ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  7-ter,
comma 1, del  decreto-legge  28  gennaio  2019,  n.  4  (Disposizioni
urgenti in  materia  di  reddito  di  cittadinanza  e  di  pensioni),
convertito, con  modificazioni,  in  legge  28  marzo  2019,  n.  26,
promosso dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale
ordinario di Palermo, nel procedimento penale a carico di M. C. e  M.
P., con ordinanza del 6  settembre  2019,  iscritta  al  n.  203  del
registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 2019. 
    Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito  il  Giudice  relatore  Giuliano  Amato  nella  camera   di
consiglio del 20 maggio 2020,  svolta  ai  sensi  del  decreto  della
Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a); 
    deliberato nella camera di consiglio del 20 maggio 2020. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il  giudice  per  le  indagini  preliminari  del   Tribunale
ordinario di Palermo, con ordinanza del 6 settembre 2019  (reg.  ord.
n. 203 del 2019), emessa in sede di interrogatorio ex  art.  294  del
codice di procedura penale di  C.  M.  e  P.  M.,  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 7-ter, comma 1, del decreto-legge 28 gennaio
2019,  n.  4  (Disposizioni  urgenti  in  materia   di   reddito   di
cittadinanza e di pensioni), convertito, con modificazioni, in  legge
28 marzo 2019, n. 26. 
    1.1.-   La   disposizione   censurata   prevede,   in   relazione
all'erogazione del reddito di cittadinanza, che «[n]ei confronti  del
beneficiario o del richiedente cui e' applicata una misura  cautelare
personale, anche adottata a seguito di convalida dell'arresto  o  del
fermo, nonche' del condannato con sentenza non definitiva per  taluno
dei delitti  indicati  all'articolo  7,  comma  3,  l'erogazione  del
beneficio di cui all'articolo 1 e' sospesa». 
    2.- Secondo il giudice rimettente,  dall'uso  della  congiunzione
«nonche'» per collegare i due periodi discenderebbe che  l'erogazione
del reddito o della pensione di cittadinanza debba essere sospesa nei
confronti  del  richiedente  o  del   beneficiario   il   quale   sia
destinatario  di  una  misura  cautelare  di  qualsiasi  tipo  e  per
qualsiasi  reato  che  ne  consenta  l'applicazione,  oppure  di  una
sentenza di condanna, anche non definitiva, per  taluno  dei  delitti
indicati all'art. 7, comma 3, del medesimo d.l. n. 4 del  2019,  come
convertito (cioe' quelli di cui ai precedenti commi 1 e  2  e  quelli
previsti dagli artt. 270-bis, 280, 289-bis, 416-bis, 416-ter,  422  e
640-bis del codice penale, nonche' dei delitti  commessi  avvalendosi
delle condizioni indicate dal predetto art. 416-bis, ovvero  al  fine
di agevolare l'attivita' delle  associazioni  previste  dallo  stesso
articolo). 
    Siffatta  interpretazione  sarebbe  avvalorata  dal  dossier  del
Servizio studi della Camera dei deputati sul testo normativo, ove  si
chiarisce che l'art. 7-ter del d.l. n. 4  del  2019,  introdotto  nel
corso dell'esame della legge di conversione alla  Camera,  disciplina
la sospensione  dell'erogazione  del  reddito  o  della  pensione  di
cittadinanza a  seguito  di  specifici  provvedimenti  dell'autorita'
giudiziaria penale,  in  particolare  quando  il  beneficiario  o  il
richiedente siano  destinatari  di  una  misura  cautelare  personale
oppure quando siano condannati, con sentenza non definitiva, per  uno
dei delitti di cui all'art. 7, comma 3, dello stesso decreto. 
    In conseguenza  di  cio',  la  disposizione  oggetto  di  censura
sarebbe illogica e irragionevole, in contrasto, quindi, con l'art.  3
Cost.,  nella  parte  in  cui  non   prevede   che   la   sospensione
dell'erogazione  del  reddito  di  cittadinanza  sia   disposta   nei
confronti del beneficiario o del richiedente  cui  e'  applicata  una
misura cautelare personale, anche adottata  a  seguito  di  convalida
dell'arresto o del fermo, per i soli  delitti  indicati  all'art.  7,
comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito. 
