violazione delle disposizioni nazionali adottate
ai sensi della direttiva (considerando n. 38). 
    5.3.2.- Questi principi sono  stati  in  parte  riprodotti  dalla
legge delega n. 114 del 2015, la quale ha stabilito, all'art. 14, che
il   Governo   avrebbe   dovuto   realizzare   la   «semplificazione,
armonizzazione e razionalizzazione delle procedure di valutazione  di
impatto  ambientale   anche   in   relazione   al   coordinamento   e
all'integrazione con altre procedure volte al rilascio  di  pareri  e
autorizzazioni a carattere ambientale»; rafforzare la «qualita' della
procedura di  valutazione  di  impatto  ambientale,  allineando  tale
procedura ai  principi  della  regolamentazione  intelligente  (smart
regulation) e della coerenza e delle sinergie con altre  normative  e
politiche  europee   e   nazionali»,   e   revisionare   il   sistema
sanzionatorio «al fine di definire sanzioni efficaci, proporzionate e
dissuasive e di consentire una maggiore efficacia  nella  prevenzione
delle violazioni». Nell'intervento di  riforma,  infine,  l'esecutivo
avrebbe dovuto prevedere  «la  destinazione  dei  proventi  derivanti
dalle sanzioni amministrative per finalita' connesse al potenziamento
delle attivita' di vigilanza, prevenzione e monitoraggio  ambientale,
alla verifica del rispetto delle condizioni previste nel procedimento
di valutazione ambientale, nonche' alla  protezione  sanitaria  della
popolazione in caso di incidenti o calamita' naturali». 
    5.3.3.- In attuazione della delega, e' stato emanato il d.lgs. n.
104 del 2017, impugnato dalle ricorrenti. Tale atto ha riallocato  in
capo allo Stato alcuni procedimenti in materia di VIA  in  precedenza
assegnati alle  Regioni  e  ha  disciplinato  nuovamente,  nella  sua
interezza, la procedura di verifica di assoggettabilita' a VIA  e  la
VIA,  introducendo  altresi'  significative  innovazioni,  quali   il
provvedimento  unico  in  materia  ambientale  (facoltativo   per   i
procedimenti di competenza statale, obbligatorio per le Regioni). 
    6.- Alla luce di tali premesse, emerge ictu oculi come la materia
su cui insiste il decreto legislativo impugnato sia riconducibile, in
via prevalente, alla competenza esclusiva  dello  Stato  in  tema  di
tutela dell'ambiente e  dell'ecosistema  (art.  117,  secondo  comma,
lettera s, Cost.). Questa Corte ha in piu'  occasioni  affermato  che
«[l]'obbligo di sottoporre il progetto alla procedura di VIA  o,  nei
casi previsti, alla preliminare verifica di assoggettabilita' a  VIA,
rientra nella materia della "tutela ambientale"» altresi'  precisando
che esso rappresenta «nella disciplina statale, anche  in  attuazione
degli obblighi comunitari, un livello di protezione uniforme  che  si
impone sull'intero territorio nazionale,  pur  nella  concorrenza  di
altre materie di competenza regionale» (sentenze n. 232 del 2017 e n.
215 del 2015; nello stesso senso, le sentenze n. 234  e  n.  225  del
2009). 
    6.1.- La VIA,  dunque,  rappresenta  lo  strumento  necessario  a
garantire una tutela unitaria e non frazionata del bene ambiente. Per
costante giurisprudenza di questa Corte, la tutela dell'ambiente  non
e' configurabile «come  sfera  di  competenza  statale  rigorosamente
circoscritta e delimitata, giacche', al contrario, essa investe e  si
intreccia  inestricabilmente  con  altri  interessi  e   competenze».
L'ambiente e' un valore «costituzionalmente protetto, che, in  quanto
tale, delinea una sorta di  materia  "trasversale",  in  ordine  alla
quale si manifestano  competenze  diverse,  che  ben  possono  essere
regionali,  spettando  [pero']  allo  Stato  le  determinazioni   che
rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme  sull'intero
territorio nazionale» (sentenza n. 407 del 2002; nello stesso  senso,
piu' recentemente, le sentenze n. 66 del 2018, n. 218 e  n.  212  del
2017, n. 210 del 2016). In tal  caso,  la  disciplina  statale  nella
materia della tutela  dell'ambiente  «"viene  a  funzionare  come  un
limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome  dettano
in altre materie di loro competenza", salva  la  facolta'  di  queste
ultime  di  adottare  norme  di  tutela   ambientale   piu'   elevata
nell'esercizio  di  competenze,  previste  dalla  Costituzione,   che
concorrano con quella dell'ambiente» (sentenza n. 199 del 2014; nello
stesso senso, le sentenze n. 246 e n. 145 del 2013, n. 67  del  2010,
n. 104 del 2008 e n. 378 del 2007). 
    La trasversalita' della tutela ambientale implica una connaturale
intersezione delle  competenze  regionali,  attraversate,  per  cosi'
dire, dalle finalita' di salvaguardia insite nella materia-obiettivo. 
    6.2.- Quanto appena detto, utile a inquadrare l'ambito  materiale
interessato dalla disciplina, deve essere  ulteriormente  specificato
con riferimento agli enti ad autonomia differenziata: in relazione  a
questi  ultimi,  la  competenza  esclusiva  dello  Stato  in  materia
ambientale deve essere necessariamente contemperata con lo spazio  di
autonomia spettante in virtu' dello statuto speciale (sentenze n. 212
del 2017, n. 51 del 2016, n. 233 del 2013 e n. 357 del 2010). 
    6.2.1.- Non puo' escludersi che, nel caso  di  specie,  vista  la
molteplicita' di ambiti materiali  toccati  dall'intervento  statale,
comunque funzionalizzato, nel suo insieme, ad offrire  una  efficace,
territorialmente non frazionabile, tutela ambientale, possano  venire
in  rilievo  alcune  delle  competenze  disciplinate  dagli   statuti
speciali. Cio' nonostante, va rilevato che tutti gli statuti speciali
delle  ricorrenti  annoverano,   tra   i   limiti   alle   competenze
statutariamente   previste,   le    norme    statali    di    riforma
economico-sociale e gli obblighi internazionali  (artt.  4  e  8  del
d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante «Approvazione del testo  unico
delle leggi costituzionali concernenti lo  statuto  speciale  per  il
Trentino-Alto Adige»; art. 2 della legge costituzionale  26  febbraio
1948, n. 4, recante «Statuto speciale per la Valle d'Aosta»;  art.  4
della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.  1,  recante  «Statuto
speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia»;  art.  3  della  legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3, recante «Statuto speciale  per
la Sardegna»). 
