ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  38  del
decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818 (Norme
di attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952,  n.  218,
sul riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria  per
l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti), promosso dalla Corte  di
cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra C. C. nella
qualita' di tutore di S. R. e l'Istituto nazionale  della  previdenza
sociale (INPS), con ordinanza dell'8 aprile 2021, iscritta al n.  124
del registro ordinanze 2021 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 9 febbraio  2022  il  Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 febbraio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'8 aprile 2021,  iscritta  al  n.  124  del
relativo  registro,  la  Corte  di  cassazione,  sezione  lavoro,  ha
sollevato, in riferimento agli  artt.  3  e  38  della  Costituzione,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 38 del decreto del
Presidente  della  Repubblica  26  aprile  1957,  n.  818  (Norme  di
attuazione e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 218,  sul
riordinamento  delle  pensioni  dell'assicurazione  obbligatoria  per
l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti), «nella parte in cui  non
include, tra i soggetti ivi  elencati,  anche  i  maggiori  orfani  e
interdetti dei quali  risulti  provata  la  vivenza  a  carico  degli
ascendenti». 
    1.1.- Il giudice rimettente espone  che  la  Corte  d'appello  di
Napoli, con sentenza n. 3847 del 2018, in riforma della  sentenza  di
primo grado, rigettava la domanda proposta da C. C., in  qualita'  di
tutore di S. R. - nipote orfana, incapace di intendere e  di  volere,
convivente con il nonno A. C. e maggiorenne all'epoca del decesso  di
quest'ultimo -, volta ad ottenere la pensione di reversibilita'. 
    La Corte di merito rilevava che  il  disposto  dell'art.  13  del
regio decreto-legge 14  aprile  1939,  n.  636  (Modificazioni  delle
disposizioni sulle assicurazioni obbligatorie per l'invalidita' e  la
vecchiaia, per la tubercolosi e per la disoccupazione involontaria  e
sostituzione dell'assicurazione per la maternita' con l'assicurazione
obbligatoria per la  nuzialita'  e  la  natalita'),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 6 luglio 1939, n.  1272,  come  sostituito
dalla legge 4 aprile  1952,  n.  218  (Riordinamento  delle  pensioni
dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia  e  i
superstiti) e successivamente dalla legge  21  luglio  1965,  n.  903
(Avviamento alla riforma e miglioramento dei trattamenti di  pensione
della previdenza sociale) - secondo cui la pensione di reversibilita'
spetta al coniuge e ai figli superstiti minorenni e di qualunque eta'
inabili, a carico del genitore al momento del  decesso  -  era  stato
integrato,   a   seguito   della   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale della norma qui censurata (sentenza n. 180 del  1999),
anche ai minori conviventi con il nonno pensionato, senza distinguere
tra nipoti abili o inabili, con l'unico limite della minore eta'. 
    La maggiore eta' della  nipote  escludeva,  pertanto,  ad  avviso
della Corte di merito, la spettanza  del  diritto  alla  pensione  di
reversibilita'. Su questa argomentazione si incentravano i motivi del
ricorso in sede di legittimita'. 
    1.2.- Osserva la Corte di cassazione rimettente che la  doglianza
prospettata nei termini anzidetti importa la necessita' di verificare
in via preliminare la legittimita' costituzionale  dell'art.  38  del
d.P.R. n. 818 del 1957. 
    1.2.1.- A tale scopo, essa muove dalla ricostruzione  del  quadro
normativo, rilevando che l'art. 13 del r.d.l. n. 636 del  1939,  come
convertito, prevede la  prestazione  indiretta  a  favore  dei  figli
superstiti, di qualunque eta', riconosciuti inabili  al  lavoro  e  a
carico del genitore al momento del decesso di questi (art. 13,  primo
comma) e, in mancanza, anche ai genitori, ai fratelli celibi  e  alle
sorelle  nubili  superstiti  che  non  siano  titolari  di  pensione,
sempreche' questi ultimi, al momento della  morte  del  dante  causa,
risultino permanentemente inabili al lavoro e a suo carico (art.  13,
sesto comma). 
    Ai fini del diritto alla pensione dei superstiti, i figli di eta'
superiore ai diciotto anni e inabili al lavoro, i figli  studenti,  i
genitori  nonche'   i   fratelli   celibi   e   le   sorelle   nubili
permanentemente  inabili  al   lavoro   si   considerano   a   carico
dell'assicurato o del pensionato se questi, prima  del  suo  decesso,
provvedeva al loro sostentamento in maniera  continuativa  (art.  13,
settimo comma). 
    Quindi, il r.d.l. n. 636 del  1939,  come  convertito,  e'  stato
abrogato dall'art. 2, comma 1, del decreto-legge 22 dicembre 2008, n.
200  (Misure  urgenti  in  materia  di  semplificazione   normativa),
convertito, con modificazioni, nella legge 18 febbraio 2009, n. 9,  a
decorrere dal 16 dicembre 2009, ma successivamente e' stato sottratto
all'effetto abrogativo dall'art. 1, comma 2, del decreto  legislativo
1° dicembre 2009, n. 179 (Disposizioni legislative statali  anteriori
al 1° gennaio 1970, di cui si ritiene indispensabile la permanenza in
vigore, a norma dell'articolo 14 della legge  28  novembre  2005,  n.
246). 
    Infine, l'art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957,  agli  effetti  del
diritto  alle  prestazioni  delle  assicurazioni   obbligatorie   per
l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti, per la tubercolosi e  per
la disoccupazione e alle maggiorazioni  di  esse,  ha  equiparato  ai
figli i minori regolarmente affidati dagli organi competenti a  norma
di legge. 
    Alla stregua di tali disposizioni, l'estensione  dei  trattamenti
previdenziali - entro certi  limiti  e  condizioni  -  a  determinati
componenti della famiglia dell'assicurato  includeva  solo  i  minori
regolarmente affidati dagli organi competenti a norma di legge e  non
anche i nipoti, pur se minori e viventi a carico degli ascendenti,  a
meno che fossero sussistite le predette condizioni, cioe' che fossero
stati formalmente affidati a questi ultimi dagli organi competenti. 
    Su questo aspetto il giudice a quo evidenzia che  e'  intervenuta
questa Corte  (sentenza  n.  180  del  1999),  che  ha  accertato  il
contrasto   della   previsione   legislativa   con   il   canone   di
ragionevolezza  nella  parte  in  cui,  mentre   includeva,   fra   i
destinatari diretti ed immediati della pensione di reversibilita',  i
minori non parenti, formalmente affidati al titolare  della  pensione
principale, escludeva,  tuttavia,  dal  beneficio  dell'ultrattivita'
pensionistica i nipoti minori e viventi  a  carico  degli  ascendenti
assicurati, per i quali il  legislatore  non  avesse  richiesto  tale
formale affidamento. 
    Pertanto, e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale del
richiamato art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957, nella parte in cui non
include, tra i soggetti  ivi  elencati,  anche  i  minori  dei  quali
risulti provata la vivenza  a  carico  degli  ascendenti,  risultando
cosi' ampliata la platea dei superstiti del lavoratore  o  assicurato
ai nipoti, viventi a carico dell'ascendente. 
    1.2.2.- In punto di rilevanza, il Collegio rimettente puntualizza
che la discendente superstite, orfana e interdetta, vivente a  carico
dell'ascendente assicurato, aveva gia'  raggiunto  la  maggiore  eta'
all'epoca del decesso del nonno e,  dunque,  possedeva  il  requisito
anagrafico costituente elemento ostativo all'acquisizione del diritto
alla pensione di reversibilita',  cosicche',  per  la  sua  peculiare
condizione  di  minorata  capacita'  conseguente   allo   status   di
interdetta e di orfana dei genitori, in forza della norma  censurata,
le sarebbe precluso il diritto alla percezione di tale beneficio. 
