ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato
promosso da Sara Cunial, nella  qualita'  di  deputata,  con  ricorso
depositato in cancelleria il 7 dicembre 2020 ed iscritto al n. 13 del
registro conflitti  tra  poteri  2020,  fase  di  ammissibilita',  in
relazione a tutti i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri
e a tutti i decreti e le ordinanze ministeriali adottati,  fino  alla
data  di  deposito  del   ricorso,   per   fronteggiare   l'emergenza
epidemiologica da COVID-19. 
    Udito nella camera di consiglio del  10  marzo  2021  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 marzo 2021. 
    Ritenuto che, con ricorso  depositato  il  7  dicembre  2020,  la
deputata Sara Cunial  ha  sollevato  conflitto  di  attribuzione  tra
poteri dello Stato nei confronti «delle due Camere che compongono  il
Parlamento nazionale e, ove occorra, del Governo»; 
    che oggetto del conflitto sono tutti i decreti del Presidente del
Consiglio dei ministri e tutti i decreti e le ordinanze  ministeriali
adottati per fronteggiare  l'emergenza  epidemiologica  da  COVID-19,
analiticamente  elencati  in  ordine  cronologico,   dei   quali   la
ricorrente chiede l'annullamento; 
    che la ricorrente chiede, altresi', che la  Corte  costituzionale
sollevi  d'ufficio  dinanzi   a   se'   questione   di   legittimita'
costituzionale  di  tutti  i  decreti-legge  (e  relative  leggi   di
conversione intervenute fino alla  data  di  deposito  del  ricorso),
adottati allo  stesso  scopo  e  pure  analiticamente  elencati,  per
contrasto con una pluralita' di parametri costituzionali; 
    che la ricorrente - appartenente al Gruppo  Misto,  senza  essere
iscritta ad alcuna componente - espone che ciascuno dei provvedimenti
indicati in ricorso «perviene, a violare,  comprimere,  sospendere  o
compromettere, in modo piu' o meno incisivo a seconda del  periodo  e
di altre circostanze», una serie di disposizioni costituzionali; 
    che, in particolare, sarebbero lesi: il diritto al lavoro  (artt.
1, 4, 35 e 36 della Costituzione); la  liberta'  personale  (art.  13
Cost.); la liberta' di circolazione (art. 16 Cost.); la  liberta'  di
riunione (art. 17 Cost.), la liberta' di culto (art.  19  Cost.),  la
liberta' «di opinione  e  [il]  diritto  all'informazione»  (art.  21
Cost.); il «[d]iritto alla  cura,  liberta'  dall'obbligo  sanitario»
(art. 32 Cost.); il diritto al libero esercizio delle  arti  e  delle
scienze e al loro libero insegnamento (art.  33  Cost.);  il  diritto
all'istruzione (art. 34 Cost.); la liberta' di  iniziativa  economica
(art. 41 Cost.); 
    che,  secondo  la   ricorrente,   il   contenuto   dei   suddetti
decreti-legge, e delle relative leggi di conversione,  si  ridurrebbe
ad «apodittiche espressioni generiche, di principio, di  mero  stile,
elencative di asserite astratte necessita' comportamentali e di messa
in  atto  di  misure  di   ordine   pubblico   ritenute   idonee   al
raggiungimento delle dichiarate  finalita'  di  tutela  della  salute
collettiva»; 
    che, utilizzando «quale vettore il metodo di definire "legge" una
formulazione contenutisticamente insufficiente», il  Governo  avrebbe
attuato,  «con  coscienza  e  volonta',  la  cessione  dell'effettivo