    Con   riferimento   alle   norme    fondamentali    di    riforma
economico-sociale, anche recentemente questa Corte ha preteso  «dalle
regioni speciali (e dalle  due  province  autonome)  il  rispetto  di
prescrizioni legislative statali di carattere generale  incidenti  su
materie  assoggettate  dagli  statuti  al  regime  della   competenza
legislativa  piena  o  primaria»  (sentenza  n.  229  del  2017).  In
particolare, il legislatore statale conserva il potere  di  vincolare
la potesta' legislativa primaria della  Regione  speciale  attraverso
leggi qualificabili come "riforme economico-sociali": «e  cio'  anche
sulla base [...] del titolo di competenza legislativa  nella  materia
"tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali", di  cui
all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),   della   Costituzione,
comprensiva tanto della tutela del paesaggio quanto della tutela  dei
beni  ambientali  o  culturali;  con  la  conseguenza  che  le  norme
fondamentali contenute negli atti legislativi statali emanati in tale
materia potranno continuare ad imporsi al necessario  rispetto  [...]
degli enti ad autonomia differenziata  nell'esercizio  delle  proprie
competenze» (sentenza  n.  229  del  2017;  nello  stesso  senso,  le
sentenze n. 212 del 2017, n. 233 del 2010, n. 164 del 2009, n. 51 del
2006 e n. 536 del 2002). 
    6.2.2.- Non vi e' dubbio che la normativa censurata  puo'  essere
ascritta  a  tale  categoria:  le  norme  fondamentali   di   riforma
economico-sociale  sono  tali,  infatti,  per  il   loro   «contenuto
riformatore» e per la loro «attinenza a settori  o  beni  della  vita
economico-sociale di  rilevante  importanza»  (sentenza  n.  229  del
2017). Gli interessi  sottesi  alla  disciplina,  che  postulano  una
uniformita' di trattamento sull'intero territorio nazionale (sentenze
n. 170 del 2001, n. 477 del 2000 e n. 323 del 1998; da ultimo,  anche
sentenza  n.  229  del  2017),  assieme  allo  stretto  rapporto   di
strumentalita' che, nel caso de quo,  le  disposizioni  intrattengono
con il valore ambientale, bene  di  rango  costituzionale  che  trova
proprio nella valutazione di impatto  ambientale  un  imprescindibile
strumento  di  salvaguardia,  concorrono  a  qualificare  come  norme
fondamentali di riforma economico-sociale quelle recate  dal  decreto
legislativo censurato. Con l'ovvia precisazione che  quest'ultima  e'
qualificazione che non  puo'  essere  attribuita,  immediatamente  ed
indistintamente, a tutte le disposizioni di tale decreto legislativo,
ma deve essere valutata di volta  in  volta,  alla  luce  della  loro
ratio, potendo  risultare  censurabili  «qualora  siano  eccedenti  o
comunque  incongruenti  rispetto  alla  finalita'  complessiva  della
legge» (sentenza n. 212 del 2017). 
    6.2.3.- Peraltro, in forza della sua diretta derivazione europea,
la normativa censurata deve  rispettare  anche  i  relativi  vincoli,
riconducibili al limite degli obblighi internazionali previsto  dagli
statuti speciali. 
    7.- Tutto cio' premesso, possono essere scrutinate  le  questioni
di legittimita' costituzionale  promosse  nei  confronti  di  singole
disposizioni del decreto legislativo. 
    8.- Per  ragioni  di  pregiudizialita'  logico-giuridica,  devono
essere prioritariamente prese in  esame  le  questioni,  promosse  in
riferimento all'art.  76  Cost.,  fondate  su  censure  dall'analogo,
quando non del tutto identico, tenore argomentativo. 
    Le dieci ricorrenti, infatti, impugnano plurime disposizioni  del
d.lgs. n. 104 del 2017 lamentando che sono state adottate in  eccesso
di delega, posto che  il  profondo  riassetto  delle  competenze,  in
materia  di  VIA,  tra  Stato  e  Regioni,  operato  dal  legislatore
delegato, non troverebbe alcuna base  di  legittimazione,  ne'  nella
legge di delegazione, ne' nella direttiva europea che il Governo  era
chiamato ad attuare. 
    In particolare, e' impugnato l'art. 3, che modifica l'art. 6 cod.
ambiente, il quale definisce l'oggetto delle procedure di valutazione
ambientale strategica (VAS), di VIA, di verifica di assoggettabilita'
a  VIA  e  di  autorizzazione  integrata  ambientale  (AIA).   Alcune
ricorrenti  (Regione  Lombardia,  Regione  Puglia,  Regione  Abruzzo,
Regione Veneto, Regione autonoma  Sardegna  e  Regione  Calabria)  si
concentrano, piu' nel dettaglio, sull'art. 3, comma 1, lettera g), il
quale  consente  al  Ministro  dell'ambiente  e  della   tutela   del
territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni  e  delle
attivita' culturali e del turismo, di esonerare  dalla  procedura  di
impatto ambientale progetti o parti di progetti  aventi  quale  unico
obiettivo la difesa  nazionale  o  la  risposta  alle  emergenze  che
riguardano la protezione civile, qualora ritenga  che  l'applicazione
della disciplina  possa  pregiudicare  i  suddetti  obiettivi.  Viene
censurato anche l'art. 3, comma 1, lettera h), il quale  dispone  che
il Ministro dell'ambiente, in casi eccezionali e  previo  parere  del
Ministro dei beni culturali, possa esentare in tutto o  in  parte  un
progetto specifico dalla procedura di VIA. 
    Oggetto di ricorso e' anche l'art. 4, il quale novella  l'art.  7
cod. ambiente, che  -  a  seguito  dello  "scorporo"  da  esso  delle
disposizioni relative alla VIA (ora allocate nel nuovo art. 7-bis)  -
regola le competenze in materia di VAS e di AIA. 
    Censurato e' altresi' l'art. 5,  il  quale,  inserendo  nel  cod.
ambiente il sopra richiamato art. 7-bis, ridisegna  la  distribuzione
delle competenze tra Stato e Regioni in materia di VIA e di  verifica
di  assoggettabilita'  a  VIA,  sul  piano  tanto  normativo   quanto
amministrativo. In particolare,  la  nuova  disciplina  ripartisce  i
progetti tra lo Stato e le Regioni tramite rinvio agli Allegati (II e
II-bis, per la competenza statale, e III  e  IV,  per  la  competenza
regionale), alla Parte seconda cod. ambiente (commi 2 e 3  del  nuovo
art. 7-bis), imponendo alle  Regioni  e  alle  Province  autonome  di
assicurare che le  procedure  di  loro  competenza  siano  svolte  in
conformita' al medesimo cod. ambiente (come modificato dal d.lgs.  n.
104 del 2017), oltre che alla normativa europea. 