    Aggiunge che non risulta dedotta in causa la titolarita' di altri
trattamenti   pensionistici   ai   superstiti,   per   avere   l'ente
previdenziale  opposto  alla  pretesa  azionata   esclusivamente   la
protezione assistenziale riservata dalla legislazione  a  favore  dei
disabili. 
    1.2.3.- In ordine alla non manifesta infondatezza,  la  Corte  di
cassazione rimettente osserva che l'ordinamento configura la pensione
di reversibilita' come «una forma  di  tutela  previdenziale  ed  uno
strumento  necessario  per  il  perseguimento  dell'interesse   della
collettivita' alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed  alla
garanzia  di  quelle  minime  condizioni  economiche  e  sociali  che
consentono l'effettivo godimento dei diritti civili e politici  (art.
3,·secondo  comma,  Cost.)  con   una   riserva,   costituzionalmente
riconosciuta,  a   favore   del   lavoratore,   di   un   trattamento
preferenziale  (art.  38,  secondo  comma,   Cost.)   rispetto   alla
generalita' dei cittadini (art. 38, primo comma,  Cost.)»  (sono,  in
proposito, citate le sentenze di questa Corte n.  419  e  n.  70  del
1999, n. 926, n. 777 e n. 18 del 1988, n. 286 del 1987). 
    Prospetta ancora che, per effetto della morte  del  lavoratore  o
del pensionato, la situazione pregressa, costituita e realizzata  con
la vivenza a carico, subisce interruzione, sicche' con il trattamento
di reversibilita' si  realizza  la  garanzia  della  continuita'  del
sostentamento ai familiari superstiti. 
    Ad avviso del Collegio  rimettente,  tale  precipua  connotazione
previdenziale colloca detto trattamento nell'alveo  degli  artt.  36,
primo  comma,  e  38,   secondo   comma,   Cost.,   che   prescrivono
l'adeguatezza  della  pensione,  quale  retribuzione   differita,   e
l'idoneita' della stessa a garantire un'esistenza libera e dignitosa. 
    Il fondamento solidaristico della pensione di reversibilita', che
ne determina la  finalita'  previdenziale,  presidiata  dalle  citate
disposizioni costituzionali, risulterebbe ulteriormente  ribadito  da
altra pronuncia di questa Corte, secondo cui il connaturale  raccordo
tra finalita' previdenziale e fondamento  solidaristico  e'  espresso
dalla  tutela  della  continuita'  del  sostentamento  al  superstite
convivente e dalla  prevenzione  dello  stato  di  bisogno  che  puo'
derivare, a quest'ultimo,  dalla  morte  del  congiunto,  sicche'  il
perdurare del vincolo di solidarieta' familiare proietta la sua forza
cogente anche nel tempo successivo alla morte (sentenza  n.  174  del
2016). 
    Quindi, la Corte di legittimita' evoca il precedente di cui  alla
sentenza di questa Corte n. 180  del  1999,  che  ha  gia'  posto  in
rilievo come «il rapporto parentale, tra  ascendenti  e  discendenti,
non solo nella realta' concreta ma anche sotto il profilo  giuridico,
assuma forma peculiare e pregnante  fondata  sul  carattere  naturale
della solidarieta'  familiare  di  cui  l'ordinamento  si  fa  carico
attraverso i  doveri  di  mantenimento,  istruzione,  educazione,  di
prestare gli alimenti, ecc. che il diritto di famiglia pone a  carico
delle persone legate da  stretti  rapporti  di  parentela,  doveri  e
obblighi - sanzionati penalmente - scaturenti dalle disposizioni  del
codice  civile  nei  confronti   degli   ascendenti   nei   casi   di
impossibilita' ad assolverli da parte dei genitori». 
    Richiama,  altresi',  la  sentenza  della  Corte  di  cassazione,
sezione lavoro, 22 novembre 2018, n. 20267 (recte: n. 30267), che  ha
messo in  luce  la  fondamentale  ratio  solidaristica  sottesa  alla
reversibilita' del trattamento pensionistico, in continuita'  con  la
sentenza  della  stessa  Corte  di  cassazione,  sezione  lavoro,  15
novembre 2016, n. 23285, che  detta  ratio  aveva  valorizzato  nella
prosecuzione dell'erogazione del trattamento di  reversibilita'  agli
studenti,  figli  dell'assicurato  o   pensionato,   correlata   alla
prevenzione del bisogno derivante  dalla  continuazione  degli  studi
oltre la maggiore eta'. 
    Il giudice a quo precisa,  poi,  che  questa  Corte,  chiamata  a
pronunciarsi in relazione ad  una  delle  condizioni  necessarie  per
l'attribuzione  della  prestazione  -  ossia  quella  negativa  della
mancata prestazione di un lavoro retribuito da parte dello studente -
ha escluso la possibilita' di valorizzare, in funzione preclusiva per
l'acquisizione del diritto, lo svolgimento di  attivita'  di  modesto
rilievo e con esigua remunerazione, osservando che «qualora si  versi
in una situazione del genere (che dovra' essere  di  volta  in  volta
valutata in concreto),  la  percezione  di  un  piccolo  reddito  per
attivita'  lavorative,  pur  venendo  a  migliorare   la   situazione
economica dell'orfano, non gli fa perdere la sua prevalente qualifica
di studente; sicche' la  totale  eliminazione  o  anche  la  semplice
decurtazione  della  quota   di   pensione   di   reversibilita'   si
risolverebbe in una sostanziale lesione del diritto allo  studio  con
deteriore trattamento dello studente, in contrasto  coi  principi  di
cui agli artt. 3, 4, 34 e 35 della Costituzione» (sentenza n. 42  del
1999; nello stesso senso, sentenza n. 406 del 1994 e ordinanza n.  74
del 1993). 
    In base all'assunto del Collegio rimettente, se, dunque, la ratio
della  reversibilita'  dei  trattamenti  pensionistici  consiste  nel
«farne proseguire almeno parzialmente, anche dopo la morte  del  loro
titolare, il  godimento  da  parte  dei  soggetti  a  lui  legati  da
determinati vincoli familiari, garantendosi cosi' ai  beneficiari  la
protezione dalle conseguenze che derivano dal decesso del  congiunto»
(sono citate le sentenze di questa Corte n. 70 del 1999,  n.  18  del
1998, n. 495 del 1993 e n. 286 del 1987), e «si realizza in tal modo,
anche sul piano  previdenziale,  una  forma  di  ultrattivita'  della
solidarieta' familiare» (sentenza n. 180 del 1999),  il  rapporto  di
parentela tra l'ascendente e  il  nipote  verrebbe  ad  avere,  nella
vicenda in esame, un trattamento irragionevolmente deteriore. 
    Invero, secondo il  giudice  a  quo,  il  vincolo  familiare  tra
l'ascendente e il nipote, maggiore di eta', orfano e interdetto - nel
cui ambito e', all'evidenza, piu' pregnante l'obbligo di  assistenza,
anche materiale, immanente alla relazione affettiva - e' in  tutto  e
per tutto assimilabile  alla  medesima  relazione  tra  ascendente  e
nipote minore di eta' a carico, per essere immutata la condizione  di
minorata capacita'  del  nipote,  maggiore  interdetto,  rispetto  al
nipote di eta' inferiore ai diciotto anni, entrambi viventi a  carico
dell'ascendente al momento del decesso di quest'ultimo. 
