ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1  del
decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di
abrogazione  di  reati  e  introduzione  di  illeciti  con   sanzioni
pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della  legge  28
aprile 2014, n. 67), promosso dal Tribunale ordinario di Pistoia, nel
procedimento penale a carico di F. P. e A. V., con ordinanza  dell'11
luglio 2017, iscritta  al  n.  183  del  registro  ordinanze  2017  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  52,  prima
serie speciale, dell'anno 2017. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24 ottobre  2018  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 luglio 2017, il Tribunale ordinario  di
Pistoia ha sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale,  in
riferimento agli artt. 3, 25 e 70 della Costituzione, dell'art. 1 del
decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di
abrogazione  di  reati  e  introduzione  di  illeciti  con   sanzioni
pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della  legge  28
aprile 2014, n. 67), il  quale  stabilisce  che  «[s]ono  abrogati  i
seguenti articoli del codice penale: a) 485; b) 486; c) 594; d)  627;
e) 647». 
    Il rimettente - premesso di  dover  decidere  nell'ambito  di  un
giudizio penale nei confronti di due imputati chiamati  a  rispondere
dei reati di ingiuria e  minaccia  previsti,  rispettivamente,  dagli
artt. 594 e 612 del codice penale, e osservato che la norma censurata
prevede  la  depenalizzazione  solo  del  primo  -  assume   che   la
disposizione  censurata  contrasterebbe,  in  primo  luogo,  con   il
principio  di  eguaglianza,  disciplinando  in   modo   diverso   due
situazioni omogenee e, in secondo luogo, con gli artt. 25 e 70  Cost.
sotto il profilo dell'eccesso di delega in minus, in quanto: a)  essa
ha abrogato solo il reato di ingiuria e non quello di  minaccia,  per
entrambi i quali e' prevista la sola sanzione pecuniaria, sebbene  la
legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in  materia  di  pene
detentive non carcerarie e  di  riforma  del  sistema  sanzionatorio.
Disposizioni in materia di sospensione  del  procedimento  con  messa
alla prova e nei confronti degli irreperibili), all'art. 2, comma  2,
lettera a), preveda, tra i criteri direttivi, quello di  «trasformare
in illeciti amministrativi tutti i reati per i quali e'  prevista  la
sola pena  della  multa  o  dell'ammenda»  (ad  eccezione  di  quelli
relativi alle materie elencate dalla stessa legge, tra le  quali  non
rientrano  le  fattispecie  in  esame);  b)  «[s]olo  il  legislatore
(Parlamento) puo' decidere cosa e  come  si  punisce,  vedi  sentenza
Corte costituzionale n. 282 del  1990,  quindi  ove  al  Governo  era
imposto di prevedere  un  certo  trattamento  sanzionatorio  e  certe
misure deflattive per i reati puniti solo con  pena  pecuniaria  cio'
doveva essere per tutti, non per alcuni si' e per altri no  come  nel
caso in specie»; c) in relazione al reato di minaccia  non  e'  stata
neppure  prevista  la  possibilita'  di  estinguere  il  procedimento
mediante il pagamento di un importo pari alla  meta'  della  sanzione
pecuniaria,  secondo  quanto  stabilito  dall'ulteriore  criterio  di
delega indicato dall'art. 2, comma 2, lettera g), della legge  n.  67
del 2014. 
    Quanto alla rilevanza delle questioni,  il  rimettente  evidenzia
che, in  caso  di  accoglimento  di  esse,  gli  imputati  potrebbero
beneficiare degli effetti dell'estinzione del reato. 
    2.- Con atto depositato il 16  gennaio  2018  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, infondate. 
    In punto di ammissibilita', l'interveniente rileva che il giudice
a quo si e' limitato a denunciare l'illegittimita'  dell'art.  1  del
d.lgs. n. 7 del 2016, non tenendo conto che l'eventuale  declaratoria
di incostituzionalita' di questa disposizione non  potrebbe,  di  per
se', spiegare alcun effetto sul giudizio a quo. E  comunque,  seppure
si volesse attribuire al giudice la volonta' di ottenere, tramite una
pronuncia additiva, l'abrogazione del reato di minaccia non grave, la
questione sarebbe ugualmente inammissibile in ragione dei limiti  che
questa  Corte  incontra  di  fronte  alle   scelte   riservate   alla
discrezionalita' del  legislatore,  secondo  il  principio  affermato
dall'art.  28  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme   sulla
costituzione  e  sul  funzionamento  della  Corte  costituzionale)  e
confermato  da  un  consolidato  orientamento  della   giurisprudenza
costituzionale. Al riguardo, viene ricordata la sentenza n.  236  del
2016, che avrebbe escluso  che  questa  Corte  possa  pronunciare  in
ordine  a  «valutazioni  discrezionali  di  dosimetria  sanzionatoria
penale, alle quali e' unicamente chiamata la rappresentanza politica,
attraverso la riserva di legge sancita nell'art. 25 Cost.». 