    Le ricorrenti considerano  poi  viziati  per  eccesso  di  delega
l'art. 12, nella parte in cui sostituisce l'art. 23, comma 4, secondo
periodo, cod. ambiente (trasmissione, a tutti gli enti potenzialmente
interessati, della documentazione richiesta  al  proponente  ai  fini
della VIA); l'art. 13, nella parte  in  cui  sostituisce  l'art.  24,
comma 3, secondo periodo, del medesimo decreto (il  quale  stabilisce
il termine di sessanta giorni per la presentazione di osservazioni  e
pareri da parte della amministrazioni  potenzialmente  interessate  a
fronte di modifiche o integrazioni apportate al progetto ad opera del
proponente); l'art. 14, sia nella parte in cui sostituisce l'art. 25,
comma 1, primo periodo, cod. ambiente (concernente la valutazione  di
impatto ambientale compiuta  tenendo  conto  dei  pareri  degli  enti
potenzialmente interessati), sia nella parte in cui,  sostituendo  il
contenuto normativo dell'art. 25 del d.lgs.  n.  152  del  2006,  nei
provvedimenti di VIA di  competenza  statale  non  richiede  piu'  il
previo parere della Regione interessata. Inoltre, sono censurati  gli
artt. 8, 14, 16 e 17 del d.lgs. n. 104 del 2017, laddove prevedono il
coinvolgimento del Ministro dei beni culturali e  non  della  Regione
interessata per gli interventi  di  VIA  statale  da  realizzare  nel
territorio regionale. 
    E' impugnato anche l'art. 16, comma 2,  del  d.lgs.  n.  104  del
2017,  introduttivo  dell'art.  27-bis  cod.   ambiente,   il   quale
disciplina  il  provvedimento  unico  regionale.  Ai  sensi  di  tale
disposizione, nei procedimenti di VIA per i quali  e'  competente  la
Regione, il relativo provvedimento, finalizzato al rilascio di  tutti
i provvedimenti altrimenti denominati, viene rilasciato a seguito  di
apposita conferenza di servizi convocata  in  modalita'  sincrona  ai
sensi dell'art. 14-ter della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme
in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso  ai
documenti amministrativi). 
    Impugnati, infine, sono l'art. 22, commi 1, 2, 3 e 4, del  d.lgs.
n. 104 del 2017, che modifica gli Allegati al cod.  ambiente  recanti
gli  elenchi  dei  progetti  di  competenza  statale   o   regionale,
riallocando  in  capo  allo  Stato  una  significativa  aliquota   di
tipologie progettuali, e l'art. 26, comma 1, lettera a), del medesimo
decreto, il quale si limita a disporre le correlative abrogazioni. 
    8.1.- Ad avviso delle ricorrenti, le disposizioni censurate,  che
rendono  manifesta  l'innovativita'  del  complessivo  intervento  di
riforma, non sarebbero consentite dai principi  e  criteri  direttivi
dettati   dall'art.   14   della   legge   delega,   inerenti    alla
«semplificazione, armonizzazione e razionalizzazione» delle procedure
di VIA, al  rafforzamento  della  loro  qualita',  alla  revisione  e
razionalizzazione del sistema sanzionatorio e alla  destinazione  dei
proventi delle sanzioni  amministrative.  Nessuno  di  tali  criteri,
sostengono le ricorrenti, avrebbe autorizzato il legislatore delegato
ad intervenire sul riparto delle attribuzioni tra i  diversi  livelli
istituzionali, segnatamente nella direzione di una marcata attrazione
delle competenze verso il centro. D'altra parte, a fronte di  deleghe
al riassetto o al riordino, l'esercizio di poteri innovativi potrebbe
ritenersi ammissibile  soltanto  nel  caso  in  cui  siano  stabiliti
principi   e   criteri   direttivi   idonei   a   circoscrivere    la
discrezionalita'  del  legislatore  delegato  (sono   richiamate   le
sentenze di questa Corte n. 50 del 2014, n. 162 e n. 80 del 2012 e n.
293 del 2010). 
    Tanto meno,  poi,  l'intervento  in  questione  potrebbe  trovare
fondamento nei principi e  criteri  direttivi  generali  della  legge
quadro europea, richiamati dall'art. 1, comma 1, della  legge  delega
n. 114 del 2015. L'art. 32, comma 1, lettera g), della suddetta legge
quadro  prevede,   al   contrario,   che,   quando   si   verifichino
sovrapposizioni di competenze tra  amministrazioni  diverse,  debbano
essere rispettati i «principi  di  sussidiarieta',  differenziazione,
adeguatezza e leale collaborazione e le competenze  delle  regioni  e
degli altri enti territoriali». 
    La direttiva 2014/52/UE, dal canto suo, non  esprimerebbe  alcuna
opzione in punto di competenza accentrata o decentrata,  riconoscendo
che  gli  Stati  membri  dispongono   di   varie   possibilita'   per
l'attuazione dei relativi obiettivi. 
    8.2.-  In   via   preliminare,   va   respinta   l'eccezione   di
inammissibilita', sollevata dalla difesa statale con  riferimento  al
ricorso della Provincia autonoma di Bolzano,  per  genericita'  delle
censure  e   mancata   indicazione   delle   competenze   legislative
asseritamente lese dall'intervento normativo in oggetto. 
    I  termini  delle  questioni   di   legittimita'   costituzionale
prospettate sono infatti  identificati  con  sufficiente  precisione,
risultando  soddisfatto  l'onere,  gravante  sulla   ricorrente,   di
individuazione delle disposizioni impugnate, dei parametri evocati  e
delle   ragioni   delle   violazioni   lamentate,   secondo    quanto
costantemente richiesto da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 103
del 2018, sentenze n. 247, n. 245 e n. 231 del 2017). 
    8.3.- Tutte le ricorrenti hanno adeguatamente motivato in  ordine
alla ridondanza del vizio di eccesso di delega sulle loro competenze,
emergendo indiscutibilmente,  dai  loro  ricorsi,  quali  tra  queste
sarebbero illegittimamente incise dalle disposizioni impugnate. 
    8.4.- Le questioni, tuttavia, non sono fondate. 
    8.4.1.- Deve escludersi, innanzitutto, che la legge  n.  114  del
2015 rientri nel novero delle deleghe di mero riassetto  o  riordino,
in ragione delle quali, per costante giurisprudenza di questa  Corte,
i poteri  del  legislatore  delegato  di  introduzione  di  soluzioni
sostanzialmente  innovative  rispetto  alla   previgente   disciplina
normativa devono considerarsi circoscritti entro limiti puntuali. 
    Va rilevato, infatti, che i principi e  criteri  direttivi  della
odierna delega, di cui si e' gia'  detto  e  sui  quali  a  breve  si
tornera', necessariamente integrati con le indicazioni  recate  dalla
direttiva  europea  da  attuare,  prefiguravano,  al  contrario,  una
complessiva riforma - ben oltre, dunque, il mero riassetto  privo  di
innovazioni - di un settore strategico per la tutela ambientale quale
e' la VIA. D'altronde,  l'attuazione  di  una  direttiva  dell'Unione
europea, per di piu' modificativa di una  precedente,  non  puo'  non
implicare  l'adozione  di  misure  normative  innovative,   volte   a
realizzare, nell'ordinamento interno, le finalita' e  agli  obiettivi
posti a livello europeo. 