    In forza di questa ricostruzione, il rimettente sottolinea che il
collegamento genetico sotteso  al  rapporto  giuridico  preesistente,
quale   presupposto   necessario   per   l'accesso   al   trattamento
pensionistico di reversibilita', si manifesta  con  l'intensita'  del
vincolo affettivo e l'ampiezza del rapporto parentale contraddistinti
dalla condizione di orfano del nipote interdetto, condizione  per  la
quale assumerebbe maggior vigore anche  la  speciale  e  privilegiata
disciplina voluta dal  legislatore,  sul  piano  dei  diritti  e  dei
relativi obblighi: il dovere di concorso negli oneri di mantenimento,
istruzione ed educazione, sancito dall'art. 316-bis del codice civile
a carico degli  ascendenti  quando  i  genitori  non  hanno  i  mezzi
sufficienti; l'obbligo di prestare  gli  alimenti,  che  puo'  essere
assolto anche accogliendo e mantenendo nella propria casa gli  aventi
diritto ex artt. 433 e 443 cod.  civ.;  l'intervento  giudiziale  nel
caso in cui ai nonni venga impedito il diritto di mantenere  rapporti
significativi con i nipoti minorenni ai sensi dell'art. 317-bis  cod.
civ.; il diritto del nipote alla continuita' affettiva con  i  nonni,
declinato dall'art. 315-bis cod.  civ.;  la  tutela  penale  di  tali
doveri ed obblighi per effetto degli  artt.  570  e  591  del  codice
penale. 
    Inoltre,  la  Corte  di  cassazione   rimettente   valorizza   il
significativo  rapporto   instaurato   tra   ascendente   e   nipote,
suscettibile  di  tutela  come  «vita  familiare»  ex  art.  8  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, (CEDU), firmata a Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge  4  agosto  1955,  n.  848  (e'
richiamata, in proposito, Corte europea dei diritti dell'uomo,  terza
sezione, sentenza 5 marzo 2019,  Bogonosovy  contro  Russia,  che  ha
ribadito l'indissolubilita' del  legame  tra  nonno  e  nipote,  gia'
affermato in precedenti decisioni). 
    In conseguenza, sarebbe irragionevole che i nipoti minori possano
godere  del  trattamento  pensionistico  del  de  cuius  e  i  nipoti
maggiorenni, orfani e interdetti, viventi  a  carico  dell'ascendente
assicurato ne siano esclusi, non potendo ragionevolmente argomentarsi
siffatta esclusione sulla scorta  della  limitata  durata  nel  tempo
della prestazione in favore dei nipoti  minori  (fino  alla  maggiore
eta') e della piu' lunga durata dell'aspettativa di vita  del  nipote
maggiore interdetto. 
    Sicche',  ad  avviso  del  rimettente,  il   criterio   selettivo
dell'eta' o della speranza di vita del beneficiario, in funzione  del
contenimento  della   spesa   previdenziale,   richiamato   dall'ente
previdenziale, non potrebbe costituire la  direttrice  dell'istituto,
conformato, nel tempo, con l'evoluzione  della  platea  degli  aventi
diritto,  ad  un'estensione  della  protezione  per  l'evento  morte,
generatore di una condizione di bisogno per i familiari superstiti. 
    Prospetta, ancora, il giudice a  quo  che  il  medesimo  criterio
selettivo  mal  si  concilierebbe  -  appalesandosi,  piuttosto,   un
ulteriore profilo di irragionevolezza -  con  il  riconoscimento  del
trattamento pensionistico di reversibilita', vita natural durante, ai
figli maggiorenni e  inabili  al  lavoro,  superstiti  dei  genitori,
proprio perche' non in grado di procurarsi un reddito a cagione della
predetta condizione. 
    La preminente tutela dei piu'  bisognosi,  deboli  e  vulnerabili
all'interno del nucleo familiare - e, piu' in generale, la protezione
della vita familiare, che ha portato a  riconoscere  come  superstiti
dei  nonni  i  nipoti  minori,  per  garantire  la  continuita'   del
sostentamento cui ha  provveduto  in  vita  l'ascendente  -  dovrebbe
includere  il  discendente  che  versa  in  condizione   ancor   piu'
accentuata di bisogno, fragilita', vulnerabilita',  quale  il  nipote
maggiorenne, orfano e interdetto. 
    Neanche rileverebbe, continua il Collegio rimettente,  che  altri
siano i rimedi e gli strumenti offerti dall'ordinamento a  protezione
dell'inabile totale, trattandosi di benefici specifici, involgenti la
tutela assistenziale approntata dall'ordinamento stesso, ed  esterni,
dunque, alla relazione parentale permeata dal vincolo  costituzionale
di solidarieta'. 
    Se, dunque, il perdurare del vincolo di solidarieta' familiare  e
parentale proietta la sua forza cogente anche  nel  tempo  successivo
alla morte, il legislatore e' chiamato a specificare e a modulare  le
multiformi situazioni  meritevoli  di  tutela,  coerentemente  con  i
principi  di  eguaglianza  e  ragionevolezza,   nel   realizzare   un
equilibrato contemperamento di  molteplici  fattori  rilevanti,  allo
scopo di garantire l'assetto del  sistema  previdenziale  globalmente
inteso (in riferimento  al  vincolo  di  solidarieta'  coniugale,  e'
nuovamente citata la sentenza di questa Corte n. 174 del 2016). 
    Il presupposto della vivenza  a  carico  -  cioe'  la  dipendenza
economica del beneficiario dal reddito dell'assicurato deceduto - per
l'accesso alla tutela dei familiari  superstiti  rinverrebbe  il  suo
fondamento  nella  protezione  sociale  riconosciuta  a   chi   versa
nell'impossibilita' di procurarsi un reddito  da  lavoro  in  ragione
della condizione di inabilita' e,  dunque,  nello  stato  di  bisogno
economico, condizione  quest'ultima  presunta,  per  figli  e  nipoti
minorenni, in considerazione del requisito anagrafico. 
    Secondo  il  giudice  a  quo,  la  pregnanza   del   vincolo   di
solidarieta'  familiare  e  lo  stato  di  bisogno  economico   vanno
valorizzati anche nel rapporto tra nonno e nipote  maggiore  di  eta'
interdetto, e il dato anagrafico che distinguerebbe i  nipoti  minori
di eta', abili o inabili, e i  nipoti  interdetti  maggiori  di  eta'
introdurrebbe un divario irragionevole, incoerente con il  fondamento
solidaristico della pensione di reversibilita'. 
    Infatti,  sulla   scorta   delle   argomentazioni   della   Corte
rimettente, la regola per cui la determinazione delle  prestazioni  e
l'individuazione  del  novero  dei  beneficiari   e'   rimessa   alla
discrezionalita' delle scelte legislative, in merito alle esigenze di
equilibrio delle gestioni, incontra un limite nei  casi  in  cui  dal
relativo  confronto  emerga   una   evidente   irragionevolezza   nel
trattamento  di  situazioni  identiche,  quali  la   garanzia   della
continuita' del sostentamento fornito al figlio  superstite  incapace
di intendere e di volere, maggiore di eta' e a carico  del  genitore,
rispetto al nipote, nella medesima condizione, a carico del nonno. 
    In ultimo, afferma il rimettente, l'allungamento dell'aspettativa
di vita, in nome del vincolo  imposto  dall'art.  81,  quarto  comma,
Cost., in ragione della  sostenibilita'  finanziaria  del  sistema  e
della corrispondenza tra risorse disponibili e  prestazioni  erogate,
non  puo'  porre  il  discendente  interdetto  e  orfano,  a   carico
dell'ascendente assicurato, in posizione deteriore rispetto ad  altri
beneficiari con minore aspettativa di vita (quali i fratelli) sol per
via del salto generazionale tra nonno e nipote, potendo, al riguardo,
opporsi i rilievi gia' svolti in merito  al  non  decisivo  argomento
dell'aspettativa di vita del superstite. 
    Anzi sarebbe  necessario,  proprio  a  protezione  delle  fragili
condizioni che connotano, nella specie, l'aspettativa di vita di tali
soggetti, che il superstite possa godere dell'ultrattivita'  al  pari
di altri superstiti. 
