LA CORTE DEI CONTI Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi prodotti dai dottori Sensi Federico, Da Prato Tito, Ciaffardoni Telesforo, Puccioni Ado, Thiene Giangiacomo, Mara Andrea, Vittoria Sacchi Lodispoto ved. Luciolli, Bocchetto Domenico, Pini Galeazzo, De Rege Thesauro Giuseppe, Figarolo Di Groppello Adalberto, De Lieveferbe Francoise ved. Casali, Giglioli Carlo Enrico, Staderini Ettore, Migone Pietro, Sudano Fulvio, Giarre' Maria ved. Martelli, Ortona Egidio, Capece di Bugnano Alessandro, Caponnazza di Campolattaro Benedetto, Ailland Enrico, Puri Purini Giuseppe, Pinna Cabini Mario, Fornari Giovanni, Majoli Mario, Sabetta Luigi, De Mandato Mario, Farace Alessandro, Masotti Pier Marcello, Giusti Del Giardino Justo, Borromeo Giovanni Lodovico, Minnini Marcello, Acutis Bernardo Maria, Pontecorvo Virgilio, Riboli Bruno, Fabiani Oberto, Marieni Saredo Alessandro, Tassistro Francesco, Paveri Fontana Alberto, D'Erman Mario, Lenzi Guido, Borghese Giulia ved. Cornaggia Medici, Covatta Armando, Raffaeli Giulio, Gasbarri Luigi, Matacotta Dante, Fabbricotti Fabrizio, Massa Bernucci Romualdo, Guillett Amedeo, Bianchi Rosaria ved. Iannuzzi, Morra Biondi Goffredo, Trabalza Falco, Trotta Girolamo, Zadotti Vittorio, Barattieri di San Pietro Ludovico, Mario Aldo, Pelosi Luciana ved. De Cardona, Calabro' Pasquale, Manfredi Vittoriano, Scaroni Carla ved. Boniver, Natale Antonio, Castronuovo Manlio, Toti Lombardozzi Ernesto, Tullio Migneco Mario, Di Castellazzo Toesca ved. Bellini, Cavalletti Francesco, Morozzo Della Rocca Antonino, Guazzaroni Cesidio, Gaja Roberto, Russo Augusto, Perrone Capano Carlo, Guastone Belcredi Enrico, Varvesi Nicolo', Esperto Laura ved. Regard, tutti elettivamente domiciliati in Roma, v. Pierluigi da Palestrina presso gli avvocati Walter e Marco Prosperetti, Dusi Bruno elettivamente domiciliato in Roma, via Campo Marzio, 12, presso l'avv. Filippo De Joio, Licata Giovanni, Colaci Vincenzo, Semprini Ugo, Giovine Oreste, Cioffi Rufino e Franceschini Enrico, elettivamente domiciliati in Roma, via Antonio Mordini, 14, presso l'avv. Paolo Stella Richter; avverso le pronuncie (esplicite o implicite) emesse dai Ministeri degli affari esteri, dell'agricoltura e foreste, delle finanze, del tesoro; F A T T O I ricorrenti, tutti gia' appartenenti alla carriera diplomatica del Ministero degli affari esteri (e per alcuni deceduti, le loro vedove), ad eccezione del dott. Bruno Dusi, gia' direttore generale del Ministero dell'agricoltura e foreste e dei dottori Giovanni Licata, Vincenzo Colaci, Ugo Semprini, Oreste Giovine, Rufino Cioffi ed Enrico Franceschini, tutti ex direttori generali del Ministero delle finanze, tutti cessati dal servizio anteriormente al 2 gennaio 1979, hanno proposto ricorso per ottenere il riconoscimento del diritto al parmanente adeguamento della loro pensione alla retribuzione corrisposta ai loro colleghi in servizio con pari qualifica ed anzianita' chiedendo, in particolare l'applicazione dell'art. 3 della legge 14 novembre 1987, n. 468. In subordine gli interessati hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 anzidetto, nella parte in cui ha escluso dalla riliquidazione della pensione i dirigenti cessati dal servizio prima del 2 gennaio 1979 e in via gradata dell'art. 3 della legge 17 aprile 1985, n. 141, nella parte in cui non istituisce un meccanismo di perequazione permanente delle pensioni alla dinamica retributiva. Sul punto, richiamati i principi sanciti dalla Corte costituzionale con varie sentenze (n. 124/1968, 57/1973, 275/1976 e da ultimo 501/1988 viene denunciata la violazione: dell'art. 3 della Costituzione in quanto la legge n. 468/1987 ha creato una macroscopica disparita' di trattamento tra i dirigenti cessati ante 2 gennaio 1979 che hanno fruito del provvedimento perequativo disposto dalla legge n. 141/1985 comportante una maggiorazione della pensione variabile dal 13% al 18% in relazione ai differenti anni di cessazione dal servizio e di dirigenti collocati a riposo dopo tale data nei confronti dei quali si e' previsto un aumento delle pensioni in misura del 