ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
453, della legge 11 dicembre 2016, n.  232  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il
triennio 2017-2019), promosso dal Collegio arbitrale presso la Camera
arbitrale  dell'Autorita'  nazionale   anticorruzione   (ANAC),   nel
procedimento vertente tra Centria srl e i Comuni di Figline e  Incisa
Valdarno, Cavriglia e Montevarchi,  con  ordinanza  del  16  dicembre
2019, iscritta al n. 105 del registro  ordinanze  2020  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  37,  prima   serie
speciale, dell'anno 2020. 
    Visti gli atti di costituzione di Centria srl  e  dei  Comuni  di
Figline e Incisa Valdarno, di Cavriglia e di Montevarchi, nonche' gli
atti d'intervento del Presidente del  Consiglio  di  ministri  e  del
Comune di Urgnano, e quelli, fuori termine, dei Comuni  di  Inveruno,
di San Giorgio su Legnano e altri e del  Comune  di  Nerviano,  della
IGAS Imprese gas, della Assogas - Associazione nazionale  industriali
privati gas e servizi energetici, dell'Utilitalia - Federazione delle
imprese ambientali, energetiche ed  idriche,  della  societa'  Sei  -
Servizi energetici integrati srl (gia' Tea Sei srl) e della  2i  Rete
Gas spa; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  9  novembre  2021  il  Giudice
relatore Giuliano Amato; 
    uditi l'avvocato Gianfranco Marchesi per il  Comune  di  Urgnano,
Andrea Manzi e Stefano Ferla per Centria srl, Giovanni Calugi  per  i
Comuni di Figline e Incisa Valdarno, di Cavriglia e di Montevarchi  e
l'avvocato dello Stato  Francesco  Sclafani  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 novembre 2021. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Il   Collegio   arbitrale   presso   la   Camera   arbitrale
dell'Autorita' nazionale anticorruzione (ANAC), con ordinanza del  16
dicembre  2019  (reg.  ord.  n.  105  del  2020),  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  97  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 453,  della  legge  11
dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019). 
    La disposizione censurata prevede che «[l]'articolo 14, comma  7,
del decreto legislativo 23 maggio 2000, n.  164,  si  interpreta  nel
senso che il gestore uscente resta obbligato al pagamento del  canone
di  concessione  previsto  dal  contratto.   Le   risorse   derivanti
dall'applicazione   della   presente   disposizione   concorrono   al
raggiungimento degli obiettivi di finanza  pubblica  da  parte  degli
enti locali». 
    1.1.- Premette il rimettente che le  questioni  traggono  origine
dall'atto introduttivo di arbitrato del 23 febbraio 2018, promosso da
Centria srl ai sensi della clausola compromissoria (da intendersi per
arbitrato rituale)  contenuta  nell'art.  23  del  contratto  del  17
settembre 2002, stipulato con i Comuni di Montevarchi, di Cavriglia e
di Figline e Incisa Valdarno,  avente  ad  oggetto  l'affidamento  in
concessione del  servizio  di  distribuzione  del  gas  naturale.  La
societa' concessionaria, in particolare, chiedeva in  via  principale
di accertare di non dover riconoscere ai Comuni convenuti  il  canone
di concessione previsto all'art. 6 del  contratto  dopo  la  scadenza
(avvenuta il 30 settembre 2014) o, al piu' tardi, trascorso  un  anno
dalla predetta scadenza. In via subordinata, la societa' chiedeva  di
accertare e dichiarare il diritto a vedersi rideterminato  il  canone
di cui all'art. 6 del citato contratto, con decorrenza dalla scadenza
o, al piu' tardi, con decorrenza da un anno oltre la scadenza  e  con
riferimento alla fase di gestione ope legis del servizio ex art.  14,
comma 7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n.  164  (Attuazione
della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato  interno
del gas naturale, a norma dell'articolo 41 della legge17 maggio 1999,
n. 144); cio' al fine di rispettare l'equilibrio  economico-giuridico
complessivo con gli enti locali convenuti, in coerenza con il  regime
gestionale ope legis, limitato alla ordinaria amministrazione, e  con
quanto stabilito, in aderenza ai  principi  generali  e  di  settore,
dall'art. 5, comma 5, del contratto tipo approvato  con  decreto  del
Ministro dello sviluppo economico 5 febbraio 2013 (Approvazione dello
schema di contratto tipo relativo all'attivita' di distribuzione  del
gas naturale). Infine, ove fosse impossibile interpretare  l'art.  1,
comma 453, della legge n. 232 del  2016  in  conformita'  al  diritto
comunitario  e  alle  norme  costituzionali,  chiedeva  altresi'   la
disapplicazione di tale disposizione per illegittimita' comunitaria e
la rimessione della questione di  legittimita'  costituzionale  della
medesima disposizione. 
    La pretesa di Centria  srl  trovava  la  sua  fonte  nell'accordo
contrattuale sottoscritto dalle parti in data 14  novembre  2014.  Ai
sensi  dell'art.  3  di  tale  accordo,  la  societa'  s'impegnava  a
continuare la gestione del pubblico servizio di distribuzione del gas
nei territori comunali - come imposto  dall'art.  14,  comma  7,  del
d.lgs. n. 164  del  2000,  secondo  cui  «il  gestore  uscente  resta
comunque  obbligato   a   proseguire   la   gestione   del   servizio
limitatamente  all'ordinaria  amministrazione,  fino  alla  data   di
decorrenza del nuovo affidamento» - adempiendo a tutti  gli  obblighi
dell'impresa di distribuzione previsti dalla normativa di  settore  e
mantenendo in essere le medesime obbligazioni e garanzie di cui  alla
concessione originaria. Il patto, intervenuto prima  della  censurata
norma  di  interpretazione  autentica,  ne  avrebbe   anticipato   il
contenuto chiarificatore  nell'ambito  del  rapporto  tra  le  parti,
essendo evidente che tra le medesime obbligazioni  non  potrebbe  non
rientrare il pagamento del canone originario pattuito. 
    Il patto contrattuale, pertanto, superava la durata annuale della
proroga gia' prevista  dal  contratto  di  concessione  all'art.  18,
disciplinando il rapporto in termini espliciti anche sulla  questione
dubbia del canone,  alle  stesse  condizioni  dettate  dal  contratto
originariamente stipulato (per  il  principio  che  la  proroga  deve
necessariamente intervenire alle medesime condizioni originarie,  per
cui e' richiamata la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione terza,
sentenza 5 marzo 2018, n. 1337). 
    1.2.- Secondo  il  Collegio  arbitrale  l'inequivocabile  portata
letterale della disposizione censurata impedirebbe di ritenere,  come
asserito da Centria srl, che la proroga ope legis non possa  comunque
eccedere un anno  dalla  scadenza  del  contratto.  Sarebbero  invece
rilevanti e non  manifestamente  infondati  i  prospettati  dubbi  di
legittimita'  costituzionale  concernenti  la  durata  potenzialmente
illimitata della gestione  ex  lege  del  servizio,  con  particolare
riferimento alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Dubbi riguardo a
cui risulterebbe necessario sollevare la questione innanzi  a  questa
Corte, poiche', come  precisato  dalla  piu'  recente  giurisprudenza
costituzionale, in caso  di  doppio  contrasto  di  una  disposizione
nazionale con i principi costituzionali e con  le  norme  di  diritto
europeo, la questione, sostiene il Collegio rimettente, «deve  essere
rimessa in primo ordine dinanzi alla Corte nazionale» (e'  richiamata
la sentenza n. 269 del 2017). 
    La natura pattizia delle obbligazioni  assunte  da  Centria  srl,
peraltro in epoca precedente di circa due anni  rispetto  all'entrata
in vigore della disposizione di interpretazione autentica, renderebbe
irrilevanti,  ai  fini   della   decisione   circa   la   sussistenza
dell'obbligo di corrispondere il canone per i primi cinque  anni,  le
eccezioni  d'illegittimita'  costituzionale   mosse   nei   confronti
dell'art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016, assumendo invece
rilevanza quanto al  periodo  successivo  alla  vigenza  quinquennale
dell'accordo del 14 novembre 2014. 
    1.3.- L'art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016, pertanto,
contrasterebbe con i principi di ragionevolezza  e  di  certezza  del
diritto, nonche' di legittimo affidamento del gestore  del  servizio,
alla luce della  considerazione  che  l'impresa  non  avrebbe  potuto
prevedere di dover corrispondere il medesimo canone anche  una  volta
scaduto il termine quinquennale di proroga pattizia. 
    1.3.1.-  Con  riferimento  alla  violazione  del   principio   di
ragionevolezza,  che  avrebbe  assunto  un   connotato   conformativo
rispetto a ogni parametro costituzionale, la  disposizione  censurata
sembrerebbe essere incongrua e inadeguata anche rispetto al fine  che
intenderebbe perseguire (e' richiamata la sentenza di questa Corte n.
43 del 1997),  rinvenibile  nella  prosecuzione  della  gestione  del
servizio per il tempo strettamente necessario all'espletamento  della
nuova procedura ad evidenza pubblica. 
    Infatti, l'impresa resterebbe obbligata a un'illimitata  gestione
del servizio non piu' per sua scelta volontaria, ma per il  protrarsi
oltre ogni ragionevole previsione  della  situazione  di  stallo  sul
fronte delle nuove procedure di  affidamento.  La  gestione  ex  lege
risulterebbe,   peraltro,   espressamente   limitata    all'ordinaria
amministrazione e come  tale  sarebbe,  almeno  potenzialmente,  meno
vantaggiosa per il gestore. 
    La dilatazione degli impegni assunti oltre  il  termine  pattizio
andrebbe ben al di la' di quanto era possibile prevedere, non solo al
momento di formulazione  dell'offerta,  ma  anche  al  momento  della
sottoscrizione dell'accordo del 14 novembre 2014. 
    1.3.2.- In riferimento ai profili d'illegittimita' costituzionale
per violazione dei principi di certezza del diritto e di  tutela  del
legittimo affidamento, rileverebbe anche la giurisprudenza di  questa
Corte sull'ammissibilita' delle  leggi  d'interpretazione  autentica,
che  possono  dirsi  costituzionalmente  legittime  soltanto  qualora
abbiano lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza  del
dato  normativo»,  in  ragione  di  «un  dibattito  giurisprudenziale
irrisolto», o di «ristabilire un'interpretazione piu'  aderente  alla
originaria volonta' del legislatore [...] a tutela della certezza del
diritto e  dell'eguaglianza  dei  cittadini,  cioe'  di  principi  di
preminente interesse costituzionale» (viene richiamata la sentenza n.
78 del 2012). Tali  disposizioni,  tuttavia,  devono  rispettare  una
serie di limiti «attinenti alla salvaguardia, oltre che dei  principi
costituzionali,  anche  di  altri  fondamentali  valori  di  civilta'
giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello  stesso
ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto  del  principio
generale  di  ragionevolezza  [...];   la   tutela   dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti quale  principio  connaturato  allo
Stato  di  diritto;  la  coerenza  e  la  certezza   dell'ordinamento
giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al
potere giudiziario (sentenza n.  209  del  2010)»  (viene  citata  la
sentenza n. 308 del 2013). 
    Secondo l'orientamento costante  di  questa  Corte,  prosegue  il
rimettente, non sarebbe decisivo verificare  se  la  norma  censurata
abbia  carattere  effettivamente  interpretativo   (e   sia   percio'
retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva,  quanto
piuttosto accertare se la retroattivita' della legge «trovi  adeguata
giustificazione  sul  piano  della  ragionevolezza,  di  tutela   del
legittimo affidamento e  di  certezza  delle  situazioni  giuridiche,
atteso che essa si limita ad assegnare alla disposizione interpretata
un significato riconoscibile come una  delle  possibili  letture  del
testo originario» (sono richiamate le sentenze n. 78 del 2012 e n. 93
del 2011). Con riferimento ai rapporti di durata, come quello oggetto
del giudizio, la nuova disciplina dovrebbe essere valutata  sotto  il
profilo della razionalita', in modo che non  sia  leso  l'affidamento
del privato nella certezza giuridica (e' richiamata  la  sentenza  n.
525 del 2000). 
