IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi riuniti nn. 2883/1987, 2884/1987 e 3493/1988 proposti: il n. 2883/1987 da Bahbout Jacques, in proprio e quale legale rappresentante della S.p.a. Fooditalia, rappresentanto e difeso dagli avvocati Donato Bruno e Piero d'Amelio, presso il secondo dei quali e' elettivamente domiciliato in Roma, via G.B. Vico n. 29; il n. 2884/1987 dalla societa' Mc Donald's Corporation e dalla S.r.l. Ristoranti italiani per famiglie, in persona del rispettivo legale rappresentante pro-tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Paolo Barile, Pier Carlo Bruna e Piero d'Amelio e presso quest'ultimo domiciliate in Roma, via G.B. Vico n. 29; il n. 3493/1988 dalla S.r.l. Mc Donald's Italia, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Paolo Barile, Pier Carlo Bruna e Piero d'Amelio ed elettivamente domiciliata presso il terzo di questi in Roma, via G.B. Vico n. 29; contro il comune di Roma, in persona del sindaco pro- tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro Bonanni, con il quale e' elettivamente domiciliato presso la sede dell'avvocatura comunale in Roma, via del Tempio di Giove n. 21, per l'annullamento: con i ricorsi n. 2883/1987 e 2884/1987: della deliberazione della giunta municipale del comune di Roma n. 3330 in data 1 giugno 1987; con il ricorso n. 3493/1988: della deliberazione della giunta municipale del comune di Roma n. 3925 in data 16 giugno 1988 e di tutti gli atti presupposti, connessi e conseguenti; Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio del comune di Roma; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Data per letta alla pubblica udienza del 3 luglio 1991 la relazione del consigliere Italo Riggio e uditi, altresi', gli avvocati Barile e d'Amelio per i ricorrenti e l'avv. Bonanni per l'amministrazione resistente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Con deliberazione n. 3330 in data 1 giugno 1987 diretta all'individuazione delle aree soggette a particolare tutela ai sensi dell'art. 4 del d.-l. 9 dicembre 1986, n. 832, convertito nella legge 6 febbraio 1987, n. 15, il comune di Roma ha, fra l'altro, dichiarato incompatibile con le esigenze di tutela dei valori ambientali di talune zone del centro cittadino l'attivita' di ristorazione veloce con menu' limitato e non tradizionale. Avverso il suindicato provvedimento si indirizzano i ricorsi nn. 2883/1987 e 2884/1987 proposti l'uno dal sig. Jacques Bahbout in proprio e quale legale rappresentante della S.p.a. Fooditalia e l'altro dalla societa' Mc Donald's Corporation nonche' dalla S.r.l. Ristoranti italiani per famiglie (R.I.P.F.). A fondamento di entrambe le impugnative viene dedotto il seguente articolato motivo: violazione degli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione. Violazione della normativa primaria e secondaria in materia di commercio ed in materia urbanistica. Violazione di norme e principi generali in punto di regolazione del procedimento amministrativo e della partecipazione ad esso dei cittadini. Sviamento di potere. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. Oscurita' ed illogicita' dell'azione amministrativa. Concludono gli istanti chiedendo l'annullamento dell'atto impugnato, previa sospensione della sua esecuzione. Il comune di Roma, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto dei gravami, siccome inammissibili ed infondati nel merito. La domanda cautelare presentata in via incidentale dagli interessati e' stata accolta con ordinanza n. 1822/87 nel ricorso n. 2883/1987 e con ordinanza n. 1827/87 nel ricorso n. 2884/1987. Il terzo ricorso, rubricato al n. 3493/1988 e proposto dalla S.r.l. Mc Donald's Italia, si rivolge contro la deliberazione della stessa giunta municipale n. 3925 in data 15 giugno 1988 la quale ha dettato una nuova disciplina della specifica materia in dichiarata "revoca" della citata delibera n. 3330/1987. Ritiene