IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
    All'udienza  dibattimentale  del 12 marzo 1990 nel procedimento n.
 124/1989 r.g. nei confronti di Mancini Patrizio  e  Belardi  Fabrizio
 imputati come in atti.
    Premesso  che  all'udienza  del  7  novembre 1989 su richiesta del
 difensore del Mancini di applicazione dell'istituto di  cui  all'art.
 28  del  d.P.R.  n.  448/1988,  nulla  opponendo  le  altre parti, il
 collegio investiva i servizi sociali  del  compito  di  elaborare  un
 progetto  ai  sensi dell'art. 27 del d.-l. 28 luglio 1989, n. 272, al
 fine di eventualmente disporre la sospensione del processo.
    Rilevato  che  alla  successiva  udienza  del  15  gennaio 1990 il
 difensore di parte civile eccepiva  l'inapplicabilita'  dell'istituto
 al  caso  di  specie trattandosi di reato (omicidio aggravato) punito
 con la pena dell'ergastolo;
    Rilevato  altresi'  che  il  p.m.  alla  stessa udienza chiedeva a
 questo t.m. di sollevare questione di legittimita' costituzionale dei
 seguenti articoli di legge:
      1) art. 28, primo comma, del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, e
 art. 30 del d.-l. 28 luglio 1989, n. 272, con riferimento agli  artt.
 70,  76, 24, 27 e 112 della Costituzione nella parte in cui escludono
 il   p.m.   e   la   difesa   dell'imputato   dalla    partecipazione
 all'elaborazione di sospendere il processo;
      2)  art.  28, terzo comma, del d.P.R. n. 448/1988 e 30 del d.-l.
 n. 272/1989 con riferimento  agli  artt.  70,  76,  24  e  112  della
 Costituzione  nella  parte in cui escludono l'impugnazione nel merito
 dell'ordinanza di sospensione;
      3)  art. 28, quarto comma, del d.P.R. n. 448/1988 e 30 del d.-l.
 n. 272/1989 con riferimento  agli  artt.  70,  76,  24  e  112  della
 Costituzione  nella parte in cui riservano al solo imputato e solo in
 caso di richiesta da parte dello  stesso  di  giudizio  abbreviato  o
 immediato il potere di opporsi alla suddetta ordinanza di sospensione
 in modo vincolante per il giudice;
      4) art. 29 del d.P.R. n. 448/1988 e 30 del d.-l. n. 272/1989 con
 riferimento agli artt. 70, 76, 24, 27 e 112 della Costituzione  nella
 parte   in  cui  introducono  nell'ordinamento  una  nuova  causa  di
 estinzione del reato.
    Rilevato  che  devono  ritenersi  manifestamente  non  fondate  le
 questioni prospettate in ordine al primo comma dell'art.  28  nonche'
 al  terzo  comma  dello stesso articolo con riferimento all'asserita,
 violazione dell'art. 27 cosi' come da ordinanza in  data  odierna  in
 atti.
    Considerato   che  le  rimanenti  questioni  di  costituzionalita'
 sollevate dal p.m. appaiono rilevanti  in  quanto  questo  t.m.  deve
 sciogliere    la    riserva   sull'applicabilita'   dell'istituto   e
 conseguentemente sull'emissione o meno dell'ordinanza di  sospensione
 del processo.
    Considerato  infine che l'eccezione prospettata dalla parte civile
 configura un'autonoma questione di  costituzionalita'  dell'art.  28,
 primo  comma,  del  d.P.R. n. 448/1988 e 30 del d.-l. n. 272/1989 con
 riferimento all'art. 3 della Costituzione nella parte in cui  esclude
 l'applicabilita' dell'istituto ai reati puniti con l'ergastolo;
                           OSSERVA IN DIRITTO
    In  primo luogo appare evidente che la lettera dell'art. 28, primo
 comma,  alla  luce  anche  della  normativa   penale   minorile   sia
 processuale  che sostanziale, non consente di applicare l'istituto in
 esame agli imputati di reato punito con la pena dell'ergastolo.
    Invero  e'  pacifico  che  quest'ultimo e' pena di natura e specie
 diversa dalla reclusione (v. artt. 17 e 22 del c.p.) e che lo  stesso
 e'  non  solo teoricamente ma anche in concreto applicabile ai minori
 imputati  di  omicidio  aggravato,  laddove  le  aggravanti   vengono
 considerate  prevalenti  sulla diminuente della minore eta' (v. Cass.
 sentenza 5901 del 12 maggio 1980). Di conseguenza se  il  legislatore
 avesse ritenuto applicabile la norma dell'art. 28 senza alcun limite,
 avrebbe dovuto  menzionare  espressamente  l'ergastolo  o,  comunque,
 statuire  che  nella  determinazione  della pena doveva tenersi conto
 della diminuente della minore eta'.