    A ben vedere, l'art. l, comma 453, della legge n. 232  del  2016,
nella parte in cui non prevede un termine di durata dello svolgimento
del  servizio,  comporterebbe  il  rischio  di  una  sua  protrazione
illimitata agli stessi patti e condizioni  originari,  che  l'impresa
avrebbe  ritenuto  di  poter  rispettare  soltanto  per  un   periodo
limitato, ancorche' da  essa  stessa  consapevolmente  prorogato  per
cinque anni. 
    La protrazione potenzialmente illimitata  della  proroga  sarebbe
appunto conseguenza dell'interpretazione  autentica  operata  da  una
disposizione che, non prevedendo neppure, come  talvolta  accade,  il
richiamo alla formula del "termine ragionevole", o della "ragionevole
durata" per lo svolgimento ultrattivo  del  servizio,  contrasterebbe
con l'affidamento legittimo degli operatori economici e  le  esigenze
di certezza dei rapporti giuridici. 
    1.3.3.- L'inerzia della pubblica  amministrazione  o  comunque  i
ritardi e le inadempienze che non hanno consentito ancora di  bandire
la gara non potrebbero del  resto  ragionevolmente  essere  scaricati
sull'imprenditore aggiudicatario del servizio in una epoca diversa  e
con condizioni diverse, ne' tantomeno sugli operatori economici  che,
nonostante sia ormai decorso  il  termine  quinquennale  di  proroga,
attendono  l'indizione  di  una   nuova   procedura   di   gara   per
l'affidamento del servizio. 
    Sotto  questo   ultimo   profilo,   la   disposizione   censurata
sembrerebbe porsi in contrasto anche con l'art. 97 Cost., in tema  di
buon andamento nell'organizzazione e nell'attivita' amministrativa. 
    2.- Con atto depositato il 5 ottobre 2021  si  e'  costituita  in
giudizio la societa'  Centria  srl,  chiedendo  -  ove  ritenuta  non
praticabile  un'interpretazione  costituzionalmente   orientata   che
escluda la proroga  automatica  sine  die  del  canone  previsto  nel
contratto scaduto - la declaratoria  d'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016. 
    2.1.- Secondo la difesa della parte privata tale disposizione, in
primo luogo, lederebbe l'art. 3, primo comma,  Cost.,  ai  sensi  del
costante orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui
e'  costituzionalmente  illegittima  la  norma   di   interpretazione
autentica che in realta' attribuisce alla  disposizione  interpretata
elementi  a  essa   estranei,   non   assegnandole   un   significato
riconoscibile come una delle possibili letture del  testo  originario
(sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 15 del 2012 e n.  234
del 2007). 
    L'art.  14,  comma  7,  del  d.lgs.  n.  164  del  2000,  oggetto
dell'asserita norma d'interpretazione autentica, infatti, mirerebbe a
escludere, ovvero a ridurre al  minimo,  la  durata  della  fase  che
intercorre tra la scadenza naturale della concessione e la decorrenza
del nuovo  affidamento,  prevedendo  anche  l'intervento  sostitutivo
regionale. Lungi dal legittimare una proroga della concessione (e del
canone  ivi  previsto),  dunque,  esso  presupporrebbe  l'intervenuta
scadenza della concessione stessa. Per tale ragione, il contratto  di
concessione non sarebbe piu' applicabile  e  il  legislatore  avrebbe
previsto una disciplina di contenuto minimo al fine di  garantire  la
continuita'  del  servizio,  nell'ipotesi  straordinaria  che  l'ente
concedente non faccia in tempo a insediare  il  nuovo  concessionario
prima della scadenza del precedente affidamento. 
    Ritenere  tale  disposizione,  cosi'  come   interpretata   dalla
disposizione censurata, quale  recante  una  proroga  ex  lege  della
concessione sino al nuovo affidamento equivarrebbe a sposare una tesi
ermeneutica estranea rispetto all'ambito  dei  possibili  significati
della disposizione, sovvertendone, anzi, l'impianto logico. 
    2.2.-   In   secondo    luogo,    alla    disposizione    oggetto
d'interpretazione  autentica  sarebbe   attribuito   un   significato
incompatibile con il diritto comunitario, con riferimento agli  artt.
49, 56 e 106  del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea
(TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato di  Lisbona  del  13
dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, lesivo,
pertanto, dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    La proroga di una concessione scaduta  equivarrebbe,  infatti,  a
nuovo affidamento senza  gara  (e'  richiamata  Consiglio  di  Stato,
sezione quinta, decisione 8 luglio 2008, n. 3391), in contrasto con i
principi  di  diritto  comunitario   (e'   richiamata   la   seguente
giurisprudenza  comunitaria:  Corte  di  giustizia  delle   Comunita'
europee, sezione sesta, sentenza 7 dicembre 2000, in  causa  C-324/98
e, con riferimento specifico al settore della distribuzione  del  gas
naturale,  Corte  di  giustizia  delle  Comunita'  europee,   sezione
seconda,  sentenza  17  luglio  2008,  in  causa   C-347/06),   ormai
pienamente recepiti anche nell'ordinamento interno  (nel  settore  in
esame proprio dall'art. 14 del d.lgs. n. 164 del 2000). 
    Come inoltre affermato  dalla  giurisprudenza  ammnistrativa,  la
proroga dei contratti pubblici sarebbe  compatibile  con  il  diritto
euro-unitario solo in due ben circoscritte ipotesi  (si  richiama  la
pronuncia  del  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio,
sezione II-quater, sentenza 4 settembre 2017,  n.  9531):  quando  la
relativa clausola venga gia' inserita  nel  bando  quale  opzione  da
esercitarsi  da   parte   della   stazione   appaltante   in   favore
dell'operatore  economico  aggiudicatario   della   selezione,   alle
condizioni fissate  fin  dall'inizio  nella  lex  specialis  di  gara
(proroga "tecnica"); o  se,  una  volta  scaduta  l'efficacia  di  un
contratto e avviate concretamente  e  formalmente  le  procedure  per
l'espletamento della nuova selezione pubblica,  si  renda  necessario
garantire la prosecuzione del servizio o della fornitura per tutto il
tempo utile al completamento delle procedure selettive e alla stipula
del nuovo contratto con il nuovo affidatario (proroga "ponte"). 
    Nel caso specifico la norma sub  iudice  legittimerebbe,  invece,
una proroga di durata indeterminata,  che  opererebbe  a  prescindere
dalla previsione contrattuale di una proroga tecnica e dal fatto  che
la gara risulti gia' indetta alla scadenza. 
    2.3.- Altresi' violati  sarebbero  i  principi  di  certezza  del
diritto e di tutela del legittimo affidamento, rilevanti,  oltre  che
sotto il profilo comunitario, anche in riferimento agli artt. 3 e  41
Cost., specie in relazione al sindacato di ragionevolezza a cui  sono
soggette le leggi retroattive (ex multis, sono richiamate le sentenze
di questa Corte n. 132 del 2016, n. 150 e n. 146 del 2015, n 170  del
2013, n. 264 del 2012, n. 302 del 2010, n. 236 del 2009, n.  390  del
1995 e n. 822 del 1988). 
    L'art.  l,  comma  453,  della  legge  n.  232  del   2016,   ove
interpretato nel senso della proroga automatica dello  stesso  canone
previsto  dal  contratto  scaduto,  sarebbe  chiaramente  lesivo  dei
suddetti principi. 
    Infatti, al momento  della  formulazione  della  sua  offerta  di
canone, la societa' non avrebbe potuto certamente prevedere di  dover
pagare quello stesso canone per altri anni  dopo  la  scadenza  della
concessione, a fronte  di  una  gestione  obbligatoria  del  servizio
indipendente dalla sua volonta' e che, essendo limitata all'ordinaria
amministrazione, sarebbe caratterizzata da condizioni economiche piu'
svantaggiose. 
    Non sarebbe ammissibile che una norma del 2016, sotto le  spoglie
di norma di interpretazione autentica,  abbia  dilatato  gli  impegni
assunti in gara dal distributore uscente, ben al  di  la'  di  quanto
ragionevole prevedere al momento della formulazione dell'offerta (sul
punto si richiama la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione sesta,
sentenza 5 dicembre 2017, n. 5736). 
    2.4.- La disposizione censurata violerebbe  anche  gli  artt.  3,
primo  comma,  41,  primo  comma,  42  e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 16 e 17 della Carta dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, all'art. 6
del Trattato sull'Unione europea  (TUE),  firmato  a  Lisbona  il  13
dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre  2009,  e  ai  gia'
ricordati artt. 49, 56 e 106 TFUE. 
    La  norma   de   qua,   infatti,   imporrebbe   forzosamente   al
concessionario non solo di continuare a gestire il servizio, ma anche
di pagare, in modo  automatico,  lo  stesso  canone  previsto  da  un
contratto scaduto anche per tutto il periodo  indefinito,  successivo
alla  scadenza  e  precedente  il  nuovo  affidamento  del  servizio;
obbligo, questo, chiaramente aggiuntivo e non  previsto  dalla  norma
originaria, che si porrebbe in contrasto con i suddetti parametri  di
legittimita' costituzionale e comunitaria. 
    Cio' sarebbe causa di gestioni  potenzialmente  in  perdita,  con
inaccettabili rischi per la regolarita', la sicurezza e  la  qualita'
del pubblico servizio; nessuno garantirebbe, infatti,  che  il  piano
economico-finanziario alla base dell'offerta, in equilibrio alla data
di scadenza prevista nel contratto, continui a esserlo anche  per  il
periodo successivo (neppure contemplato nel piano stesso),  allorche'
resterebbero  invariati  costi  per  il  gestore   (in   termini   di
corrispettivo  da  versare  al  Comune),   mentre   diminuirebbe   la
redditivita' della gestione, limitata all'ordinaria amministrazione. 
    Pertanto, la disposizione censurata non inciderebbe  su  rapporti
contrattuali nel ragionevole perseguimento di un  interesse  pubblico
meritevole di  tutela,  ma,  alterando  il  significato  della  norma
interpretata, produrrebbe uno squilibro  incontrollato  nei  rapporti
tra concedente e concessionario. 
    2.5.- Da ultimo, sussisterebbe una violazione anche del principio
del   buon   andamento   e    dell'imparzialita'    della    pubblica
amministrazione ex art. 97 Cost. 
    Se le amministrazioni comunali avessero il diritto di  continuare
a pretendere sine die lo stesso  canone  previsto  dalle  concessioni
scadute, infatti, esse perderebbero qualunque  interesse  a  svolgere
rapidamente le procedure di gara,  in  tutti  i  casi  nei  quali  il
corrispettivo  massimo  che  potrebbero  ottenere   fosse   inferiore
rispetto a quello derivante dal contratto scaduto. 
    Nel caso specifico, il canone preteso dai  Comuni  in  forza  del
contratto scaduto  sarebbe  significativamente  superiore  al  canone
massimo  ottenibile  successivamente   alla   gara   ai   sensi   del
contratto-tipo approvato con il d.m. 5 febbraio 2013. 
    La norma in questione, quindi, paradossalmente  incentiverebbe  i
Comuni a ritardare le gare, a fortiori in  considerazione  del  fatto
che sarebbero state cancellate le sanzioni in prima battuta  previste
in caso di superamento dei termini  per  le  gare  medesime,  di  cui
all'art. 4,  comma  5,  del  decreto-legge  21  giugno  2013,  n.  69
(Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito, con
modificazioni,  in  legge  9  agosto  2013,  n.  98,  successivamente
abrogato. 
    3.- Con atto depositato il 4 agosto 2020 si  sono  costituiti  in
giudizio i Comuni di Figline e Incisa Valdarno,  di  Cavriglia  e  di
Montevarchi,   chiedendo   che   le   questioni    di    legittimita'
costituzionale siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate. 
    3.1.- I Comuni costituiti premettono che, con concessione del  17
settembre  2002,  avevano  affidato  a  Coingas   spa,   a   cui   e'
successivamente subentrata Centria  srl,  la  gestione  del  servizio
pubblico di distribuzione del gas. 
