IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente sentenza sul ricorso numero di registro generale n. 428 del 2011, proposto da: Agamennone Mariangela, Mariangela Agamennone, Nerino Francesca Romana Alparone, Gianluca Amato, Luigi Amoroso, Rosa Amoroso, Fabio Andreazza, Antonio Angelini, Flavia Antonacci, Maria Giulia Aurigemma, Patrizia Ballerini, Roberto Benedetti, Fabio Benzi, Monica Berte', Lucia Bertolini, Rossella Bianchi, Paolo Boncio, Mario Bonomini, Aldo Bove, Francesco Brozzetti, Ines Bucci, Marcello Buccolini, Roberto Buonaguidi, Francesco Caccamo, Marisa Adriana Cacchio, Ivana Cacciatore, Emanuele Cafagna, Alessandro Cama, Marina Camodeca, Cristina Campestre, Leonardo Cangelmi, Erminia Cadetti, Iole Carletttni, Giuseppe Caducei, Norberto Catenacci, Giacomo Cavuta, Maria Silvana Celentano, Lucia Centurione, Virgilio Cesarone, Eleonora Cianci, Renata Ciccarelli, Mario Cimini, Giuseppe Cipollone, Cecilia Coletti, Giorgia Committeri, Agostino Consoli, Luciano Corbellini, Maria Cristina Curia, Gaetano Curzi, Guglielmo D'Amico, Adriana D'Angelo, Gabriella D'Orazi, Raffaele De Caterina, Barbara De Filippis, Vincenzo De Laurenzi, Maria Grazia Del Fuoco, Massimo Del Gatto, Cosimo Del Gratta, Antonella Del Signore, Fausto Di Biase, Giuseppe Di Biase, Giovanni Di Bonaventura, Viviana Di Giacomo, Mario Di Gioacchino, Patrizia Di Iorio, Luisa Di Marzio, Maria Luigia Di Marzio, Rosalia Di Matteo, Marta Di Nicola, Decio Di Nuzzo, Roberta Di Pietro, Sergio Di Sano, Patrizio Domenicucci, Francesco Epifano, Diana liberata Esposito, Katia Falasca, Stefano Fanali, Giorgio Fano', Maria Luigia Fantacuzzi, Elisabetta Fazzini, Luca Federici, Claudio Ferrante, Antonio Ferretti, Giuseppe Fidelibus, Antonella Fontana, Lata Fontanella, Irene Fosi, Pier Enrico Gallenga, Francesco Gambi, Salvatore Genovese, Domenico Genovesi, Mario Giaccio, Andrea Gialloreto, Letizia Giampietro, Valeria Giannantonio, Patricia Giuliani, Rossella Grande, Maria Teresa Guagnano, Simone Guarnieri, Stefano Iacobelli, Paolo Innocenti, Piergiorgio Landini, Domenico Lapenna, Francesco Leone, Maria Rita Leto, Marco Liberati, Lucio Lobefalo, Marcello Locatelli', Alessandra Lugaresi, Grazia Luisi, Cristina Maccallini, Andrea Mariani, Renato Mariani-Costantini, Maria Addolorata Mariggio', Rita Martella, Elia Mascitelli, Luigi Menghini, Oliva Menozzi, Maria Chiara Meo, Arcangelo Merla, Ilaria Miarelli Mariani, Gabriella Mincione, Adriano Mollica, Fabrizio Monaco, Antonio Moretti, Luca Moscardelli, Luisa Mucciante, Felice Mucilli, Raffaella Mutato, Giorgio Napolitano, Luca Maria Napolitano, Paola Nardone, Clara Natoli, Giampiero Neri, Mauro Nicoletti, Daniela Novembre, Gian Gabriele Ori, Giustino Orlando, Roberto Paganelli, Giorgio Pagannone, Alessandro Pancheri, Alessandro Pandimiglio, Assunta Pandolfi, Cecilia Paolini, Antonio Pasculli, Luciana Pasquini, Paola Patrtgnani, Antonia Patruno, Flavia Petrtni, Tommaso Piacentini, Mauro Piantelli, Maurizio Piattelli, Laura Picconi, Sante Donato Pterdomenico, Paola Pierucci, Monica Pivetti, Alberto Pizzi, Eligio Pizzigallo, Giovanni Pizzorusso, Monica Pondrelli, Pierfrancesco Porena, Paolo Postiglione, Davide Quaglione, Giancarlo Quiriconi, Isabella Raffi, Mario Luigi Rainone, Marcello Rapinese, Marcella Reale, Lucia Recinella, Natascia Ridolfi, Gian Luca Romani, Pietro Rovigatti, Sergio Rusi, Paolo Sacchetta, Aristide Saggino, Cristina Anna Maria Salvioni, Francesca Santilli, Alessandro Sarra, Cosima Schiavone, Dario Sciulli, Francesca Scozzati, Michael Segre, Maria Carla Somma, Piera Sozio, Lorenza Speranza, Luca Stirpe, Carlo Tedeschi, Nicola Tinari, Alessandro Tornei, Marco Tommasi, Rossana Torlontano, Lisa Toto, Stefano Trinchese, Oriana Trubiani, Sante Ucchino, Edilio Valenttni, Jacopo Vecchiet, Fabio Verginelli, Giovina Vianale, Luciano Vitacolonna, Paolo Vitale, Filippo Zappasodi, Michele Zito, rappresentati e difesi dagli