    2.1.- In punto di rilevanza il giudice a  quo  asserisce  che  la
questione sarebbe indubbiamente rilevante, atteso che  nei  confronti
di C. M. e P. M. dovrebbe essere sospesa l'erogazione del reddito  di
cittadinanza,  essendo  stata  applicata  agli  stessi   una   misura
cautelare personale, sebbene per reati non inseriti nel novero di cui
al predetto art. 7, comma 3. 
    2.2.- Nel merito, il  rimettente  sottolinea  che,  interpretando
letteralmente la norma, si arriverebbe al  paradossale  risultato  di
dover  sospendere  l'erogazione  del  reddito  o  della  pensione  di
cittadinanza nei  confronti  del  destinatario  di  un  provvedimento
cautelare per un reato diverso da quelli di cui  al  citato  comma  3
dell'art. 7, mentre un soggetto che per il medesimo reato  sia  stato
condannato  con  sentenza   non   definitiva   non   riceverebbe   il
provvedimento di sospensione. Conseguenza illogica, tenuto conto  che
per l'applicazione di una misura cautelare  sono  sufficienti  «gravi
indizi di  colpevolezza»,  dunque  un  quantum  probatorio  di  minor
pregnanza rispetto a quello fissato per addivenire  a  una  sentenza,
anche non definitiva, di  condanna,  per  la  quale  l'imputato  deve
risultare  «colpevole  del  reato  contestato  al  di  la'  di   ogni
ragionevole dubbio» (art. 533 cod. proc. pen.). 
    La Corte di cassazione, aggiunge il  rimettente,  ha  piu'  volte
precisato che, in tema  di  misure  cautelari  personali,  per  gravi
indizi di colpevolezza ai sensi dell'art. 273 cod. proc. pen.  devono
intendersi «tutti quegli  elementi  a  carico,  di  natura  logica  o
rappresentativa che - contenendo  "in  nuce"  tutti  o  alcuni  degli
elementi strutturali della corrispondente prova - non valgono, di per
se', a provare oltre ogni dubbio la responsabilita' dell'indagato  e,
tuttavia, consentono, per la loro consistenza, di prevedere che,  per
mezzo della futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei
a  dimostrare  tale  responsabilita',  fondando  nel  frattempo   una
qualificata probabilita' di colpevolezza» (cosi'  Cassazione  penale,
sezione terza, sentenza 11 gennaio 2019, n. 17527;  sezione  seconda,
sentenza 8 luglio 2013, n. 28865). 
    Ulteriore conclusione irrazionale e paradossale sarebbe data  dal
fatto che, nei confronti di un soggetto sottoposto a misura cautelare
per un reato diverso da quelli indicati dal citato art. 7,  comma  3,
debba essere sospesa l'erogazione del reddito  o  della  pensione  di
cittadinanza, mentre ove il medesimo soggetto  venga  successivamente
condannato in via definitiva per il medesimo reato, venendo a cessare
la misura cautelare, dovrebbe essere  revocata  la  sospensione,  con
conseguente ripresa dell'erogazione del beneficio. 
    2.3.-  A  detta   del   rimettente,   in   conclusione,   sarebbe
maggiormente conforme al principio di ragionevolezza e uguaglianza di
cui all'art. 3 Cost. prevedere  la  sospensione  dell'erogazione  del
reddito o della pensione cittadinanza nei confronti del  beneficiario
o del richiedente cui e' applicata  una  misura  cautelare  personale
solo per i delitti indicati all'art. 7, comma 3, del d.l.  n.  4  del
2019, come convertito. 
    3.- Con atto depositato il 10 dicembre  2019  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata. 