    8.4.2.- Per quel che concerne lo scrutinio del supposto contrasto
con i principi e criteri direttivi della  delega  o  con  i  principi
espressi dalla direttiva europea, va ricordato che la  giurisprudenza
di questa Corte e' costante  nell'affermare  che  «la  legge  delega,
fondamento  e  limite  del  potere  legislativo  delegato,  non  deve
contenere  enunciazioni  troppo  generali  o  comunque   inidonee   a
indirizzare l'attivita' normativa del legislatore  delegato,  ma  ben
puo'  essere  abbastanza  ampia   da   preservare   un   margine   di
discrezionalita', e un  corrispondente  spazio,  entro  il  quale  il
Governo  possa  agevolmente  svolgere   la   propria   attivita'   di
"riempimento" normativo, la quale e' pur sempre esercizio delegato di
una funzione "legislativa"» (sentenza n. 104  del  2017).  In  questo
quadro, la valutazione di conformita' del  decreto  legislativo  alla
sua legge delega «richiede un confronto tra gli esiti di due processi
ermeneutici paralleli: l'uno, relativo  alle  norme  che  determinano
l'oggetto, i principi ed i criteri direttivi indicati  dalla  delega,
da  svolgere  tenendo  conto  del  complessivo  contesto  in  cui  si
collocano  ed  individuando  le  ragioni  e  le  finalita'  poste   a
fondamento della legge di delegazione; l'altro, relativo  alle  norme
poste dal legislatore  delegato,  da  interpretarsi  nel  significato
compatibile con i principi  ed  i  criteri  direttivi  della  delega»
(sentenza n. 250 del 2016). 
    Quando si tratti, poi, di  dare  attuazione,  per  il  mezzo  del
binomio legge di delega-decreto legislativo, alla normativa  europea,
si e' affermato,  altrettanto  costantemente,  che  «i  principi  che
quest'ultima esprime si aggiungono a quelli dettati  dal  legislatore
nazionale  e  assumono  valore  di  parametro   interposto,   potendo
autonomamente giustificare  l'intervento  del  legislatore  delegato»
(sentenze n. 210 del 2015 e n. 134 del 2013; nello stesso  senso,  la
sentenza n. 32 del 2005). 
    8.4.3.- Nella specie, obiettivo della  direttiva  -  come  si  e'
ampiamente gia' visto - e' quello di  migliorare  la  qualita'  della
procedura di VIA, allineandola ai  principi  della  «regolamentazione
intelligente», diretta a semplificare le procedure e  a  ridurre  gli
oneri  amministrativi  (considerando  n.  6),  facendo  si'  che   le
procedure  stesse  possano  svolgersi  entro  un   lasso   di   tempo
ragionevole (considerando n. 36). 
    La legge delega, in conformita' alla direttiva, ha  indicato,  in
particolare, la semplificazione, armonizzazione  e  razionalizzazione
delle procedure di VIA, nonche' il rafforzamento della loro qualita',
quali principi e criteri direttivi cui doveva dar seguito il Governo. 
    La modifica, posta in essere dalle disposizioni impugnate,  della
distribuzione delle competenze tra Stato e Regioni in materia di  VIA
e dei relativi procedimenti non e' certo estranea  alla  ratio  della
delega. Come si spiega nella relazione di accompagnamento allo schema
di decreto legislativo trasmesso alle Camere, la  strategia  adottata
si  giustifica  con  l'esigenza  di  rendere  omogenea  su  tutto  il
territorio nazionale l'applicazione delle nuove regole,  in  modo  da
recepire fedelmente la direttiva, che reca una  disciplina  piuttosto
dettagliata, superando la pregressa situazione  di  frammentazione  e
contraddittorieta' della regolamentazione, dovuta alle  diversificate
discipline  regionali:  frammentazione  cui   erano   imputabili   le
criticita' riscontrate nella gestione  delle  procedure,  generatrice
anche di una preoccupante dilatazione dei loro tempi di definizione. 
    Vero e'  che  la  "centralizzazione"  delle  competenze  non  era
specificamente imposta ne' dalla legge delega ne' dalla  direttiva  -
la quale si riferisce  genericamente  all'«autorita'  competente»  in
materia di VIA, prendendo atto delle  diverse  possibilita'  che  gli
Stati membri hanno per la sua attuazione - ma la soluzione  prescelta
dal legislatore delegato e' frutto legittimo dell'esercizio  di  quel
margine di discrezionalita' riconosciuto al Governo  per  raggiungere
gli obiettivi posti dalla direttiva e dalla legge  delega.  Cio'  non
significa - ovviamente - che l'odierna conformazione della disciplina
in tema di VIA, per il solo fatto di non  essere  stata  adottata  in
eccesso di delega, sia per  cio'  solo  rispettosa  delle  competenze
regionali   costituzionalmente   garantite:   questa,   infatti,   e'
valutazione di tutt'altro tenore, che va  condotta  alla  stregua  di
parametri  diversi  da  quelli  concernenti  la   conformita'   delle
disposizioni impugnate alla delega legislativa. 
    8.4.4.- Neppure colgono nel segno alcune delle ricorrenti  quando
sostengono che la  disciplina  impugnata  sarebbe  in  contrasto,  in
particolare, con il principio e criterio direttivo  di  cui  all'art.
32, comma 1, lettera g), della legge  n.  234  del  2012,  richiamato
dalla legge delega: principio che avrebbe  imposto  al  Governo,  nei
casi  in  cui  si  verifichino  «sovrapposizioni  di  competenze  tra
amministrazioni diverse», di  individuare  procedure  rispettose  dei
«principi di sussidiarieta', differenziazione,  adeguatezza  e  leale
collaborazione» e delle «competenze delle regioni e degli altri  enti
territoriali». 
    Come rilevato dall'Avvocatura generale dello  Stato,  proprio  il
richiamo del delegante ai principi di sussidiarieta'  e  adeguatezza,
lungi dal cristallizzare e  rendere  immodificabile  dal  legislatore
delegato il pregresso assetto di competenze, imponeva al  Governo  di
verificare, alla luce dell'esperienza maturata, se  l'assetto  stesso
fosse conforme ai principi evocati  e  di  eventualmente  apportarvi,
all'esito,   le   opportune   modificazioni,   in   quell'ottica   di
semplificazione e razionalizzazione complessivamente richiesta  dalla
legge delega. 
    Al riguardo, va anzi  osservato  come,  alla  luce  dei  puntuali
rilievi posti in luce nella relazione di accompagnamento dello schema
di decreto delegato, fosse evidente che era  proprio  la  consistente
varieta' di  discipline  e  sovrapposizioni  di  competenze  ad  aver
determinato in misura rilevante, oltre ad una incongrua  varieta'  di
disposizioni  procedimentali,   una   consistente   e   intollerabile
dilatazione dei tempi di definizione delle procedure, specie nei casi
di maggior complessita' sul versante dell'impatto ambientale. Il che,
evidentemente, oltre a compromettere gli opposti obiettivi perseguiti
dalla nuova  direttiva  europea,  poneva  in  discussione  anche  gli
interessi dei vari soggetti coinvolti nelle procedure. 