concreto "potere legislativo" a favore di soggetti terzi titolari  di
poteri meramente esecutivi»; 
    che, grazie a tale «illegittima strategia»,  il  Governo  avrebbe
posto in essere «una attivita' compulsiva avente il  nomen  iuris  di
"regolamento", ma il  contenuto  di  "legge"  vera  e  propria»,  con
l'emanazione di ventuno decreti  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, per mezzo dei  quali  avrebbe  "esplicitato"  «le  concrete
misure di compressione  delle  liberta'  costituzionali»,  quali,  ad
esempio, l'obbligo di rimanere nelle  mura  domestiche;  la  chiusura
delle attivita' commerciali; la chiusura delle scuole di ogni  ordine
e grado e delle universita'; l'obbligo «generalizzato di soggiacere a
plurimi   trattamenti   sanitari   invasivi   (mascherine,   tamponi,
termoscanner) in assenza  di  consenso  o  in  carenza  rilevante  di
consenso»; 
    che il Governo, in tal modo, avrebbe disciplinato  «integralmente
le modalita' e le tempistiche dell'esercizio  di  essenziali  diritti
costituzionali rispetto ai quali avrebbe dovuto operare la riserva di
legge»; 
    che, «sempre in correlazione con i contenuti generici dei D.L.  e
delle  leggi  di  conversione  in  materia  di   asserita   emergenza
sanitaria», il Governo avrebbe utilizzato lo  strumento  dei  decreti
ministeriali  (ne  sono  elencati  in  ricorso  sessantuno)  «con  le
medesime  modalita'  illegittime»,  in  quanto  anch'essi  contenenti
«limitazioni ai diritti costituzionali»; 
    che, in punto  di  ammissibilita'  del  conflitto,  l'on.  Cunial
afferma che la proponibilita' del ricorso, «in quanto  parlamentare»,
sarebbe   «pacifica»   in   forza   delle   pronunce   della    Corte
costituzionale, tra  le  quali  cita  «gli  arresti  n.  274-275/2019
assunti in  continuita'  con  l'ordinanza  17/2019»,  riportando,  di
quest'ultima, ampi stralci dalla motivazione; 
    che, a parere dell'on. Cunial, sarebbe comprovata una sostanziale
negazione o un'evidente menomazione della funzione costituzionalmente
attribuita alla ricorrente; 
    che, in forza del principio di legalita' sostanziale,  le  «norme
amministrative» - quali  quelle  asseritamente  prodotte  dagli  atti
oggetto di  conflitto  -  dovrebbero  avere  «fondamento  legale»  e,
dunque, essere soggette a limiti «posti da leggi  chiare,  precise  e
prevedibili», perche', in caso contrario, la legalita' sarebbe  «solo
formale e non sostanziale»; 
    che, invece, a giudizio della ricorrente, i  decreti-legge  e  le
leggi di conversione elencati nell'atto di promovimento del conflitto
sarebbero «sprovvisti dei requisiti minimi richiesti sia dalla  Carta
Costituzionale sia dalla CEDU, al fine  di  poterli  definire  tali»,
sicche' ad essi non potrebbero essere riconosciuti  «i  requisiti  di
autosufficienza per poter assurgere al rango di Legge»; 
    che verrebbe in rilievo, dunque,  una  «violazione  di  immediata
palese evidenza» delle prerogative  di  parlamentare,  in  quanto  la
ricorrente avrebbe «dibattuto in Parlamento, ed  espresso  in  quella
sede il suo voto e, quindi, esercitato le sue funzioni istituzionali,
con riferimento ad un vuoto simulacro», con  conseguente  «violazione
effettiva, materiale, concreta, grave ed immediata, dei citati  artt.