    L'art 18  del  contratto  di  concessione  stabilisce  che,  alla
scadenza dell'affidamento, su richiesta  dell'affidante,  l'esercente
e' comunque  tenuto  a  proseguire  la  gestione  del  servizio  alle
medesime condizioni, fino a che l'affidante stesso non sia  in  grado
di provvedervi direttamente o a mezzo di altra impresa e comunque per
un periodo non superiore a un anno. Dopo la scadenza, il rapporto  e'
continuato in forza del comma 7 dell'art. 14 del d.lgs.  n.  164  del
2000, ma la gara non e' stata bandita, non essendo stati  individuati
gli ambiti territoriali minimi ai sensi dell'art.  46-bis,  comma  2,
del decreto-legge 1° ottobre 2007,  n.  159  (Interventi  urgenti  in
materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l'equita'  sociale),
convertito, con modificazioni, in legge 29 novembre 2007, n. 222. Con
l'accordo del 14 novembre 2014  Comuni  e  Centria  srl  hanno  cosi'
disciplinato i reciproci rapporti nella  fase  intercorrente  tra  la
scadenza della concessione e  il  nuovo  affidamento,  prevedendo  la
prosecuzione  della  gestione   per   cinque   anni   alle   medesime
obbligazioni e garanzie indicate nella concessione originaria. 
    Successivamente il concessionario  sarebbe  rimasto  inadempiente
all'obbligo di pagare la quota variabile del canone  per  il  2016  e
l'intero corrispettivo per il 2017, non fornendo altresi' i dati  per
il calcolo della quota variabile del canone relativo  al  2017  e  al
2018. 
    3.2.- Le questioni di legittimita' costituzionale  sarebbero,  in
via preliminare, inammissibili. 
    3.2.1.- In primo luogo, nel giudizio a quo  non  si  discuterebbe
dell'obbligo di Centria srl di continuare la  gestione  del  servizio
dopo la scadenza della  concessione,  non  avendo  il  concessionario
contestato tale obbligo, mentre l'unica pretesa azionata in  giudizio
sarebbe quella di non dover  corrispondere  il  canone  previsto  nel
contratto. 
    La  soluzione  delle   questioni,   pertanto,   non   inciderebbe
sull'esito del giudizio a quo, ma  metterebbe  a  disposizione  della
societa' concessionaria  un  bene  della  vita  (la  liberazione  dal
rapporto concessorio) che la controparte non avrebbe domandato. 
    Da  qui  l'inammissibilita'  delle  questioni  per   difetto   di
rilevanza. 
    3.2.2.- In secondo luogo, le  questioni  sarebbero  inammissibili
per inesatta individuazione della norma censurata. 
    Se la norma d'interpretazione  autentica  recata  dal  comma  453
dell'art.  l  della  legge  n.  232  del   2016   venisse   eliminata
dall'ordinamento, infatti, rimarrebbe vigente l'art. 14, comma 7, del
d.lgs. n. 164 del 2000 e, quindi, il concessionario dovrebbe comunque
continuare ad assicurare  la  gestione  del  servizio  pubblico  e  a
corrispondere il canone previsto nel contratto. 
    3.2.3.- Le questioni sarebbero inammissibili anche per difetto di
motivazione. 
    Il Collegio arbitrale, infatti, si sarebbe limitato a  richiamare
i condivisibili principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale
in punto di ragionevolezza della norma, certezza del diritto e tutela
del legittimo affidamento, ma avrebbe argomentato in modo generico  e
astratto la loro asserita  violazione  da  parte  della  disposizione
censurata. 
    L'ordinanza  di  rimessione,  infatti,  non   conterrebbe   alcun
concreto riferimento alle asserite conseguenze negative  che  Centria
srl subirebbe a causa  dell'adempimento  dell'obbligo  di  pagare  il
corrispettivo  previsto  nel  contratto  scaduto,  anche  durante  il
periodo di gestione ope legis, e mancherebbe qualsiasi valutazione in
ordine alla convenienza per  la  societa'  concessionaria,  sotto  il
profilo economico e  finanziario,  di  continuare  la  gestione  alle
stesse condizioni. 
    3.3.- Le questioni sarebbero, in ogni caso, non fondate. 
    3.3.1.- L'art. 14, comma 7, del d.lgs. n.  164  del  2000  e'  in
vigore dal 21 giugno 2000. Quando  i  Comuni  hanno  sottoscritto  il
contratto del 2002 con il concessionario, quest'ultimo sarebbe stato,
quindi, pienamente consapevole di essere tenuto  a  proseguire  nella
gestione del servizio dopo la scadenza del rapporto, fino al subentro
del nuovo concessionario. 
    Un  essenziale  servizio   pubblico,   qual   e'   quello   della
distribuzione del gas, d'altronde, non potrebbe essere interrotto; la
previsione normativa in questione, pertanto, tutelerebbe  l'interesse
della collettivita' e non pregiudicherebbe quello del concessionario. 
    L'art. l, comma 453, della legge n. 232 del  2016  sarebbe  cosi'
una vera norma di interpretazione autentica, limitandosi a confermare
che la portata generale dell'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164  del
2000 comprende l'obbligo  di  pagamento  del  canone  di  concessione
previsto dal contratto. 
    Com'e' noto, una legge d'interpretazione autentica non puo' dirsi
costituzionalmente illegittima qualora si limiti  ad  assegnare  alla
disposizione interpretata un  significato  gia'  in  essa  contenuto,
riconoscibile come una delle possibili letture del  testo  originario
(ex plurimis, sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 271 e n.
257 del 2011, n. 209 del 2010  e  n.  24  del  2009).  In  tal  caso,
infatti,  la  legge  interpretativa   ha   lo   scopo   di   chiarire
«situazion[i] di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione
di «un  dibattito  giurisprudenziale  irrisolto»  o  di  «ristabilire
un'interpretazione  piu'  aderente  alla  originaria   volonta'   del
legislatore» (cosi' la sentenza n. 311 del  2009),  «a  tutela  della
certezza del diritto  e  dell'eguaglianza  dei  cittadini,  cioe'  di
principi di preminente interesse costituzionale»  (e'  richiamata  la
sentenza n. 78 del 2012). Dunque, quando il legislatore assegna  alle
disposizioni interpretate un  significato  in  esse  gia'  contenuto,
riconoscibile come una delle loro possibili varianti di  senso,  cio'
influisce sul positivo apprezzamento, sia della ragionevolezza  della
norma d'interpretazione autentica, sia sulla non configurabilita'  di
una lesione dell'affidamento dei soggetti destinatari (si richiama la
sentenza n. 73 del 2017). 
    La   disposizione   censurata   non   solo   non    introdurrebbe
nell'ordinamento  una  nuova  previsione,  ma   neppure   inciderebbe
negativamente sul sinallagma del rapporto concessorio. 
    Non a caso, gia' prima della norma di interpretazione  autentica,
l'Autorita' per l'energia elettrica, il gas e  il  sistema  idrico  -
AEEGSI (oggi Autorita' di regolazione per energia reti e  ambiente  -
ARERA), nel comunicato del 19 maggio 2016 (Chiarimenti  in  relazione
alla sussistenza dell'obbligo di pagamento del canone per il servizio
di distribuzione del gas naturale da  parte  del  concessionario  del
servizio nel periodo di prosecuzione del servizio),  aveva  affermato
l'applicazione delle regole previgenti in relazione al  rapporto  tra
gestore e utenti nel periodo di prosecuzione. 
    3.3.2.- Per quanto concerne l'asserita  violazione  dell'art.  97
Cost., le censure  sarebbero  generiche  e  non  coinvolgerebbero  il
contenuto  della  norma  censurata,  ma  il  ritardo  della  pubblica
amministrazione nell'avvio delle nuove gare. 
    Dovrebbe altresi' considerarsi che il citato art.  14,  comma  7,
del d.lgs. n. 164 del 2000 prevede che,  qualora  l'ente  locale  non
provveda a indire una nuova gara, la  Regione,  anche  attraverso  la
nomina di un commissario ad acta, avvia la procedura di gara. Centria
srl non si sarebbe avvalsa di tale facolta', in maniera coerente,  si
sostiene, con il suo interesse a continuare la gestione del servizio. 
    4.- Con atto depositato il 24 settembre 2020 e'  intervenuto  nel
presente   giudizio    il    Comune    di    Urgnano,    argomentando
l'inammissibilita' o comunque la non fondatezza delle questioni. 
    4.1.-  In  punto  di  ammissibilita'  dell'intervento  il  Comune
sottolinea di aver stipulato con la  societa'  2i  rete  Gas  spa  un
contratto-convenzione  di  durata  trentennale,  su  cui  sono  sorti
contrasti interpretativi in merito  alle  obbligazioni  facenti  capo
alle parti a seguito della normativa introdotta con l'art. 14,  comma
7,  del  d.lgs.  n.  164  del  2000,  con   particolare   riferimento
all'obbligo  per  il  concessionario  di  corrispondere   il   canone
convenuto anche per il periodo successivo al 31 dicembre  2012,  data
da cui ha avuto  inizio  il  periodo  di  prorogatio  ex  lege  della
concessione. Su tale contenzioso si  sono  pronunciati  il  Tribunale
ordinario di Bergamo, con la sentenza 22 febbraio 2017, n. 452, e  la
Corte d'appello di Brescia, con la sentenza 28 aprile 2020,  n.  402,
confermando  la  sussistenza  dell'obbligo  di  pagare  il  canone  e
rigettando l'eccezione d'illegittimita' costituzionale  dell'art.  l,
comma 453, della legge n. 232 del 2016. Tale eccezione, nondimeno, e'
stata riproposta innanzi alla  Corte  di  cassazione,  ove  pende  il
giudizio. 
    Sussisterebbe, pertanto, un interesse  qualificato,  inerente  in
modo diretto e immediato il rapporto  dedotto  in  giudizio  tale  da
rendere  ammissibile  l'intervento,  potendo  l'ente  locale   essere
pregiudicato   da    un'eventuale    declaratoria    d'illegittimita'
costituzionale nell'ambito del giudizio radicatosi avanti la Corte di
cassazione. 
    5.- Con atto depositato il 5  ottobre  2020  e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate. 
    5.1.- In primo luogo, le questioni sarebbero inammissibili  sotto
un duplice profilo,  concernente  il  difetto  di  motivazione  sulla
rilevanza. 
    5.1.1.-  Nella  specie,  non  sarebbero  chiare  le  ragioni  che
renderebbero rilevanti le questioni nonostante il  giudizio  riguardi
un'obbligazione di fonte negoziale prevista dalle parti ben due  anni
prima dell'entrata in vigore della norma interpretativa. 
    Il generico riferimento a un  non  meglio  precisato  periodo  di
cinque anni di proroga negoziale non consentirebbe di  verificare  la
correttezza del suddetto ragionamento, perche' il Collegio  arbitrale
non indicherebbe ne' la data di decorrenza, ne'  quella  di  scadenza
della proroga negoziale del contratto,  ne'  infine  preciserebbe  il
periodo temporale oggetto della richiesta  di  pagamento  del  canone
avanzata dai Comuni. Tale elemento sarebbe essenziale ai  fini  della
rilevanza, perche'  il  giudizio  a  quo  riguarderebbe  l'azione  di
accertamento negativo di un credito, che sarebbe ammissibile sotto il
profilo dell'interesse ad agire solo nei limiti in cui  coincide  con
l'altrui rivendicazione del credito  oggetto  di  contestazione,  non
potendo tale azione essere proposta per uno scopo meramente  astratto
e preventivo. 
    Il fatto che la societa'  istante  abbia  chiesto  l'accertamento
negativo anche con riguardo al  tempo  successivo  al  periodo  della
proroga pattizia non basterebbe  per  affermare  la  rilevanza  delle
questioni, perche'  non  sarebbe  dato  sapere  se  tale  domanda  di
accertamento  corrisponda  a  una  rivendicazione  per  il   medesimo
periodo. 
    5.1.2.- Ulteriore profilo di inammissibilita' deriverebbe da  una
non corretta lettura della citata sentenza  n.  269  del  2017.  Ivi,
infatti, sarebbe stata affermata la  prevalenza  della  pregiudiziale
costituzionale su quella eurounitaria, delineandosi solo un'eccezione
ai principi consolidati a partire dalla sentenza  n.  170  del  1984,
nell'ipotesi in cui il contrasto della norma nazionale con il diritto
eurounitario si sostanzi nella lesione dei  diritti  garantiti  nella
CDFUE, che intersecano in larga  misura  i  diritti  enunciati  nella
Costituzione italiana, facendo cosi'  sorgere  la  necessita'  di  un
intervento erga omnes di questa Corte. 
