ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli  artt.  2  e  6
della legge della Regione Sardegna 18  giugno  2018,  n.  21  (Misure
urgenti  per  il  reclutamento  di  personale  nel  sistema  Regione.
Modifiche alla legge regionale n. 31 del 1998, alla  legge  regionale
n. 13 del 2006, alla legge regionale n. 36  del  2013  e  alla  legge
regionale n. 37 del 2016), promosso dal Presidente del Consiglio  dei
ministri con ricorso notificato il 10-21 agosto 2018,  depositato  in
cancelleria il 17 agosto 2018, iscritto al n. 51 del registro ricorsi
2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  38,
prima serie speciale, dell'anno 2018. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  21  maggio  2019  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    uditi l'avvocato dello Stato Marco Corsini per il Presidente  del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Sonia Sau per la Regione autonoma
Sardegna. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con  ricorso  notificato
il 10-21 agosto 2018 e depositato il 17 agosto 2018 (reg. ric. n.  51
del 2018), ha impugnato gli artt. 2 e 6  della  legge  della  Regione
Sardegna 18 giugno 2018, n. 21 (Misure urgenti per il reclutamento di
personale nel sistema Regione. Modifiche alla legge regionale  n.  31
del 1998, alla legge regionale n. 13 del 2006, alla  legge  regionale
n. 36 del 2013 e alla legge regionale n. 37 del 2016). 
    Secondo il ricorrente, la legge reg. Sardegna  n.  21  del  2018,
nell'introdurre una serie di disposizioni in materia di  reclutamento
del  personale,  avrebbe  travalicato  «la   competenza   legislativa
esclusiva regionale, come attribuita  dagli  articoli  3  e  5  dello
Statuto Speciale», violando anche l'art. 117, secondo comma,  lettera
l), della Costituzione (quanto all'art. 2 della legge  reg.  Sardegna
n. 21 del 2018) nonche' l'art. 97  Cost.  (quanto  all'art.  6  della
legge reg. Sardegna n. 21 del 2018). 
    1.1.- Secondo il ricorrente, in particolare, l'art. 2 della legge
reg. Sardegna n. 21 del 2018, nel  sostituire  l'art.  26,  comma  3,
della  legge  della  Regione  Sardegna  13  novembre  1998,   n.   31
(Disciplina  del  personale  regionale  e  dell'organizzazione  degli
uffici della Regione), violerebbe  i  citati  parametri  statutari  e
costituzionali, in relazione all'art. 45 del decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni  pubbliche)  e,  in  generale,  alle
disposizioni  contenute  nel  Titolo   III   dello   stesso   decreto
legislativo. 
    Espone il ricorrente che l'art. 26 della legge reg.  Sardegna  n.
31 del 1998 riconosceva al personale preposto al coordinamento  delle
unita' di  progetto  per  il  conseguimento  di  obiettivi  specifici
(previste  dal  comma  1  del  medesimo  articolo)  una  retribuzione
collegata al conseguimento degli  obiettivi  stessi,  secondo  quanto
disposto  dalla  contrattazione  collettiva  regionale   per   l'area
dirigenziale. 
    L'art. 2 della legge regionale impugnata ha sostituito il comma 3
dell'art. 26 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998  con  un  testo
del  seguente  tenore:  «Al  personale  non  dirigente  preposto   al
coordinamento delle Unita' di cui al  comma  1  e'  riconosciuta  una
indennita'  aggiuntiva  equiparata  alla  retribuzione  di  posizione
spettante al direttore di servizio e alla  relativa  retribuzione  di
risultato commisurata al raggiungimento degli obiettivi». 
    Il ricorrente evidenzia che la legge costituzionale  26  febbraio
1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), all'art. 3,  comma  1,
lettera  a),  «attribuisce  alla   potesta'   legislativa   esclusiva
regionale» la disciplina dell'ordinamento degli uffici amministrativi
regionali  e  dello  stato  giuridico  ed  economico   del   relativo
personale, ma nel rispetto delle  norme  fondamentali  delle  riforme
economico-sociali della Repubblica. 
    Secondo il ricorrente, l'art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 165  del
2001 prevede che il trattamento economico fondamentale ed  accessorio
e' definito  dalla  contrattazione  collettiva  e  deve  seguire  «le
procedure  proprie   in   contraddittorio   con   le   rappresentanze
sindacali». 