    2.- Con atto depositato il 27 settembre 2021  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso  per  la
declaratoria di inammissibilita' o di infondatezza delle questioni di
legittimita' costituzionale sollevate. 
    L'interveniente evidenzia, anzitutto, che l'art. 38 del d.P.R. n.
818 del 1957, al fine di  riconoscere  il  diritto  alle  prestazioni
delle assicurazioni obbligatorie per l'invalidita', la vecchiaia e  i
superstiti, per la tubercolosi e per la disoccupazione, equipara,  ai
figli legittimi o legittimati, i figli adottivi, affiliati,  naturali
e i minori regolarmente affidati  mentre  equipara  ai  genitori  gli
adottanti, gli affilianti, il  patrigno  e  la  matrigna  nonche'  le
persone alle quali il minore sia stato affidato. 
    Quindi, con la gia' ricordata sentenza n. 180 del 1999  e'  stata
dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  di  tale  disposizione,
nella parte in cui non includeva tra i beneficiari elencati  anche  i
minori, formalmente non affidati, dei  quali  risultasse  provata  la
vivenza a carico degli ascendenti. 
    2.1.- Sulla scorta  di  queste  premesse,  l'Avvocatura  generale
dello  Stato   osserva   che   le   questioni   sollevate   sarebbero
inammissibili sotto un duplice ordine di profili. 
    In primo luogo, l'ordinanza di  rimessione  motiverebbe  in  modo
insufficiente sulla rilevanza delle questioni,  poiche'  non  sarebbe
precisato in  quale  momento  la  nipote  dell'assicurato  sia  stata
dichiarata  inabile,  ne'  il  tipo  di  inabilita',  essendo   stato
genericamente  riferito  lo  stato  di   inabilita'   totale,   senza
precisazione della sua definitivita' o temporaneita'.  Non  sarebbero
inoltre desumibili gli elementi da cui trarre  il  convincimento  che
l'assicurato provvedesse in modo continuativo al sostentamento  della
nipote o che fosse l'unico a provvedervi. Non sarebbe  dato  altresi'
ricavare che i genitori  della  maggiorenne  interdetta  non  fossero
sopravvissuti alla morte del nonno ne' vi sarebbe alcun dato  da  cui
rilevare  che  tale   nipote   non   percepisse   altri   trattamenti
pensionistici e che  effettivamente  fosse  nubile.  In  ultimo,  non
sarebbe precisato se la nipote versasse in  uno  stato  di  effettivo
bisogno economico. 
    In secondo luogo,  sarebbe  erroneamente  identificata  la  norma
oggetto di censura, in conseguenza di una ricostruzione parziale  del
quadro normativo. Infatti,  i  dubbi  di  legittimita'  si  appuntano
sull'art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957,  che  riconosce  il  diritto
alla pensione di reversibilita' ai parenti dell'assistito  che  siano
inabili  al  lavoro,  nella  parte  in  cui  tale  diritto   non   e'
riconosciuto al nipote maggiorenne inabile, mentre tali dubbi non  si
estendono all'art. 13 del r.d.l. n. 636 del  1939,  come  convertito,
che regola un'ipotesi specifica  del  diritto  al  trattamento  della
pensione di reversibilita'. 
    Ad avviso della difesa  erariale,  quest'ultimo  disciplinerebbe,
oltre alla fattispecie ordinaria  della  pensione  di  reversibilita'
spettante al coniuge e ai figli superstiti che al momento della morte
dell'assicurato o del  pensionato  non  abbiano  superato  l'eta'  di
diciotto anni  -  fattispecie  ricompresa  nella  previsione  di  cui
all'art. 13 della legge n. 218 del 1952, di cui  la  norma  censurata
sarebbe specificazione -, anche  la  fattispecie  della  pensione  di
reversibilita' spettante ai  figli  di  qualunque  eta'  riconosciuti
inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del  decesso  di
questi    e,    in    mancanza,    rispettivamente    ai     genitori
ultrasessantacinquenni non  titolari  di  pensione  e  a  carico  del
pensionato o dell'assicurato al momento della sua morte o, ancora, ai
fratelli celibi e alle sorelle nubili  superstiti,  non  titolari  di
pensione, permanentemente inabili al lavoro  e  a  carico  del  dante
causa  al  momento  del  suo  decesso,  ossia  al  cui  sostentamento
provvedeva il dante causa in maniera continuativa. 
    Pertanto,  rispetto  alla  situazione  in  cui  versa  la  nipote
maggiorenne, orfana e inabile al lavoro, sarebbe l'art. 13 del r.d.l.
n. 636 del 1939, come convertito, a negare concretamente  il  diritto
alla pensione di reversibilita', e non gia' il censurato art. 38  del
d.P.R. n. 818 del 1957. 
    Ed  invero,  il  giudice  a  quo   prospetta   l'irragionevolezza
dell'esclusione proprio  rispetto  al  trattamento  pensionistico  di
reversibilita',  vita  natural   durante,   riconosciuto   ai   figli
maggiorenni inabili al lavoro, superstiti ai genitori,  dall'art.  13
del r.d.l. n. 636 del 1939. 
    Su tale aspetto, la difesa statale rileva, infine, che la  stessa
ordinanza  di  rimessione,  in  prima  battuta,  si  interroga  sulla
necessita' di verificare la legittimita' costituzionale dell'art.  38
del d.P.R. n. 818 del 1957 e dell'art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939,
come  convertito,  per  poi  sviluppare  le  motivazioni  della   non
manifesta infondatezza esclusivamente sulla prima disposizione. 
    2.2.- Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce
la non fondatezza  delle  questioni,  attenendo  esse  ad  un  ambito
riservato alla discrezionalita'  del  legislatore,  ove  non  sarebbe
ravvisabile una soluzione costituzionalmente obbligata. 
    Spetterebbe al legislatore  effettuare  le  possibili  scelte  in
ordine  alla  platea  degli   aventi   diritto   alla   pensione   di
reversibilita' ai  superstiti,  in  ragione  della  sua  funzione  di
garantire la continuita' del loro  sostentamento,  potendo  la  Corte
intervenire solo allorche' la decisione appaia in antitesi con i piu'
elementari canoni dell'equita' e della logica. 
    E cio' dovrebbe valere anche per l'estensione della  pensione  di
reversibilita' ai nipoti maggiorenni, orfani  e  inabili  al  lavoro,
atteso che l'ordinamento offre,  a  protezione  dell'inabile  totale,
altre forme  di  assistenza  economica.  Tali  forme  di  assistenza,
seppure dettate da diverse esigenze ed aventi  differente  finalita',
rappresentano una forma di reddito potenzialmente idonea a far  venir
meno lo stato di bisogno e, quindi, capace di escludere il diritto ad
ottenere la pensione di reversibilita'. 
    D'altronde, un'estensione di tal fatta  sarebbe  suscettibile  di
determinare ulteriori oneri per la finanza  pubblica  in  termini  di
maggiore spesa pensionistica. 
    Secondo la difesa erariale, un ulteriore motivo  di  infondatezza
sarebbe ravvisabile con riferimento  alla  situazione  dedotta  quale
tertium comparationis - ossia il  riconoscimento  della  pensione  di
reversibilita'  al  figlio  maggiorenne  inabile   -,   non   potendo
equipararsi la posizione del nipote a quella del figlio, non solo per
il differente legame intercorrente con il  de  cuius,  ma  anche  sul
piano patrimoniale. 
    Ed infatti, il nipote orfano  maggiorenne  potrebbe  essere  gia'
percettore di pensione di reversibilita', laddove i  propri  genitori
ne avessero  maturato  i  presupposti,  situazione  nella  quale  non
potrebbe trovarsi per definizione il figlio dell'assicurato,  il  che
potrebbe comportare il paradosso della percezione di  piu'  forme  di
assistenza previdenziale, oltre il reale stato di bisogno, in  favore
del nipote. 
