IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale contro
 Del Prete Sergio imputato  come  in  atti,  sull'eccezione  sollevata
 dalla  difesa  di  illegittimita' costituzionale dell'art. 2, secondo
 comma,  della  legge  n.  516/1982  in  relazione  all'art.  3  della
 Costituzione  laddove  punisce  l'omesso  versamento  delle  ritenute
 effettivamente operate, cosi' creando un'ingiustificata disparita' di
 trattamento  tra  coloro  che  commettono questo reato ed a favore di
 chi, pur realizzando condotte sostanzialmente uguali come l'omissione
 delle  ritenute  sugli emolumenti corrisposti in natura o sugli utili
 distribuiti  in  natura  e  delle  ritenute  sui  dividendi  previsti
 dall'art.  27,  primo  e  secondo  comma, del d.P.R. n. 600/1973 e 8,
 primo comma, n. 4, del d.P.R. n. 602/1973, non  incorre  in  sanzioni
 penali;  nonche'  dell'art.  2,  ultimo comma, del d.P.R. n. 75/1990,
 sempre in relazione all'art. 3  della  Costituzione,  che  ha  esteso
 l'amnistia  a  favore  dei sostituti d'imposta che abbiano presentato
 istanza di definizione ex art.  21,  quinto  comma,  della  legge  27
 aprile  1989,  n.  154 e non anche a coloro che avendo pagato, pur in
 ritardo,  le  ritenute,  le  soprattasse  e   gli   interessi   prima
 dell'entrata in vigore di tale legge, non avevano ragione di proporre
 l'istanza di definizione in  essa  prevista  posto  che  per  "comune
 interpretazione  anche  giurisprudenziale" l'istanza era destinata ad
 incidere  solo  sulle  sanzioni  amministrative  e  soltanto  con  la
 sopravvenienza   -   irrazionale  e  trasgressiva  del  principio  di
 uguaglianza - della norma contestata, successiva  alla  scadenza  del
 termine  utile  per  presentare  l'istanza,  si  e'  esteso l'effetto
 estintivo anche all'illecito penale.
    Osserva  il collegio, relativamente alla prima questione, che essa
 appare manifestamente infondata.
    Si  condividono, infatti, le considerazioni espresse dal tribunale
 di Cagliari (seconda sezione penale) con sentenza in data 2  febbraio
 1990,  in  risposta  ad identica eccezione sollevata in quella sede e
 che qui si intendono integralmente  riportate,  circa  l'applicazione
 del  trattamento  sanzionatorio  previsto  dall'art. 2 della legge n.
 516/1982 anche alle fattispecie  indicate  dalla  difesa  laddove  si
 risolvono  in  un ritardato od omesso versamento delle ritenute sugli
 emolumenti in natura o sugli utili distribuiti concretamente. In ogni
 caso,  anche a voler ritenere che quelle ipotesi non siano penalmente
 sanzionate, deve rilevarsi che  rientra  nella  discrezionalita'  del
 legislatore  "stabilire  quali  comportamenti debbano essere puniti e
 quali debbano essere la qualita'  e  la  misura  della  pena..."  (da
 ultimo  ordinanza della Corte costituzionale n. 760/1988) si' che non
 spetta al tribunale tramite l'intervento della  Corte  costituzionale
 sindacare  l'operato  legislativo,  nel caso in esame non palesamente
 arbitrario trattandosi di fattispecie non identiche.