    Nella fattispecie, il  rimettente  da  un  lato  non  spenderebbe
nessuna considerazione  in  merito  alla  violazione  di  un  diritto
previsto dalla CDFUE; dall'altro non  compirebbe  alcuna  delibazione
per valutare l'applicabilita'  della  norma  censurata  nel  giudizio
posto al suo  esame,  nonostante  la  parte  abbia  eccepito  la  sua
contrarieta' col diritto dell'Unione europea e ne  abbia  chiesto  la
disapplicazione. 
    Pertanto, ricorrerebbe la stessa situazione  che  ha  indotto  la
citata sentenza  n.  269  del  2017  a  dichiarare  inammissibili  le
questioni per difetto di motivazione sulla rilevanza. 
    5.2.- Le questioni sarebbero in ogni caso non fondate. 
    5.2.1.- L'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del  2000,  oggetto
d'interpretazione autentica, sarebbe formulato in modo  tale  da  non
consentire  la  protrazione  a  tempo  indeterminato   del   rapporto
concessorio, perche' non solo porrebbe una precisa cadenza  temporale
obbligatoria per l'avvio della procedura di gara,  ma  contemplerebbe
un'esecuzione  in  forma  specifica  di   tale   obbligo   attraverso
l'intervento della Regione, anche con la nomina di un commissario  ad
acta, per rimediare all'eventuale inerzia degli enti locali.  Qualora
il suddetto rimedio non dovesse andare a buon  fine,  il  gestore  in
prorogatio non  sarebbe  tenuto  a  continuare  a  pagare  il  canone
originario e  ben  potrebbe  ottenere  lo  scioglimento  dal  vincolo
contrattuale, oltre al risarcimento del danno subito  in  conseguenza
dell'inerzia della pubblica amministrazione nella  conclusione  della
nuova gara. 
    Si tratterebbe, quindi, di una  disposizione  che  non  solo  non
prevedrebbe  una  proroga  a  tempo   indeterminato   degli   impegni
contrattuali,  ma  neppure  la  consentirebbe,  sancendo  un  preciso
obbligo a carico degli enti locali di non procrastinare la prorogatio
sine  die  e  apprestando  un  rimedio  stringente   per   garantirne
l'adempimento. 
    Il giudice rimettente non avrebbe  tenuto  minimamente  conto  di
tale disciplina della successione nella  gestione  del  servizio,  la
quale  corrisponderebbe  a   una   scelta   legislativa   del   tutto
ragionevole, che si collocherebbe  in  un  punto  di  equilibrio  tra
l'interesse pubblico alla continuita' del servizio  di  distribuzione
del gas e l'interesse del gestore uscente a non subire  un'illimitata
prorogatio dei suoi obblighi contrattuali. 
    6.- Sono stati depositati ulteriori atti  d'intervento,  tuttavia
oltre  il  termine  previsto  dall'art.  4,  comma  4,  delle   Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale,  pari  a
venti  giorni  dalla  pubblicazione  dell'ordinanza  di   rimessione,
avvenuta nella Gazzetta Ufficiale del 9 settembre 2020, n. 37. 
    6.1.- In particolare, con atto depositato il 30 aprile 2021, sono
intervenuti in giudizio, ad opponendum, i Comuni di Inveruno  di  San
Giorgio su Legnano, di Bernate Ticino, di Cuggiono, di  Marcallo  con
Casone, di Busto Garolfo,  di  Peschiera  Borromeo  e  il  Comune  di
Nerviano. 
    6.2.- Con atti depositati rispettivamente il 18 e il  19  ottobre
2021, inoltre, sono intervenute in giudizio,  ad  adiuvandum,  l'IGAS
Imprese gas, l'Assogas - Associazione nazionale  industriali  privati
gas e servizi energetici, l'Utilitalia -  Federazione  delle  imprese
ambientali,  energetiche  ed  idriche,  la  societa'  Sei  -  Servizi
energetici integrati srl (gia' Tea Sei srl) e la societa' 2i rete GAS
spa. 
    7.- In prossimita' dell'udienza sono  state  depositate  numerose
memorie. 
    7.1.- In primo luogo, l'Avvocatura generale dello  Stato  insiste
sull'eccezione d'inammissibilita' per aberratio ictus, in  quanto  le
censure avrebbero dovuto essere rivolte contro la  norma  oggetto  di
interpretazione autentica (l'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164  del
2000) e non contro la norma  interpretativa  (l'art.  l,  comma  453,
della legge n. 232 del 2016). 
    7.1.1.- Nel merito, lo Stato  sottolinea  che,  come  piu'  volte
affermato da questa Corte (sono richiamate le  sentenze  n.  103  del
2013, n. 74 del 2008, n. 234 del 2007, n. 274 del 2006,  n.  282  del
2005, n. 374 e n. 29 del 2002, n. 525 del 2000, n. 229 del 1999 e  n.
397  del  1994),  sarebbe  sostanzialmente  sotto  il  profilo  della
ragionevolezza che bisognerebbe valutare l'idoneita' di una  norma  a
disciplinare anche situazioni pregresse. 
    L'obbligo di pagamento del canone di  concessione  da  parte  del
gestore  del  servizio  risponderebbe  proprio  a  un   criterio   di
ragionevolezza, che consisterebbe nel conservare,  anche  durante  il
periodo di proroga, il preesistente  rapporto  sinallagmatico  voluto
dalle parti, considerato che anche in tale periodo il gestore uscente
continuerebbe a percepire gli introiti  contrattualmente  previsti  e
quindi non vi sarebbe ragione di modificare i rapporti economici  tra
le parti a tutto vantaggio dell'impresa. 
    Ne'  ci  si  troverebbe  innanzi  a  una  proroga  potenzialmente
illimitata, in quanto la norma oggetto di  interpretazione  autentica
porrebbe una perentoria cadenza temporale per l'avvio della procedura
di gara, il cui rispetto sarebbe garantito da una sorta di esecuzione
in forma specifica di tale  obbligo,  attraverso  l'intervento  della
Regione, anche con la nomina di un commissario ad acta, per rimediare
all'eventuale inerzia degli enti locali. 
    Si  tratterebbe,  quindi,   di   una   scelta   legislativa   che
bilancerebbe in modo equilibrato e ragionevole  l'interesse  pubblico
alla continuita' di un servizio essenziale  per  la  collettivita'  e
l'interesse imprenditoriale del gestore uscente. 
    7.2.- In secondo luogo, il Comune di Urgnano  ha  depositato  una
memoria  ribadendo  la  propria  legittimazione  a  intervenire   nel
giudizio, nonche' le  ragioni  d'inammissibilita'  e  non  fondatezza
delle questioni. 
    7.3.- I Comuni di Montevarchi, di Cavriglia e di Figline e Incisa
Valdarno,  nelle  proprie  memorie,  ricostruiscono  in   modo   piu'
dettagliato il quadro normativo. 
    7.3.1.- Ai sensi dell'art. 46-bis, comma 2, del d.l. n.  159  del
2007, come convertito, le gare per l'affidamento del servizio  devono
avvenire per  ambiti  territoriali  minimi  (Atem),  individuati  dai
Ministri dello sviluppo economico e per gli  affari  regionali  e  le
autonomie locali, su proposta dell'AEEGSI  e  sentita  la  Conferenza
unificata. 
    Sono cosi' stati individuati dall'art. 1 del decreto del Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i  rapporti
con  le  Regioni  e  la  coesione  territoriale,  19   gennaio   2011
(Determinazione  degli  ambiti   territoriali   nel   settore   della
distribuzione del gas naturale) 177 Atem e l'art. 1 del  decreto  del
Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per  i
rapporti con le Regioni e la coesione territoriale, 18  ottobre  2011
(Determinazione dei Comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale
del settore della distribuzione  del  gas  naturale)  ha  inserito  i
Comuni di Montevarchi e di Cavriglia nell'Atem Arezzo e il Comune  di
Figline e Incisa Valdarno nell'Atem Firenze 2. 
    Il decreto del Ministro  dello  sviluppo  economico  12  novembre
2011, n. 226 (Regolamento per i criteri di gara e per la  valutazione
dell'offerta per l'affidamento del servizio della  distribuzione  del
gas naturale, in attuazione dell'articolo 46-bis del decreto-legge 1°
ottobre 2007, n. 159, convertito in legge, con  modificazioni,  dalla
legge 29 novembre  2007,  n.  222)  ha  poi  stabilito  le  modalita'
d'individuazione, per ciascun Atem, del  soggetto  incaricato,  quale
stazione appaltante, di predisporre gli atti di gara, compresa la sua
aggiudicazione, sulla base di criteri nuovi ed uniformi per  l'intero
territorio nazionale. 
    L'art. 24, comma 4, ultimo periodo, del  decreto  legislativo  1°
giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE
e  2008/92/CE  relative  a  norme  comuni  per  il  mercato   interno
dell'energia  elettrica,  del  gas  naturale  e  ad   una   procedura
comunitaria  sulla  trasparenza  dei  prezzi  al  consumatore  finale
industriale di gas e di energia elettrica, nonche' abrogazione  delle
direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE), inoltre, ha escluso la  selezione
del gestore a livello comunale, stabilendo che le gare possono essere
effettuate unicamente per ambiti territoriali. 
    I termini entro i quali gli Atem Arezzo  e  Firenze  2  avrebbero
dovuto pubblicare il bando di  gara  sono  stati  poi  prorogati  dal
legislatore, prima  dall'art.  l,  comma  16,  del  decreto-legge  23
dicembre  2013,  n.  145  (Interventi  urgenti  di  avvio  del  piano
"Destinazione Italia", per il contenimento delle tariffe elettriche e
del   gas,   per   l'internazionalizzazione,   lo   sviluppo   e   la
digitalizzazione delle imprese, nonche' misure per  la  realizzazione
di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con  modificazioni,  in
legge 21 febbraio 2014, n. 9, poi dall'art. 3  del  decreto-legge  30
dicembre 2015, n. 210 (Proroga di termini  previsti  da  disposizioni
legislative), convertito, con modificazioni,  in  legge  25  febbraio
2016, n. 21, e sono successivamente scaduti. 
    Con il comma 2  dell'art.  4  del  d.l.  n.  69  del  2013,  come
convertito, - modificato dall'art. 3, comma 2-ter,  lettera  a),  del
d.l. n. 210 del 2015, come convertito - il legislatore  ha  stabilito
che i termini fissati dal d.m. n. 226  del  2011  per  l'avvio  delle
procedure di gara hanno natura perentoria. Scaduti tali  termini,  la
Regione  competente  sull'ambito  assegna  ulteriori  sei  mesi   per
adempiere, decorsi i quali avvia la procedura di gara  attraverso  la
nomina di un commissario ad acta. Decorsi due mesi dalla scadenza  di
tale ultimo termine senza che la Regione competente  abbia  proceduto
alla nomina del commissario, il Ministro  dello  sviluppo  economico,
sentita la stessa  Regione,  interviene  per  dare  avvio  alla  gara
nominando un commissario ad acta. 
    A seguito di tale evoluzione del  quadro  normativo,  alcuni  dei
concessionari in regime di proroga ex lege  ai  sensi  dell'art.  14,
comma 7,  del  d.lgs.  n.  164  del  2000  hanno  avviato  iniziative
giudiziarie, pretendendo di essere liberati dall'obbligo di pagare il
canone previsto dai contratti scaduti. 
    Vista la non  uniformita'  della  giurisprudenza  sul  punto,  e'
intervenuto l'art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016, oggetto
di censura,  chiarendo  la  necessita'  di  corrispondere  il  canone
previsto dal contratto anche  nella  fase  di  transizione  al  nuovo
affidamento. 
    7.3.2.- Cio' premesso, la  memoria  ribadisce  l'inammissibilita'
delle questioni per difetto di  rilevanza,  poiche'  la  disposizione
censurata non inciderebbe sulla durata della proroga del rapporto  e,
pertanto,  se  anche  fosse  eliminata  dall'ordinamento,  rimarrebbe
vigente l'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 (tra le altre,
sono richiamate: Corte d'appello di  Brescia,  sentenza  n.  402  del
2020, e Corte d'appello di Milano, sezione prima, sentenza 18  giugno
2019, n. 2695). 