    In  base  a  tali  previsioni,  profondamente  innovative   della
disciplina precedente sul pubblico impiego, l'intera materia  sarebbe
retta    dai    «principi    della    privatizzazione     e     della
contrattualizzazione collettiva e individuale», che  individuerebbero
il  «metodo  di  disciplina  dei  rapporti  di  lavoro  nel   settore
pubblico», applicabile a tutto il personale  dipendente  pubblico  e,
quindi, anche a quello regionale. 
    Secondo  il  ricorrente,  nel   riservare   alla   contrattazione
collettiva   l'intera   definizione   del   trattamento    economico,
nell'ambito di una visione  privatistica  del  rapporto  di  pubblico
impiego, il legislatore avrebbe  appunto  attuato  «una  fondamentale
riforma  economica  e  sociale  della  Repubblica»   (come   peraltro
risulterebbe espressamente dall'art. 1 del d.lgs. n. 165  del  2001),
sicche' «le  norme  che  traducono  questa  riforma»  costituirebbero
«limite invalicabile alla potesta' legislativa -  anche  esclusiva  -
delle regioni». 
    Il ricorrente osserva che la legge regionale previgente  lasciava
alla contrattazione  collettiva  regionale  per  l'area  dirigenziale
l'individuazione  delle  retribuzioni  del  personale   preposto   al
coordinamento delle unita' di progetto. 
    La disposizione censurata, invece, ignorerebbe del tutto la fonte
contrattuale e fisserebbe autonomamente  sia  l'attribuzione  che  la
misura della voce retributiva  spettante  al  personale  preposto  al
coordinamento delle predette unita', ponendosi, per  questa  ragione,
in contrasto con la norma  statale  che  impone  la  definizione  del
trattamento  economico  fondamentale  e  accessorio   del   personale
pubblico mediante contrattazione collettiva, cosi' violando il limite
del rispetto delle norme fondamentali  di  riforma  economico-sociale
della Repubblica. 
    Del  resto,  aggiunge  il  ricorrente,  se  pure  alla   potesta'
legislativa regionale e'  demandata  la  materia  dell'organizzazione
degli uffici, tuttavia la  disciplina  del  rapporto  di  lavoro  non
atterrebbe ai profili organizzativi, rientrando piuttosto nella sfera
contrattuale, attribuita alla competenza legislativa esclusiva  dello
Stato, cui e' riservata  la  materia  dell'«ordinamento  civile»,  ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    Il rapporto di impiego alle dipendenze di Regioni ed enti locali,
essendo stato privatizzato, sarebbe per questo retto dalla disciplina
generale dei rapporti di lavoro privatistici, nonche'  soggetto  alle
regole statali che  ne  garantiscono  l'uniformita'.  Per  questo,  i
principi fissati  dalla  legge  statale  in  materia  costituirebbero
tipici limiti di diritto privato, fondati sull'esigenza, connessa  al
precetto costituzionale di eguaglianza, di  garantire  l'uniformita',
sul territorio nazionale, delle regole fondamentali  di  diritto  che
disciplinano i rapporti tra privati. Come tali, i principi in  parola
si imporrebbero anche alle Regioni a statuto speciale (viene  citata,
in tal senso, la sentenza n. 189 del 2007). 
    Secondo il ricorrente, la disposizione censurata atterrebbe  alla
disciplina del rapporto di lavoro e  non  «alla  mera  organizzazione
degli uffici», riferendosi al trattamento economico di una  categoria
di personale dipendente regionale,  sicche'  non  potrebbe  sottrarsi
alla regola  della  necessaria  fonte  contrattuale  collettiva  come
espressamente e inderogabilmente stabilito dalle norme statali. 
    In definitiva, secondo il ricorrente, la  disposizione  impugnata
dovrebbe  essere  dichiarata  costituzionalmente   illegittima,   sia
perche'   contrastante   con   norme    fondamentali    di    riforma
economico-sociale della Repubblica (travalicando,  quindi,  i  limiti
posti   alla   competenza   legislativa   regionale),   sia   perche'
indebitamente invasiva della sfera di potesta' legislativa  esclusiva
attribuita allo Stato dall'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    1.2.- Il ricorrente censura  anche  l'art.  6  della  legge  reg.