67-68-70-71-72 Cost.»; 
    che,  infatti,   a   giudizio   della   ricorrente,   le   «norme
regolamentari» contenute negli impugnati decreti (del Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  e  dei  ministri  che  li  hanno  adottati)
rappresenterebbero, in realta', «l'unica  vera  fonte  di  produzione
legislativa primaria, pienamente conchiusa ed autosufficiente», e che
sarebbero proprio tali atti «a determinare la violazione delle citate
norme costituzionali», sicche' «sulle  singole  misure  concretamente
coercitive non [sarebbe] intervenuto il dibattito parlamentare e  non
si [sarebbe] espresso il voto»; 
    che,  con  tale  modus  procedendi,  si  sarebbe   attuata   «una
traslazione della potesta' concreta legislativa  dal  Parlamento  e/o
dal Governo su delega del medesimo, verso il Presidente del Consiglio
od addirittura a favore dei singoli ministri», che avrebbero adottato
«veri provvedimenti-leggi», peraltro «solo astrattamente scrutinabili
in sede giudiziaria», dal momento  che  «la  compulsivita'  temporale
della loro emissione» sarebbe «d'impedimento a qualsivoglia possibile
effettivo controllo giurisdizionale»; 
    che,  in  ogni  caso,  sarebbe  stato  violato  il  canone  della
ragionevolezza, per sproporzione dei mezzi  predisposti  rispetto  al
fine perseguito, in quanto i decreti-legge e  le  relative  leggi  di
conversione sarebbero stati adottati in base alla «asserita  gravita'
per la salute pubblica conseguente alla diffusione  dei  contagi  del
virus  Sars-CoV-  2»,  sicche'  la   loro   giustificazione   sarebbe
costituita dalla «asserita prevalenza dell'art. 32 Cost. su qualsiasi
altro diritto costituzionale leso da quest'ultimo»; 
    che, secondo la ricorrente, dall'esame  dei  dati  epidemiologici
elaborati dall'Istituto superiore di sanita' (ISS) in data 2 novembre
2020, si ricaverebbe la conclusione di una «minor  contagiosita'  del
covid  19  rispetto  alle  simil  influenze  coronavirus  degli  anni
precedenti in presenza delle medesime sintomatologie»; 
    che, inoltre, non vi  sarebbe  alcuno  strumento  di  rilevamento
della «positivita' al covid  19»  che  abbia  una  certificazione  di
idoneita',  sicche',  a  giudizio  della  ricorrente,  i   dati   sui
contagiati    sarebbero     «macroscopicamente     e     notoriamente
inattendibili»,  se  messi  a  confronto   con   altre   elaborazioni
provenienti da fonti straniere, sicche' il cosiddetto  «principio  di
precauzione» - posto a base dei provvedimenti oggetto di conflitto  -
sarebbe stato applicato in maniera non corretta, in quanto scollegato
dal necessario rispetto del principio di proporzionalita'; 
    che, dunque, a parere della ricorrente, l'adozione di «misure  di
lockdown», considerate tra le piu' severe al mondo, sarebbe priva  di
qualsiasi  giustificazione,  oltre   ad   essersi   rivelata   misura
inefficace, in considerazione del fatto che la  malattia  di  cui  si
tratta sarebbe «una similinfluenza gestibile con la  messa  in  campo
dell'ordinaria diligenza organizzativo-sanitaria»; 
    che, in definitiva, secondo la  ricorrente,  il  Governo  «voleva
raggiungere l'obiettivo di rendere impossibile, al momento dell'esame
preliminare in aula, nonche' al momento del voto, che la sottoscritta
parlamentare,  e  cosi'  altri  parlamentari,  potessero   dispiegare
compiutamente la loro volonta' di  verifica  e  controllo  sui  reali
contenuti normativi emergenziali», derivandone  la  violazione  degli
artt. 67, 68, 70, 71 e 72 Cost; 
    che le argomentazioni illustrate vengono dalla ricorrente poste a
base  anche   di   una   «istanza   incidentale   di   illegittimita'
costituzionale di tutta la produzione normativa  sopraelencata»,  non
ricorrendo la possibilita' «di  addurre,  quale  referente  normativo
costituzionale, l'art. 32» Cost., sia per l'insussistenza di  «alcuna
emergenza per la salute pubblica  dovuta  al  virus  covid  19»,  sia
perche' quello tutelato dall'art. 32 Cost. non potrebbe prevalere  su
tutti gli altri diritti costituzionali; 
    che, in prossimita' della camera di consiglio del 10 marzo  2021,
la ricorrente ha depositato memoria, in  data  18  febbraio  2021  e,
dunque, fuori termine. 
    Considerato che la deputata  Sara  Cunial  solleva  conflitto  di
attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti «delle  due  Camere
che compongono il Parlamento nazionale e, ove occorra, del  Governo»,
per la declaratoria della menomazione delle proprie attribuzioni,  in
quanto rappresentante della Nazione senza vincolo di mandato ex  art.