    Altrettanto  incomparabili  sarebbero  le  posizioni  del  nipote
maggiorenne inabile e del nipote minorenne, poiche' nel primo caso il
trattamento previdenziale avrebbe una durata indeterminata e comunque
tendenzialmente piu' lunga, essendo legata alle aspettative di  vita,
mentre nel secondo caso la prestazione  riconosciuta  ha  una  durata
predeterminata  e  limitata  nel   tempo,   venendo   meno   con   il
raggiungimento della maggiore eta'. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  La  Corte  di  cassazione,  sezione  lavoro,  dubita   della
legittimita' costituzionale dell'art. 38 del decreto  del  Presidente
della Repubblica 26 aprile 1957, n. 818 (Norme  di  attuazione  e  di
coordinamento della legge 4 aprile 1952, n.  218,  sul  riordinamento
delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidita',  la
vecchiaia e i superstiti), «nella parte in cui  non  include,  tra  i
soggetti ivi elencati, anche i maggiori orfani e interdetti dei quali
risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti». 
    1.1.- In base all'articolata  ricostruzione  del  rimettente,  la
mancata previsione della reversibilita'  per  i  nipoti  maggiorenni,
orfani e interdetti, conviventi con  l'ascendente  e  a  suo  carico,
violerebbe anzitutto l'art. 3 della  Costituzione  sotto  un  duplice
profilo. 
    In   primo   luogo,   la   disciplina   sarebbe   intrinsecamente
irragionevole, a fronte della funzione solidaristica  della  pensione
di  reversibilita'  ai  superstiti:  infatti,  pur   ricorrendo   una
rilevante relazione affettiva tra nonno  e  nipote,  riconosciuta  da
plurime norme dell'ordinamento, sarebbe  disconosciuta  la  spettanza
della pensione di reversibilita' al discendente piu' prossimo, al cui
sostentamento  abbia  provveduto  l'ascendente,  in   ragione   della
premorienza dei suoi genitori e dello stato di incapacita' legale  da
cui e' afflitto. 
    In secondo luogo, la norma che non prevede il riconoscimento  del
diritto  assistenziale   a   tale   categoria   di   aventi   diritto
determinerebbe  un'ingiustificata  disparita'  di   trattamento   sia
rispetto ai nipoti minorenni, abili o inabili al lavoro, ugualmente a
carico dell'ascendente, sia rispetto ai figli maggiorenni  e  inabili
al lavoro, che siano a carico dei genitori, categorie, queste ultime,
che  invece  hanno   diritto   al   godimento   della   pensione   di
reversibilita'. 
    Inoltre,   il   mancato   riconoscimento   della   pensione    di
reversibilita' ai superstiti in favore dei nipoti maggiorenni, orfani
e  interdetti,  lederebbe   l'art.   38   Cost.,   poiche'   verrebbe
indebitamente  negato  il  diritto  di   questi   soggetti,   benche'
sprovvisti  dei  mezzi  necessari  per  vivere,  al  mantenimento   e
all'assistenza sociale, di cui l'istituto  in  questione  costituisce
espressione. 
    2.- Prima di passare all'esame delle  questioni  sollevate,  deve
procedersi ad una specificazione del  petitum  quale  risultante  dal
dispositivo della ordinanza di  rimessione  nella  parte  in  cui  si
riferisce alla condizione di interdetta della  nipote  del  de  cuius
richiedente la pensione di reversibilita'. 
    Dalla complessiva lettura dell'ordinanza si evince, infatti,  che
la condizione di  interdizione  e'  stata  richiamata  sull'implicito
presupposto che dalla stessa sia derivata l'inabilita' al  lavoro.  E
che il  petitum  si  fondi  sulla  premessa  logica  della  rilevanza
dell'interdizione, non in quanto tale,  ma  in  quanto  da  essa  sia
scaturita  l'inabilita'  al   lavoro,   e'   desumibile,   non   solo
dall'espresso riferimento a quest'ultima contenuto  in  alcuni  passi
dell'ordinanza,  ma  anche   dall'esplicita   correlazione   con   la
situazione posta in comparazione, relativa ai figli inabili al lavoro
ai sensi dell'art. 13 del regio decreto-legge 14 aprile 1939, n.  636
(Modificazioni delle disposizioni  sulle  assicurazioni  obbligatorie
per l'invalidita' e  la  vecchiaia,  per  la  tubercolosi  e  per  la
disoccupazione involontaria e sostituzione dell'assicurazione per  la
maternita' con l'assicurazione obbligatoria per la  nuzialita'  e  la
natalita'), convertito, con modificazioni, nella legge 6 luglio 1939,
n.  1272,  come  sostituito  dalla  legge  4  aprile  1952,  n.   218
(Riordinamento delle  pensioni  dell'assicurazione  obbligatoria  per
l'invalidita', la vecchiaia e i superstiti) e  successivamente  dalla
legge 21 luglio 1965, n. 903 (Avviamento alla riforma e miglioramento
dei trattamenti di pensione della previdenza sociale). 
    Inoltre, la puntuale indicazione dei profili di  contrasto  della
norma  denunciata  con  i   parametri   costituzionali   evocati   e'
significativa della circostanza che il petitum deve  essere  riferito
ai nipoti maggiorenni, orfani e inabili al lavoro, dei quali  risulti
provata la vivenza a carico degli ascendenti. 
    Lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, nel suo atto  di
intervento per mezzo dell'Avvocatura generale  dello  Stato,  postula
che il requisito dell'interdizione si accompagni alla  condizione  di
inabilita' al lavoro del soggetto interessato. 
    Pertanto,  dalla  lettura  coordinata  del  dispositivo  e  della
motivazione dell'ordinanza  di  rimessione  emerge  che  l'intervento
additivo chiesto dal rimettente deve essere riferito alla  situazione
di inabilita' al lavoro del nipote maggiorenne e orfano, che nel caso
di specie si associa ad una  condizione  di  interdizione,  la  quale
logicamente la presuppone:  tanto  piu'  a  seguito  dell'inserimento
nell'ordinamento, per effetto  della  legge  9  gennaio  2004,  n.  6
(Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo
I,  relativo  all'istituzione  dell'amministrazione  di  sostegno   e
modifica degli artt. 388, 414, 417, 418, 424,  426,  427  e  429  del
codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonche'
relative norme di attuazione, di  coordinamento  e  finali),  tra  le
misure a protezione delle persone prive (in  tutto  o  in  parte)  di
autonomia, dell'amministrazione di sostegno, che ha  reso  del  tutto
residuale il ricorso al provvedimento di interdizione, limitandolo ai
casi piu' gravi, in cui esso sia necessario per  assicurare  adeguata
protezione  ai  soggetti  che  versino  in  condizioni  di   abituale
infermita' di mente che li renda incapaci  di  provvedere  ai  propri
interessi (sulla possibilita' che la discrepanza  tra  motivazione  e
dispositivo dell'ordinanza  di  rimessione  sia  agevolmente  risolta
tramite gli ordinari criteri ermeneutici, sentenze n. 224 e n. 58 del
2020, n. 219 del 2017, n. 203 e n. 94 del 2016 e  n.  170  del  2013;
ordinanza n. 244 del 2017). 
    3.- In via preliminare, va ancora rilevato che  le  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate non incorrono  nei  profili  di
inammissibilita' segnalati dall'interveniente. 
    3.1.-  La  difesa  dello  Stato  eccepisce  che  l'ordinanza   di
rimessione motiverebbe in modo insufficiente  sulla  rilevanza  delle
questioni, poiche' non sarebbe precisato in quale momento  la  nipote
dell'assicurato  sia  stata  dichiarata  inabile,  ne'  il  tipo   di
inabilita', essendone genericamente riferito lo stato  di  inabilita'
totale, senza precisazione della sua definitivita' o temporaneita'. 