avv. Andrea Sortino, Federico Dinelli, con domicilio eletto presso Giovanni M. Bucci in Pescara, via Puccini n. 3; Contro Universita' degli studi di Chieti «G. D'Annunzio»; Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliata in L'Aquila, via Buccio di Ranallo presso il complesso S. Domenico; e con l'intervento di ad adiuvandum: Sergio Caputi, Renato Celletti, Camillo D'Arcangelo, Michele D'Attilio, Marco Dolci, Felice Festa, Giovanna Murmura, Michele Paolantonio, Giorgio Perfetti, Antonio Scanno, Liborio Stuppia, Stefano Tete', Domenico Tripodi, rappresentati e difesi dagli avv. Federico Dinelli, Andrea Sortino, con domicilio eletto presso Giovanni M. Bucci in Pescara, via Puccini n. 3; Per l'accertamento del diritto dei ricorrenti, professori o ricercatori di ruolo in servizio presso l'Universita' degli studi G. D'Annunzio di Chieti-Pescara, a considerare utili, ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio loro spettanti, gli anni 2011-2012-2013. Visti il ricorso e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei ministri; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 maggio 2012 il dott. Alberto Pasi e uditi per le parti i difensori gli avv. Andrea Sortino e Federico Dinelli per le parti ricorrenti e l'avv. distrettuale dello Stato Domenico Pardi per la Presidenza del Consiglio dei ministri intimata. I ricorrenti, docenti e ricercatori universitari dell'Universita' degli studi «G. D'Annunzio» di Chieti, hanno richiesto che sia sollevata la questione di legittimita' costituzionale della norma prevista dall'art. 9, comma 2, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n. 122, che blocca, per gli anni 2011, 2012 e 2013, i meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato e per quello di cui all'art. 3, decreto legislativo n. 165/2001, di cui fa parte il personale universitario in parola. Tale disposizione prevede, fra l'altro, che per il personale di cui all'art. 3 decreto legislativo n. 165/2001 le progressioni di carriera eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 abbiano effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici e non economici. Essa viene ritenuta illegittima in quanto asseritamente in contrasto con l'art. 3 Cost., per violazione del principio di uguaglianza; con l'art. 9, comma 1, Cost., per violazione del principio per cui la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnologica; con l'art. 36, comma 1, Cost., per violazione del principio per cui il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa; con l'art. 53 Cost. per violazione dei principi di progressivita' e capacita' contributiva. La disposizione contestata e' stata emanata nell'ambito di misure in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica urgenti, quindi nella logica del contenimento della spesa pubblica, che ha riguardato diversi settori economici ed in particolare tutto il pubblico impiego, senza eccezioni. La misura colpisce i soli dipendenti pubblici, tra cui i docenti universitari, anche col blocco di ogni meccanismo di adeguamento retributivo e di progressione stipendiale, con esclusione del settore privato e dei lavoratori autonomi, i quali sono esentati dal concorso economico straordinario, pur beneficiando della spesa pubblica generale. La discriminazione e' ritenuta irragionevole e lo stesso legislatore aveva divisato di' superare tale ingiusta sperequazione con l'istituzione di un «contributo di solidarieta'» erga omnes. La preventivata abolizione della decurtazione, di cui al citato art. 9, comma secondo, prevista dall'art. 2, comma primo, decreto-legge n. 38/2011, non ha trovato l'avallo parlamentare, con conferma della normativa preesistente. La misura ha i connotati del «prelievo forzoso» e si risolve in una «tassazione aggiunta» per i dipendenti pubblici. Il Tribunale, valutate le ragioni di diritto, ritiene prioritario l'esame delle sollevate eccezioni di