    3.1.- Premette la difesa statale che il reddito  di  cittadinanza
e' riconosciuto ai nuclei familiari in possesso  cumulativamente,  al
momento della presentazione della  domanda  e  per  tutta  la  durata
dell'erogazione del beneficio, di una  serie  di  requisiti  elencati
nell'art. 2 del d.l. n. 4  del  2019,  come  convertito.  Tra  questi
requisiti di accesso, il comma l, lettera c-bis), dello stesso art. 2
prevede, per il richiedente,  «la  mancata  sottoposizione  a  misura
cautelare  personale,  anche  adottata   a   seguito   di   convalida
dell'arresto o del fermo, nonche' la mancanza di condanne definitive,
intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta,  per  taluno  dei
delitti indicati all'articolo 7, comma 3». Ai  sensi  del  successivo
art. 7-ter, laddove successivamente intervengano le  predette  misure
cautelari, tale erogazione e' sospesa. 
    3.2.-  Secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  il   tenore
letterale delle citate disposizioni legittimerebbe  l'interpretazione
del giudice rimettente.  Tuttavia,  da  cio'  non  si  ravviserebbero
profili d'irragionevolezza, poiche' verrebbero in rilievo  situazioni
diverse, che giustificherebbero un differente trattamento normativo. 
    L'applicazione di misure cautelari  personali,  infatti,  benche'
fondata sul riconoscimento di gravi indizi di colpevolezza  a  carico
dell'indagato o dell'imputato, e, quindi, su un compendio  probatorio
inferiore rispetto a quello necessario ai fini della pronuncia di una
sentenza di condanna, presuppone la sussistenza di almeno  una  delle
esigenze cautelari di cui all'art. 274 cod.  proc.  pen.  Proprio  la
ricorrenza di tali esigenze, indicative di situazioni di pericolo che
la   misura   applicata    sarebbe    destinata    a    fronteggiare,
giustificherebbe la scelta normativa di sospendere il beneficio anche
quando detta misura riguardi delitti non rientranti nel  catalogo  di
cui all'art. 7, comma 3, del d.l. n. 4  del  2019,  come  convertito.
Viceversa, ove non siano ravvisabili  esigenze  tali  da  legittimare
l'applicazione della misura cautelare personale e non ci sia, quindi,
alcuna situazione di pericolo concreto e attuale, la sospensione  del
beneficio sarebbe giustificata solo in presenza di  una  sentenza  di
condanna non definitiva per i piu' gravi delitti di cui  all'art.  7,
comma 3. 
    In altri termini, la misura sospensiva sarebbe legittimata  dalla
ricorrenza  di  situazioni  di  pericolo  concreto  e  attuale,   che
indurrebbero a diffidare del richiedente o beneficiario, oppure dalla
particolare tipologia di delitti per i quali egli sia stato  ritenuto
colpevole in primo grado. Tali delitti,  il  cui  catalogo  e'  stato
discrezionalmente individuato dal legislatore, sarebbero di  maggiore
gravita',  o  perche'  connessi  al  fraudolento   conseguimento   di
erogazioni  pubbliche   (tra   cui   rientrerebbe   il   reddito   di
cittadinanza), o perche' espressione  di  maggiore  riprovevolezza  e
allarme sociale. Nella  maggioranza  dei  casi  si  tratterebbe,  tra
l'altro, di fattispecie che  comportano,  in  caso  di  condanna,  la
sanzione  accessoria  della  revoca  degli  eventuali  ammortizzatori
sociali a favore del condannato, ai  sensi  dell'art.  2,  comma  58,
della legge 28 giugno 2012, n. 92 (Disposizioni in materia di riforma
del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita). 