123%; degli articoli 36 e 38 della Costituzione non avendo il legislatore rispettato il criterio della proporzionalita' rispetto alla qualita' e quantita' del lavoro prestato durante il servizio attivo, cio' in dispregio della particolare protezione per il lavoratore garantita dagli articoli 36 e 38, tanto piu' che proporzionalita' e adeguatezza non devono sussistere solo al momento del collocamento a riposo ma vanno costantemente assicurate nel prosieguo, anche in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta. Il ricorrente Dusi Bruno ha aggiunto anche la lesione dell'art. 97 della Costituzione. Il procuratore generale con le conclusioni scritte, eccepita in via preliminare l'inammissibilita' dei gravami per mancanza di preventiva pronuncia amministrativa sul punto in contestazione, ha chiesto in subordine il rigetto, nel rilievo dell'inapplicabilita' ai ricorrenti cessati dal servizio anteriormente al 2 gennaio 1979, dell'art. 3 della legge n. 468/1987. Quanto alle eccezioni di legittimita' costituzionale le ha ritenute manifestamente infondate osservando che la diversita' di trattamento di quiescenza tra personale della stessa categoria collocato a riposo in epoche diverse non comporta violazione del principio di eguaglianza costituendo tale circostanza un elemento di per se' rilevante di differenziazione, ne' il giudice delle leggi puo' sindacare il quantum dei miglioramenti economici concessi ai pensionati, questione rimessa alla discrezionalita' del legislatore. Il requisente ha, infine, escluso l'illegittimita' dell'art. 3 della legge n. 141/1985 del rilievo che il meccanismo di perequazione automatico delle pensioni sussiste tuttora in virtu' dell'art. 21, punto 5, della legge 11 marzo 1988, n. 67 tant'e' che per l'anno 1989 con decreto ministeriale del 20 dicembre 1988 e' stata stabilita la misura percentuale di aumento. Con ulteriore memoria l'avv. Prosperetti ha insistito nelle censure di illegittimita' costituzionale delle norme menzionate, richiamando la recente ordinanza di questa sezione n. 63208 del 23 luglio 1989 con la quale per l'analogia pretesa dei dirigenti statali in pensione, si e' riconosciuta la non manifesta infondatezza delle questioni dedotte. L'avv. Prosperetti ha, poi, evidenziato come l'ordinanza n. 441/1989 della Corte costituzionale, che ha dichiarato inammissibile la questione proposta dalla Corte dei conti (ordinanza 15 febbraio 1989) in relazione all'art. 6- bis della legge 20 novembre 1982, n. 869, non possa incidere negativamente sulla presente eccezione, attesa la differenza tra le posizioni dei ricorrenti e dell'oggetto delle norme censurate. Nell'udienza odierna i patroni dei ricorrenti hanno sostanzialmente confermato le argomentazioni e richieste esposte negli atti scritti, con ampio riferimento ai principi sanciti in materia dalla Corte costituzionale (si fa riferimento da ultimo alla sentenza n. 504//1988). Il procuratore generale, modificando l'atto scritto, ha chiesto la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale avendo ritenuto non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale sollevate dai ricorrenti. CONSIDERATO IN DIRITTO Preliminarmente in rito va disposta la riunione dei ricorsi per evidenti motivi di connessione. L'eccezione d'inammissibilita' proposta dal procuratore generale non appare fondata e va; quindi, respinta sia perche' sono ben noti, per essere stati esplicitati o per essere impliciti, i termini della controversia conseguenti all'opposto diniego sia perche' in concreto, nelle more del procedimento, sono stati depositati i provvedimenti di rigetto, da parte dell'amministrazione competente, delle domande dei ricorrenti. Nel merito la pretesa dei ricorrenti non puo' essere accolta attesa la chiara dizione della norma di riliquidazione delle pensioni (art. 3 della legge n. 468/1987), che ha quali destinatari solo i dirigenti cessati dal servizio con decorrenze successive (e non anteriori, come nella specie) al 1 gennaio 1979. La questione di legittimita' costituzionale degli articoli 3 legge 14 novembre 1987, n. 468 e 3 della legge 17 aprile 