    D'altra  parte  laddove  si  e' voluto dare a detta diminuente una
 incidena sulla pena in una fase anteriore al giudizio di comparazione
 proprio  della  pronuncia  nel  merito  il  legislatore  lo  ha detto
 espressamente - vedi art. 19, quinto comma, del  d.P.R.  n.  448/1988
 che testulamente recita "Nella determinazione della pena agli effetti
 della applicazione delle misure cautelari si tiene conto,  oltre  che
 dei  criteri  indicati  nell'art.  278, della diminuente della minore
 eta'" -.
    D'altra  parte  e'  principio  di  ordine  generale  che quando il
 legislatore ha voluto dare  rilievo  ad  una  circostanza  attenuante
 fuori  dal  contesto del giudice di comparazione ne ha fatto espressa
 menzione (v. art. 157,  secondo  comma,  del  c.p.  e  art.  278  del
 c.p.p.).
    Tale  esclusione,  a  giudizio  del  collegio,  si sostanzia in un
 contrasto con l'art. 3  della  Costituzione  infatti  l'art.  28  del
 d.P.R. n. 448/1988 indica come finalita' dell'istituto, alla luce del
 criterio di cui alla lett. e) dell'art. 3 della legge delega,  quella
 della  necessita'  per  il  giudice  di "valutare la personalita' del
 minorenne" e ha come presupposto l'esistenza  di  un  progetto  cosi'
 come specificato dall'art. 27 del d.-l. n. 272/1989.
    Di  conseguenza  l'istituto e' destinato a trovare applicazione in
 situazioni, quali quelle oggetto del presente procedimento, in cui in
 concreto la dimenuente della minore eta' e' particolarmente incidente
 e non certo subvalente rispetto alle aggravanti.
    Ne  consegue  che,  solo  in  forza di una astratta contestazione,
 magari  anche  gia'  con  evidenza  non  corrispondente   al   fatto,
 situazioni  sostanzialmente analoghe (imputato di omicidio semplice e
 imputato di omicidio aggravato con subvalenza o inesistenza di  fatto
 delle   aggravanti)  vengono  ad  essere  diversamente  regolate  con
 violazione dell'art. 3 della Costituzione.
    A questo profilo di disparita' di trattamento deve aggiungersi poi
 il rilievo della non ragionevolezza della diversa disciplina dettata,
 quanto  alla  applicabilita'  dell'istituto, nel caso in cui il reato
 per cui si procede sia punito con la reclusione ed il caso in cui  la
 sanzione prevista sia l'ergastolo.
    La  non  ragionevolezza  della  scelta operata dal legislatore del
 1988 trova un suo primo motivo nel fatto che la legge-delega (art.  3
 lett.  e) non ha posto alcun limite alla applicabilita' dell'istituto
 in ragione del tipo di reato contestato al minorenne.
    Un   secondo,   conseguenziale,   motivo   e'   poi   dato   dalla
 incomprensibile inapplicabilita' dell'istituto  a  ipotesi  di  reato
 particolarmente  gravi  nelle  quali  l'accertamento  in  ordine alla
 personalita'  del  minore  e'  certamente  piu'  necessario,  se  non
 addirittura indispensabile, e puo' richiedere le modalita' ed i tempi
 previsti nell'istituto della sospensione del processo.
    Si  pensi  inoltre  che  l'istituto,  nel  sistema  ora delineato,
 sarebbe in teoria applicabile all'omicidio da parte  di  un  soggetto
 recidivo  commesso  in  danno di un estraneo per i motivi piu' vari o
 non all'omicidio di uno dei due  genitori  con  la  conseguenza  che,
 proprio  in  un  caso pur abbastanza frequente in cui potrebbe essere
 utile e necessario valutare la personalita' del  minore  e  dare  una
 risposta adeguata ad un fatto che sebbene allarmante sotto il profilo
 sociale e' destinato  a  rimanere  isolato  ed  e'  carico  di  umana
 drammaticita',   non   troverebbe   applicazione  l'innovazione  piu'
 significativa e coraggiosa del nuovo c.p.p.
    In   ordine   alle   questioni   sollevate  dal  p.m.  appare  non
 manifestamente infondata quella relativa all'art. 28, terzo comma, in
 relazione  agli artt. 24 e 112 della Costituzione comportando infatti
 la norma sia una violazione del diritto di difesa sia una limitazione
 dell'esercizio dell'azione penale del p.m.
    Se  e'  vero che non costituisce vizio di costituzionalita' il non
 aver richiesto il preventivo consenso di entrambe  le  parti  per  le
 motivazioni  di  cui  all'ordinanza  di  rigetto  gia' menzionata, e'
 altresi' vero che la mancata previsione di una impugnativa nel merito
 dell'ordinanza  di  sospensione viola i diritti dell'una e dell'altra
 parte.