Sardegna n. 21  del  2018,  il  quale,  nel  sostituire  il  comma  2
dell'art. 54 della legge reg. Sardegna n. 31  del  1998,  si  sarebbe
posto in contrasto con gli  artt.  3  e  5  dello  statuto  speciale,
nonche' con l'art. 97 Cost., «in riferimento all'art. 4  del  decreto
legislativo n. 165 del 2001». 
    La disposizione impugnata prevede che l'assessore  competente  in
materia di personale,  «sulla  base  delle  necessita'  di  personale
definite dall'Amministrazione e dagli enti  del  sistema  Regione  ed
alle quali non si possa far fronte mediante  processi  di  mobilita',
fissa il contingente dei posti da mettere a  concorso,  definito  per
specifiche professionalita' e sedi di destinazione». 
    Ad avviso del  ricorrente,  la  disposizione,  «pur  attenendo  a
profili organizzatori degli uffici regionali e quindi pur  rientrando
nella competenza legislativa esclusiva regionale», travalicherebbe  i
limiti di tale competenza, che deve  sempre  essere  esercitata  «nel
rispetto delle norme fondamentali di riforma economico sociale  della
Repubblica». 
    Il limite in parola non  sarebbe  stato  rispettato,  perche'  il
ruolo attribuito all'assessore al personale lederebbe  «il  principio
della rigorosa  separazione  tra  compiti  di  indirizzo  politico  e
compiti gestionali», come fissato dall'art. 4 del d.lgs. n.  165  del
2001, da considerare norma di grande riforma economico-sociale  della
Repubblica. 
    L'art. 4 da ultimo citato, osserva il ricorrente, stabilisce  che
agli organi di governo spettano le  funzioni  di  indirizzo  politico
amministrativo, attraverso  la  definizione  degli  obiettivi  e  dei
programmi da attuare nonche'  attraverso  gli  atti  da  adottare  in
quanto rientranti  in  quelle  funzioni.  In  tal  modo,  al  vertice
politico competerebbe la «individuazione delle risorse umane [...] da
destinare alle diverse finalita'  e  la  loro  ripartizione  tra  gli
uffici di livello dirigenziale generale». 
    La  disposizione  censurata,  invece,  attribuirebbe   all'organo
politico  la  diversa  funzione   di   individuare   il   «fabbisogno
assunzionale sia della regione che degli enti  di  sistema,  distinto
per specifiche professionalita' e sedi  di  destinazione»,  attivita'
che sembrerebbero - a giudizio del ricorrente  -  «piu'  propriamente
attenere all'organizzazione delle  risorse  umane  e  strumentali,  e
quindi rientrare nelle competenze gestionali della dirigenza». 
    Secondo il ricorrente, l'accertamento delle carenze di organico e
l'apprezzamento  del  grado  di  sofferenza  delle  singole  sedi  in
relazione   a   tali   carenze,   nonche'   l'individuazione    delle
professionalita'  necessarie   allo   svolgimento   delle   attivita'
istituzionali, sarebbero strumentali non tanto alla definizione degli
obiettivi  dell'ente,  quanto  piuttosto  al  modo  con  cui   quegli
obiettivi  devono  essere  raggiunti:  non  riguarderebbero,  dunque,
l'indirizzo  politico,  quanto  piuttosto  l'attivita'  di  gestione,
«essendo noto che l'effettivo raggiungimento degli  obiettivi  e'  il
parametro  su  cui  si  fonda  la   produttivita'   delle   strutture
amministrative  e,  in  definitiva,  il  grado  di  efficienza  della
pubblica amministrazione». 
    2.- La Regione autonoma Sardegna si e'  costituita  in  giudizio,
chiedendo che il ricorso sia dichiarato  inammissibile  o,  comunque,
non fondato. 
    2.1.- La resistente, con riferimento all'impugnativa dell'art.  2
della legge reg. Sardegna n. 21 del 2018, osserva che  e'  lo  stesso
ordinamento statale a prevedere - all'art. 19, comma 6, del d.lgs. n.
165 del  2001  -  alcune  ipotesi  in  cui,  ferma  la  qualifica  di
appartenenza, ai dipendenti possono essere temporaneamente  conferiti
incarichi di funzioni dirigenziali, con integrazione del  trattamento
economico. 