    Nel merito, l'Avvocatura generale dello  Stato  sostiene  la  non
fondatezza della questione osservando che il rimettente  ha  posto  a
confronto due reati aventi caratteristiche,  elementi  costitutivi  e
oggetto giuridico del tutto disomogenei. Quanto poi  alla  denunciata
mancata attuazione della delega, l'Avvocatura assume che il  Governo,
in realta', si e' perfettamente attenuto ai  principi  e  ai  criteri
direttivi indicati nell'art. 2 della legge n. 67 del  2014.  Infatti,
tale legge ha previsto  un  duplice  intervento:  da  una  parte,  la
trasformazione in illeciti amministrativi di  tutti  i  reati  per  i
quali e' prevista  la  sola  pena  della  multa  o  dell'ammenda,  ad
eccezione di alcune materie indicate  espressamente;  e,  dall'altra,
l'abrogazione di specifici reati tra i quali e' ricompreso  il  reato
di  ingiuria,  ma  non  quello  di  minaccia.   Dunque   -   conclude
l'Avvocatura - la legge delega nulla prevede in ordine alla  minaccia
non grave, nemmeno con riguardo alla depenalizzazione, trattandosi di
una fattispecie che non rientra in nessuna delle categorie per cui la
stessa e' contemplata. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 luglio 2017, il Tribunale ordinario  di
Pistoia  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art.  1  del  decreto  legislativo  15  gennaio   2016,   n.   7
(Disposizioni in materia di abrogazione di reati  e  introduzione  di
illeciti con sanzioni pecuniarie civili,  a  norma  dell'articolo  2,
comma 3, della legge 28 aprile 2014,  n.  67),  nella  parte  in  cui
prevede, al primo comma, l'abrogazione del reato  di  ingiuria  (art.
594  del  codice   penale)   e   non   anche   l'abrogazione   o   la
depenalizzazione di quello di minaccia non  grave  (art.  612,  primo
comma, cod. pen.). 
    Il  giudice  rimettente  assume  la  possibile   violazione   del
principio di eguaglianza  (art.  3  della  Costituzione)  in  quanto,
stante l'abrogazione del  solo  reato  di  ingiuria,  due  situazioni
omogenee risulterebbero trattate ingiustificatamente in modo diverso. 
    Inoltre, sarebbero violati anche gli artt. 25 e 70 Cost. sotto il
profilo dell'eccesso di delega, in quanto la  disposizione  censurata
ha abrogato solo il reato di ingiuria e non anche quello di  minaccia
non grave,  pur  essendo  prevista  per  entrambi  la  sola  sanzione
pecuniaria. Infatti, l'art. 2, comma 2, lettera a),  della  legge  28
aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di  pene  detentive
non carcerarie e di riforma del sistema  sanzionatorio.  Disposizioni
in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei
confronti degli irreperibili), prevedeva, tra  i  criteri  direttivi,
quello di «trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati per i
quali e' prevista la  sola  pena  della  multa  o  dell'ammenda»,  ad
eccezione di quelli relativi alle materie ivi elencate. 
    Inoltre, il giudice rimettente lamenta che in relazione al  reato
di  minaccia  non  e'  stata  prevista  neanche  la  possibilita'  di
estinguere il procedimento mediante il pagamento di un  importo  pari
alla  meta'  della  sanzione  pecuniaria,  secondo  quanto  stabilito
dall'ulteriore criterio di delega  indicato  dall'art.  2,  comma  2,
lettera g), della legge n. 67 del 2014. 
    2.- Preliminarmente, sotto il profilo  dell'ammissibilita'  delle
questioni, va innanzi tutto rilevato che  i  reati  per  i  quali  il
tribunale rimettente procede  -  ingiuria  (art.  594  cod.  pen.)  e
minaccia non grave (art. 612, primo comma, cod. pen.) - sono entrambi
di competenza (non gia' del tribunale, bensi') del giudice di pace ex
art. 4, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 28 agosto  2000,
n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a
norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468). 