    Ulteriore   ragione    d'inammissibilita'    deriverebbe    dalla
insufficienza della motivazione  dell'ordinanza  di  rimessione,  non
venendo argomentate le conseguenze negative che la gestione  ex  lege
determinerebbe  sul  concessionario,  ne'  si  terrebbe  conto  della
disciplina dei rimedi a disposizione del gestore uscente per superare
l'inerzia   dell'amministrazione   nell'individuazione   del    nuovo
concessionario. 
    7.3.3.- Nel merito  le  questioni  sarebbero  in  ogni  caso  non
fondate. 
    7.3.3.1.- La  disposizione  censurata  avrebbe,  infatti,  natura
interpretativa secondo quanto  statuito  da  costante  giurisprudenza
costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 39 del  2021,  n.  108
del 2019, n. 73 del 2017 e n. 170 del 2008), confermando anche quelle
posizioni della giurisprudenza di  merito,  antecedenti  all'art.  l,
comma 453, della legge n. 232 del 2016, secondo cui l'art. 14,  comma
7, del d.l.gs. n. 164 del 2000 comporterebbe nella  fase  di  proroga
l'applicazione dell'intera disciplina contrattuale (tra le altre,  si
richiama Tribunale ordinario di Milano, sezione settima, sentenza  18
ottobre 2012). 
    Il regime  della  prosecuzione  del  rapporto  individuerebbe  un
ragionevole punto di equilibrio tra l'interesse della collettivita' a
evitare una soluzione di continuita' nella gestione di un  essenziale
servizio pubblico,  quale  quello  della  distribuzione  del  gas,  e
l'interesse del concessionario a non essere vincolato a un'illimitata
gestione del servizio, venendo assicurati allo stesso i rimedi contro
l'inerzia della pubblica amministrazione nel bandire le  gare  per  i
nuovi affidamenti. 
    La situazione di cui i concessionari  si  lamentano  non  sarebbe
conseguenza, quindi, di una sopravvenienza normativa,  ma  del  tempo
necessario agli Atem (e non al  singolo  Comune  concedente)  per  lo
svolgimento delle procedure di selezione del nuovo gestore. 
    Si tratterebbe, pertanto, al piu' di  un  mero  inconveniente  di
fatto. 
    7.3.3.2.- Ne' potrebbe dirsi che la  proroga  dell'attivita'  del
gestore,  poiche'  limitata  all'ordinaria   amministrazione   incida
sull'equilibrio contrattuale. 
    Le  eventuali  attivita'  di  estensione  della  rete,   infatti,
avrebbero potuto essere realizzate dal gestore solo in esecuzione  di
un piano d'intervento approvato dai  Comuni  interessati  ai  lavori;
l'asserita maggiore remunerazione del capitale a tal  fine  investito
sarebbe, dunque, una componente dei  ricavi  soltanto  eventuale;  si
tratterebbe  di  una  (indimostrata)  contrazione  dei  guadagni,  in
relazione ai quali Centria srl  non  avrebbe  potuto  maturare  alcun
legittimo   affidamento   in    considerazione    della    disciplina
contrattuale. 
    Pertanto, la societa' non cercherebbe di  evitare  un  danno,  ma
perseguirebbe lo scopo di rimanere in  una  situazione  di  vantaggio
(prosecuzione della  gestione  del  servizio),  lucrando  l'ulteriore
beneficio che le deriverebbe dalla liberazione dall'obbligo di pagare
il  canone  ovvero  dall'arbitraria  determinazione  di   un   canone
inferiore a quello contrattualmente stabilito dalle parti. 
    In tal modo, pero', non  si  avrebbe  una  proroga  del  rapporto
concessorio scaduto, ma un nuovo affidamento a condizioni diverse  da
quelle scaturite dalla gara  aggiudicata  nel  2002,  con  violazione
delle norme che impongono  l'affidamento  delle  concessioni  tramite
gara. 
    7.4.- Infine, anche la societa' Centria  srl  ha  depositato  una
memoria. 
    7.4.1.- In punto di rilevanza, la parte costituita  replica  alle
eccezioni    d'inammissibilita'     delle     questioni     sollevate
dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    7.4.1.1.-  In  primo  luogo,  con  riferimento  al   difetto   di
motivazione, la societa' ricorda  che,  per  pacifica  giurisprudenza
costituzionale, il riscontro dell'interesse ad agire  e  la  verifica
della legittimazione delle parti sarebbero rimessi  alla  valutazione
del giudice rimettente, non rientrando tra i poteri di  questa  Corte
sindacare la validita' dei presupposti di esistenza  del  giudizio  a
quo,   a   meno   che   questi   non   risultino   manifestamente   e
incontrovertibilmente carenti, essendo sufficiente che l'ordinanza di
rimessione  argomenti  non  implausibilmente   la   rilevanza   della
questione (sono richiamate le sentenze n. 224 del 2020, n. 126  e  n.
99 del 2018, n. 200 del 2014, n. 61 del 2012  e  n.  270  del  2010).
Inoltre, con riferimento alle domande  di  mero  accertamento,  «[i]l
fatto costitutivo  che  giustifica  l'interesse  ad  agire  e'  [...]
ragionevolmente  individuabile  nella  disciplina  legislativa   gia'
entrata in vigore», in quanto, a mente della pacifica  giurisprudenza
di legittimita', anche la rimozione di  una  incertezza  «rappresenta
[...] un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile
se non attraverso l'intervento  del  giudice»  (sentenza  n.  35  del
2017). 
    Come  chiarito  anche  dalla  giurisprudenza   della   Corte   di
cassazione, inoltre,  l'interesse  ad  agire  in  un'azione  di  mero
accertamento non  implicherebbe  necessariamente  l'attualita'  della
lesione di un diritto, essendo sufficiente uno  stato  di  incertezza
oggettiva che non sia superabile se non con l'intervento del  giudice
(sono richiamate le seguenti pronunce: sezioni unite civili, sentenza
7 luglio-18  settembre  2020,  n.  19597;  sezione  lavoro,  sentenza
11-marzo-31 luglio 2015, n. 16262; sezione prima civile,  sentenza  4
dicembre 2013-19 febbraio 2014,  n.  3885;  sezione  seconda  civile,
sentenza 14 novembre 2002, n. 16022). 
    Nel  caso  di  specie,  il  Collegio  arbitrale  avrebbe   inteso
distinguere espressamente il periodo coperto  dall'accordo  del  2014
dal periodo successivo, decorrente dal 1° ottobre 2019,  dunque  gia'
in corso al momento della rimessione delle questioni innanzi a questa
Corte; in tale  momento  gia'  sussisteva,  pertanto,  uno  stato  di
incertezza, configurabile comunque sin dalla proposizione dell'azione
nel giudizio a quo, a  conferma  dell'attualita'  della  lesione  del
diritto. 
    7.4.1.2.-  In   secondo   luogo,   in   relazione   all'eccezione
d'inammissibilita' per mancata considerazione in via preliminare  dei
profili  di  contrasto  con  il  diritto  eurounitario,  negli   atti
depositati da  Centria  srl  sarebbero  stati  sollevati  profili  di
contrasto  con  norme  di  diritto  comunitario  contenute,  sia  nei
trattati, sia nella CDFUE, ma il Collegio arbitrale avrebbe  ritenuto
di far riferimento, in via assorbente, agli artt. 3 e  97  Cost.,  in
particolare in relazione alla ragionevolezza e ai limiti delle  leggi
di interpretazione autentica (sono richiamate le sentenze n. 308  del
2013, n. 78 del 2012  e  n.  209  del  2010).  Limiti  che  sarebbero
espressione  di  valori  costituzionali   e   principi   fondamentali
(ragionevolezza, uguaglianza,  legittimo  affidamento,  certezza  del
diritto), in evidente sovrapposizione con la CDFUE. 
    7.4.2.- Nel merito Centria srl  ribadisce  le  ragioni  a  favore
dell'illegittimita' costituzionale  dell'art.  l,  comma  453,  della
legge n. 232 del 2016. 
    7.4.2.1.- Nel citato comunicato del 19 maggio 2016 l'AEEGSI (oggi
ARERA) avrebbe precisato  soltanto  che  nella  fase  transitoria  il
gestore del servizio di distribuzione non e' di per se' esonerato dal
dover corrispondere un canone,  pur  con  una  formulazione  testuale
infelice («il gestore uscente resta obbligato al pagamento del canone
di concessione previsto dal contratto»), che sembrerebbe far  pensare
a una automatica e vincolante proroga del medesimo canone  anche  per
tutta la fase transitoria. 
    Una tale lettura sarebbe  pero'  costituzionalmente  illegittima,
poiche' esisterebbe un  criterio-limite  per  la  determinazione  del
canone che i Comuni possono esigere dal gestore e,  quindi,  porre  a
base  di  gara.  Ogni   superamento   di   questo   limite   potrebbe
giustificarsi unicamente in virtu'  di  una  offerta  volontaria  del
gestore stesso. 
    L'Autorita' di settore  avrebbe  esplicitato  detto  limite  gia'
nell'ambito dei chiarimenti resi in sede giudiziale in data 31 luglio
2003 (i cui contenuti sarebbe poi stati recepiti dal d.m. n. 226  del
2011), in riferimento al sistema tariffario allora vigente, il quale,
peraltro in modo sostanzialmente analogo a quello attuale,  riservava
una componente della tariffa (allora denominata "CGD") alla copertura
dei costi operativi (gestione ordinaria)  e  una  (denominata  "CCD")
alla copertura dei  costi  di  capitale  (investimenti).  L'Autorita'
avrebbe precisato, anzitutto, che la componente  CGD  dovesse  essere
necessariamente riconosciuta al soggetto che svolgeva tale  servizio,
mentre la componente CCD si divideva in due  voci:  una  destinata  a
finanziare le opere di manutenzione straordinaria dell'impianto (voce
"s"), l'altra destinata a  remunerare  il  capitale  investito  (voce
"rd"); qualora l'impianto fosse di proprieta'  dell'ente  locale,  il
canone non poteva comunque intaccare la  componente  "s"  del  "CCD",
pari mediamente al 30-35 per  cento  e,  quindi,  poteva  giungere  a
coprire sino al 65-70 per cento del medesimo "CCD" (sempre e solo nel
caso del Comune proprietario dell'impianto). 
    Il  contratto-tipo  approvato  con  il  d.m.  5   febbraio   2013
recepirebbe in toto tale approccio. Esso (art. 5, comma 5.5),  non  a
caso,  per   la   fase   di   gestione   successiva   alla   scadenza
dell'affidamento,  sino  alla  decorrenza  del   nuovo   affidamento,
escluderebbe l'applicazione di tutti  gli  articoli  che  recepiscano
condizioni volontariamente offerte o accettate dal  concessionario  e
non derivino da obblighi legislativi o regolatori, in particolare del
successivo art. 28, ove si prevede il corrispettivo offerto a  favore
dell'ente locale. Il gestore sarebbe invece  tenuto  a  continuare  a
retrocedere all'ente solo la remunerazione  tariffaria  del  capitale
investito dall'ente  stesso  per  la  realizzazione  della  parte  di
impianto  di  sua  proprieta',  ossia  il  corrispettivo  dovuto  per
l'utilizzo della rete o porzione di rete di proprieta'  dello  stesso
ente locale (di cui all'art. 27 del medesimo contratto-tipo). 
    Orbene, il canone offerto da  Centria  srl  per  la  sola  durata
pattizia del rapporto concessorio  supererebbe  nettamente  la  quota
della tariffa che il Comune  potrebbe  esigere,  in  assenza  di  una
espressa volonta' negoziale del concessionario, assorbendo  circa  il
94 per cento dell'intero  ricavo  tariffario  di  localita'.  Se,  in
costanza del periodo contrattuale,  un  tale  canone  avrebbe  potuto
trovare giustificazione nell'offerta volontariamente formulata  dalla
concessionaria, analoga giustificazione non potrebbe  permanere  dopo
la  scadenza,  se  non  accettando  una  manifesta  alterazione   del
sinallagma contrattuale. 