1985, n. 141, sollevata dai ricorrenti sotto vari profili, indubbiamente rilevante nel presente giudizio posto che l'accertamento del diritto dei ricorrenti ad un diverso e piu' favorevole trattamento pensionistico trova ostacolo proprio nelle menzionate disposizioni normative, non appare manifestamente infondata. In proposito il collegio deve richiamare e quindi integralmente recepire tutte le argomentazioni esposte nella propria ordinanza 25 luglio 1989, n. 63208, con la quale, in relazione all'identica questione sollevata da ex dirigenti statali cessati dal servizio anteriormente al 2 gennaio 1979, si e' disposta la sospensione del giudizio relativo e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la verifica di costituzionalita' dell'art. 3 delle leggi anzidette con riferimento agli articoli 3, 36 e 38 della Costituzione. Premesso che l'art. 3 della legge n. 468/1987 costituisce una innovazione avendo rettamente reintrodotto, per quanto attiene al regime di quiescenza del personale dirigente civile e militare dello Stato, il criterio dell'allineamento del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del personale di pari qualifica in attivita' di servizio mediante la riliquidazione del trattamento pensionistico, garantendo in tal modo la proporzionalita' della pensione (retribuzione differita) alla qualita' e durata della prestazione lavorativa, ravvisa il collegio una violazione dell'art. 3 della Costituzione allorquando la norma dianzi richiamata limita il beneficio al personale dirigenziale collocato a riposo dal 1 gennaio 1979 escludendo quello cessato anteriormente dal servizio, e cio' sia perche' viene ad operarsi una irrazionale e ingiusta discriminazione agli effetti del trattamento di quiescenza tra soggetti che trovansi in identica posizione funzionale sia perche' si verifica, cosi' operando da parte del legislatore, una contraddittoria ed irrazionale coesistenza, nel medesimo arco temporale, di diversi sistemi pensionistici per il personale dirigente. Ne' - a contrario - puo' eccepirsi che la circostanza del pensionamento in epoche diverse costituisce di per se' un elemento di differenziazione, in quanto tale assunto ha una validita' con riferimento al momento della liquidazione originaria della pensione che non puo' che riflettere i diversi momenti storici della cessazione dal servizio. In conclusione nel caso della riliquidazione, alla quale il legislatore si determina nel momento in cui le differenze delle originarie liquidazioni delle pensioni siano divenute talmente aberranti di fronte ai trattamenti di attivita' del momento prescelto, da far sorgere l'esigenza di un adeguamento, la riliquidazione stessa disposta con riferimento e nell'ambito della stessa categoria di soggetti, se avviene solo per parte di essi, vulnera il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, anche sotto il profilo del non corretto esercizio della discrezionalita' attribuita al legislatore, tenuto conto delle macroscopiche ed irrazionali diversita' nella misura dei miglioramenti economici che ne conseguono. Il collegio ritiene, altresi', sussistere una violazione degli articoli 36 e 38 della Costituzione proprio con riferimento ai principi costantemente affermati dalla Corte costituzionale in ordine al rispetto da parte del legislatore dei criteri della proporzionalita' della pensione rispetto alla quantita' e qualita' del lavoro prestato, della garanzia per il lavoratore e la sua famiglia di mezzi adeguati alle esigenze di vita per una esistenza libera e dignitosa, della necessita' che siano costantemente assicurate, anche nel prosieguo e non solo all'atto del collocamento a riposo la proporzionalita' e adeguatezza in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta (Corte costituzionale, sentenze nn. 26/1980, 173/1986, 501/1988). La declaratoria di illegittimita' costituzionale, nell'ipotesi di una pronuncia della Corte che confermi la legittimita' dell'art. 3 della legge n. 468/1987, deve - ad avviso del collegio - intervenire con riferimento all'art. 3 della legge 17 aprile 1985, n. 141, in quanto, anche