    Tuttavia, secondo l'«orientamento di  gran  lunga  maggioritario»
della giurisprudenza di legittimita', l'incompetenza del tribunale  a
conoscere di reati appartenenti alla competenza del giudice  di  pace
deve essere eccepita, a pena di decadenza, entro il termine stabilito
dall'art. 491, comma 1, del codice di  procedura  penale,  richiamato
dall'art. 23, comma 2, cod. proc.  pen.,  senza  che  l'art.  48  del
d.lgs. n. 274 del 2000 deroghi  al  regime  della  non  rilevabilita'
d'ufficio dell'incompetenza per materia del tribunale  a  favore  del
giudice di pace, limitandosi a  stabilire  che  il  giudice,  qualora
debba dichiarla, e' tenuto a farlo  con  sentenza,  trasmettendo  gli
atti al pubblico ministero e non gia' direttamente al giudice di pace
(Corte di  cassazione,  sezione  quinta  penale,  sentenza  27  marzo
2015-17 giugno 2015, n.  25499;  sezione  terza  penale,  sentenza  5
febbraio 2014-26  maggio  2014,  n.  21257;  sezione  quinta  penale,
sentenza 22 gennaio 2014-8 aprile 2014, n. 15727).  Si  e',  infatti,
affermato che la disciplina dettata dall'art. 48 citato  deve  essere
interpretata nel senso che «essa  non  deroga  al  regime  della  non
rilevabilita' d'ufficio dell'incompetenza per materia del tribunale a
favore del giudice di pace, ma stabilisce semplicemente che,  qualora
il giudice, secondo le regole fissate nel codice di procedura penale,
debba dichiarare l'incompetenza per  materia  a  favore  del  giudice
pace, lo  fa  con  sentenza  e  trasmettendo  gli  atti  al  pubblico
ministero e non direttamente al giudice di pace»; orientamento questo
che e' stato confermato  anche  recentemente  (Corte  di  cassazione,
sezione settima penale, ordinanza 22 maggio 2018-8  agosto  2018,  n.
38195). In tal senso si e', quindi, formato il diritto vivente  cosi'
superandosi una risalente giurisprudenza in senso contrario (Corte di
cassazione, sezione terza penale, 2 marzo  2010-1°  aprile  2010,  n.
12636), che aveva invece ritenuto la portata derogatoria dell'art. 48
citato (cosi' come l'ordinanza n. 144 del 2011 di questa Corte). 
    Pertanto, sotto questo  aspetto,  non  risultando  sollevata  nel
giudizio a quo alcuna  eccezione  di  incompetenza  per  materia,  le
questioni di legittimita' costituzionale sono ammissibili essendo non
solo plausibile, ma anche conforme al diritto vivente, la  competenza
ritenuta dal tribunale rimettente; cio' di cui  peraltro  non  dubita
l'Avvocatura generale dello Stato. 
    3.- Le questioni stesse sono pero' inammissibili sotto un diverso
profilo. 
    3.1.- Innanzi tutto e'  inammissibile  la  questione  che  ha  ad
oggetto la mancata abrogazione del reato di minaccia  non  grave  per
ingiustificata  disciplina  differenziata  rispetto   al   reato   di
ingiuria, che invece e' stato abrogato dalla disposizione  censurata,
residuando solo l'illecito civile. 
    L'art. 1 del d.lgs. n. 7 del 2016 -  oggetto  delle  censure  del
giudice rimettente - contempla si', all'art. 1, comma 1, l'elenco dei
reati previsti dal codice penale che sono abrogati, tra cui il  reato
di ingiuria e non anche quello di minaccia non grave. Ma cio'  fa  in
corretta attuazione della delega recata dall'art. 2, comma 3, lettera
a), della legge n. 67 del  2014;  delega  che  appunto  contiene,  in
particolare, il catalogo dei reati previsti  dal  codice  penale  dei
quali il legislatore delegante ha stabilito l'abrogazione, tra cui il
reato di ingiuria, ma non anche quello di minaccia non grave. 
    Quindi, il trattamento differenziato  tra  questi  due  reati  e'
nella legge di delega e non gia'  nella  censurata  disposizione  del
decreto  legislativo.  La  scelta  di  differenziare  i   due   reati
(abrogando il primo e lasciando la qualificazione  penale  quanto  al
secondo), scelta che il tribunale  rimettente  ritiene  contraria  al
principio di eguaglianza e di ragionevolezza, sarebbe ascrivibile  al
legislatore della  legge  delega  -  le  cui  valutazioni  di  natura
politica rientrano nell'«uso del potere discrezionale del Parlamento»
ex art. 28 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione
e sul funzionamento della Corte  costituzionale)  -  e  non  gia'  al
Governo che ha emanato il decreto legislativo. 
