ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi quinto
 e settimo, del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128 ("Ordinamento interno dei
 servizi  ospedalieri"),  e  dell'art.  29, commi secondo e terzo, del
 d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 ("Stato giuridico del personale delle
 unita' sanitarie locali") promossi con quattro ordinanze emesse il 10
 aprile 1989 e il 9 giugno 1989 dal Consiglio di Stato, il 13  ottobre
 1989  (n. 2 ordinanze) dal T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia, iscritte
 rispettivamente ai nn. 58, 86, 88 e 89 del registro ordinanze 1990  e
 pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica nn. 8 e 10,
 prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  costituzione  di  Ceccarini  Ettore  e gli atti
 d'intervento di Pecoraro Nicolino nonche' gli atti di intervento  del
 Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 1990 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Uditi  l'avv.  Domenico  Arlini  per Ceccarini Ettore e l'Avvocato
 dello Stato  Paolo  D'Amico  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -   Il  Consiglio  di  Stato  con  due  ordinanze,  la  prima
 dell'Adunanza plenaria in data 10 aprile 1989,  la  seconda  della  V
 Sezione  in  data  9 giugno 1989 (pervenute alla Corte costituzionale
 rispettivamente il 30 gennaio e il 20 febbraio 1990), e il T.A.R. per
 il  Friuli-Venezia  Giulia,  con  due  ordinanze del 13 ottobre 1989,
 hanno sollevato,  in  riferimento  all'art.  36  della  Costituzione,
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  7,  quinto  e
 settimo comma, del d.P.R. 27 marzo 1969,  n.  128,  e  dell'art.  29,
 secondo  e  terzo  comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, "nella
 parte in cui non prevedono  una  maggiorazione  di  retribuzione  per
 l'ipotesi  di  esercizio,  da  parte  dell'aiuto  ospedaliero,  delle
 mansioni proprie del primario (o,  da  parte  dell'assistente,  delle
 mansioni  proprie dell'aiuto) oltre il termine di sessanta giorni, in
 caso di disponibilita' o vacanza del posto".
    I  giudici  remittenti  dissentono dall'interpretazione accolta da
 questa Corte con la sentenza n. 57 del 1989, secondo cui  l'art.  29,
 secondo  comma,  del  citato  d.P.R.  n. 761 del 1979, "essendo norma
 eccezionale, deve essere interpretato  rigorosamente  nel  senso  che
 l'adibizione temporanea a mansioni superiori per esigenze di servizio
 non da' diritto a variazioni economiche (...) solo  entro  il  limite
 temporale massimo ivi indicato", onde il suo prolungamento oltre tale
 limite determina a carico del datore di lavoro, a norma dell'art.  36
 Cost., l'obbligo di integrare il trattamento economico del dipendente
 in misura corrispondente  alla  qualita'  del  lavoro  effettivamente
 prestato.
    Si   obietta   che,   superato  il  termine  di  sessanta  giorni,
 "l'ulteriore esercizio da parte dell'aiuto delle  mansioni  superiori
 di  primario  deve  considerarsi  un'attivita'  vietata dalla legge e
 pertanto illegittima",  di  guisa  che  -  argomenta  il  T.A.R.  del
 Friuli-Venezia   Giulia   -   il   preteso  obbligo  di  retribuzione
 comporterebbe che "da una  condotta  vietata  deriverebbero  vantaggi
 anziche'  sanzioni  per  l'interessato".  Al contrario, "se non si ha
 diritto a variazioni di trattamento economico nel periodo di sessanta
 giorni in cui l'esercizio delle mansioni superiori e' eccezionalmente
 consentito, a maggior ragione non si dovrebbe  aver  diritto  a  tale
 trattamento   nei  tempi  eccedenti  i  sessanta  giorni,  nei  quali
 l'esercizio delle mansioni superiori e' addirittura interdetto".
    2.  -  Nel giudizio davanti alla Corte promosso dall'ordinanza del
 Consiglio  di  Stato   -   Adunanza   plenaria   si   e'   costituito
 tempestivamente  il  ricorrente  prof.  Ettore Ceccarini chiedendo la
 conferma della precedente sentenza interpretativa di rigetto  ovvero,
 in subordine, l'accoglimento della sollevata questione.
    Nell'altro giudizio promosso dall'ordinanza del Consiglio di Stato
 - V Sezione si e' costituito il ricorrente  dott.  Nicolino  Pecoraro
 con  atto depositato in data 24 aprile 1990 e pertanto fuori termine.
    3. - In tutti i giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei Ministri, rappresentato dall'Avvocatura  dello  Stato,  chiedendo
 che,  in  ordine  all'art.  29,  secondo comma, del d.P.R. n. 761 del
 1979, la questione sia dichiarata inammissibile  essendo  gia'  stata
 risolta  dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 57 del 1989, o
 comunque infondata nei sensi gia' precisati da tale sentenza.