    Cio' posto, la  resistente  evidenzia  che  la  Regione  autonoma
Sardegna, per specifiche finalita'  e  per  la  durata  necessaria  a
realizzarle, nel 2014, con una precedente modifica all'art. 26  della
legge reg. Sardegna n. 31 del 1998 - operata dall'art. 10 della legge
della Regione Sardegna 25 novembre 2014, n. 24 (Disposizioni  urgenti
in materia di organizzazione della  Regione),  allora  non  impugnato
dallo Stato - aveva  autorizzato  la  costituzione  delle  cosiddette
«Unita' di progetto», prevedendo che potessero essere  coordinate  da
dirigenti o, «stante la cronica carenza nel sistema Regione  di  tali
figure», anche da dipendenti in possesso dei requisiti per  l'accesso
alla  qualifica  dirigenziale,  ai  quali  veniva   riconosciuta   la
retribuzione di risultato prevista dal contratto collettivo regionale
di lavoro per l'area dirigenziale. 
    Con la disposizione impugnata, ad  avviso  della  resistente,  il
legislatore regionale non avrebbe inteso individuare autonomamente la
retribuzione del personale preposto al coordinamento delle unita'  di
progetto,  ma  esclusivamente  riconoscergli   l'intero   trattamento
accessorio  (retribuzione  di  risultato  e  di  posizione)  che   il
contratto collettivo regionale  di  lavoro  per  l'area  dirigenziale
prevede per i dirigenti. 
    Non  sarebbe  stata,   pertanto,   introdotta   alcuna   modifica
sostanziale,   «ma   esclusivamente   un'estensione    di    istituti
contrattuali propri dei dirigenti» (con  particolare  riferimento  al
trattamento   accessorio),   a   soggetti   chiamati   a    svolgere,
temporaneamente, funzioni dirigenziali. 
    Inoltre, «la  mancata  menzione  del  contratto  collettivo»  non
varrebbe «a renderlo inoperante», dal momento che il trattamento  cui
fa riferimento la norma sarebbe proprio quello previsto dal contratto
collettivo regionale per l'area  dirigenziale,  che  ne  contiene  la
compiuta misura. 
    Rispetto  alla  precedente  versione  della  norma,  dunque,  non
sarebbe  intervenuta,   contrariamente   a   quanto   affermato   dal
ricorrente,  alcuna  modifica  nell'individuazione  della  fonte   di
disciplina  del  trattamento  economico  accessorio,  che  rimarrebbe
quello previsto dal contratto collettivo per i dirigenti, «ma solo il
suo integrale riconoscimento per ragioni di equita'», anche «al  fine
di rispettare l'art. 36 della Costituzione». 
    2.2.- Con riferimento all'impugnativa  dell'art.  6  della  legge
reg. Sardegna n. 21 del 2018, la resistente  ne  deduce  innanzitutto
l'inammissibilita', ritenendo le censure  contraddittorie,  generiche
e, comunque, formulate in modo dubitativo. 
    Ricorda che l'art. 4 del d.lgs. n. 165 del  2001  stabilisce  che
gli  organi  di  governo  esercitano   le   funzioni   di   indirizzo
politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed  i  programmi  da
attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello  svolgimento  di
tali funzioni, tra cui, in particolare, la definizione di  obiettivi,
priorita',  piani,  programmi  e  direttive  generali  per   l'azione
amministrativa e per la gestione  (lettera  b)  e  la  individuazione
delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da  destinare
alle diverse finalita' e la  loro  ripartizione  tra  gli  uffici  di
livello dirigenziale generale (lettera c). 
    L'art. 8 della legge reg. Sardegna n. 31 del  1998  ricalcherebbe
quanto stabilito dal legislatore statale. 
    Cio' posto, la resistente evidenzia che il ricorrente si limita a
riportare il contenuto delle suddette  disposizioni  «e  ad  asserire
l'illegittimita' di quella regionale, senza tuttavia  esplicitare  in
cosa consista la violazione dei principi delle norme fondamentali  di
riforma economico sociale o dell'art. 97 della Costituzione». 