    La  disposizione  censurata  non  sarebbe  quindi  irragionevole,
laddove, con riferimento a reati non compresi  nel  catalogo  di  cui
all'art. 7, comma 3, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, prevede
la sospensione del beneficio a seguito  dell'applicazione  di  misure
cautelari personali nei confronti del richiedente  o  beneficiario  e
non la prevede, invece, a seguito della intervenuta condanna di  tali
soggetti. In quest'ultimo caso, infatti, la sospensione del beneficio
non si giustificherebbe, ne' in ragione dell'esigenza di fronteggiare
situazioni di pericolo concreto e attuale connesse alla condotta  del
richiedente o beneficiario, ne' in ragione della tipologia  di  reato
per il quale sia intervenuta condanna, trattandosi di reato  che  non
concerne erogazioni pubbliche, ne' appartiene al  novero  di  delitti
che, per la loro gravita', sono tali da determinare maggiore  allarme
sociale. 
    L'ulteriore profilo evidenziato dal giudice a quo -  secondo  cui
la sospensione del beneficio  disposta  a  seguito  dell'applicazione
della misura cautelare personale per reati non compresi nell'art.  7,
comma  3,  sarebbe  destinata  a  cessare,  con  conseguente  ripresa
dell'erogazione,  laddove  sopraggiunga  una  sentenza  di   condanna
definitiva per tali reati, atteso il venir meno del vincolo cautelare
in  fase   di   esecuzione   della   pena   -   concernerebbe,   piu'
specificamente, a ben vedere, la  disposizione  di  cui  all'art.  7,
comma 3, nella parte in cui prevede  la  revoca  del  beneficio,  con
efficacia retroattiva, solo in caso di condanna definitiva per  reati
compresi   nell'elencazione   ivi   contenuta.   Tale   disposizione,
nondimeno, esulerebbe dalla questione di legittimita' costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  giudice  per  le  indagini  preliminari  del   Tribunale
ordinario  di  Palermo,  con  ordinanza  del  6  settembre  2019,  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
legittimita'   costituzionale   dell'art.   7-ter,   comma   1,   del
decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 (Disposizioni urgenti in  materia
di  reddito  di  cittadinanza  e  di   pensioni),   convertito,   con
modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26. 
    2.- Secondo il giudice a quo la disposizione censurata - la quale
stabilisce, in relazione all'erogazione del reddito di  cittadinanza,
che «[n]ei confronti  del  beneficiario  o  del  richiedente  cui  e'
applicata una misura cautelare personale, anche adottata a seguito di
convalida dell'arresto  o  del  fermo,  nonche'  del  condannato  con
sentenza non definitiva per taluno dei delitti indicati  all'articolo
7, comma 3, l'erogazione del  beneficio  di  cui  all'articolo  1  e'
sospesa» - sarebbe costituzionalmente illegittima nella parte in  cui
non  prevede  che  la  sospensione  venga  disposta,   in   caso   di
applicazione di una misura cautelare personale, solo  per  i  delitti
indicati  all'art.  7,  comma  3,  del  d.l.  n.  4  del  2019,  come
convertito. 
    2.1.- La disposizione censurata, in particolare, sarebbe illogica
e irragionevole, determinando il paradossale risultato  secondo  cui,
nei confronti di un  soggetto  cui  e'  stata  applicata  una  misura
cautelare per un reato  che  non  rientra  tra  quelli  indicati  dal
suddetto art. 7, comma  3,  debba  essere  sospesa  l'erogazione  del
reddito o della pensione di cittadinanza, mentre un soggetto che  per
il medesimo reato sia stato condannato con  sentenza  non  definitiva
non  sarebbe   destinatario   del   provvedimento   di   sospensione.
Conseguenza illogica, tenuto conto  che  per  l'applicazione  di  una
misura cautelare sono sufficienti i «gravi indizi  di  colpevolezza»,
mentre  per  una  sentenza  di  condanna  l'imputato  deve  risultare
«colpevole del reato contestato al di la' di ogni ragionevole dubbio»
(art. 533 del codice di procedura penale). 