67 della Costituzione, e, come tale, titolare pro quota del potere di
determinare la politica nazionale, «nel rispetto del  Regolamento  di
cui all'articolo 64 Cost., e [d]ella funzione legislativa ex articolo
70 Cost.»; 
    che la ricorrente, con riferimento ai provvedimenti adottati  dal
Governo per fronteggiare l'emergenza epidemiologica  da  coronavirus,
afferma che «i decreti legge e le leggi di conversione,  sulle  quali
si e' sviluppato il  dibatto  parlamentare,  sono  sprovvisti  di  un
contenuto sostanziale di caratura effettivamente "legislativa"» e che
«gli effettivi contenuti "legislativi" delle misure  di  compressione
delle liberta' costituzionali sono stati riversati  dal  governo  nei
DPCM e nei DM» oggetto del conflitto,  adottati  «in  violazione  dei
requisiti di necessita' e di proporzionalita'»; 
    che, dunque, «sia  il  dibattito  parlamentare  che  il  voto  su
ciascuno dei provvedimenti legislativi di cui in epigrafe sono  stati
alterati dall'illegittimo richiamo all'articolo 32 Cost.»,  a  fronte
di una situazione riconducibile «esclusivamente, a  negligenza  nella
gestione [del] sistema sanitario nazionale da parte del governo»; 
    che, in particolare, il  Governo  avrebbe  operato  -  attraverso
decreti-legge privi di "contenuto normativo", pur  se  convertiti  in
legge - «la cessione dell'effettivo concreto "potere  legislativo"  a
favore di soggetti terzi titolari di poteri meramente esecutivi»; 
    che,  di  conseguenza,  la  ricorrente  avrebbe   «dibattuto   in
Parlamento, ed espresso  in  quella  sede  il  suo  voto  e,  quindi,
esercitato le sue funzioni istituzionali, con riferimento ad un vuoto
simulacro», perche' «l'unica vera  fonte  di  produzione  legislativa
primaria» sarebbe costituita dalle  «norme  regolamentari»  contenute
negli impugnati decreti (del Presidente del Consiglio dei ministri  e
dei ministri che  li  hanno  adottati)  e  sulle  quali  non  sarebbe
intervenuto il dibattito parlamentare e non si sarebbe espresso alcun
voto; 
    che,  con  tale  modus  procedendi,  si  sarebbe   attuata   «una
traslazione della potesta' concreta legislativa  dal  Parlamento  e/o
dal Governo su delega del medesimo, verso il Presidente del Consiglio
od addirittura a favore dei singoli ministri»; 
    che, in definitiva, e' richiesto a questa Corte di dichiarare che
la ricorrente e' stata privata della reale possibilita' di esercitare
le sue funzioni di parlamentare, non avendo potuto partecipare ne' al
reale dibattito ne' all'effettivo  voto  sulle  misure  di  emergenza
concretamente adottate; 
    che, in  questa  fase  del  giudizio,  la  Corte  e'  chiamata  a
deliberare, in camera di consiglio  e  senza  contraddittorio,  sulla
sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall'art.
37, primo comma, della legge  11  marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a
decidere se il conflitto insorga tra organi competenti  a  dichiarare
definitivamente la volonta' del potere  cui  appartengono  e  per  la
delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri
da norme costituzionali; 
    che l'ordinanza n. 17 del 2019 di  questa  Corte ha  riconosciuto
l'esistenza di una sfera  di  prerogative  che  spettano  al  singolo
parlamentare, e ha affermato che - qualora risultino  lese  da  altri
organi parlamentari - esse possono essere difese con lo strumento del
ricorso per conflitto tra poteri dello Stato; 
    che la stessa ordinanza n. 17 del 2019 ha inoltre  precisato  che
«[l]a legittimazione  attiva  del  singolo  parlamentare  deve  [...]