    8.4.5.- Infine, sono inammissibili le questioni di  legittimita',
prospettate dalla sola Provincia autonoma di Bolzano, concernenti  la
violazione del principio e criterio direttivo dettato  dall'art.  32,
comma 1, lettera c), della legge n. 234 del 2012. 
    Tale norma, infatti, prevede che gli atti  di  recepimento  delle
direttive UE non possono prevedere l'introduzione o  il  mantenimento
di livelli di regolazione superiori a quelli minimi  richiesti  dalle
direttive stesse. La ricorrente, pero', si  limita  a  richiamare  il
divieto imposto dal legislatore delegante, senza indicare  ne'  quali
sarebbero i livelli minimi di regolazione stabiliti dalla  direttiva,
ne' per quali ragioni le  disposizioni  impugnate  li  avrebbero,  in
ipotesi, resi piu' gravosi. 
    9.- Per quanto concerne lo scrutinio delle ulteriori questioni di
legittimita' costituzionale, promosse con  riferimento  ai  parametri
relativi alla distribuzione  costituzionale  delle  competenze,  esso
verra' condotto, in ragione delle  diverse  condizioni  di  autonomia
costituzionalmente garantite,  esaminando  dapprima  quelle  promosse
dalle Regioni a statuto ordinario e, successivamente, quelle proposte
dalle Regioni a statuto speciale. 
    10.- Le Regioni Lombardia, Puglia,  Abruzzo,  Veneto  e  Calabria
hanno impugnato l'art. 3, comma 1, lettera g), del d.lgs. n. 104  del
2017, nella parte  in  cui  consente  al  Ministro  dell'ambiente  di
esonerare dalle procedure di VIA,  in  tutto  o  in  parte,  progetti
predisposti per rispondere ad emergenze di protezione civile. 
    Sarebbero violati gli artt. 3, 5, 32, 97, 117, terzo comma, 118 e
120 Cost., con censure in larga parte sovrapponibili. In particolare,
le ricorrenti lamentano una compressione delle competenze concorrenti
in materia di protezione civile e di tutela  della  salute.  Data  la
concorrenza di competenze, vi sarebbe una lesione  del  principio  di
leale collaborazione, perche' la norma impugnata non avrebbe previsto
la necessaria intesa con  la  Regione  sul  cui  territorio  dovrebbe
essere realizzato il progetto. Sarebbe violato, poi, l'art. 3 Cost. -
in alcuni ricorsi evocato in combinato disposto con l'art. 97 Cost. -
per mancanza di proporzionalita' e rispondenza logica  rispetto  alle
finalita' dichiarate dell'intervento normativo.  Infine,  vi  sarebbe
violazione  dell'art.  118   Cost.,   sub   specie   di   illegittima
compressione delle competenze amministrative affidate alle cure degli
enti regionali. 
    La sola Regione Puglia censura anche, in combinato  disposto  con
l'art. 3, comma 1, lettera g),  l'art.  18,  comma  3,  dello  stesso
decreto legislativo, il quale disciplina la cosiddetta  VIA  postuma,
nella  parte  in  cui  autorizza  la   continuazione   dell'attivita'
nonostante  l'acclarata  violazione  dei   termini   di   valutazione
ambientale, per violazione degli artt. 3, 9, 24 e 97 Cost.  In  parte
qua, il decreto consentirebbe attivita',  potenzialmente  lesive  per
l'ambiente, entro un termine non specificato in via legislativa. 
    10.1.- In via preliminare, va dichiarata l'inammissibilita' delle
questioni promosse dalla Regione Puglia, sul  combinato  disposto  di
cui sopra, per difetto di motivazione in ordine alla  ridondanza  dei
vizi  evocati  su  proprie  competenze,   accogliendo,   sul   punto,
l'eccezione avanzata dalla difesa statale. 
    Questa Corte ha costantemente affermato (da ultimo,  sentenze  n.
78 del 2018, n. 13 del 2017, n. 287, n. 251 e n. 244 del 2016) che le
Regioni possono  evocare  parametri  di  legittimita'  costituzionale
diversi da quelli che sovrintendono  al  riparto  di  competenze  fra
Stato  e  Regioni  solo  a  due  condizioni:  quando  la   violazione
denunciata   sia   potenzialmente   idonea   a   riverberarsi   sulle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite  (sentenze  n.  8
del 2013 e n. 199 del 2012) e quando le  Regioni  ricorrenti  abbiano
sufficientemente motivato in ordine alla ridondanza  della  lamentata
illegittimita' costituzionale sul riparto di competenze, indicando la
specifica  competenza  che   risulterebbe   offesa   e   argomentando
adeguatamente in proposito (sentenze n. 65 e n. 29 del 2016, n.  251,
n. 189, n. 153, n. 140, n.  89  e  n.  13  del  2015).  Le  questioni
prospettate con riferimento all'impugnazione dell'art. 18,  comma  3,
del  d.lgs.  n.  104  del  2017  non  soddisfano  nessuna  delle  due
condizioni, prive come sono di qualsiasi riferimento  alla  specifica
competenza  legislativa  che   si   assume   violata   e   risultando
impossibile,  dunque,  individuare  la   potenziale   lesione   delle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite. 
    Di qui l'inammissibilita' delle questioni. 
    10.2.- Le restanti questioni, sollevate  sull'art.  3,  comma  1,
lettera g), del d.lgs. n. 104 del 2017, non sono fondate. 
    La norma impugnata riproduce quanto  stabilito  dalla  disciplina
europea,  la  quale,  all'art.  1,  paragrafo  3,   della   direttiva
2011/92/UE,  modificata  dalla  piu'  recente  direttiva  2014/52/UE,
stabilisce  che  «[g]li  Stati  membri  possono  decidere,  dopo  una
valutazione caso  per  caso  e  se  cosi'  disposto  dalla  normativa
nazionale, di non applicare la presente direttiva a progetti, o parti
di progetti, aventi quale unico obiettivo  la  difesa  o  a  progetti
aventi  quali  unico  obiettivo  la  risposta  alle   emergenze   che
riguardano  la  protezione  civile,  qualora  ritengano  che  la  sua
applicazione possa pregiudicare tali obiettivi». 
    Inserendosi nel margine di discrezionalita' lasciato aperto dalla
direttiva, la normativa nazionale ha previsto  che  sia  lo  Stato  a
decidere, di volta in volta, se  abbassare  gli  standard  di  tutela
ambientale, laddove necessario a fronteggiare un fatto  emergenziale.
Non a caso, questa Corte ha gia' affermato che «non e'  inibito  allo
Stato, nell'esercizio di una scelta libera del legislatore nazionale,
prevedere in  modo  non  irragionevole  l'esclusione  della  suddetta
valutazione di impatto ambientale per opere  di  particolare  rilievo
quali quelle destinate alla protezione civile» (sentenza n.  234  del
2009). 
    Di qui la non fondatezza delle censure promosse in relazione agli
artt. 3 e 97 Cost. 