    Non sarebbero inoltre desumibili dall'ordinanza gli  elementi  da
cui trarre il convincimento  che  l'assicurato  provvedesse  in  modo
continuativo al sostentamento della nipote  o  che  fosse  l'unico  a
provvedervi;  ne'  sarebbe  dato  ricavare  che  i   genitori   della
maggiorenne interdetta  non  fossero  sopravvissuti  alla  morte  del
nonno. Non vi sarebbe, inoltre, alcun indice da cui rilevare  che  la
stessa  non  percepisse  altri  trattamenti   pensionistici   e   che
effettivamente fosse nubile. 
    In ultimo, non sarebbe precisato se la  nipote  versasse  in  uno
stato di effettivo bisogno economico. 
    3.1.1.-  Va  premesso  che  compete  al  giudice  rimettente   la
qualificazione della fattispecie portata al suo  esame  nel  giudizio
principale, atteso che il sindacato sulla  rilevanza,  effettuato  da
questa Corte, ha carattere esterno,  si  arresta  cioe'  alla  soglia
della  non  implausibilita'  della  motivazione   dell'ordinanza   di
rimessione (sentenze n. 194, n. 183, n. 59, n. 32 e n. 15  del  2021,
n. 267 e n. 32 del 2020; ordinanze n. 117 del 2017 e n. 47 del 2016). 
    Cio' posto, l'eccezione e' priva di fondamento. 
    Il giudice rimettente espone che la Corte  d'appello  di  Napoli,
con sentenza n. 3847 del 2018, in riforma della  decisione  di  primo
grado, ha rigettato la domanda proposta da  C.  C.,  in  qualita'  di
tutore di S. R. - nipote orfana, incapace di intendere e  di  volere,
convivente con il nonno A. C. e maggiorenne all'epoca del decesso  di
quest'ultimo -, volta ad ottenere la pensione di reversibilita'. 
    La medesima ordinanza di rimessione  aggiunge  che  la  Corte  di
merito ha negato  il  diritto  alla  pensione  di  reversibilita'  in
ragione della maggiore eta'  della  nipote,  avendo  la  sentenza  di
questa Corte n. 180 del 1999 esteso la platea degli aventi diritto ai
soli nipoti minorenni. 
    E su tale aspetto si appuntano i  motivi  di  ricorso  sviluppati
dalla Corte di cassazione  rimettente.  In  punto  di  rilevanza,  il
giudice a quo evidenzia,  inoltre,  che  la  discendente  superstite,
orfana e interdetta, a carico dell'ascendente assicurato, aveva  gia'
raggiunto la maggiore eta' all'epoca del decesso del nonno e, dunque,
possedeva  il  requisito  anagrafico  costituente  elemento  ostativo
all'acquisizione del diritto alla reversibilita', cosicche', in forza
della norma censurata, le sarebbe precluso il diritto  alla  pensione
di reversibilita'. 
    Precisa, ancora, che non risulta dedotta in causa la  titolarita'
di altri trattamenti pensionistici  ai  superstiti,  circostanza  non
eccepita dall'ente previdenziale. 
    Alla luce delle argomentazioni esposte, la  fattispecie  concreta
risulta descritta in modo sufficiente a suffragare il requisito della
rilevanza, atteso che le indagini in fatto sono  state  svolte  dalla
Corte  di  merito,  che  ha  accertato  la  ricorrenza  di  tutte  le
condizioni affinche' la pretesa al conseguimento  della  pensione  di
reversibilita' per i  superstiti,  in  favore  della  nipote  orfana,
inabile al lavoro, convivente con il nonno  e  a  suo  carico,  fosse
riconosciuta, ma ha disatteso la relativa domanda esclusivamente  per
la carenza del requisito  anagrafico,  ossia  per  il  raggiungimento
della maggiore eta' della nipote  al  momento  in  cui  il  nonno  e'
deceduto (sul rigetto dell'eccezione d'inammissibilita'  per  difetto
di rilevanza, sentenze n. 194 e n. 22 del 2021). 
    Non  era  nei  poteri  del  giudice  di  legittimita'  effettuare
indagini ulteriori sul fatto, atte a confermare l'integrazione  delle
condizioni prescritte per il godimento del diritto alla  pensione  di
reversibilita' ai superstiti, tanto piu' che i motivi di  ricorso  si
incentravano in via esclusiva  sull'esegesi  della  norma  impugnata,
nella parte  in  cui  nega  il  riconoscimento  di  detto  diritto  a
vantaggio dei nipoti maggiorenni e inabili al lavoro. 
    D'altronde, il fatto che ad  agire  sia  stato  il  tutore  della
persona interessata, qualificata come  interdetta,  lascia  intendere
che la nipote fosse in stato di incapacita' di agire,  ossia  che  si
trovasse in condizioni di  abituale  infermita'  di  mente,  tale  da
renderla  incapace  di  provvedere  ai  propri  interessi,  ai  sensi
dell'art. 414 del codice civile. 
    3.1.2.- Peraltro, il requisito  anagrafico  costituisce  comunque
presupposto necessario affinche' si possa invocare la sussistenza del
diritto in questione, sicche', quand'anche  le  ulteriori  condizioni
per il conseguimento dello stesso in astratto non sussistessero,  non
potrebbe essere accolta l'eccezione d'inammissibilita', per  mancanza
di utilita' concreta per la parte attrice nel giudizio a  quo,  delle
questioni sollevate in ordine al richiesto presupposto  della  minore
eta' del nipote che invoca il diritto. 
    Competera', successivamente, al giudice di merito - cui la  causa
sia rinviata per effetto dell'ipotetica  cassazione  della  pronuncia
impugnata in sede di legittimita' - verificare  la  ricorrenza  delle
altre condizioni previste dalla legge, e non gia'  al  giudice  della
nomofilachia. 
    Invero,  il  requisito  della   rilevanza   non   si   identifica
nell'utilita'  concreta  di  cui  le  parti   in   causa   potrebbero
beneficiare (sentenze n. 172 e n. 59 del  2021,  n.  254  del  2020),
essendo  sufficiente,  per  l'ammissibilita'   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale sollevate  in  via  incidentale,  che  la
disposizione censurata sia applicabile nel giudizio a quo, senza  che
rilevino gli effetti di una  eventuale  pronuncia  di  illegittimita'
costituzionale per le parti in causa (sentenze n. 253, n.  174  e  n.
170 del 2019). 
    3.2.-  Il  Presidente  del   Consiglio   dei   ministri   propone
un'ulteriore eccezione di inammissibilita',  sostenendo  che  sarebbe
erroneamente identificata la norma oggetto di censura, in conseguenza
di una ricostruzione parziale del quadro normativo. 
    Infatti, i dubbi  di  legittimita'  costituzionale  si  appuntano
sull'art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957,  che  riconosce  il  diritto
alla pensione di reversibilita' ai parenti dell'assistito  che  siano
inabili  al  lavoro,  nella  parte  in  cui  tale  diritto   non   e'
riconosciuto al nipote maggiorenne inabile, mentre tali dubbi non  si
estendono all'art. 13 del r.d.l. n. 636 del  1939,  come  convertito,
che regola un'ipotesi specifica  del  diritto  al  trattamento  della
pensione di reversibilita'. 
    La difesa erariale osserva che l'art. 13 del r.d.l.  n.  636  del
1939, come convertito, disciplina, oltre alla  fattispecie  ordinaria
della pensione di reversibilita' spettante  al  coniuge  e  ai  figli
superstiti  che  al  momento  della  morte  dell'assicurato   o   del
pensionato non abbiano superato l'eta' di diciotto anni - fattispecie
ricompresa nell'art. 13 della legge n. 218 del 1952, di cui la  norma
censurata costituisce specificazione -, anche  la  fattispecie  della
pensione di reversibilita'  spettante  ai  figli  di  qualunque  eta'
riconosciuti inabili al lavoro e a carico del genitore al momento del
suo   decesso   e,   in   mancanza,   rispettivamente   ai   genitori
ultrasessantacinquenni non  titolari  di  pensione  e  a  carico  del
pensionato o dell'assicurato al momento della sua morte o, ancora, ai
fratelli celibi e alle sorelle nubili  superstiti,  non  titolari  di
pensione, permanentemente inabili al lavoro  e  a  carico  del  dante
causa  al  momento  del  suo  decesso,  ossia  al  cui  sostentamento
provvedeva il dante causa in maniera continuativa. 