    Secondo la resistente, il «fabbisogno assunzionale», in base alla
disposizione impugnata, non sarebbe determinato  dall'assessore,  che
si limiterebbe  «a  raccogliere  le  necessita'  espresse  a  livello
amministrativo», mentre sarebbe  necessariamente  rimessa  all'organo
politico la determinazione di quanto del  fabbisogno  espresso  possa
essere soddisfatto. 
    L'assessore sarebbe cioe'  chiamato,  unicamente,  a  fissare  il
contingente dei posti da mettere  a  concorso  per  l'intero  sistema
regionale, che non potrebbe  certo  «essere  rimesso  al  plenum  dei
dirigenti dei molteplici assessorati e  enti»,  dal  momento  che  la
destinazione delle risorse economiche a disposizione,  in  base  alle
priorita', agli obiettivi e ai programmi  che  il  governo  regionale
intende  realizzare,  sarebbe  di   sicura   competenza   dell'organo
politico. 
    Inoltre, sempre a giudizio della  resistente,  sarebbe  legittimo
che  il  contingente  dei  posti  da  mettere  a  concorso  non   sia
individuato genericamente, ma con riferimento  alle  professionalita'
che si intende acquisire  prioritariamente  e  alle  sedi  che  hanno
maggior esigenza di personale. 
    Il singolo dirigente,  invece,  «assegnerebbe  sempre  certamente
priorita' alla propria struttura  e  alle  professionalita'  in  esse
maggiormente utili, senza la necessaria valutazione di insieme». 
    La resistente evidenzia che il ricorso «si limita a dubitare  che
le  attivita'  rimesse  dalla  norma  all'Assessore  in  materia   di
personale, rientrino invece  in  non  meglio  specificate  competenze
gestionali della dirigenza», omettendo anche di considerare  che,  ai
sensi dell'art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell'art. 8,
comma 4, della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, «deroghe  espresse
da parte di specifiche disposizioni  legislative  sono  pacificamente
ammissibili». 
    La  deroga,  peraltro,  nel  caso  concreto,  «sarebbe  non  solo
legittima ma anche opportuna», per la necessita' di avere una visione
d'insieme da parte dell'organo chiamato a stabilire  la  destinazione
delle risorse. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna gli artt.  2
e 6 della legge della Regione Sardegna 18 giugno 2018, n. 21  (Misure
urgenti  per  il  reclutamento  di  personale  nel  sistema  Regione.
Modifiche alla legge regionale n. 31 del 1998, alla  legge  regionale
n. 13 del 2006, alla legge regionale n. 36  del  2013  e  alla  legge
regionale n. 37 del 2016), per contrasto con gli artt. 3  e  5  della
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per  la
Sardegna),  nonche',  quanto  all'art.  2   della   legge   regionale
impugnata,  con  l'art.  117,  secondo  comma,  lettera   l),   della
Costituzione e, quanto all'art. 6 della stessa legge  regionale,  con
l'art. 97 Cost. 
    L'art. 2 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2018  ha  sostituito
il comma 3  dell'art.  26  della  legge  della  Regione  Sardegna  13
novembre  1998,  n.  31  (Disciplina  del   personale   regionale   e
dell'organizzazione degli uffici della  Regione)  con  un  testo  del
seguente  tenore:  «[a]l  personale   non   dirigente   preposto   al
coordinamento delle Unita' di cui al  comma  1  e'  riconosciuta  una
indennita'  aggiuntiva  equiparata  alla  retribuzione  di  posizione
spettante al direttore di servizio e alla  relativa  retribuzione  di
risultato commisurata al raggiungimento degli obiettivi». 
    Secondo il ricorrente, la  disposizione  avrebbe  travalicato  il
limite posto all'esercizio della potesta'  legislativa  primaria  pur
attribuita alla Regione  autonoma  Sardegna  dall'art.  3,  comma  1,
lettera a), della legge cost. n. 3 del 1948. La norma dello  statuto,
infatti, riconosce la potesta' in parola nella  materia  «ordinamento
degli uffici e  degli  enti  amministrativi  della  Regione  e  stato
giuridico  ed  economico  del  personale»,  ma  esige  che  essa  sia
esercitata nel  rispetto  delle  «norme  fondamentali  delle  riforme
economico-sociali della Repubblica». 