    10.2.1.- L'attribuzione allo Stato del potere di esonero  non  e'
incongruente con  la  necessita'  di  garantire  l'uniformita'  della
protezione ambientale. La disposizione impugnata interseca senz'altro
la materia della protezione civile, ma prevale, nel caso  di  specie,
la competenza esclusiva di cui all'art. 117, secondo  comma,  lettera
s),  Cost.,  stante  l'esigenza  di   garantire   uniformemente   sul
territorio nazionale, pur in  ragione  di  particolari  emergenze,  i
livelli di protezione ambientale. 
    10.2.2.- Priva di fondamento e' altresi' la censura di violazione
del principio di leale  collaborazione,  principio  salvaguardato,  a
monte, attraverso il coinvolgimento della  Conferenza  Stato-Regioni,
chiamata ad esprimere il parere sullo schema di  decreto  legislativo
che annoverava tale norma. Deve essere sottolineato,  poi,  in  linea
con quanto sostenuto dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  che  la
leale  collaborazione  e'   salvaguardata   anche   a   "valle"   del
procedimento amministrativo. La delibera dello  stato  di  emergenza,
infatti, viene decisa, dal Consiglio dei ministri previa  intesa  con
la Regione interessata, secondo  quanto  previsto  dall'art.  24  del
decreto legislativo 2 gennaio 2018, n.  1  (Codice  della  protezione
civile), che riproduce sul punto  quanto  stabiliva  l'art.  5  della
legge 24 febbraio 1992, n. 225 (Istituzione  del  Servizio  nazionale
della protezione civile). Alla luce di un  inquadramento  sistematico
della norma, ben puo' dirsi che la decisione  di  esonero  dalla  VIA
dovra'  succedere  alla  decisione  di   realizzare   interventi   di
protezione civile concertati con gli enti territoriali interessati. 
    11.- La Regione Veneto ha impugnato  anche  l'art.  3,  comma  1,
lettera h), il quale ha sostituito il comma 11 dell'art. 6 del d.lgs.
n. 152 del 2006, prevedendo, come si e' gia' visto, che  il  Ministro
dell'ambiente, in casi eccezionali e previo parere del  Ministro  dei
beni e delle attivita' culturali e del  turismo,  possa  esentare  in
tutto o in parte un progetto specifico dalla  procedura  di  VIA.  In
tali casi, il Ministero deve  esaminare  se  sia  opportuna  un'altra
forma di valutazione; mette a  disposizione  del  pubblico  coinvolto
tutte le informazioni  raccolte  con  le  eventuali  altre  forme  di
valutazione e le ragioni  per  cui  e'  stata  concessa  l'esenzione;
informa  la  Commissione  europea   dei   motivi   che   giustificano
l'esenzione fornendo le informazioni acquisite. 
    Ad avviso della ricorrente sarebbero violati  gli  artt.  3,  97,
117, terzo comma, 118 Cost. e il principio di  leale  collaborazione.
La disposizione sarebbe  irragionevole  e  porterebbe  un  vulnus  al
principio di legalita', perche'  consentirebbe  al  Ministro,  a  sua
discrezione, di privare un  progetto  della  valutazione  di  impatto
ambientale. Essa rappresenterebbe un grimaldello in grado di alterare
il sistema di riparto delle competenze esistenti tra Stato e  Regione
in  materia  di  VIA,  senza  che  sia  prevista  alcuna   forma   di
partecipazione, decisoria o istruttoria, da parte delle Regioni,  con
conseguente violazione degli artt. 118 e 120 Cost. 
    11.1.- Le questioni di legittimita' costituzionale promosse dalla
Regione Veneto non sono fondate. 
    La censurata  disposizione  ricalca  il  tenore  letterale  della
normativa europea (art. 2, paragrafo 4,  direttiva  2011/92/UE,  come
rivista dalla direttiva  2014/52/UE),  ponendo  in  capo  al  vertice
dell'amministrazione centrale la scelta di  derogare  ai  livelli  di
tutela ambientale e attribuendo,  in  modo  non  irragionevole,  allo
Stato  la  responsabilita'   politico-amministrativa   di   esonerare
specifici progetti di fronte alla Commissione europea. 
    D'altronde, dal punto di  vista  interno,  questa  opzione  trova
coerente   giustificazione   nella   necessaria   uniformita'   della
protezione ambientale, cosi' evitando un esiziale frazionamento delle
esigenze  di  tutela.  La  prevalenza  della   finalita'   ambientale
consente, anche in questo caso, di  respingere  le  censure  relative
alla asserita violazione delle competenze regionali. 
    12.- Le Regioni Lombardia, Abruzzo, Calabria e Veneto  impugnano,
in forma sostanzialmente cumulativa, gli artt. 5, 22, commi da 1 a 4,
e 26 del d.lgs. n. 104 del 2017. I primi due articoli -  come  si  e'
gia' visto - riguardano i criteri di  riparto  delle  competenze  tra
Stato e Regioni in tema di VIA e  di  assoggettabilita'  a  VIA,  con
rimodulazione  contenutistica  degli  appositi  Allegati  alla  Parte
seconda cod. ambiente, e dai quali, in buona sostanza,  si  desume  -
rispetto al previgente regime - l'allocazione in capo allo  Stato  di
una non trascurabile quantita' di tipologie progettuali per le  quali
la VIA e la verifica  di  relativa  assoggettabilita'  passano  dalla
competenza normativa e amministrativa delle Regioni  a  quella  dello
Stato.  L'art.  26  dispone  le   corrispondenti   e   conseguenziali
abrogazioni delle  previgenti  disposizioni,  espressamente  reputate
incompatibili con la nuova disciplina in tema  di  allocazione  delle
competenze. 
    12.1.- Le Regioni ricorrenti lamentano che  la  nuova  disciplina
recata dalle disposizioni impugnate violi l'art. 117, terzo e  quarto
comma, Cost., in quanto sarebbero  illegittimamente  incise  le  loro
competenze ivi previste. Altresi' violato sarebbe l'art.  118  Cost.,
in quanto risulterebbero ridimensionate le competenze  amministrative
regionali e quelle gia' conferite dalla  Regione  agli  enti  locali,
prescindendo  da  ogni  valutazione  sull'adeguatezza,  o  meno,  del
livello istituzionale coinvolto, con conseguente violazione anche del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    Le sole Regioni Lombardia e Abruzzo  sostengono  che  l'impugnato
art. 5 sia in contrasto anche con l'art. 3 Cost. in  quanto,  per  un
verso, sarebbe irragionevole la diversita' di disciplina prevista per
la VAS e la VIA, dal momento che per la prima l'art. 7 cod. ambiente,
come modificato dall'art. 7 del d.lgs. n. 104 del 2017, ha confermato
la competenza legislativa ed amministrativa  delle  Regioni  e  delle
Province  autonome;  per  un  altro  verso,  risulterebbe  del   pari
irragionevole che, in particolare attraverso i commi 7 e 8 del  nuovo
art. 7-bis del medesimo codice, risulti preclusa la possibilita'  per
le Regioni di stabilire livelli di tutela dell'ambiente piu'  elevati
rispetto alla disciplina statale. 