    Inoltre, il pregiudizio per il gestore  sarebbe  aggravato  dalla
limitazione della gestione,  nella  fase  transitoria,  all'ordinaria
amministrazione,  con  l'esclusione  degli   investimenti   e   della
correlata  remunerazione,  il   che   determinerebbe   l'ineluttabile
continua diminuzione del ricavo tariffario di localita'. 
    7.4.2.2.- Il vulnus al sinallagma contrattuale  non  sarebbe  poi
risolvibile dagli istituti previsti dall'ordinamento per tali casi. 
    La proroga legale del contratto, infatti, su un  piano  puramente
astratto renderebbe applicabili gli istituti in materia di  contratti
pubblici previsti gia' dall'art. 19,  comma  2-bis,  della  legge  11
febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di  lavori  pubblici),
poi dall'art. 143, comma 8, del decreto legislativo 12  aprile  2006,
n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a  lavori,  servizi  e
forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE  e  2004/18/CE)  e
infine dall'art. 165, comma 6,  del  decreto  legislativo  18  aprile
2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici). 
    Ai  sensi  di  tali   disposizioni   la   tutela   sinallagmatica
scatterebbe quando si  siano  verificati,  nel  corso  del  rapporto,
sopravvenienze non imputabili al concessionario, tali  da  modificare
l'equilibrio del piano economicofinanziario  posto  alla  base  della
concessione; in presenza di  questi  presupposti,  il  concessionario
puo' richiedere la  revisione  del  piano  e,  in  mancanza  di  tale
revisione, ha il diritto di recedere dal contratto. 
    Nel caso di specie, pero', il principale  fattore  di  squilibrio
non sarebbe costituito da modifiche in peius (di fatto o di  diritto)
intervenute nel corso del rapporto, bensi' dall'obbligo di pagare  un
canone di entita' decisamente superiore  rispetto  allo  standard  di
congruita' definito in sede regolatoria, ben oltre  la  scadenza  del
suo impegno negoziale e senza limiti di tempo definiti ex  ante.  Tra
l'altro, tale forma di tutela, ove le parti non  trovino  un  accordo
sulla revisione delle condizioni del rapporto, si risolve nel diritto
di recesso del concessionario;  recesso  che  non  potrebbe  comunque
intervenire, in quanto l'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000
impone al  distributore  uscente  di  garantire  la  continuita'  del
pubblico servizio sino al subentro del nuovo concessionario d'ambito. 
    Discorso  analogo  potrebbe   farsi   per   l'istituto   generale
dell'eccessiva  onerosita'  sopravvenuta  ex  art.  1467  del  codice
civile. Anche qui la norma codicistica appresterebbe tutela a  fronte
di sopravvenienze verificabili nel corso del  rapporto  contrattuale,
non gia'  rispetto  alla  scelta  legale  di  dilatare  senza  limiti
definiti la durata di tale rapporto. 
    Qualora, invece, si ritenesse che la  proroga  riguardi  la  sola
gestione ope legis, le conseguenze potrebbero essere le medesime,  se
la formulazione della disposizione impugnata fosse intesa  nel  senso
di escludere una riconduzione del canone  nei  limiti  di  congruita'
posti dalla regolazione, laddove non vi  sia  un  impegno  volontario
dell'operatore economico ad erogare importi superiori. 
    Tali  conseguenze  sarebbero  superabili  solo  dando  una   piu'
ragionevole interpretazione del disposto  normativo,  in  conformita'
anche alla giurisprudenza della Corte di  cassazione  sulla  clausola
generale di correttezza e buona fede (sono richiamate: sezione  terza
civile, sentenza 30 settembre-10 novembre  2010,  n.  22819;  sezione
prima civile, sentenza 16 dicembre 2008-22  gennaio  2009,  n.  1618;
sezioni unite civili, sentenza 11-25 novembre 2008, n. 28056; sezione
prima civile, sentenza 20 giugno-6 agosto  2008,  n.  21250;  sezione
prima civile, sentenza 11 luglio-27 ottobre 2006, n. 23273). 
    7.4.2.3.- Nella giurisprudenza di merito sarebbero riscontrabili,
sul punto, tre posizioni. 
    In primo luogo, quella espressa dall'ordinanza di rimessione che,
interpretando  la  norma  nel   senso   della   proroga   cogente   e
incondizionata, per un tempo indeterminabile ex ante, dell'obbligo di
pagamento del canone previsto nel contratto scaduto, conclude per  la
sua illegittimita' costituzionale. 
    In secondo luogo, l'indirizzo che esclude l'ipotesi della proroga
ex lege del contratto di concessione e, in  particolare,  afferma  il
diritto del concessionario alla  determinazione  di  un  canone  equo
secondo i principi generali e le norme di  settore  (si  richiama  la
pronuncia del Tribunale ordinario di  Lucca,  sentenza  n.  1374  del
2019). 
    Da  ultimo,  il  filone  giurisprudenziale  formatasi  in  misura
crescente dopo  l'entrata  in  vigore  della  disposizione  censurata
(richiamato dalle altre parti costituite), che riconosce  la  proroga
ex  lege  del  contratto  di  concessione.  Filone  che   sembrerebbe
limitarsi  a  prendere  in  esame  l'alternativa   tra   l'estinzione
dell'obbligo di pagamento del canone durante la  fase  transitoria  e
l'invarianza pura e semplice del  canone  contrattuale  durante  tale
fase, scegliendo la  seconda  alternativa.  Interpretazione  che  non
potrebbe superare il sindacato di ragionevolezza  ex  art.  3,  primo
comma, Cost., come correttamente affermato dal giudice a quo. 
    7.4.2.4.- Infine, la difesa di Centria srl aggiunge che  la  mera
possibilita' per il gestore uscente di sollecitare l'indizione  della
gara,  chiedendo  anche  l'attivazione  dell'intervento   sostitutivo
regionale, con la nomina di un commissario ad acta, non costituirebbe
affatto un rimedio idoneo a tutelare effettivamente la sua  posizione
giuridica  e  a  evitare  la  violazione  degli   evocati   parametri
costituzionali. 
    L'ente competente a indire la gara, infatti,  sarebbe  tenuto  ad
attivarsi d'ufficio, cosi' come le autorita' investite  ex  lege  dei
poteri d'intervento sostitutivo. La colpevole inerzia della  pubblica
amministrazione, anzi, farebbe persino venire meno i presupposti  per
l'applicazione della proroga tecnica, posto che una delle  condizioni
di ammissibilita' della stessa sarebbe che il ritardo  nell'indizione
della gara non  sia  imputabile  alla  pubblica  amministrazione,  ma
dipenda  da  ragioni  oggettive   (sul   punto   e'   richiamata   la
deliberazione dell'ANAC 28 luglio 2021, n. 591). 
    In ogni caso, anche ove  fossero  attivati  i  ricordati  rimedi,
permarrebbe per il gestore l'obbligo di continuare  ad  applicare  le
gravose condizioni economiche previste dal contratto scaduto  per  un
tempo comunque incerto, la cui durata resterebbe al  di  fuori  dalla
sua sfera di controllo e, soprattutto, in presenza di una  situazione
che   in   alcun   modo   deriverebbe   da   proprie   negligenze   o
dall'inadempimento dei propri obblighi (contrattuali e normativi). 
    Nel caso specifico, come gia'  evidenziato  in  atti,  il  canone
preteso  dai  Comuni  in  forza   del   contratto   scaduto   sarebbe
significativamente superiore al canone massimo ottenibile  post  gara
ai sensi  del  contratto-tipo,  costituito  dalla  remunerazione  del
capitale  investito  dall'ente  concedente  per  l'impianto  di   sua
proprieta', a cui si potrebbe aggiungere, al massimo, se  l'operatore
economico lo offre in gara, un ulteriore corrispettivo non  superiore
al 10 per cento delle componenti  tariffarie  relative  ai  costi  di
capitale, ferma restando l'intangibilita' delle componenti tariffarie
destinate a coprire i costi operativi per la gestione ordinaria. 
    La norma in questione, in tal modo,  incentiverebbe  i  Comuni  a
ritardare  le  gare,  contraddicendo  anche  il  principio  di   buon
andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il   Collegio   arbitrale   presso   la   Camera   arbitrale
dell'Autorita'  nazionale  anticorruzione   (ANAC),   con   ordinanza
iscritta al n. 105 del registro  ordinanze  2020,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  97  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 453,  della  legge  11
dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019). 
    2.-  La  disposizione  censurata,  concernente   l'attivita'   di
distribuzione del gas naturale, prevede che «[l]'articolo  14,  comma
7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, si interpreta  nel
senso che il gestore uscente resta obbligato al pagamento del  canone
di  concessione  previsto  dal  contratto.   Le   risorse   derivanti
dall'applicazione   della   presente   disposizione   concorrono   al
raggiungimento degli obiettivi di finanza  pubblica  da  parte  degli
enti locali». 
    L'art. 14, comma 7, del decreto legislativo 23  maggio  2000,  n.
164 (Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per  il
mercato interno del gas naturale,  a  norma  dell'articolo  41  della
legge 17 maggio 1999, n. 144), oggetto  d'interpretazione  autentica,
prevede a sua volta che «[g]li enti locali avviano  la  procedura  di
gara non oltre un anno prima della scadenza dell'affidamento, in modo
da evitare soluzioni di continuita' nella gestione del  servizio.  Il
gestore uscente resta comunque obbligato a proseguire la gestione del
servizio, limitatamente all'ordinaria amministrazione, fino alla data
di decorrenza del nuovo affidamento. Ove l'ente locale  non  provveda
entro il termine indicato, la regione, anche attraverso la nomina  di
un commissario ad acta, avvia la procedura di gara». 
    2.1.- Secondo il rimettente la disposizione censurata  violerebbe
l'art. 3 Cost., in relazione  ai  principi  di  ragionevolezza  e  di
certezza del  diritto,  nonche'  di  legittimo  affidamento,  poiche'
introdurrebbe una proroga sine die per lo svolgimento del servizio di
distribuzione  del  gas  naturale,   non   prevedibile   dall'impresa
affidataria, nelle more di una nuova gara per il suo affidamento, con
un'estensione potenzialmente illimitata delle  condizioni  originarie
previste dal contratto-concessione. 
    2.2.- Altresi' violato sarebbe l'art. 97 Cost., in riferimento al
principio di buon andamento dell'amministrazione,  poiche'  l'inerzia
della  pubblica  amministrazione,  o  comunque   i   ritardi   e   le
inadempienze, nel bandire la gara per l'affidamento del servizio, non
dovrebbero essere «scaricati»  sull'imprenditore  aggiudicatario  del
servizio in una epoca diversa e con condizioni diverse, ne' tantomeno
sugli operatori economici che  attendono  l'indizione  di  una  nuova
procedura di gara per l'affidamento del servizio. 
    3.- In primis deve essere confermata l'ordinanza  dibattimentale,
allegata  alla  presente  sentenza,  con  cui  e'  stato   dichiarato
inammissibile l'intervento del Comune di Urgnano. 
    4.- Altresi' inammissibili, in quanto tardivi ex art.  4,  comma,
delle Norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale
(tra le piu' recenti, sentenze n. 78  del  2019  e  n.  99  del  2018
l'ordinanza n. 24 del  2021),  sono  gli  interventi  dei  Comuni  di
Inveruno, di San Giorgio su Legnano, di Bernate Ticino, di  Cuggiono,
di Marcallo con Casone, di Busto Garolfo, di Peschiera Borromeo e del
Comune  di  Nerviano,   dell'IGAS   Imprese   gas,   dell'Assogas   -
Associazione nazionale industriali privati gas e servizi  energetici,
dell'Utilitalia - Federazione delle imprese  ambientali,  energetiche
ed idriche, della societa' Sei -  Servizi  energetici  integrati  srl
(gia' Tea Sei srl) e della societa' 2i rete GAS spa. 
    5.- In via  preliminare  debbono  essere  esaminate  le  numerose
eccezioni d'inammissibilita' delle questioni proposte. 