    2.2.- Ulteriore conclusione irrazionale e paradossale deriverebbe
dal fatto che, nei confronti del soggetto a  cui  sia  stata  sospesa
l'erogazione del reddito di cittadinanza in virtu'  dell'applicazione
di una misura cautelare personale per  un  reato  diverso  da  quelli
indicati dal citato art. 7, comma 3,  la  stessa  sospensione  potra'
essere revocata qualora il medesimo  soggetto  venga  successivamente
condannato in via definitiva per il reato in questione. 
    3.- La questione non e' fondata. 
    3.1.- L'art. 2 del  d.l.  n.  4  del  2019,  nella  sua  versione
originaria,  individuava  i  requisiti  reddituali  e  personali  per
beneficiare del reddito di cittadinanza, che devono essere posseduti,
sia alla presentazione della domanda da parte  del  richiedente,  sia
per tutta la durata dell'erogazione del beneficio. Il successivo art.
7, comma 3, invece, prevedeva le misure nei confronti di chi benefici
del reddito di cittadinanza senza averne i requisiti. Cosi',  tra  le
altre  misure,  era  stabilita  la  revoca  del  beneficio  (disposta
dall'Istituto nazionale di previdenza sociale, da qui:  INPS)  -  con
efficacia  retroattiva  e  obbligo  alla   restituzione   di   quanto
indebitamente percepito - nel caso di condanna in via  definitiva  (o
di sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti)  per
i reati di cui ai commi 1 e 2 dello stesso  art.  7  (attinenti  alle
false  dichiarazioni  o  alle  omesse  comunicazioni  concernenti   i
requisiti per ottenere  e  mantenere  il  reddito  di  cittadinanza),
nonche' per quello  previsto  dall'art.  640-bis  del  codice  penale
(ossia  il  reato  di  truffa  aggravata  per  il  conseguimento   di
erogazioni pubbliche), con l'ulteriore  effetto  di  non  poter  piu'
richiedere il beneficio prima che  siano  decorsi  dieci  anni  dalla
condanna. 
    In sede di conversione del d.l. n. 4 del  2019  sono  intervenute
rilevanti modifiche a tali disposizioni. 
    In primo luogo, e' stata inserita la lettera c-bis) nell'art.  2,
comma 1, che ha aggiunto, tra i requisiti  necessari  a  ottenere  il
reddito di cittadinanza, la mancata sottoposizione a misura cautelare
personale, anche adottata a seguito di convalida dell'arresto  o  del
fermo, nonche' la mancanza di condanne  definitive,  intervenute  nei
dieci anni precedenti la richiesta, per i delitti indicati  dall'art.
7, comma 3. 
    In secondo luogo, tra siffatti delitti sono stati  inclusi  anche
quelli di cui agli artt. 270-bis, 280, 289-bis,  416-bis,  416-ter  e
422 cod. pen, nonche' quelli commessi  avvalendosi  delle  condizioni
previste dal predetto  art.  416-bis  ovvero  al  fine  di  agevolare
l'attivita' delle associazioni di cui allo stesso articolo. Si tratta
di  reati  ritenuti  di  particolare  allarme  sociale,   concernenti
fattispecie di terrorismo ed eversione  e  di  stampo  mafioso,  gia'
individuati dall'art. 2, comma 58, della legge 28 giugno 2012, n.  92
(Disposizioni in materia di riforma del mercato  del  lavoro  in  una
prospettiva di crescita) quale causa di revoca, in caso di  condanna,
degli  ammortizzatori  sociali,  comunque  denominati  in  base  alla
legislazione vigente, di cui il condannato sia eventualmente titolare
(come l'indennita' di disoccupazione, l'assegno sociale, la  pensione
sociale e la pensione per gli invalidi civili). 
    La legge  di  conversione,  infine,  ha  aggiunto  al  testo  del
decreto-legge l'art. 7-ter, oggetto di censura, che ha introdotto  la
fattispecie  della  sospensione  del  reddito  di  cittadinanza   nei
confronti del beneficiario o del richiedente a  cui  venga  applicata
una misura cautelare personale, nonche' del condannato  con  sentenza
non definitiva per uno dei reati di cui al predetto art. 7, comma  3.