    In base all'assunto dell'interveniente, rispetto alla  situazione
in cui versa la nipote  maggiorenne,  orfana  e  inabile  al  lavoro,
sarebbe l'art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939 a  negare  concretamente
il diritto alla pensione di reversibilita', e non gia'  il  censurato
art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957. 
    Questa conclusione sarebbe avvalorata dal fatto che il giudice  a
quo prospetta l'irragionevolezza dell'esclusione proprio rispetto  al
trattamento pensionistico di reversibilita',  vita  natural  durante,
riconosciuto  dall'art.  13  del  r.d.l.  n.  636  del   1939,   come
convertito, ai figli maggiorenni inabili al lavoro, sopravvissuti  ai
genitori. 
    Su tale aspetto, la difesa statale evidenzia, in ultimo,  che  la
stessa ordinanza di rimessione, in prima battuta, si interroga  sulla
necessita' di verificare la legittimita' costituzionale dell'art.  38
del d.P.R. n. 818 del 1957 e dell'art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939,
per poi sviluppare le motivazioni della  non  manifesta  infondatezza
esclusivamente sulla prima disposizione indicata. 
    3.2.1.- L'eccezione non puo' trovare accoglimento. 
    La giurisprudenza di questa  Corte  ha  evidenziato  che  ricorre
l'inammissibilita' delle questioni per aberratio ictus solo  ove  sia
erroneamente individuata la norma  in  riferimento  alla  quale  sono
formulate le censure di illegittimita' costituzionale (sentenze n. 32
del 2021, n. 224 del 2020 e n. 24 del 2019). 
    Cio' posto in via generale, l'art. 13 del r.d.l. n. 636 del 1939,
come convertito, prevede la prestazione indiretta a favore dei  figli
superstiti, di qualunque eta', riconosciuti inabili  al  lavoro  e  a
carico del genitore al momento del suo decesso, mentre l'art. 38  del
d.P.R. n. 818 del 1957,  al  fine  di  riconoscere  il  diritto  alle
prestazioni delle assicurazioni obbligatorie  per  l'invalidita',  la
vecchiaia e i superstiti, per la tubercolosi e per la disoccupazione,
equipara   ai   figli   legittimi   o   legittimati    (formulazione,
quest'ultima, non piu' in vigore: la legge 10 dicembre 2012, n.  219,
recante  «Disposizioni  in  materia  di   riconoscimento   di   figli
naturali», all'art. 2, comma 1, lettera a, ha delegato il Governo  ad
emanare un decreto legislativo a modifica delle disposizioni  vigenti
sostituendo «i riferimenti ai "figli legittimi" e ai "figli naturali"
con i riferimenti ai "figli" salvo l'utilizzo delle denominazioni  di
"figli nati nel matrimonio" o di "figli nati fuori  del  matrimonio",
quando si tratta di disposizioni a essi specificamente relative».  La
delega e' stata attuata con il decreto legislativo 28 dicembre  2013,
n. 154, recante «Revisione delle disposizioni vigenti in  materia  di
filiazione, a norma dell'articolo 2 della legge 10 dicembre 2012,  n.
219»), i figli adottivi, affiliati, naturali e i minori  regolarmente
affidati, e ai genitori gli adottanti, gli affilianti, il patrigno  e
la matrigna nonche'  le  persone  alle  quali  il  minore  sia  stato
affidato. 
    Alla stregua del descritto  quadro  normativo,  l'estensione  dei
trattamenti previdenziali - entro  certi  limiti  e  condizioni  -  a
determinati componenti della famiglia dell'assicurato include solo  i
minori regolarmente affidati dagli organi competenti a norma di legge
e non anche i  nipoti,  pur  se  minori  e  viventi  a  carico  degli
ascendenti, a meno che fossero  sussistite  le  predette  condizioni,
cioe' che fossero stati formalmente affidati a  questi  ultimi  dagli
organi competenti. 
    Su tale aspetto e' intervenuta questa Corte, che ha accertato  il
contrasto   della   previsione   legislativa   con   il   canone   di
ragionevolezza  nella  parte  in  cui,  mentre   includeva,   fra   i
destinatari diretti ed immediati della pensione di reversibilita',  i
minori non parenti, formalmente affidati al titolare  della  pensione
principale, escludeva dal beneficio dell'ultrattivita'  pensionistica
i nipoti minori e viventi a carico degli ascendenti per  i  quali  il
legislatore non avesse richiesto tale formale  affidamento  (sentenza
n. 180 del 1999). 
    Pertanto, e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale del
richiamato art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957, nella parte in cui non
include, tra i soggetti  ivi  elencati,  anche  i  minori  dei  quali
risulti provata la vivenza  a  carico  degli  ascendenti,  risultando
cosi'  ampliata  la  platea  dei  superstiti  del  beneficiario   del
trattamento pensionistico  ai  nipoti  minorenni,  viventi  a  carico
dell'ascendente. 
    Ne discende che, mentre l'art. 13 del r.d.l.  n.  636  del  1939,
come convertito, delinea le condizioni affinche' il coniuge e i figli
del titolare della pensione - o, in subordine, i suoi  genitori  o  i
suoi  fratelli  e  sorelle  -  possano  godere  della   pensione   di
reversibilita' per i superstiti, l'art. 38 del d.P.R. n. 818 del 1957
contiene una clausola di equiparazione ai figli delle altre categorie
di soggetti che possono vantare tale diritto, sicche' e' proprio tale
ultima  norma  ad  incidere  sulla  platea  degli   aventi   diritto,
operandone la relativa estensione. 
    Cosicche' correttamente e' stato censurato l'art. 38  del  d.P.R.
n. 818 del 1957, nella parte in cui non estende  detta  equiparazione
ai nipoti maggiorenni, orfani e inabili al lavoro. 
    Tale  conclusione  e'  corroborata  dalla  circostanza   che   la
richiamata sentenza n. 180 del 1999 e' intervenuta proprio sul citato
art. 38, nella parte in cui  non  equiparava  ai  minori  affidati  i
minorenni non formalmente affidati, ma al cui sostentamento  provveda
di fatto l'ascendente. 
    4.- Quanto al  merito  delle  questioni,  questa  Corte  ha  gia'
sottolineato  che  la  ratio  della  reversibilita'  dei  trattamenti
pensionistici consiste nel  farne  proseguire,  almeno  parzialmente,
anche dopo la morte del loro titolare,  il  godimento  da  parte  dei
soggetti a lui legati da determinati vincoli familiari, garantendosi,
cosi', ai beneficiari la protezione dalle  conseguenze  che  derivano
dal decesso del congiunto (fra le altre, sentenze n. 180 e n. 70  del
1999, n. 18 del 1998). Si realizza  in  tal  modo,  anche  sul  piano
previdenziale,  una  forma  di   ultrattivita'   della   solidarieta'
familiare (ancora sentenza n. 180 del 1999), proiettando il  relativo
vincolo la sua forza cogente anche nel tempo  successivo  alla  morte
(cosi', con riferimento al rapporto coniugale, la sentenza di  questa
Corte n. 174 del 2016). 