    12.2.- Preliminarmente,  deve  essere  rigettata  l'eccezione  di
inammissibilita', per genericita' e  carenza  di  motivazione,  delle
questioni di legittimita' costituzionale aventi per oggetto gli artt.
22 e 26 del d.lgs.  n.  104  del  2017.  Secondo  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri, le ricorrenti avrebbero dovuto individuare  i
progetti  la  cui  sottrazione  alla  VIA  regionale   determinerebbe
violazione  dell'art.  118  Cost.,  cosi'   come   avrebbero   dovuto
adeguatamente motivare circa l'adeguatezza del livello regionale allo
svolgimento della relativa funzione amministrativa. 
    I ricorsi passano in analitica rassegna le  previsioni  novellate
dalle quali emerge l'allocazione di funzioni in capo allo  Stato:  la
violazione  dell'art.  118  Cost.  risiederebbe   proprio   in   tale
circostanza,  ovverosia  nel  fatto  che  vengono  ridimensionate  le
competenze amministrative regionali e quelle a suo  tempo  conferite,
prescindendo da valutazioni sulla  adeguatezza  o  meno  del  livello
istituzionale  coinvolto,  violando  anche  il  principio  di   leale
collaborazione.  Le  Regioni,  dunque,   si   assumono   lese   dalla
sottrazione di  competenze  a  lungo  esercitate,  e  tanto  basta  a
ritenere sufficientemente motivate le censure di costituzionalita' in
relazione agli evocati parametri costituzionali. 
    12.3.- Nel merito, le questioni  di  legittimita'  costituzionale
proposte in riferimento all'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. non
sono fondate. 
    Non puo' esservi dubbio, infatti,  sulla  riconducibilita'  delle
disposizioni impugnate alla potesta' esclusiva statale in materia  di
«tutela dell'ambiente» e «dell'ecosistema». Esse modificano, come  si
e' visto, i criteri di riparto delle competenze tra Stato  e  Regioni
in tema di VIA e  di  assoggettabilita'  a  VIA  (artt.  5  e  22)  e
determinano espressamente l'abrogazione delle previgenti disposizioni
reputate incompatibili (art. 26). Si tratta,  detto  altrimenti,  del
"cuore"  della  disciplina,  poiche'  sono  precisamente   le   norme
impugnate quelle che - in attuazione  degli  obiettivi,  posti  dalla
direttiva e  dalla  delega,  di  «semplificazione,  armonizzazione  e
razionalizzazione  delle  procedure   di   valutazione   di   impatto
ambientale» e di «rafforzamento della  qualita'  della  procedura  di
valutazione di  impatto  ambientale»  -  determinano  un  tendenziale
allineamento dei diversi schemi e modelli procedimentali,  assegnando
allo Stato l'apprezzamento dell'impatto  sulla  tutela  dell'ambiente
dei progetti  reputati  piu'  significativi  e,  cosi',  evitando  la
polverizzazione   e    differenziazione    delle    competenze    che
caratterizzava il  previgente  sistema.  Fattore,  quest'ultimo,  che
aveva originato  sovrapposizione  e  moltiplicazione  di  interventi,
oltre che normative differenziate  le  quali,  accanto  a  diluizioni
temporali reputate inaccettabili (puntualmente poste in evidenza  dal
Governo nella relazione illustrativa dello  schema  di  decreto  oggi
all'esame di questa Corte),  inducevano  a  deprecabili  fenomeni  di
«delocalizzazione dei progetti verso aree geografiche a basso livello
di regolazione ambientale». 
    La unitarieta' e allocazione  presso  lo  Stato  delle  procedure
coinvolgenti progetti a maggior impatto ha, dunque, risposto  ad  una
esigenza  di   razionalizzazione   e   standardizzazione   funzionale
all'incremento della qualita' della  risposta  ai  diversi  interessi
coinvolti, con  il  correlato  obiettivo  di  realizzare  un  elevato
livello di protezione del bene ambientale. 
    Gli argomenti sinora esposti valgono, altresi', a considerare non
fondate le censure proposte in riferimento agli artt. 5,  118  e  120
Cost. 
    12.4.- In relazione alle questioni di legittimita' costituzionale
aventi per oggetto il solo art. 5 del d.lgs.  n.  104  del  2017,  le
Regioni  ricorrenti  hanno  adeguatamente  motivato  in  ordine  alla
ridondanza su loro competenze della lamentata violazione dell'art.  3
Cost. 
    12.4.1. - Nel merito, tuttavia, le censure non sono fondate. 
    Non puo' considerarsi irragionevole  la  scelta  del  legislatore
statale, titolare della competenza esclusiva  nella  materia  «tutela
dell'ambiente  e  dell'ecosistema»,  di  predisporre  due  discipline
differenziate per istituti, quali la VIA e la VAS, che,  pur  essendo
entrambi istituti «che valutano  in  concreto  e  preventivamente  la
"sostenibilita' ambientale"» (sentenza n. 225 del 2009),  presentano,
ad ogni modo,  peculiarita'  che  li  mantengono  distinti:  la  VIA,
difatti, svolge  una  funzione  autorizzatoria  rispetto  al  singolo
progetto ad impatto ambientale, mentre  la  VAS  si  inserisce  nella
funzione di pianificazione, proponendo un  esame  degli  effetti  che
puo' avere sull'ambiente  l'attuazione  di  previsioni  contenute  in
piani e programmi. 
    La disposizione censurata, a dispetto di quanto  sostenuto  dalle
ricorrenti, non esclude,  inoltre,  che  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano possano, nell'esercizio delle proprie
competenze legislative, stabilire  livelli  di  tutela  dell'ambiente
piu'  elevati  di  quelli  previsti  dalla  normativa   statale.   Le
previsioni di cui ai commi 7 e 8 del nuovo art. 7-bis cod.  ambiente,
le quali dispongono che le competenze regionali siano esercitate  «in
conformita'» alla normativa europea e alle disposizioni del  medesimo
decreto, non sono tali da impedire  una  normativa  regionale  che  -
salva  l'inderogabilita',  espressamente   stabilita,   dei   termini
procedimentali massimi di cui agli artt. 19  e  27-bis  dello  stesso
cod.   ambiente   -   garantisca   maggiormente    la    salvaguardia
dell'ambiente. Di qui, pertanto, l'infondatezza, anche  sotto  questo
profilo, delle questioni di legittimita' costituzionale sollevate  in
riferimento all'art. 3 Cost. 
    13.- Le Regioni Lombardia, Abruzzo e  Calabria  impugnano  l'art.
16, comma 2, del d.lgs.  n.  104  del  2017,  introduttivo  dell'art.