    5.1.- In primo luogo, i Comuni costituiti eccepiscono il  difetto
di rilevanza delle questioni, poiche'  nel  giudizio  a  quo  non  si
discuterebbe dell'obbligo di Centria srl di  continuare  la  gestione
del servizio dopo  la  scadenza  della  concessione,  non  avendo  il
concessionario   contestato   tale   obbligo,   bensi'   quello    di
corrispondere  il  canone  previsto  nel  contratto;  inoltre,   come
eccepito anche dall'Avvocatura generale dello Stato, sarebbe inesatta
l'individuazione  della  norma  censurata,  in  quanto  le  doglianze
avrebbero  dovuto  essere  rivolte  contro  la   norma   oggetto   di
interpretazione autentica (l'art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164  del
2000) e non (o perlomeno non soltanto) contro la norma interpretativa
(l'art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016). 
    5.1.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    Dall'ordinanza di rimessione, infatti,  risulta  sufficientemente
chiaro che l'asserita lesione dei parametri costituzionali evocati e'
imputata alla previsione della corresponsione del canone contrattuale
anche dopo la  scadenza  del  contratto.  Sarebbe  cio',  secondo  il
rimettente, a rendere la  gestione  ope  legis  una  vera  e  propria
proroga a tempo indeterminato, lesiva dell'equilibrio contrattuale  e
del legittimo  affidamento  del  concessionario,  che  si  troverebbe
costretto a corrispondere  un  canone  sulla  base  di  un  contratto
scaduto e per un periodo potenzialmente illimitato. 
    5.2.- In secondo luogo, sempre in relazione  alla  rilevanza,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  eccepisce  il  difetto   di
motivazione, poiche' l'azione sarebbe stata proposta da  Centria  srl
non per contestare la proroga illimitata  del  rapporto  concessorio,
bensi' l'accertamento del diritto a non corrispondere il canone  o  a
corrispondere un  canone  rideterminato  per  le  annualita'  coperte
dall'accordo quinquennale del 14 novembre 2014. 
    5.2.1.- L'eccezione non e' fondata, tenuto conto anche dei limiti
del sindacato di questa Corte  sull'ordinanza  di  rimessione  e  sui
presupposti del giudizio a quo (tra le tante, si vedano  le  sentenze
n. 224 del 2020, n. 126 e n. 99 del 2018, n. 35 del 2017 e n. 270 del
2010), 
    Sebbene l'ordinanza di rimessione risulti piuttosto succinta  sul
punto, infatti,  essa  da'  conto  della  richiesta  di  accertamento
effettuata  dalla  societa'  Centria  srl  del  suo  diritto  a   non
corrispondere il canone per tutta la durata del periodo  transitorio,
sino al  nuovo  affidamento,  prescindendo  dunque  dalle  annualita'
oggetto di contestazione. 
    5.3.- Secondo i Comuni  costituiti  le  questioni  sarebbero  poi
inammissibili per difetto di  motivazione,  poiche'  l'ordinanza  non
conterrebbe alcun  concreto  riferimento  alle  asserite  conseguenze
negative che la societa' concessionaria dovrebbe sopportare in virtu'
della proroga ex lege e mancherebbe qualsiasi valutazione  in  ordine
alla convenienza per la stessa a continuare la gestione  alle  stesse
condizioni. 
    5.3.1.-  Seppure  anche  sotto  tale  profilo   l'ordinanza   sia
piuttosto sintetica, essa non puo' ritenersi priva di una adeguata  e
autonoma illustrazione  delle  ragioni  per  le  quali  la  normativa
censurata integrerebbe una violazione  del  parametro  costituzionale
evocato (ex plurimis, si vedano le sentenze n. 240 del 2017,  n.  219
del 2016, n. 120 del 2015 e n. 236 del 2011). 
    Il Collegio rimettente, infatti, argomenta la  modificazione  del
sinallagma contrattuale  dovuto  alla  proroga,  asserita  sine  die,
sottolineando  come  la  protrazione   degli   impegni   contrattuali
confligga con la valutazione che la societa' avrebbe potuto  fare  al
momento della  sottoscrizione  del  contratto.  Inoltre,  sarebbe  la
stessa limitazione del servizio all'ordinaria amministrazione  a  far
presumere un minor vantaggio economico per il concessionario. 
    Da qui la non fondatezza dell'eccezione. 
    5.4.-   Un   ulteriore   profilo   d'inammissibilita',   eccepito
dall'Avvocatura generale dello Stato, deriverebbe dal  mancato  esame
da parte del rimettente delle eccezioni di Centria  srl  relative  al
contrasto della disposizione censurata  con  il  diritto  dell'Unione
europea. 
    5.4.1.- Pur nella laconicita' della motivazione dell'ordinanza di
rimessione sul punto, l'eccezione deve essere rigettata. 
    La societa' concessionaria, in effetti, ha eccepito nel  giudizio
a quo il contrasto della disposizione impugnata con le norme poste  a
tutela  della  liberta'  d'impresa  dal  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del  Trattato
di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato  dalla  legge  2  agosto
2008, n. 130  (artt.  49,  56  e  106)  e  dalla  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (artt. 16 e
17), oltre che dagli artt. 41 e 42  Cost.,  nonche'  la  lesione  dei
principi  di  certezza  del  diritto  e  di  tutela   del   legittimo
affidamento, garantiti, sia dal diritto europeo - in  particolare  in
virtu' dell'art. 6 del Trattato sull'Unione europea (TUE), firmato  a
Lisbona il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre  2009
- sia dagli artt. 3 e 41 Cost. 
    Il Collegio arbitrale, nondimeno,  ha  ritenuto  di  prendere  in
considerazione solo la questione relativa alla violazione dei  limiti
costituzionali  alla  retroattivita'  della  legge  (oltre  che   del
principio di buon andamento  dell'amministrazione);  ed  e'  solo  in
relazione a tali limiti, sebbene essi si incontrino anche nel diritto
europeo, che e' richiesta una pronuncia di questa Corte. 
    5.5.-  Senz'altro  inammissibili,  invece,  sono   le   questioni
sollevate da Centria srl in riferimento agli artt. 41,  primo  comma,
42 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 16
e 17 CDFUE, all'art. 6 TUE e agli artt. 49, 56 e 106 TFUE. 
    5.5.1.-  Com'e'  noto,  infatti,  l'oggetto   del   giudizio   di
legittimita' costituzionale  in  via  incidentale  e'  limitato  alle
disposizioni e ai parametri indicati  nell'ordinanza  di  rimessione,
con esclusione della possibilita' di  ampliare  il  thema  decidendum
proposto dal rimettente, fino a  ricomprendervi  questioni  formulate
dalle parti, che tuttavia egli non abbia ritenuto di fare proprie (ex
plurimis, sentenze n. 49 del 2021, n. 27 del 2019, n. 14 del 2018, n.
29 del 2017 e n. 96 del 2016). 
    6.- Cio' premesso, una non superabile ragione  d'inammissibilita'
delle questioni sollevate dal Collegio arbitrale  rimettente  emerge,
invece, da una piu' completa ricostruzione del quadro normativo,  che
risulta assai piu' articolato di quanto prospettato dall'ordinanza di
rimessione. 
    6.1.- Il censurato art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016
interviene in materia di affidamento dell'attivita' di  distribuzione
di gas naturale, oggetto di numerosi  interventi  normativi,  che  si
sono succeduti nel tempo in modo  non  sempre  ordinato  e  con  vari
ritardi nell'attuazione dei processi di riforma; ritardi che motivano
almeno  in  parte  le  doglianze  alla  base   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale oggetto d'esame. 
    6.1.1.-  L'art.  14  del  d.lgs.  n.  164  del   2000   definisce
l'attivita' di distribuzione  di  gas  naturale  quale  attivita'  di
servizio  pubblico,  stabilendo  che  il  servizio   venga   affidato
esclusivamente mediante  gara  dagli  enti  locali,  anche  in  forma
aggregata, per periodi non superiori a dodici anni  (comma  1).  Tali
gare devono  essere  avviate  entro  un  anno  prima  della  scadenza
dell'affidamento e nelle more il gestore uscente  resta  obbligato  a
proseguire la  gestione  del  servizio,  limitatamente  all'ordinaria
amministrazione. Ove l'ente locale  non  provveda  entro  il  termine
indicato, la Regione, anche attraverso la nomina di un commissario ad
acta, avvia la relativa procedura (comma 7). 
    L'intervento legislativo ha  lo  scopo  di  superare  il  sistema
all'epoca   vigente,   spesso   basato   sull'affidamento    diretto,
introducendo un meccanismo di affidamento mediante  gara  e  fissando
altresi' termini precisi per la cessazione delle concessioni gia'  in
corso (art. 15), che sono stati oggetto di successive proroghe. 
    Sulla materia e' poi intervenuto  l'art.  46-bis,  comma  2,  del
decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in  materia
economico-finanziaria,  per  lo  sviluppo   e   l'equita'   sociale),
convertito, con modificazioni, in legge 29 novembre 2007, n. 222, ove
si e' previsto che  le  suddette  gare  vengano  bandite  per  ambiti
territoriali minimi (Atem), con l'identificazione di bacini  ottimali
di utenza, individuati dai Ministri dello sviluppo  economico  e  per
gli  affari  regionali   e   le   autonomie   locali,   su   proposta
dell'Autorita'  per  l'energia  elettrica  e  il  gas  e  sentita  la
Conferenza unificata. 
    Si e'  passati,  pertanto,  a  un  sistema  di  gare  per  ambiti
territoriali,  mediante   l'individuazione   di   apposite   stazioni
appaltanti da parte dei Comuni. Tale regime, inizialmente concorrente
con quello previgente, e' poi divenuto  il  regime  obbligatorio  per
l'affidamento del servizio in  virtu'  dell'art.  24,  comma  4,  del
decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive
2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme  comuni  per  il
mercato interno dell'energia elettrica, del gas  naturale  e  ad  una
procedura comunitaria sulla trasparenza  dei  prezzi  al  consumatore
finale industriale di gas e di energia elettrica, nonche' abrogazione
delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE). 
    La riforma non ha  avuto  immediata  attuazione,  in  particolare
perche' non sono stati  tempestivamente  individuati  gli  Atem,  con
conseguente stallo delle procedure di gara. 
    Successivamente, l'art. 1 del decreto del Ministro dello sviluppo
economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le  Regioni
e la coesione territoriale, 19  gennaio  2011  (Determinazione  degli
ambiti territoriali nel settore della distribuzione del gas naturale)
ha individuato 177  Atem.  In  seguito,  l'art.  1  del  decreto  del
Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per  i
rapporti con le Regioni e la coesione territoriale, 18  ottobre  2011
(Determinazione dei Comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale
del settore della distribuzione  del  gas  naturale)  ha  definito  i
confini  degli  ambiti  (inserendo  i  Comuni  di  Montevarchi  e  di
Cavriglia nell'Atem Arezzo e il Comune di Figline e  Incisa  Valdarno
nell'Atem Firenze 2 - Provincia). Ancora,  il  decreto  del  Ministro
dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i  rapporti
con le Regioni e la coesione territoriale, 12 novembre 2011,  n.  226
(Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione  dell'offerta
per l'affidamento del servizio della distribuzione del gas  naturale,
in attuazione dell'articolo 46-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007,
n. 159, convertito  in  legge,  con  modificazioni,  dalla  legge  29
novembre 2007,  n.  222),  all'art.  3,  ha  fissato  i  termini  per
l'individuazione della stazione appaltante da parte degli enti locali
concedenti, nonche' per  la  pubblicazione  del  bando  di  gara,  in
mancanza del quale si attiva il  gia'  ricordato  potere  sostitutivo
regionale. Infine, il decreto del Ministro dello sviluppo economico 5
febbraio 2013 (Approvazione dello schema di contratto  tipo  relativo
all'attivita' di distribuzione  del  gas  naturale)  ha  adottato  lo
schema  di  contratto-tipo  per  l'affidamento   del   servizio,   in
attuazione del citato d.m. n. 226 del 2011. 
    Nondimeno, i termini per avviare le gare sono  stati  oggetto  di
numerose proroghe, a partire dal decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69
(Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia), convertito, con
modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, che all'art. 4, commi 2
e 4, ha chiarito la natura perentoria dei termini di cui al  d.m.  n.