costituzionalita', atteso che le previsioni normative trovano immediata e diretta applicazione, per il triennio 2011-2013, a carico dei ricorrenti; in merito e' gia' stata sollevata analoga questione con ordinanza n. 701/2011. La normativa richiamata (art. 9, comma secondo, decreto-legge n. 78/2010, convertito in legge n. 122/2010 e confermata dall'art. 2, comma primo, decreto-legge n. 138/2001, convertito in legge n. 148/2011), stante il suo automatico carattere cogente, pone una lesione patrimoniale non mediata da alcun provvedimento dell'Amministrazione, sospendibile e/o annullabile in quanto tale, venendo a dare esclusiva e decisiva rilevanza alla sollevata questione di legittimita' costituzionale, in quanto la caducazione, anche parziale, dei citati articoli, determinerebbe l'accoglimento del gravame, con statuizione della piena tutela giurisdizionale. Le censure concernono l'art. 9, comma secondo, decreto-legge n. 78/2010, quale convertito in legge n. 122/2010, e vanno estese anche all'art. 2, comma primo, decreto-legge n. 138/2011, convertito in legge n. 148/2011, che riafferma in maniera testuale ed autonoma, le stesse precedenti disposizioni le quali «continuano ad applicarsi nei termini, ivi previsti», recependone integralmente il contenuto. Vengono in rilievo, per la loro violazione, gli articoli 2, 3, 23, 36, 53 della Costituzione. Le misure economiche stabilite ex lege si sostanziano in una «prestazione economica imposta» in via duratura (triennio), attuata mediante blocchi stipendiali gravanti solo sui dipendenti pubblici, lasciando indenni sia i lavoratori privati, sia quelli autonomi che, pur beneficiando di pari fasce retributive possono liberamente incrementare ulteriormente il proprio reddito. Cio' nonostante la ratio legis che, e' nella necessita' di un concorso generalizzato al contenimento delle spese pubbliche, che inevitabilmente richiama il principio di solidarieta' economica e della capacita' contributiva individuale dei cittadini; le ragioni di equita' sociale, infatti, possono far comprendere la scelta selettiva di livelli retributivi medio-alti, resta, invece, inspiegabile la limitazione, della sfera soggettiva dei destinatari, ai dipendenti pubblici che, quali percettori di redditi fissi, notoriamente non sfuggono ad alcuna tassazione, stante la piena conoscenza degli introiti stipendiali ed il pagamento fiscale contestuale alla liquidazione mensile. La diversa denominazione del prelievo e l'eccezionalita' della situazione, per nulla di breve durata, non muta la natura del sacrificio patrimoniale, che rappresenta, per le finanze pubbliche, sempre un'entrata pecuniaria, utilizzata per finalita' generali; il punto ineludibile e' la parita' di trattamento e la non ragionevolezza di gravose soluzioni unidirezionali e plurime su una stessa categoria (blocco degli adeguamenti retributivi e della normale progressione economica nel triennio) che, invero, vengono illogicamente collegate anche alla lotta all'evasione fiscale, certamente non imputabile ai percettori di un reddito fisso, tassato alla fonte. La delicatezza della situazione economico-finanziaria nazionale ed europea puo' giustificare politiche di riequilibrio, ma l'intervento normativa deve rispettare i canoni di cui agli articoli 2, 3 e 53 Cost., che non ammettono soluzioni arbitrarie e sbilanciate, specie se non sono circoscritte ai periodi di breve durata ed addossano l'intero sacrificio ai soli dipendenti pubblici. Il legislatore ha imposto sacrifici economici che si risolvono in una reformatio in peius dell'intero trattamento economico dei dipendenti pubblici investiti di maggiori impegni e responsabilita', facendone una speciale categoria di cittadini che avrebbero una capacita' contributiva oltre ogni logica equitativa, tanto e' vero che lo stesso legislatore, in sede di elaborazione del decreto-legge n. 138/2011, ha avvertito la discriminazione