con riferimento a tale norma ricorrono gli stessi elementi che inducono a dubitare della sua legittimita' per violazione degli articoli 3 e 36 della Costituzione; sul punto devono richiamarsi le motivazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 501/1988 in tema di riliquidazione dei trattamenti pensionistici dei magistrati. Deve il collegio darsi carico - al fine di fornire alla Corte un quadro esauriente della tematica esaminata in questa sede - della recente ordinanza (n. 441/1989) con la quale la Corte ha dichiarato la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6- bis della legge 20 novembre 1982, n. 869 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 settembre 1982, n. 681, concernente l'adeguamento provvisorio del trattamento economico dei dirigenti delle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, e del personale ad essi collegato) sollevata dalla sezione terza con ordinanza 15 febbraio 1988. Nel dichiarare l'inammissibilita' della questione in quella sede proposta, la Corte ha, tra l'altro, affermato che non contrasta col principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alla stessa categoria di soggetti in momenti diversi del tempo perche' lo stesso fluire del tempo costituisce di per se' un elemento diversificatore e che le norme che prevedono una gradualita' nella perequazione dei trattamenti pensionistici, sono espressione di discrezionalita' legislativa, di per se' non irrazionale, se fondata su elementi oggettivi, connessi alla valutazione di esigenze finanziarie. Con specifico riguardo alla fattispecie esaminata la Corte ha aggiunto che nell'esercizio della menzionata discrezionalita' il legislatore e poi intervenuto anche sulla posizione dei dirigenti cessati dal servizio successivamente al 1 gennaio 1979, disponendo la riliquidazione del loro trattamento pensionistico con la legge 14 novembre 1987, n. 468. Cio' premesso, il Collegio non ritiene che la pronuncia anzidetta sia idonea a comportare una manifesta infondatezza della questione oggi sollevata e che quindi, proprio in relazione ai principi affermati costantemente dalla Corte costituzionale (da ultima con la sentenza n. 501/1988), conservino piena validita' le censure d'illegittimita' costituzionale degli articoli 3 delle leggi nn. 468/1987 e 141/1985. In proposito giova osservare - come evidenziato dalla difesa Prosperetti - che la fattispecie sottoposte al vaglio della Corte presentano una chiara diversita' nel senso che nel caso che ha dato luogo all'ordinanza n. 441/1989, si sono avuti interventi graduali del legislatore per ristabilire un collegamento tra il trattamento pensionistico dei dirigenti e la dinamica retributiva dello stesso personale in servizio: dapprima a favore dei soli dirigenti collocati a riposo dopo il 30 giugno 1982 (legge n. 869/1982) e poi la riliquidazione della pensione estesa anche ai dirigenti cessati dal servizio anteriormente cioe' dopo il 1 gennaio 1979. Diversa appare la situazione nella fattispecie in questa sede censurata sotto il profilo della legittimita' costituzionale, in quanto si verifica una completa assenza di perequazione con la dinamica retributiva del personale in servizio atteso che i dirigenti cessati da servizio fino al 1 gennaio 1979 non fruiscono di alcuna riliquidazione ma solo (in base alla legge n. 141/1985, art. 3), di un modesto aumento percentuale (13% o 18%) della pensione in godimento, in violazione del principio costantemente sancito dalla giurisprudenza costituzionale della necessita' di un costante adeguamento del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del servizio attivo. Restano valide tuttora le argomentazioni poste a base dell'ordinanza della sezione n. 63208 del 1 luglio 1989, compresa quella relativa al criterio di ragionevolezza cui deve uniformarsi la discrezionalita' del legislatore. Da ultimo non possono non richiamarsi le argomentazioni poste a base della sentenza n. 504/1988 con la quale la Corte costituzionale ha ritenuto fondata la questione sollevata in relazione al trattamento pensionistico del personale della scuola.