    A tale ultima categoria di  norme  il  ricorrente  riconduce,  in
particolare, l'art. 45 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165
(Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni  pubbliche).  Mentre  quest'ultimo,  nell'ambito  dei
rapporti di lavoro alle dipendenze delle  pubbliche  amministrazioni,
dispone che il trattamento economico fondamentale ed  accessorio  sia
definito  dai  contratti  collettivi,   la   disposizione   censurata
fisserebbe autonomamente sia l'attribuzione che la misura della  voce
retributiva spettante  al  personale  preposto  al  coordinamento  di
articolazioni organizzative regionali. Essa si  porrebbe  percio'  in
frontale contrasto con la norma statale -  vincolante  anche  per  le
autonomie speciali - che impone, invece, che il trattamento economico
fondamentale  ed  accessorio  del  personale  pubblico  sia  definito
attraverso l'intermediazione della fonte contrattuale, in questo caso
del tutto trascurata. 
    L'art. 6 della legge reg. Sardegna n. 21 del 2018 e',  dal  canto
suo, impugnato nella parte in cui ha sostituito il comma 2  dell'art.
54 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, il quale ora dispone che
l'assessore competente in materia di  personale,  «sulla  base  delle
necessita' di personale definite dall'Amministrazione  e  dagli  enti
del sistema Regione ed alle quali non si possa  far  fronte  mediante
processi di mobilita', fissa il contingente dei posti  da  mettere  a
concorso,  definito  per  specifiche  professionalita'  e   sedi   di
destinazione». 
    Anche in tal caso, il ricorrente ritiene che la Regione  autonoma
Sardegna abbia esercitato la potesta' legislativa primaria in materia
di organizzazione degli uffici regionali, riconosciutagli dalla sopra
ricordata previsione statutaria, travalicando i limiti imposti  dallo
stesso statuto di autonomia. 
    In tal caso, la norma fondamentale di  riforma  economico-sociale
della  Repubblica,   asseritamente   disattesa,   viene   individuata
nell'art. 4 del d.lgs. n. 165 del 2001, che imporrebbe  il  principio
«della rigorosa separazione  tra  compiti  di  indirizzo  politico  e
compiti gestionali». 
    In particolare, a giudizio dell'Avvocatura generale dello  Stato,
l'individuazione del fabbisogno di assunzione di personale, sia della
Regione  che  degli  enti  di  sistema,  non  spetterebbe  all'organo
politico,  dovendo  piu'  propriamente  rientrare  «nelle  competenze
gestionali della dirigenza». 
    2.- E' fondata la questione promossa sull'art. 2 della legge reg.
Sardegna n. 21 del 2018, che sostituisce  il  comma  3  dell'art.  26
della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998. 
    L'art. 26, comma 1, della legge reg.  Sardegna  n.  31  del  1998
prevede la costituzione di «Unita' di progetto» per il  conseguimento
di obiettivi specifici, coordinate da personale dirigente  ovvero  da
dipendenti in possesso dei requisiti  per  l'accesso  alla  qualifica
dirigenziale. 
    La disposizione impugnata dispone l'attribuzione di un'indennita'
aggiuntiva ai dipendenti che, pur non  in  possesso  della  qualifica
dirigenziale, siano incaricati di coordinare le  suddette  unita'  di
progetto. 
    Secondo la costante giurisprudenza di  questa  Corte,  a  seguito
della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, la disciplina
del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione
e' retta dalle disposizioni del codice civile e dalla  contrattazione
collettiva (tra le ultime, sentenze n. 62 e n. 10 del 2019). 
    In particolare, dall'art. 2, comma 3, terzo e quarto periodo, del
d.lgs. n. 165 del 2001, emerge il principio per  cui  il  trattamento
economico  dei  dipendenti  pubblici   e'   affidato   ai   contratti
collettivi. 
    Anche la posizione dei dipendenti  regionali  e'  attratta  dalla
citata  disciplina  del  trattamento  economico   e   giuridico   dei
dipendenti pubblici, ai sensi dell'art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165
del 2001.  Di  conseguenza,  il  rapporto  di  impiego  dello  stesso
personale delle Regioni e' regolato dalla legge  dello  Stato  e,  in
virtu' del rinvio da questa operato, dalla contrattazione collettiva. 