    Quanto  all'art.  7, quinto e settimo comma, del d.P.R. n. 128 del
 1969 e all'art.  29,  terzo  comma,  del  d.P.R.  n.  761  del  1979,
 l'Avvocatura  ritiene  la  questione  inammissibile,  "non risultando
 specificato sotto quale aspetto tali commi sarebbero in contrasto con
 l'art. 36 Cost.".
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il Consiglio di Stato e il T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia
 contestano la legittimita' costituzionale degli  artt.  7,  quinto  e
 settimo  comma,  del  d.P.R.  27  marzo 1969, n. 128, e 29, secondo e
 terzo comma, del d.P.R. 20 dicembre  1979,  n.  761,  in  riferimento
 all'art.   36   della  Costituzione,  in  quanto  non  prevedono  una
 maggiorazione di retribuzione nell'ipotesi  di  esercizio,  da  parte
 dell'aiuto    o    dell'assistente    ospedaliero,   delle   mansioni
 rispettivamente di primario o di aiuto oltre il termine  di  sessanta
 giorni, in caso di disponibilita' o vacanza del posto.
    Data l'identita' della questione, i quattro giudizi promossi dalle
 ordinanze dei giudici a quibus  vanno  riuniti  e  decisi  con  unica
 sentenza.
    2.  -  In ordine all'art. 7, quinto e settimo comma, del d.P.R. n.
 128 del 1969 e all'art. 29, terzo comma, del d.P.R.  n. 761 del  1979
 la questione e' inammissibile per difetto di rilevanza. Queste norme,
 la prima specificamente destinata al  personale  medico,  la  seconda
 concernente   tutto   il   personale   delle   U.S.L.,  prevedono  la
 sostituzione vicaria del titolare di una  posizione  funzionale  piu'
 elevata  assente  per  malattia,  ferie, congedo, missione, motivi di
 famiglia e simili, oppure non immediatamente disponibile in  caso  di
 urgenza.  In  tali  casi la sostituzione da parte del titolare di una
 posizione inferiore "rientra tra gli ordinari compiti  della  propria
 posizione funzionale".
    Diverso  e'  il  caso,  su  cui  vertono  i giudizi principali, di
 vacanza del posto  di  primario  o  di  aiuto:  qui  la  sostituzione
 rispettivamente da parte dell'aiuto o dell'assistente ospedaliero non
 ha carattere  di  funzione  vicaria,  ma  comporta  un  trasferimento
 temporaneo  a  funzioni  superiori,  che  vengono esercitate a titolo
 personale e autonomo. In questo caso,  come  osserva  giustamente  il
 Consiglio  di  Stato,  "si e' al di fuori dell'ambito di applicazione
 dell'art. 7 del d.P.R. n. 128 del 1969" e si entra, invece, nel campo
 di  applicazione  dell'art.  29, secondo comma, del d.P.R. n. 761 del
 1979, il quale pertanto e' la sola norma  "rilevante  ai  fini  della
 decisione".  In  deroga alla regola del primo comma, essa consente in
 via eccezionale, per esigenze di servizio, l'assegnazione  temporanea
 del  dipendente  a  mansioni  superiori  a  quelle  inerenti alla sua
 qualifica, nel limite di un periodo  massimo  di  sessanta  giorni  e
 senza diritto a variazioni del trattamento economico.
    3. - Relativamente a quest'ultima norma la questione va dichiarata
 infondata nei sensi gia'  precisati  dalla  sentenza  precedente,  la
 quale  ha  ritenuto  che  nell'ipotesi prevista dall'art. 29, secondo
 comma, del d.P.R. n.  761  del  1979  il  diritto  a  variazioni  del
 trattamento  economico  e'  escluso solo se l'assegnazione temporanea
 alle mansioni superiori sia contenuta entro il  periodo  di  sessanta
 giorni nell'anno solare.
    Contro  questa interpretazione si obietta: trascorso il periodo di
 sessanta  giorni,  riprende  vigore  il  divieto  di  assegnazione  a
 mansioni   superiori   statuito  nel  primo  comma;  conseguentemente
 l'esclusione del diritto  a  variazioni  del  trattamento  economico,
 disposta  nel secondo comma, vale non soltanto nel detto periodo, "in
 cui l'esercizio di mansioni superiori e' eccezionalmente consentito",
 ma  anche,  e  "a  maggior  ragione,  nel  tempo eccedente i sessanta
 giorni, nel quale l'esercizio di mansioni superiori e' interdetto", e
 quindi concreta un comportamento illegittimo.