    Il tribunale rimettente invece censura  (non  gia'  la  legge  di
delega, ma) la disposizione del d.lgs. n. 7 del 2016 - che ha attuato
la delega, seppur parzialmente (ma cio' non rileva in  questa  sede),
perche' altri sono i reati la cui abrogazione, pur prevista,  non  e'
stata  disposta  -  cosi'  incorrendo  in  un'aberratio   ictus   con
conseguente inammissibilita' delle questioni sollevate in riferimento
a tutti i parametri evocati (ex plurimis, sentenza n.  35  del  2017;
ordinanza n. 8 del 2018). 
    3.2.-  Parimenti  inammissibile,  per  aberratio  ictus,  e'   la
questione che ha ad oggetto la mancata depenalizzazione del reato  di
minaccia non grave (art. 612, primo comma, cod. pen.). 
    L'art.  1  del  decreto  legislativo  15  gennaio  2016,   n.   8
(Disposizioni in materia di depenalizzazione, a  norma  dell'articolo
2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67), prevede, al comma  1,
che  non  costituiscono  reato,  e  sono   soggette   alla   sanzione
amministrativa del  pagamento  di  una  somma  di  denaro,  tutte  le
violazioni per le quali e'  prevista  la  sola  pena  della  multa  o
dell'ammenda; ma precisa, al comma 3, che la disposizione del comma 1
non si applica ai reati previsti dal codice penale. 
    Quindi,  il  reato  di  minaccia   non   grave   non   e'   stato
depenalizzato, come correttamente ritiene il tribunale rimettente (in
tal senso, da ultimo, Corte di  cassazione,  sezione  quinta  penale,
sentenza 5 giugno 2018-10 ottobre 2018, n. 45809). 
    Quest'ultimo lamenta che il legislatore delegato  avrebbe  dovuto
prevedere la depenalizzazione anche di tale reato perche'  l'art.  2,
comma 2, lettere a) e g), della legge n.  67  del  2014  prescriveva,
come criterio di delega, la trasformazione in illeciti amministrativi
di tutti i reati per i quali fosse prevista la sola pena della  multa
o dell'ammenda, quale il reato di  minaccia  non  grave,  nonche'  la
possibilita' di estinguere il procedimento amministrativo mediante il
pagamento, anche rateizzato, di un  importo  pari  alla  meta'  della
sanzione pecuniaria. Secondo  il  tribunale  rimettente  il  Governo,
nell'esercitare  questa   delega,   avrebbe   dovuto   prevedere   la
trasformazione in illecito amministrativo  anche  della  condotta  di
minaccia non grave. 
    Il  vizio  denunciato  dal  tribunale   starebbe   allora   nella
(asseritamente) difettosa - perche' non completa -  attuazione  della
delega, sicche' la disposizione che avrebbe dovuto  essere  censurata
era  quella  del  decreto  legislativo  attuativo  della   delega   e
segnatamente l'art. 1, commi 1 e 3, del d.lgs. n.  8  del  2016,  che
stabilisce che non costituiscono reato e sono soggette alla  sanzione
amministrativa  del  pagamento  di  una  somma  di  denaro  tutte  le
violazioni, non previste dal codice penale, per le quali e' stabilita
la sola pena della multa o dell'ammenda. 
    Cio' il tribunale non fa perche',  anche  sotto  questo  profilo,
indirizza le sue censure al coevo d.lgs. n. 7 del 2016  (segnatamente
all'art. 1, comma 1) che prevede l'abrogazione di reati e non gia' la
depenalizzazione, oggetto del parallelo d.lgs. n. 8 del 2016. 
    Sussiste, quindi, aberratio ictus e conseguentemente la questione
e' inammissibile in  riferimento  a  tutti  i  parametri,  non  senza
considerare  che  analoga  questione,  correttamente  sollevata   nei
confronti dell'art. 1,  comma  3,  del  d.lgs.  n.  8  del  2016,  in
riferimento   all'art.   3   Cost.,   e   riguardante   la    mancata
depenalizzazione del reato previsto dall'art. 392 cod.  pen.,  punito
anch'esso con la sola pena della multa al pari del reato di  minaccia
non grave, e' stata dichiarata non fondata, in riferimento agli artt.
76 e 77 Cost., da questa Corte (sentenza n. 127 del 2017).