perpetrata, proponendo, senza esito, la soluzione del «contributo di solidarieta'» per la generalita' dei contribuenti. Il principio di proporzionalita' non puo' essere aggirato dalla retorica linguistica di un generico prelievo forzoso che nella sua effettivita' si sostanzia in una diminuzione retributiva costituzionalmente sbilanciata; in realta' si e' in presenza di un contributo eccezionale e straordinario che penalizza una ristretta categoria di soggetti sia per la sua durata, sia per l'entita' delle trattenute. E' da chiedersi: le misure adottate, estese, con la dovuta gradualita', a tutta la platea dei contribuenti, non sarebbero state piu' produttive, di minore incidenza e di piu' breve durata? In sostanza (trattandosi obiettivamente, come non e' dato di dubitare anche alla luce del contesto normativo in cui e' stata codificata, di prestazione patrimoniale imposta di natura sostanzialmente tributaria, come tale assoggettata ai vincoli di cui agli articoli 23 e 53 della Carta costituzionale), la sua previsione (esclusivamente rimessa, al di la' del nomen juris utilizzato, alla normativa primaria, in forza dei principi di legalita' e sostanzialita' dei tributi) avrebbe dovuto gravate, a parita' di redditi incisi, su «tutti» i cittadini (c.d. principio di generalita' delle imposte), in ragione della loro capacita' contributiva, in un sistema informato a criteri di progressivita' (c.d. principio di progressivita'); per tal via - avuto riguardo al comune e condiviso intendimento del requisito della capacita' contributiva scolpito all'art. 53 Cost. quale «valore» diretto ad orientare, nel quadro di una complessiva «razionalita'» impositiva, la discrezionalita' del legislatore in ordine alla prefigurazione e configurazione dei fenomeni tributari - deve ritenersi che limite espresso all'azione impositiva sia quello per cui «a situazioni uguali corrispondano tributi uguali»: di tal che, anche alla luce del correlato principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e del principio solidaristico di cui all'art. 2, il sacrificio patrimoniale che - per non implausibili e contingenti ragioni di contenimento della spesa pubblica - incida soltanto sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di pubblici impiegati, lasciando indenni, a parita' di capacita' reddituale, altre categorie di lavoratori (essenzialmente e segnatamente privati e autonomi), risulterebbe arbitrario ed irragionevole (arg. ex Corte cost. ORD. 14 febbraio 1999, n. 299 e 18 luglio 1997, n. 245). Inoltre la non recuperabilita' degli incrementi (non corrisposti nel triennio) neanche per il futuro, fa si che la misura impatti sul trattamento retributivo di tutta la vita lavorativa, sul TFR e sul trattamento di quiescenza, venendo a mancare anche quel requisito di provvisorieta' stigmatizzato dalla Corte costituzionale nell'ordinanza n. 228/99 «norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all'art. 3 Cost. (sotto il duplice aspetto della non contrarieta' sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza) a condizione che i suddetti sacrifici sino eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo». Va ricordato che ogni situazione di eccezionalita' economico-finanziaria deve trovare soluzione nell'ambito dei principi sovrani di ragionevolezza, generalita', gradualita' e certezza giuridica; di qui la non manifesta infondatezza dell'eccezione di costituzionalita' dell'art. 9, commi 2 e 22, del decreto-legge n. 138/2011 (legge n. 148/2011); essa, invero, si pone rilevante ed attuale, ai fini di ogni tipo di decisione, circa la domanda in punto di integrita' del trattamento retributivo dei ricorrenti, che e' possibile solo all'esito del giudizio di costituzionalita'. Visto l'art. 23 legge n. 87/1953 e riservata ogni decisione, si solleva l'eccezione di costituzionalita' come da motivazione, con rimessione degli atti alla Corte costituzionale.