226 del 2011  e  aveva  previsto  una  nuova  disciplina  del  potere
sostitutivo ex art. 14, comma 7, del  d.lgs.  n.  164  del  2000.  In
particolare, si era previsto che, decorsi quattro mesi dalla scadenza
dei suddetti termini, in  caso  d'inerzia  anche  della  Regione,  il
Ministero  dello  sviluppo  economico,  sentita  la  stessa  Regione,
interviene per dare avvio alla gara nominando un commissario ad acta.
All'art. 4, comma 5, si era introdotto anche un regime  sanzionatorio
per gli enti locali, nei casi di  mancato  rispetto  da  parte  degli
stessi  dei  termini  per  la  scelta  della   stazione   appaltante,
disponendo che il 20 per cento degli oneri di cui all'art.  8,  comma
4, del d.m. n. 226 del 2011, corrisposti annualmente dal gestore come
quota parte  della  remunerazione  del  capitale  fosse  versato  dal
concessionario subentrante, con  modalita'  stabilite  dall'Autorita'
per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico  -  AEEGSI  (oggi
Autorita' di regolazione per energia reti e ambiente - ARERA), in uno
specifico  capitolo  della  cassa  per  i   servizi   energetici   ed
ambientali, destinato alla riduzione delle tariffe  di  distribuzione
dell'ambito corrispondente. 
    Il decreto del Ministro dello sviluppo economico 20 maggio  2015,
n. 106 (Regolamento recante modifica al decreto 12 novembre 2011,  n.
226, concernente i criteri di gara per l'affidamento del servizio  di
distribuzione del gas naturale) ha quindi modificato il d.m.  n.  226
del 2011, al fine di allinearlo al ricordato intervento legislativo. 
    L'art. 3, comma 2-ter, lettera a), del decreto-legge 30  dicembre
2015,  n.  210  (Proroga  di   termini   previsti   da   disposizioni
legislative), convertito, con modificazioni,  in  legge  25  febbraio
2016, n. 21 - che ha sostituito l'art. 4, comma 2,  secondo  periodo,
del d.l. n. 69 del 2013, come convertito - ha ulteriormente prorogato
i termini per l'avvio delle  gare,  ha  eliminato  il  citato  regime
sanzionatorio e ha modificato nuovamente  la  disciplina  del  potere
sostitutivo. Pertanto, scaduti i termini previsti dal d.m. n. 226 del
2011 (come prorogati),  la  Regione  competente  sull'ambito  assegna
ulteriori sei mesi per adempiere, decorsi i quali avvia la  procedura
di gara attraverso la nomina di un commissario ad acta.  Decorsi  due
mesi dalla scadenza di tale termine senza che la  Regione  competente
abbia proceduto alla  nomina  del  commissario,  il  Ministero  dello
sviluppo economico, sentita la Regione,  interviene  per  dare  avvio
alla gara nominando un commissario ad acta. 
    Successivi provvedimenti legislativi,  infine,  hanno  nuovamente
prorogato i termini per l'effettuazione delle gare. 
    6.1.2.- Risulta evidente che tale progressivo differimento  delle
gare ha portato, di fatto, a una dilatazione della fase  di  gestione
ope legis del servizio, facendo emergere  i  problemi  connessi  alla
regolamentazione  di  tale  fase,  da  cui  il   contenzioso   legato
all'obbligo di corresponsione del canone originario. 
    Anche per tali ragioni l'AEEGSI, con il comunicato del 19  maggio
2016 (Chiarimenti  in  relazione  alla  sussistenza  dell'obbligo  di
pagamento del  canone  per  il  servizio  di  distribuzione  del  gas
naturale da parte del concessionario  del  servizio  nel  periodo  di
prosecuzione del servizio), ha precisato come il  silenzio  dell'art.
14, comma 7, del d.lgs. n. 164  del  2000  in  punto  di  canone  per
l'affidamento non sia di per se' sufficiente a escludere l'obbligo di
pagamento dello stesso. Mentre, in assenza di previsioni specifiche o
contrarie,  la  gestione  del  servizio  deve  continuare  a   essere
disciplinata come in precedenza  e,  quindi,  secondo  le  previsioni
della concessione scaduta. Cio' anche in base  alla  facolta'  per  i
Comuni di aumentare il canone sino al 10 per cento nelle  more  delle
nuove gare, di cui all'art. 46-bis, comma 4,  del  d.l.  n.  159  del
2007, come  convertito;  la  possibilita'  d'intervenire  sul  canone
concessorio, infatti, confermerebbe la necessita' di corrispondere lo
stesso anche nel periodo di prosecuzione del rapporto  ex  lege,  non
escluso dall'ambito di applicazione del citato comma 4. 
    La censurata disposizione interpretativa di cui all'art. 1, comma
453, della legge n. 232 del 2016, in tal senso,  si  e'  allineata  a
siffatto parere, precisando che nella  fase  di  gestione  ope  legis
resta dovuto il canone di concessione previsto dal contratto. 
    6.2.-  Da  tale  ricostruzione  emerge   senz'altro   un'anomalia
nell'effettuazione delle  gare  per  l'affidamento  del  servizio  di
distribuzione del gas, con un percorso di riforma ancora non  attuato
a piu' di quindici anni  dalla  sua  entrata  in  vigore  e  a  dieci
dall'adozione dei provvedimenti attuativi. Anomalia che  l'ARERA  non
ha  mancato  di  segnalare,  stigmatizzandola,  nelle  sue  relazioni
annuali. 
    Ragioni per  cui  la  proroga  ex  lege,  ricorrendo  determinate
circostanze, potrebbe  effettivamente  determinare  un  irragionevole
squilibrio delle prestazioni contrattuali. 
    Ebbene,  per  ovviare  a  tali  possibili  conseguenze   negative
l'ordinamento prevede appositi strumenti, generali e specifici. 
    Cosi' e', quando ne ricorrano  i  presupposti,  per  i  ricordati
poteri sostitutivi, gia' previsti dall'art. 14, comma 7,  del  d.lgs.
n. 164 del 2000 e successivamente riformulati  dall'art.  46-bis  del
d.l. n. 159 del 2007, come convertito. Cosi' anche per  i  rimedi  ex
artt. 30  e  31  del  decreto  legislativo  2  luglio  2010,  n.  104
(Attuazione dell'articolo 44 della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,
recante  delega   al   governo   per   il   riordino   del   processo
amministrativo)  avverso  il  silenzio  e  l'inerzia  della  pubblica
amministrazione, che possono  portare  anche  a  una  condanna  della
stessa e al risarcimento del danno patito dal concessionario. 
    L'ordinanza  di  rimessione,  che  non   ricostruisce   in   modo
dettagliato il quadro normativo in materia di gare per  l'affidamento
dell'attivita' di distribuzione del gas naturale, non si sofferma sui
poteri sostitutivi e non da' conto, pertanto, della possibilita'  che
gli eventuali effetti negativi imputati alla  disposizione  impugnata
trovino  un  rimedio  attraverso  gli   strumenti   predisposti   dal
legislatore per garantire l'avvio delle procedure di gara. Ne' vi  e'
alcun cenno ai ricordati istituti previsti  dal  d.lgs.  n.  104  del
2010, restando irrisolto il dubbio se non sia in tale sede che  debba
trovare tutela la pretesa del concessionario. 
    Per tali aspetti, pertanto, il  quadro  normativo  non  e'  stato
pienamente esaminato dal Collegio rimettente, anche al solo  fine  di
ritenere inadeguati gli strumenti predisposti dal  legislatore,  come
sostenuto, invece, dalla difesa di Centria srl. 
    6.3.-  Va  ricordato,  inoltre,  che  le   concessioni   per   la
distribuzione del  gas  rientrano  tra  le  concessioni  di  servizi,
definite dall'art. 3, comma 1, lettera vv), del  decreto  legislativo
18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) come  contratti
pubblici aventi ad oggetto la fornitura  e  la  gestione  di  servizi
diversi dall'esecuzione di lavori, disciplinate  nello  specifico  ai
successivi articoli da 164 a 178. 
    In particolare, l'art. 165,  comma  1,  cod.  contratti  pubblici
precisa che, pur trasferendosi in capo al concessionario  il  rischio
operativo,  debba  pur  sempre  essere   salvaguardato   l'equilibrio
economico-finanziario nel rapporto regolato dalla concessione  (ossia
la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e
sostenibilita' finanziaria). A tal fine,  il  comma  6  del  medesimo
articolo - riprendendo  quanto  gia'  previsto  dall'art.  19,  comma
2-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in  materia
di lavori pubblici) e dall'art. 143, comma 8, del decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163 (Codice  dei  contratti  pubblici  relativi  a
lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive  2004/17/CE
e 2004/18/CE)  -  stabilisce  che  «[i]l  verificarsi  di  fatti  non
riconducibili al  concessionario  che  incidono  sull'equilibrio  del
piano economico finanziario  puo'  comportare  la  sua  revisione  da
attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di  equilibrio.
La revisione deve consentire la permanenza dei rischi  trasferiti  in
capo  all'operatore  economico  e  delle  condizioni  di   equilibrio
economico finanziario relative al contratto» e «[i]n caso di  mancato
accordo sul riequilibrio del piano economico  finanziario,  le  parti
possono recedere dal contratto». 
    Va considerato,  inoltre,  che  ai  sensi  dell'art.  216,  comma
27-quinquies,   cod.   contratti   pubblici   alle    procedure    di
aggiudicazione  dei  contratti  di  concessione   del   servizio   di
distribuzione del gas naturale si applicano le disposizioni di cui al
d.lgs. n. 164 del 2000, all'art. 46-bis del d.l.  n.  159  del  2007,
come convertito,  e  all'art.  4  del  d.l.  n.  69  del  2013,  come
convertito, in quanto compatibili  con  la  Parte  III  dello  stesso
codice dei contratti pubblici (in cui rientra, appunto, l'art. 165). 
    In tal senso, la proroga del rapporto limitatamente all'ordinaria
amministrazione, ivi compresa l'obbligazione del  canone  concessorio
previsto dal contratto, non escluderebbe la possibilita' per le parti
di   ottenere   una   revisione    degli    obblighi    contrattuali,
compatibilmente con il vincolo per  le  stesse  parti  di  non  poter
recedere dal rapporto sino al nuovo affidamento, che resterebbe fermo
in forza della previsione di legge speciale di cui all'art. 14, comma
7, del d.lgs. n. 164 del 2000. 
    Il giudice a  quo,  nondimeno,  non  svolge  alcuna  valutazione,
neppure  al  fine  di  escluderla,  riguardo  alla  possibilita'   di
qualificare  i  ritardi  nell'avvio  delle  gare  quali  «fatti   non
riconducibili al  concessionario  che  incidono  sull'equilibrio  del
piano economico finanziario» di  cui  all'art.  165,  comma  6,  cod.
contratti pubblici. La qual cosa, ove ovviamente sia  dimostrato  dal
concessionario  un  sopravvenuto  squilibrio  contrattuale,  potrebbe
legittimare una richiesta di revisione dello stesso piano;  richiesta
che, in caso di mancata  o  negativa  risposta  dell'amministrazione,
potrebbe  anche   essere   fatta   valere   nelle   competenti   sedi
giurisdizionali. 
    D'altronde, anche quella giurisprudenza di merito che ha  escluso
un'incompatibilita' con la Costituzione della disposizione  censurata
non ha negato, in via generale, la possibilita' di esperire i  rimedi
previsti   dall'ordinamento,   ivi   compresi   quelli   civilistici,
compatibilmente con la disciplina di settore. 
    6.4.- In conclusione, il Collegio arbitrale rimettente  non  solo
non ha  preso  in  considerazione  gli  strumenti  legislativi  verso
l'inerzia della pubblica amministrazione, ma neppure ha tenuto  conto
della  possibilita'  di  applicare  gli  istituti  posti  a  presidio
dell'equilibrio contrattuale nelle concessioni. 
    Alla luce di tali carenze dell'ordinanza di rimessione  in  punto
di adeguata ricostruzione del quadro normativo, pertanto, deve essere
dichiarata l'inammissibilita' delle questioni (sentenze n. 123  e  n.
114 del 2021 e n. 102 del 2019).