La  sospensione,  inoltre,  si  applica  anche  nei   confronti   del
beneficiario  o  del  richiedente  dichiarato  latitante   ai   sensi
dell'art. 296 cod. proc. pen. o che si sia sottratto  volontariamente
all'esecuzione della pena. A differenza della revoca, la  sospensione
non ha effetto retroattivo ed e' adottata dal giudice che ha disposto
la  misura  cautelare  o  ha  emesso  la  sentenza  di  condanna  non
definitiva  o  ha  dichiarato  la  latitanza,  ovvero   dal   giudice
dell'esecuzione, su richiesta del pubblico ministero  che  ha  emesso
l'ordine di esecuzione di cui all'art. 656 cod. proc. pen., al  quale
il condannato si sia volontariamente sottratto. Il  provvedimento  di
sospensione  e'  poi  comunicato  all'INPS,  che  deve  disporre   la
temporanea cessazione dell'erogazione del reddito di cittadinanza. La
sospensione  puo'  a  sua  volta   essere   revocata   dall'autorita'
giudiziaria che l'ha disposta, quando vengano meno le condizioni  che
l'avevano determinata, con la conseguenza  che  l'interessato  potra'
presentare  domanda  all'ente   previdenziale   per   il   ripristino
dell'erogazione,  che  non  ha   pero'   effetto   retroattivo   (non
prevedendosi, pertanto, la  corresponsione  differita  degli  importi
maturati durante il periodo di sospensione). 
    3.2.- Ricostruito  cosi'  il  quadro  normativo  appare  corretta
l'interpretazione del giudice a quo, condivisa anche  dall'Avvocatura
generale dello Stato, secondo  cui  la  sospensione  del  reddito  di
cittadinanza  consegue  all'applicazione  di  una  misura   cautelare
personale  per  qualsiasi  tipologia  di  reato.  Piu'  difficilmente
percorribile, sia per ragioni lessicali, sia  alla  luce  dei  lavori
parlamentari (in particolare del dossier  del  Servizio  studi  della
Camera  dei  deputati)  e  della  prassi  applicativa,  risulterebbe,
invece, il differente  percorso  argomentativo,  pure  implicitamente
ipotizzato dal rimettente, secondo cui le misure cautelari  personali
che comportano la sospensione del reddito di cittadinanza  sono  solo
quelle disposte per i reati di cui all'art. 7, comma 3, del d.l. n. 4
del 2019, come convertito. 
    Cio' precisato, il provvedimento di sospensione  del  reddito  di
cittadinanza, nel caso di sopravvenuta misura cautelare  personale  a
carico del richiedente o del  beneficiario,  appare  trasparentemente
collegato alla circostanza che la mancata soggezione a  tali  misure,
cosi' come l'assenza di  una  condanna  per  taluni  specifici  reati
(intervenuta nei dieci anni antecedenti), costituiscano due requisiti
essenziali per l'ottenimento del reddito di cittadinanza. 
    Si tratta di  particolari  requisiti  (si  vedano,  tra  le  piu'
recenti, le sentenze n. 248 del 2019, n. 161 del 2018 e  n.  276  del
2016), per l'ottenimento di un beneficio economico rispetto al quale,
tra  l'altro,  l'interessato   non   puo'   vantare   alcun   diritto
precostituito in assenza della legge di cui e' parte la  disposizione
censurata (sul punto si veda la sentenza n. 248 del 2019). 
    Con particolare riferimento alla mancata sottoposizione a  misure
cautelari personali, alla base della scelta  legislativa  vi  e'  una
valutazione evidentemente diversa da quella relativa alla mancanza di
condanne  definitive  (infra-decennali)  per  reati  concernenti   il
fraudolento conseguimento di erogazioni pubbliche  o  qualificati  di
particolare allarme sociale. Tale valutazione, infatti, si  fonda  su
un giudizio sulla pericolosita' del soggetto insita nell'applicazione
della misura  cautelare.  Le  condanne,  invece,  sono  ritenute  dal
legislatore ostative alla concessione o al mantenimento del beneficio
solo  quando  concernono  peculiari  tipologie  di  reato,  in  parte
sovrapponibili a quelle che gia' erano e sono causa di  revoca  degli
ammortizzatori sociali. 