    Ne'  puo' dirsi per l'imputato che egli sarebbe comunque garantito
 dalla possibilita' di impedire l'emissione  dell'ordinanza  nei  suoi
 confronti attraverso il ricorso alla richiesta di giudizio abbreviato
 o di giudizio immediato. Invero nel primo  caso  l'imputato  vedrebbe
 comunque  sacrificati  i  suoi  diritti  di  difesa trattandosi di un
 giudizio "allo stato degli atti" con conseguente  impossibilita'  per
 esempio  di  chiedere  l'esclusione di un teste chiave. Il ricorso al
 giudizio immediato richiederebbe,  dovendosi  esperire  la  richiesta
 almeno  tre  giorni  prima  dell'udienza  preliminare, una preventiva
 conoscenza dell'intenzione del giudice  di  applicare  l'istituto  in
 esame.
    D'altra  parte  risolvendosi  l'ordinanza  di  sospensione  in una
 limitazione anche pregnante della liberta' personale (vedi  contenuto
 del  progetto  di  cui all'art. 27 del d.-l. n. 272/1989) e potendosi
 quindi, sotto tale profilo, equiparare nella sostanza ad  una  misura
 cautelare,  costituisce  violazione del diritto di difesa il non aver
 previsto l'immediata impugnativa nel merito del provvedimento.
    Diversamente,  ma  analogamente  il p.m. non ha la possibilita' di
 concludere nel merito ne' di far valere, attraverso  una  impugnativa
 nel  merito, il suo dissenso all'applicazione di un istituto che puo'
 comportare l'estinzione del reato.
    Per  quanto sopra esposto la questione relativa all'art. 28, terzo
 comma, risulta di conseguenza assorbente di quella relativa  all'art.
 28, quarto comma, del d.P.R. n. 448/1988.
    Infine  in ordine all'art. 29 del d.P.R. n. 448/1988 si rileva che
 esso e' in totale contrasto con la legge  delega,  la  quale  non  ha
 assolutamente  previsto  che  all'esito del periodo di sospensione il
 giudice potesse dichiarare estinto il reato.
    Il  legislatore delegante, ha chiaramente e semplicemente disposto
 (art. 3 lett. e), della legge 16 febbraio 1987, n. 81) il "dovere del
 giudice  di  valutare  la  personalita'  del  minore  sotto l'aspetto
 psichico, sociale e ambientale, anche ai fini dell'apprezzamento  dei
 risultati  degli  interventi di sostegno disposti" e la "facolta' del
 giudice di sospendere il processo per un tempo determinato, nei  casi
 suddetti".
    Nulla di piu'.
    Si  potrebbe  obiettare  che  la  struttura  della  probation, non
 sufficientemente esplicita nella legge-delega, era ed  e'  nota  alla
 cultura  giuridica  e alla prassi, per cui e' chiara l'intenzione del
 legislatore di conformarsi a tale cultura e a tale prassi.
    L'argomento,  pure  suggestivo,  puo'  essere facilmente messo nel
 nulla dalla semplice considerazione che il Governo non poteva  e  non
 puo'  emanare  norme  aventi  forza  di  legge  (artt.  70 e 76 della
 Costituzione) al  di  fuori  di  una  delega  con  determinazione  di
 principi e criteri direttivi e per oggetti definiti.
    E,  nelle  specie, come si e' visto, la lett. e), non consentiva e
 non consente l'introduzione nel nostro ordinamento della nuova  causa
 estintiva del reato dell'esito positivo della prova. Non ci si poteva
 e non ci si puo' rifare genericamente alla tradizione,  alla  cultura
 giuridica, alla prassi.
    Tradizione  e cultura nella materia, del resto, in Italia, sono di
 diverso segno: illuminante  in  proposito  e'  il  disegno  di  legge
 presentato  alla  Camera  dei deputati il 29 aprile 1976 col n. 24567
 (la precedente delega al Governo di emanare un nuovo testo  di  legge
 in  materia  di  interventi  penali  relativi  ai  minori  degli anni
 diciotto).
    Fra le direttive interessano l'istituto della probation la n. 10 e
 la n. 11, che qui mette conto trascrivere:
      10:  previsione  di  sospensione del procedimento, con ordinanza
 collegiale, per non piu' di un anno  se  l'imputato  non  si  opponga
 quanto  il reato - che potrebbe comportare il perdono giudiziale puo'
 ricondursi ad un ciclo  temporale  di  disadattamento  sociale  e  si
 ravvisa l'opportunita' di protezione e di sostegno;
      11: al termine della sospensione (o anche prima se, a seguito di
 nuovo reato, si ritenga di non mantenerla), il minore sara' giudicato
 in  un  unico dibattimento, previa riunione di tutti i processi a suo
 carico. Potra' essere concesso un secondo perdono giudiziale  e  quel
 minore  che, per la maturazione della sua personalita', si prevede si
 asterra' dal commettere ulteriori reati.
    Come  si  vede,  in quel progetto si prevedeva la possibilita' per
 l'imputato di opporsi in ogni caso alla probation e, come conseguenza
 dell'esito positivo, un secondo perdono giudiziale.
    Appare  pertanto evidente il contrasto di tale norma con gli artt.
 70 e 76 della Costituzione.