27-bis cod. ambiente, il  quale  disciplina  il  provvedimento  unico
regionale, per violazione degli artt. 3, 97 e 117, terzo comma, Cost.
e  del  principio  di  leale  collaborazione.  Ai   sensi   di   tale
disposizione, come gia' messo in evidenza, nei  procedimenti  di  VIA
per i quali e' competente la Regione, il relativo provvedimento,  che
comprende tutti i provvedimenti altrimenti denominati necessari  alla
realizzazione del progetto, viene rilasciato a  seguito  di  apposita
conferenza di  servizi  convocata  in  modalita'  sincrona  ai  sensi
dell'art. 14-ter della legge n. 241 del 1990. 
    Ad  avviso  delle  ricorrenti  (in  particolare,  della   Regione
Calabria), sarebbe violato  il  principio  di  leale  collaborazione,
perche' lo schema di  decreto  legislativo  inviato  alla  Conferenza
Stato-Regioni sarebbe stato privo della disposizione in esame,  cosi'
da non rendere edotte  le  Regioni  circa  la  rilevante  innovazione
normativa. Sarebbe altresi' violato l'art. 3 Cost.: l'obbligatorieta'
del provvedimento unico  regionale  sarebbe  causa  di  irragionevole
disparita'  di  trattamento  rispetto  alle  procedure  di   VIA   di
competenza statale, per le quali non  e'  previsto  il  provvedimento
unico,  salvo  specifica  richiesta  del  proponente.   Inoltre,   il
provvedimento unico regionale sarebbe disciplinato da  una  normativa
eccessivamente dettagliata,  che  non  lascerebbe  alcuno  spazio  al
legislatore regionale. 
    Secondo  la  Regione   Abruzzo,   poi,   l'introduzione   di   un
provvedimento   unico   regionale   sarebbe   illogica,   anche    in
considerazione del fatto che a livello statale il provvedimento unico
non opera d'ufficio, ma su richiesta del proponente. 
    Il procedimento delineato sarebbe altresi' lesivo  del  principio
di buon andamento ex art. 97 Cost.,  perche'  non  vi  sarebbe  alcun
coordinamento con altri procedimenti, essendo attribuito ad  un'unica
autorita',  priva  di  competenze  tecniche,   il   relativo   potere
amministrativo. 
    Nella sola rubrica del motivo di  ricorso,  la  Regione  Calabria
indica, quale disposizione impugnata, anche l'art. 16, comma  1,  del
d.lgs. n.  104  del  2017,  che  disciplina  il  provvedimento  unico
ambientale nei procedimenti di  competenza  statale,  senza  tuttavia
dedicarvi alcuna argomentazione. 
    La   Regione   Puglia,   infine,   contesta    la    legittimita'
costituzionale dell'art. 14 del d.lgs. n. 104 del 2017,  nella  parte
in cui, sostituendo l'art. 25 cod. ambiente, nei provvedimenti di VIA
statale non richiede piu' il previo parere della Regione  interessata
(comma 2). Sarebbe di  conseguenza  violato  il  principio  di  leale
collaborazione. 
    13.1.- In via preliminare, va dichiarata l'inammissibilita' delle
questioni, sollevate dalla Regione Calabria,  relative  all'art.  16,
comma 1, del  d.lgs.  n.  104  del  2017,  perche'  le  censure  sono
assolutamente prive di supporto argomentativo. 
    13.2.- Tutte le ricorrenti, invece, hanno adeguatamente  motivato
in  relazione  alla  ridondanza  del  vizio  di  irragionevolezza   e
dell'asserita lesione del principio del buon andamento in relazione a
loro competenze legislative potenzialmente  lese  dalla  disposizione
impugnata. 
    13.3.- Nel merito, tuttavia, le questioni non sono fondate. 
    L'impugnato art. 16, comma 2, del  d.lgs.  n.  104  del  2017  e'
perfettamente coerente con la normativa sovranazionale, la quale  non
solo prevede la semplificazione delle procedure in materia di VIA, ma
dispone anche che gli Stati membri prevedano procedure  coordinate  e
comuni, nel caso in cui  la  valutazione  risulti  contemporaneamente
dalla  direttiva  2011/92/UE,   come   modificata   dalla   direttiva
2014/52/UE, e dalle altre direttive europee in materia ambientale  ad
essa collegate. Inoltre, l'art.  1,  paragrafo  1),  della  direttiva
2014/52/UE stabilisce nel dettaglio un  iter  procedurale  che  trova
sostanziale riproduzione nella disposizione censurata. 
    La disciplina del provvedimento unico regionale, in coerenza  con
la delega conferita dal Parlamento, e'  finalizzata  a  semplificare,
razionalizzare e velocizzare la VIA regionale, nella  prospettiva  di
migliorare l'efficacia dell'azione delle  amministrazioni  a  diverso
titolo coinvolte nella realizzazione del progetto. 
    E' appena il caso di notare, peraltro, come  la  norma  censurata
non comporti alcun  assorbimento  dei  singoli  titoli  autorizzatori
necessari alla realizzazione dell'opera. Il provvedimento  unico  non
sostituisce i diversi provvedimenti emessi all'esito dei procedimenti
amministrativi, di  competenza  eventualmente  anche  regionale,  che
possono interessare la realizzazione del progetto, ma li  ricomprende
nella determinazione che conclude la conferenza di servizi (comma  7,
del nuovo art. 27-bis cod. ambiente, introdotto dall'art.  16,  comma
2, del d.lgs. n. 104 del 2017). Esso ha, dunque, una natura per cosi'
dire  unitaria,  includendo  in  un  unico  atto  i  singoli   titoli
abilitativi emessi a seguito della conferenza di  servizi  che,  come
noto, riunisce in unica sede  decisoria  le  diverse  amministrazioni
competenti. Secondo una ipotesi gia' prevista dal decreto legislativo
30 giugno 2016, n. 127 (Norme per il  riordino  della  disciplina  in
materia di conferenze di servizi, in attuazione dell'articolo 2 della
legge 7 agosto 2015, n. 124) e  ora  disciplinata  dall'art.  24  del
decreto legislativo censurato, il provvedimento unico  regionale  non
e'  quindi  un  atto  sostitutivo,  bensi'  comprensivo  delle  altre
autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto. 
    Evidente, allora, la  riconducibilita'  della  disposizione  alla
competenza esclusiva in materia ambientale, ai sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost. Per  le  medesime  ragioni,  non  e'
fondata la questione relativa all'art. 97 Cost. 
    Ne' puo' sostenersi che il decreto  legislativo  censurato  abbia
realizzato una disparita' di trattamento tra Stato  e  Regioni,  come
lamentato  dalla  Regione  Calabria,  avendo  previsto  solo  per   i
procedimenti regionali l'obbligo del provvedimento unico, mentre  per
i procedimenti di competenza statale spetta al proponente  la  scelta
di  avvalersi  di   tale   strumento.   Appartiene,   infatti,   alla
discrezionalita' del legislatore statale,  nell'esercizio  della  sua
competenza  esclusiva,  anche  in  considerazione  delle  particolari
dimensioni e del rilievo dei progetti da autorizzare a se' riservati,
la modulazione dell'innovativo procedimento di VIA.