    Ai sensi dell'art. 2 del d.l. n. 4 del 2019, come convertito,  al
pari di qualsiasi altro requisito necessario a ottenere il reddito di
cittadinanza, l'assenza di misure cautelari personali deve sussistere
non solo al momento della domanda,  ma  anche  per  tutta  la  durata
dell'erogazione del beneficio. Dunque, ove tali misure  sopravvengano
successivamente  alla  concessione  dello   stesso,   interviene   il
provvedimento di sospensione. 
    E' certo vero che il soggetto a cui sia stato sospeso il  reddito
di cittadinanza in virtu' dell'applicazione di una  misura  cautelare
personale - per un reato diverso da quelli di cui all'art.  7,  comma
3, del d.l.  n.  4  del  2019,  come  convertito  -  potra'  tornare,
invariate le altre condizioni, a beneficiare dello stesso reddito  in
caso di condanna per il medesimo reato. Tale  conseguenza,  tuttavia,
sebbene  opinabile,  appare  coerente  con  il   contesto   normativo
disegnato dal legislatore, poiche' con  la  cessazione  della  misura
cautelare cessa anche quel pericolo concreto e attuale che  legittima
la sospensione e il soggetto  interessato  riacquista  nuovamente  lo
specifico requisito per richiedere il reddito di cittadinanza. 
    3.3.- Il provvedimento di sospensione, pertanto, altro non e' che
la conseguenza  del  venir  meno  di  un  requisito  necessario  alla
concessione del beneficio e rientra per cio' stesso tra i casi in cui
la  giurisprudenza  costituzionale  riconosce  la   legittimita'   di
sospensione,  revoca  o  decadenza,   anche   attraverso   meccanismi
automatici (si vedano le sentenze n. 161 del 2018, n. 276  del  2016,
n. 2 del 1999, n. 226 del 1997 e n. 297 del 1993);  automatismi  che,
tra l'altro, non sono nel caso di specie oggetto di specifica censura
(sul punto, da ultimo, sentenze n. 24 del 2020 e n. 22 del 2018). 
    Accogliendo  il  petitum  del  rimettente  si  arriverebbe   alla
soluzione,  questa  si'  irrazionale,  in  forza   della   quale   il
sopravvenire di una misura cautelare personale per un  reato  diverso
da quelli di cui all'art. 7, comma 3, del d.l. n. 4  del  2019,  come
convertito, situazione che e' pur sempre una condizione ostativa alla
concessione del reddito di cittadinanza, resterebbe del  tutto  priva
di conseguenze. 
    La disposizione censurata, in conclusione, risulta espressione di
una  scelta  discrezionale  del   legislatore   nel   determinare   i
destinatari di un beneficio economico (ex multis, sentenza n. 194 del
2017), che puo' essere ed e'  stata  discussa,  ma  non  si  presenta
affetta da  quella  irrazionalita'  «manifesta  e  irrefutabile»  che
richiederebbe la declaratoria d'illegittimita' costituzionale (tra le
tante, sentenze n. 86 del 2017 e  n.  46  del  1993).  Il  che  trova
ulteriore conferma nel fatto che l'irragionevole disparita' lamentata
dal giudice a quo potrebbe comunque risolversi anche estendendo  alla
condanna per qualsiasi reato la mancata concessione e/o la revoca del
beneficio; la qual cosa dimostra altresi' che la  soluzione  proposta
dal rimettente riflette in realta' una scelta rientrante  fra  quelle
spettanti alla discrezionalita' legislativa (tra le tante, si  vedano
le sentenze n. 222 del 2018, n. 194 del 2017, n. 223 del 2015, n. 214
del 2014, n. 134, n. 120 e n. 36 del 2012).