    In relazione al riparto delle competenze  tra  Stato  e  Regioni,
cio' comporta che la disciplina di tale trattamento economico e, piu'
in generale, quella del rapporto di impiego pubblico,  rientri  nella
materia «ordinamento civile»,  riservata  alla  potesta'  legislativa
esclusiva dello Stato (sentenze n. 175 e n. 160 del 2017). 
    Con riferimento alle Regioni a statuto speciale,  e'  necessario,
peraltro, tenere in conto le competenze statutarie di queste  ultime.
Per  quanto  concerne  la  Regione  autonoma  Sardegna,   va   quindi
considerata la competenza legislativa  primaria  in  tema  di  «stato
giuridico ed economico del personale» di cui  all'art.  3,  comma  1,
lettera a), dello statuto di autonomia. 
    La potesta' legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna,
tuttavia, per espressa previsione statutaria, deve essere  esercitata
nel  «rispetto  [...]  delle   norme   fondamentali   delle   riforme
economico-sociali della Repubblica». 
    A tale proposito, con le sentenze n. 257 del 2016 e  n.  211  del
2014, questa Corte ha ricordato, proprio con riguardo al  trattamento
economico, che l'art.  2,  comma  3,  del  d.lgs.  n.  165  del  2001
stabilisce che  l'attribuzione  di  tali  trattamenti  puo'  avvenire
esclusivamente mediante contratti collettivi, mentre l'art. 45  dello
stesso decreto ribadisce che il trattamento economico fondamentale ed
accessorio e' definito dai contratti collettivi. 
    Si tratta, come sancito ancora di recente con la sentenza  n.  81
del 2019, di una disciplina che «costituisce  norma  fondamentale  di
riforma economico-sociale della Repubblica» (in  tal  senso  gia'  la
sentenza n. 314 del 2003). Per di piu' i principi fissati dalla legge
statale in materia «costituiscono tipici limiti di  diritto  privato,
fondati  sull'esigenza,  connessa  al  precetto   costituzionale   di
eguaglianza, di  garantire  l'uniformita'  nel  territorio  nazionale
delle regole fondamentali di diritto che disciplinano i rapporti  tra
privati e, come tali, si  impongono  anche  alle  Regioni  a  statuto
speciale» (sentenza n. 189 del 2007,  richiamata  dalla  gia'  citata
sentenza n. 81 del 2019). 
    Nell'attribuire  al  personale  non  in  possesso  di   qualifica
dirigenziale una  indennita'  aggiuntiva  equiparata  al  trattamento
spettante ai dirigenti (sia pure in conseguenza della preposizione al
coordinamento delle unita' di progetto di cui all'art. 26,  comma  1,
della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998), la disposizione  impugnata
si  pone,  percio',  in  contrasto  frontale  con  tale  riserva   di
contrattazione  collettiva   e   va   dichiarata   costituzionalmente
illegittima. 
    3.- La questione promossa sull'art. 6 della legge  reg.  Sardegna
n.  21  del  2018  e'  invece  inammissibile,  a  causa   dell'omessa
ricostruzione del complessivo contesto normativo entro  il  quale  la
disposizione impugnata e' ricompresa. 
    La  censura  individua  bensi'  la  norma  oggetto  ed  evoca   i
pertinenti   parametri   statutari.   Tuttavia,   in   ordine    alla
specificazione delle ragioni del contrasto, si limita  a  prospettare
la violazione del principio di separazione tra attivita' di indirizzo
politico e attivita' di gestione amministrativa, espresso dall'art. 4
del d.lgs. n. 165 del 2001, che costituisce norma di  grande  riforma
economico-sociale e  come  tale  prevalente  anche  sulle  competenze
statutarie in materia di  «ordinamento  degli  uffici  e  degli  enti
amministrativi della Regione», di cui all'art. 3,  comma  1,  lettera
a), dello statuto speciale. 
    Questa  affermazione,  tuttavia,  esaurisce  il   contenuto   del
ricorso, non essendo ulteriormente illustrate le ragioni per le quali
contrasterebbe  con  tale  principio  l'attribuzione  all'organo   di
direzione politica  del  compito  di  individuare  il  fabbisogno  di
assunzione di personale. 