essere rigorosamente circoscritta quanto al profilo oggettivo,  ossia
alle menomazioni censurabili in sede di conflitto»; 
    che, in particolare, come ribadito  dalle  ordinanze  n.  60  del
2020, n. 275 e n. 274 del 2019,  tale  legittimazione  deve  fondarsi
sull'allegazione di vizi che determinano violazioni  manifeste  delle
prerogative costituzionali dei parlamentari ed e' necessario che tali
violazioni siano rilevabili nella  loro  evidenza  gia'  in  sede  di
sommaria delibazione; 
    che,  ai  fini  dell'ammissibilita'  del  conflitto,  e'  insomma
necessario che  il  singolo  parlamentare  alleghi  «una  sostanziale
negazione o un'evidente menomazione» (cosi', ancora, ordinanza n.  17
del 2019) delle proprie prerogative costituzionali; 
    che la stessa ricorrente, la quale, in prima battuta, rivolge  le
sue doglianze nei confronti della Camera di  appartenenza,  riconosce
di avere partecipato, con pienezza di facolta' di  espressione  e  di
voto, al dibattito parlamentare sul  contenuto  dei  decreti-legge  e
sulla loro conversione in legge; 
    che, dunque, dalla stessa narrativa del ricorso emerge  come  non
sia mancato il confronto parlamentare (ordinanza n. 274 del  2019)  e
come i deputati  abbiano  avuto  la  possibilita'  di  esercitare  le
proprie  funzioni  costituzionali  (ordinanza  n.  275   del   2019),
principalmente in sede di  conversione  in  legge  dei  decreti-legge
indicati in ricorso; 
    che, in definitiva, e' la stessa prospettazione della  ricorrente
ad attestare l'inesistenza di «violazioni manifeste delle prerogative
costituzionali»  poste  a  garanzia  dello  status  dei  parlamentari
nell'ambito del procedimento legislativo (ordinanza n. 275 del 2019),
in particolare della facolta', necessaria  all'esercizio  del  libero
mandato parlamentare (art. 67 Cost.), di partecipare alle discussioni
e alle deliberazioni esprimendo «opinioni»  e  «voti»  (ai  quali  si
riferisce l'art. 68 Cost., sia pure al diverso  fine  di  individuare
l'area d'insindacabilita' delle funzioni parlamentari); 
    che, inoltre, la lamentata «traslazione della  potesta'  concreta
legislativa dal Parlamento e/o dal Governo su  delega  del  medesimo,
verso il Presidente del Consiglio od addirittura a favore dei singoli
ministri», nei termini prospettati in ricorso, sarebbe semmai  idonea
a menomare le  attribuzioni  dell'intera  Camera  cui  appartiene  la
ricorrente,  posto  che  la   funzione   legislativa,   per   dettato
costituzionale, e' esercitata collettivamente dalle due Camere  (art.
70 Cost.); 
    che, quando il soggetto  titolare  della  sfera  di  attribuzioni
costituzionali che si assumono violate e' la Camera di  appartenenza,
sara' quest'ultima, e non  il  singolo  parlamentare,  legittimata  a
valutare l'opportunita' di reagire  avverso  le  supposte  violazioni
(ordinanza n. 129 del 2020); 
    che, per questi profili, il contenuto del ricorso dell'on. Cunial
appare indirizzato a contestare il modus operandi del Governo, non  a
caso individuato come (ulteriore) legittimato passivo; 
    che, tuttavia, non e'  ipotizzabile  alcuna  concorrenza  tra  la
legittimazione attiva del singolo parlamentare e quella della  Camera
di appartenenza (ordinanza n. 163 del 2018); 
    che, infatti, questa Corte  ha  gia'  escluso,  in  un  conflitto
promosso dal singolo parlamentare nei confronti del Governo,  che  il
primo possa rappresentare l'intero organo cui appartiene, perche'  il
singolo parlamentare non e'  «titolare  di  attribuzioni  individuali
costituzionalmente protette nei confronti dell'esecutivo»  (ordinanza
n. 181 del 2018); 
    che, infine, queste assorbenti ragioni dispensano  dall'esame  di
altri aspetti del conflitto,  relativi,  in  particolare,  all'esatta
individuazione degli atti asseritamente lesivi delle attribuzioni del
singolo  parlamentare  ed  alla  proponibilita'  del  conflitto   nei
confronti anche del Senato della  Repubblica,  organo  al  quale  non
appartiene la parlamentare ricorrente; 
    che, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.