   Per  quanto  concerne  la  seconda  questione occorre precisare che
 l'ultimo  comma  dell'art.  2  del  d.P.R.  n.  75/1990  non  estende
 l'amnistia  a  coloro che avevano presentato istanza ex art. 21 della
 legge n. 154/1989, ma fornisce l'interpretazione di  tale  norma  nel
 senso  che il pagamento della somma stabilita dal quinto comma doveva
 considerarsi estintiva anche degli effetti penali. La norma criticata
 appare  effettivamente  assai discutibile sia per la sua collocazione
 in un testo che ha per oggetto la disciplina  di  una  diversa  causa
 estintiva,  sia  per il suo contenuto. L'interpretazione offerta, che
 il  tenore   dell'art.   21   citato   difficilmente   consentiva   e
 contrastante,   tra   l'altro,  con  l'ordinamento  prevalente  della
 giurisprudenza  di  merito,  ha  privilegiato,  infatti,  coloro  che
 avevano  proposto  l'istanza  di  definizione  in  via amministrativa
 dell'illecito tributario, quale quello in oggetto,  pagando  soltanto
 la  somma  di L. 1.000.000 per ciascun periodo d'imposta a scapito di
 chi, come nella specie, all'entrata in vigore della legge n. 154/1989
 aveva  viceversa  gia'  pagato  tutte le ritenute dovute con aggiunta
 delle sovrattasse e degli interessi e aveva ritenuto percio'  di  non
 dover   osservare   la  procedura  della  legge  suddetta  confidando
 nell'opinione, a quell'epoca generalizzata, che questa non prevedesse
 una  causa  estintiva  anche dell'illecito penale: causa estintiva di
 cui ormai, scaduti i prescritti termini, non puo' piu' usufruire.  In
 realta'  tale  situazione  sarebbe  stata  nella  sostanza  ben  piu'
 meritevole  di  tutela  rispetto   all'altra,   se   non   altro   in
 considerazione  dell'avvenuta integrale reintegrazione dell'interesse
 offeso dal reato. L'eccezione proposta dalla difesa, tuttavia,  posta
 in  questi  termini non e' fondata poiche' l'ultimo comma dell'art. 2
 del d.P.R. n. 75/1990 contiene  una  norma  interpretativa  in  forza
 della  quale  doveva  essere  chiara fin dall'entrata in vigore della
 legge  n.  154/1989  che  il  meccanismo  ivi  disciplinato   avrebbe
 comportato   l'estinzione   anche   degli   effetti  penali.  Con  la
 conseguenza che anche coloro che  allora  avessero  pagato  tutte  le
 sanzioni   amministrative   avrebbero  dovuto  ugualmente  presentare
 l'istanza di definizione ai soli fini dell'estinzione del reato.
    Nessuna  formale  violazione  al  principio di uguaglianza appare,
 quindi, ravvisabile  in  questa  ipotesi  non  potendosi  considerare
 identiche  le posizioni di chi aveva proposto l'istanza definizione e
 pagato la somma determinata  nella  legge  n.  154/1989  e  chi  tale
 istanza  non  aveva presentato, ne' potendosi censurare la scelta del
 legislatore che nell'esercizio legittimo della  sua  discrezionalita'
 ha inteso premiare solo i primi.
    La questione di legittimita' costituzionale puo', tuttavia, essere
 avanzata sotto un altro profilo.
    L'art. 21 piu' volte citato prevedeva, invero, come termine ultimo
 per la  presentazione  dell'istanza  quello  del  31  novembre  1989,
 termine  inesistente  ed  evidentemente  errato, ma non forniva alcun
 elemento che consentisse di stabilire a  quale  data  il  legislatore
 volesse  riferirsi,  potendo  qull'indicazione  normativa prestarsi a
 piu'  interpretazioni.  L'art.  2,  ultimo  comma,  del  decreto   di
 amnistia,   prendendo   atto   dell'errore,   ha  stabilito  che  "in
 conseguenza della errata indicazione  del  termine  del  31  novembre
 1989...   si   considerano  regolarmente  adempiuti  gli  adempimenti
 eseguiti entro il 31 dicembre 1989".  Ebbene,  la  norma  cosi'  come
 formulata  appare  manifestamente irragionevole poiche' ha introdotto
 un termine quando questo era ormai decorso beneficiando, questa volta
 in  modo ingiustificato, chi aveva ugualmente presentato l'istanza di
 definizione e  provveduto  ai  prescritti  adempimenti  nel  mese  di
 dicembre rispetto a chi, con un'interpretazione pure legittima, aveva
 evitato di proporre l'istanza ritenendo scaduto  il  termine  per  la
 stessa.  Disparita'  questa  ancor piu' iniqua ove si tenga conto che
 tra gli esclusi vi e' anche la situazione, sopra considerata, di  chi
 ha interamente adempiuto il suo debito nei confronti dell'erario.
    In  questa  prospettiva  le  due norme appaiono contrastare con il
 dettato dell'art. 3 della Costituzione e inducono questo tribunale  a
 sollecitare l'intervento della Corte costituzionale per l'abrogazione
 delle stesse nella parte in cui  prevedono  il  termine  di  scadenza
 della proposizione dell'istanza di definizione ai fini amministrativi
 e penali.
    La  questione e' evidentemente rilevante nel presente procedimento
 poiche'  una  pronuncia  della  Corte  in  tal  senso   consentirebbe
 all'imputato  di  servirsi  della  procedura  prevista dalla legge n.
 154/1989 per godere della causa estintiva ivi prevista.