    Non sufficiente, a tal fine, risulta l'evocazione dell'art. 4 del
d.lgs. n. 165 del 2001, se solo si  considera  la  rilevanza  assunta
dall'art. 6 del medesimo decreto, di recente modificato  dall'art.  4
del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante  «Modifiche  e
integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165,  ai  sensi
degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e)
e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l) m), n), o), q), r),
s)  e  z),  della  legge  7  agosto  2015,  n.  124,  in  materia  di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche». 
    L'art.  6,  comma  4,  del  d.lgs.  n.  165  del  2001,  infatti,
disciplina, tra l'altro, il cosiddetto piano triennale dei fabbisogni
di personale, prevedendone con chiarezza l'adozione  ad  opera  degli
organi di vertice delle amministrazioni. 
    Il decreto del Ministro per  la  semplificazione  e  la  pubblica
amministrazione dell'8 maggio 2018 - recante le  linee  di  indirizzo
per la predisposizione dei piani dei fabbisogni di personale da parte
delle amministrazioni pubbliche e adottato ai sensi  dell'art.  6-ter
del d.lgs. n. 165 del 2001 - evidenzia che il piano si configura come
un atto di programmazione, e ribadisce che esso deve essere approvato
dal  competente  organo  deputato  all'esercizio  delle  funzioni  di
indirizzo politico-amministrativo,  proprio  ai  sensi  dell'art.  4,
comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001. 
    Il piano si sviluppa, ai sensi dell'art. 6 del d.lgs. n. 165  del
2001, in prospettiva triennale e deve  essere  adottato  annualmente,
per poter  essere  variato  in  relazione  alle  mutate  esigenze  di
contesto normativo, organizzativo o funzionale. 
    Si tratta quindi, per usare la definizione contenuta  nel  citato
decreto ministeriale, di uno «strumento programmatico,  modulabile  e
flessibile, per le esigenze  di  reclutamento  e  di  gestione  delle
risorse umane necessarie all'organizzazione». 
    Nell'ambito delle previsioni del piano, che  deve  contenere  una
distinzione dei fabbisogni  di  personale  per  categorie  e  profili
professionali,  le  amministrazioni  potranno  poi  coprire  i  posti
vacanti  nei  limiti  delle  facolta'  di   assunzione   previste   a
legislazione vigente, nonche' nei limiti di spesa  per  il  personale
previsti e dei relativi stanziamenti di bilancio. 
    Nell'elaborazione del  piano,  peraltro,  e'  imprescindibile  la
collaborazione  della  componente  dirigenziale,   come   del   resto
testualmente previsto dall'art. 16,  comma  1,  lettera  a-bis),  del
d.lgs. n. 165 del 2001. 
    L'art. 35, comma 4, del medesimo d.lgs. n. 165 del 2001  dispone,
infine, che le determinazioni  relative  all'avvio  di  procedure  di
reclutamento sono adottate da ciascuna amministrazione o  ente  sulla
base del piano triennale dei fabbisogni approvato ai sensi  dell'art.
6,  comma  4.  Questo  successivo  adempimento  e'   demandato   alle
determinazioni dirigenziali, cui compete l'emanazione dei  bandi,  la
proclamazione dei vincitori e la destinazione finale di questi ultimi
nell'ambito dei posti messi a concorso. 
    Non a caso, l'art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 165 del 2001 prevede
che, nell'ambito del piano relativo ai fabbisogni del  personale,  le
amministrazioni  pubbliche  curano  l'ottimale  distribuzione   delle
risorse umane attraverso la coordinata  attuazione  dei  processi  di
mobilita' e di reclutamento del personale,  attivita'  che  spettano,
evidentemente, alla responsabilita' dirigenziale. 
    Di  tutta   questa   complessa   trama   normativa   il   ricorso
semplicemente tace, limitandosi a  lamentare,  come  s'e'  detto,  un
presunto vulnus al principio di separazione tra indirizzo politico  e
funzione   gestionale,   asseritamente   arrecato   dall'attribuzione
all'organo  politico  del  compito  di  individuare  il   «fabbisogno
assunzionale». 
    Tali  carenze  non  possono  che  condurre   alla   dichiarazione
d'inammissibilita' in parte qua del ricorso,  in  applicazione  della
giurisprudenza di questa Corte relativa ai casi di ricostruzione solo
parziale - ma qui, a ben  vedere,  del  tutto  omessa  -  del  quadro
normativo di riferimento (da ultimo, sentenza n. 133 del 2017).