    E'  agevole  replicare  che  illegittimo  non  e' il comportamento
 dell'aiuto  ospedaliero  il  quale,  essendo  vacante  il  posto   di
 primario,  svolge le mansioni corrispondenti per un tempo eccedente i
 sessanta    giorni,     ma     eventualmente     il     comportamento
 dell'amministrazione   che,   dopo  essersi  avvalsa  della  facolta'
 concessa dalla norma in  esame,  mantiene  l'assegnazione  dell'aiuto
 alle   mansioni   superiori   oltre   il  termine  indicato.  Percio'
 l'argomento a fortiori applicato nelle  ordinanze  di  rimessione  e'
 inconsistente:  l'illiceita'  che,  ai  sensi  dell'art.  2126, primo
 comma, cod. civ., priva il lavoro prestato della tutela collegata  al
 rapporto  di  lavoro "non puo' ravvisarsi nella violazione della mera
 ristretta legalita',  ma  nel  contrasto  con  norme  fondamentali  e
 generali  o  con  principi  basilari  pubblicistici dell'ordinamento"
 (cfr. Cass., sez. un., n. 1609  del  1976).  Deve  trattarsi,  cioe',
 dell'illiceita'  in  senso  forte  (illiceita'  della causa) prevista
 dall'art. 1343 cod.  civ.,  non  semplicemente  dell'illegalita'  che
 invalida  il  negozio  o  l'atto  costitutivo  del  rapporto  a norma
 dell'art. 1418, primo comma, cod. civ.
    Una  illiceita'  in  questo  senso  rigoroso  non  e'  ravvisabile
 nell'attivita' esercitata dall'aiuto  o  dall'assistente  ospedaliero
 nei  casi  in  questione: l'illegittimita' dell'ordine di servizio in
 ottemperanza  al  quale  essa  si  svolge,  in  quanto  deriva  dalla
 violazione di un limite temporale dettato dalla legge per ragioni che
 non  attengono   a   principi   giuridici   ed   etici   fondamentali
 dell'ordinamento,  non si riflette in un giudizio di illiceita' della
 prestazione di lavoro.
    Cio',  in  definitiva,  e'  implicitamente  ammesso  dagli  stessi
 giudici remittenti;  che',  altrimenti,  la  sollevata  questione  di
 costituzionalita'  avrebbe  un contenuto contraddittorio, non essendo
 consentito di affermare in pari tempo,  da  un  lato,  che  la  norma
 denunciata  esclude  il diritto alla maggiorazione di retribuzione in
 ragione  dell'illiceita'  dell'attivita'  svolta  dal  prestatore  di
 lavoro,  dall'altro  che  la  norma  medesima,  in  quanto  nega tale
 maggiorazione, contrasta con  l'art.  36  Cost.  L'art.  36,  invero,
 presuppone la liceita' del lavoro prestato.
    4. - Il T.A.R. del Friuli-Venezia Giulia obietta ulteriormente che
 la sentenza n. 57 del 1989  si  pone  "in  insanabile  conflitto  con
 l'obbligo  di  assunzione  dei  pubblici  dipendenti tramite concorso
 pubblico, con quello di buon andamento della pubblica amministrazione
 e  della  riserva  di  legge relativa all'organizzazione dei pubblici
 uffici". L'obiezione e' fuori misura perche' la Corte ha  avuto  cura
 di  precisare  che  non  puo'  sorgere  in  favore  dell'assistente o
 dell'aiuto ospedaliero il diritto  al  riconoscimento  formale  della
 qualifica  superiore  (rispettivamente  di aiuto o di primario), alla
 quale si puo' accedere soltanto mediante le procedure previste  dagli
 artt.  9 e segg. del d.P.R. n. 761 del 1979, restando percio' esclusa
 l'applicabilita'  dell'art.  2103  cod.  civ.  D'altra   parte,   nel
 protrarsi   della  vacanza  del  posto  di  primario,  l'assegnazione
 provvisoria delle relative mansioni  all'aiuto  favorisce,  non  gia'
 ostacola, il buon andamento del servizio sanitario.
    Inconferente  e' pure il rilievo della mancanza di un atto formale
 di preposizione alle funzioni superiori. Ai fini della qualificazione
 del  rapporto  di  fatto  tutelato  dall'art.  2126  cod.civ.  non e'
 necessario un atto formale, ancorche' illegittimo, di assegnazione  a
 determinate   mansioni,  ma  e'  sufficiente  il  semplice  riscontro
 dell'effettivo svolgimento di esse in conformita' di una disposizione
 impartita     dall'organo     amministrativo    dell'ente    pubblico
 nell'esercizio del suo potere direttivo.
    5.  -  Deve  pertanto  essere confermata l'interpretazione accolta
 nella precedente sentenza n. 57 del  1989,  secondo  cui  l'art.  29,
 secondo   comma,   del   d.P.R.  del  1979  si  applica  solo  quando
 l'assegnazione temporanea a mansioni superiori non eccede il  periodo
 di  sessanta giorni nell'anno solare. Qualora il trasferimento a tali
 mansioni si protragga oltre questo termine, spetta al  prestatore  di
 lavoro,  in  via  di  applicazione diretta dell'art. 36, primo comma,
 Cost.  sulla  base  dell'art.  2126,  primo   comma,   cod.civ.,   il
 trattamento corrispondente all'attivita' svolta.