    Nei medesimi sensi si e' espressa anche la Corte  di  cassazione,
la quale ha avuto modo di sostenere, con riferimento  alla  posizione
del coniuge, che  l'attribuzione  della  pensione  di  reversibilita'
consegue  al  principio  solidaristico  che   e'   preordinato   alla
continuazione della funzione di sostegno economico assolta  a  favore
dell'avente diritto  durante  la  vita  del  dante  causa  (Corte  di
cassazione, sezione prima civile,  sentenza  21  settembre  2012,  n.
16093). 
    4.1.- La finalita' del  trattamento  pensionistico  in  esame  di
tutelare la continuita' del sostentamento e  prevenire  lo  stato  di
bisogno che puo' derivare dal decesso  del  congiunto  e'  alla  base
della declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 38  del
d.P.R. n. 818 del 1957 «nella parte in cui non include tra i soggetti
ivi elencati anche i minori dei quali risulti provata  la  vivenza  a
carico degli ascendenti» (sentenza n. 180 del 1999). 
    In quella occasione, la Corte ha accertato il  contrasto  con  il
canone  della  ragionevolezza  della   previsione   legislativa   che
estendeva il trattamento pensionistico di cui si tratta, in  caso  di
mancanza  dei   soggetti   prioritariamente   indicati,   ai   minori
regolarmente affidati all'assicurato dagli organi competenti a  norma
di legge, e non ai  propri  nipoti  minorenni  che  vivessero  a  suo
carico, salvo il caso di affidamento. 
    L'architrave della  ricordata  sentenza  e'  rappresentato  dalla
valorizzazione del rapporto parentale tra ascendenti  e  discendenti,
fondata sulla naturale affectio, nella quale si innesta la speciale e
privilegiata disciplina voluta dal legislatore, sul piano dei diritti
e dei relativi obblighi: il  dovere  di  concorrere  negli  oneri  di
mantenimento, istruzione ed  educazione,  sancito  dall'art.  316-bis
cod. civ. a carico degli ascendenti quando i  genitori  non  hanno  i
mezzi sufficienti; l'obbligo  di  prestare  gli  alimenti,  che  puo'
essere assolto anche accogliendo e mantenendo nella propria casa  gli
aventi diritto ex artt. 433 e 443 cod. civ.; l'intervento  giudiziale
nel caso in cui ai nonni  venga  precluso  il  diritto  di  mantenere
rapporti significativi con i  nipoti  minorenni  ai  sensi  dell'art.
317-bis cod. civ.; il diritto del nipote alla  continuita'  affettiva
con i nonni, declinato dall'art. 315-bis cod. civ.; la tutela  penale
di tali doveri ed obblighi per effetto degli  artt.  570  e  591  del
codice penale. 
    4.2.- Coerentemente con il  dettato  desumibile  da  tale  plesso
normativo, anche in  sede  nomofilattica  e'  stato  riconosciuto  il
diritto degli ascendenti a mantenere  rapporti  significativi  con  i
nipoti  minorenni   -   previsto   dall'art.   317-bis   cod.   civ.,
coerentemente con l'interpretazione dell'art. 8 della Convenzione per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4  agosto  1955,  n.  848,  fornita  dalla  Corte
europea dei diritti dell'uomo, dell'art. 24, paragrafo 2, della Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea  (CDFUE),  proclamata  a
Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,
e degli artt. 2 e 30 Cost., allorche' sia compatibile con l'esclusivo
interesse del minore -, cui  corrisponde  lo  speculare  diritto  del
minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti  significativi
con i parenti, ai sensi dell'art. 315-bis cod. civ. La sussistenza di
tale  interesse  e'  configurabile  quando  il  coinvolgimento  degli
ascendenti si sostanzi in una fruttuosa cooperazione con  i  genitori
per l'adempimento dei  loro  obblighi  educativi,  in  modo  tale  da
contribuire alla realizzazione di  un  progetto  formativo  volto  ad
assicurare un sano ed equilibrato  sviluppo  della  personalita'  del
minore (Corte di  cassazione,  sezione  prima  civile,  ordinanza  25
luglio 2018, n. 19780; sezione  sesta  civile,  ordinanza  12  giugno
2018, n. 15238). 
    4.3.- La rilevanza di  tale  rapporto  e'  confermata  anche  dal
giudizio  sullo  stato  di  abbandono  dei  minori  ai   fini   della
dichiarazione di adottabilita', nel perseguimento del loro  superiore
interesse, posto che a tale effetto deve essere previamente  valutata
l'idoneita' dei nonni a provvedere all'assistenza ed  alla  cura  dei
nipoti, nel rispetto del diritto del  minore  a  crescere  ed  essere
educato nella propria famiglia  allorche'  tra  detti  parenti  siano
intrattenute relazioni significative (Corte  di  cassazione,  sezione
prima civile, ordinanza 11 aprile 2018, n. 9021; sentenza  26  maggio
2014, n. 11758). 
    5.- Cio' posto, nel quadro normativo risultante dalla  richiamata
sentenza n. 180 del 1999, il rapporto di parentela tra l'ascendente e
il nipote  maggiorenne,  orfano  e  inabile  al  lavoro,  subisce  un
trattamento irragionevolmente deteriore  rispetto  a  quello  con  il
nipote  minorenne,  con  conseguente   fondatezza   della   questione
sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. 
    Se, infatti, per quanto si e' dianzi chiarito, il legame  sotteso
al rapporto tra  nonno  e  nipote  minorenne,  come  presupposto  per
l'accesso al trattamento pensionistico di reversibilita', deve essere
ritenuto meritevole di tutela, analoga valutazione di  meritevolezza,
collegata al fondamento solidaristico, che il legislatore e' chiamato
a specificare e modulare nelle diverse situazioni  in  modo  coerente
con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza  (sentenza  n.  174
del 2016), non puo' non riguardare  anche  il  legame  familiare  tra
l'ascendente e il nipote, maggiore  di  eta',  orfano  e  inabile  al
lavoro. La relazione appare in  tutto  e  per  tutto  assimilabile  a
quella che si instaura tra ascendente e nipote minore  di  eta',  per
essere comuni ai due tipi  di  rapporto  la  condizione  di  minorata
capacita' del secondo e la vivenza a carico del primo al momento  del
decesso di questo. 
    E' illogico, e ingiustamente discriminatorio, che i  soli  nipoti
orfani maggiorenni e inabili al lavoro viventi a carico del de  cuius
siano esclusi  dal  godimento  del  trattamento  pensionistico  dello
stesso, pur versando in una condizione di  bisogno  e  di  fragilita'
particolarmente accentuata: tant'e' che ad essi  e'  riconosciuto  il
medesimo trattamento di reversibilita' in caso  di  sopravvivenza  ai
genitori, proprio perche' non in grado di  procurarsi  un  reddito  a
cagione della predetta condizione.  Ulteriore  profilo,  codesto,  di
irragionevolezza della disposizione in esame. 
    5.1.-  Ne'  vale,  come  fa  la  difesa   erariale,   argomentare
l'esclusione alla stregua del rilievo della limitata durata nel tempo
della prestazione in favore dei nipoti  minori  (fino  alla  maggiore
eta') e della (in astratto) piu'  lunga  durata  dell'aspettativa  di
vita del nipote maggiorenne inabile al lavoro. Tale differenza non e'
dirimente ai fini della  spettanza  di  un  diritto  che  ha  matrice
solidaristica, a garanzia delle esigenze minime di  protezione  della
persona. 
    6.- Deve, in conclusione,  essere  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo l'art. 38 del d.P.R. n.  818  del  1957,  per  violazione
dell'art. 3 Cost., nella parte in cui non include tra  i  destinatari
diretti ed  immediati  della  pensione  di  reversibilita'  i  nipoti
maggiorenni orfani riconosciuti inabili al lavoro e viventi a  carico
degli ascendenti assicurati. 
    Resta  assorbita  la  questione  riferita   all'altro   parametro
costituzionale evocato, l'art. 38 Cost.