la predetta societa' Mc Donald's Italia che la deliberazione n. 3925/1988 costituisce mera riproduzione della precedente, ancorche' quest'ultima sia stata annullata con sentenza n. 527 emessa da questo tribunale in data 29 marzo 1988, e deduce il seguente motivo, ampiamente articolato: violazione di giudicato. Sviamento di potere. Violazione degli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione. Violazione della normativa primaria e secondaria in materia di commercio ed in materia urbanistica. Violazione di norme e principi generali in punto di regolazione del procedimento amministrativo e della partecipazione ad esso dei cittadini. Di nuovo sviamento di potere. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione. A conclusione e' chiesto l'annullamento dell'atto impugnato, con ogni conseguenziale effetto di legge. Il comune di Roma si e' costituito in giudizio ed ha eccepito l'inammissibilita' del ricorso e la sua infondatezza nel merito, chiedendone la reiezione. I ricorrenti in data 21 giugno 1991, hanno depositato una memoria difensiva, valevole per tutti e tre i ricorsi, allo scopo di chiarire ulteriormente i propri assunti. Con decisione parziale, deliberata nella camera di consiglio del 3 luglio 1991, sono stati definiti, previa riunione, i ricorsi nn. 2883 e 2884 del 1987 e adottate determinazioni in ordine alle eccezioni preliminari ed a taluni motivi dedotti in via principale nel ricorso n. 3493/1988, riservando la pronuncia definitiva all'esito dell'incidente di costituzionalita' dell'art. 4 del d.-l. n. 832/1986 sollevato dalla societa' Mc Donald's Italia. D I R I T T O 1. - Con separata sentenza il consiglio ha riunito i ricorsi in epigrafe e dichiarato improcedibili, per sopravvenuto difetto di interesse, i ricorsi nn. 2883 e del 2884 del 1987. Quanto al ricorso n. 3493/1988, con la stessa pronuncia sono state risolte talune questioni preliminari e respinte, nel merito, alcune delle censure mosse in via principale. In via principale la ricorrente S.r.l. Mc Donald's Italia, ha prospettato eccezione di incostituzionalita' dell'art. 4 del d.-l. 5 dicembre 1986, n. 832, convertito nella legge 6 febbraio 1987, n. 15, per contrasto con gli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione. Deve quindi passarsi ad esaminare se le dedotte questioni siano rilevanti e non manifestatamente infondate. 2. - La norma di legge sopra citata dispone "Al fine di tutelare le tradizioni locali ed aree di particolare interesse del proprio territorio, i comuni possono stabilire voci merceologiche specifiche nell'ambito delle tabelle di cui all'art. 37 della legge 11 giugno 1971, n. 426 e nuove classificazioni in deroga a quelle previste dall'art. 3 della legge 14 ottobre 1974, n. 524, nonche', limitatamente agli esercizi commerciali, agli esercizi pubblici ed alle imprese artigiane, le attivita' incompatibili con le predette esigenze. I comuni accertano altresi' le attivita' svolte negli essercizi compresi nelle suddette aree e confermano le autorizzazioni in sede di vidimazione annuale nei limiti delle attivita' effettivamente svolte in atto alla data di entrata in vigore del presente decreto". L'atto generale applicativo, oggetto di impugnazione, costituito dalla delibera della giunta municipale del comune di Roma n. 3925 in data 15 giugno 1988, ha dettato la seguente disciplina: a) ha individuato la zona della citta' da tutelare (zona B) e, all'interno di essa, quattro sub-zone A, comprendenti le parti piu' antiche e significative del tessuto centrale; ha stabilito nuove classificazioni degli esercizi per la somministrazione al pubblico di alimenti e bevande (gruppi A e B dell'art. 23 del d.m. 28 aprile 1976) e nuove sottovoci della tabella merceologica IX di cui al d.m. 30 agosto 1971; b) ha dichiarato, tra l'altro, incompatibili con le esigenze di tutela delle aree appartenenti alle sub-zone A) le seguenti attivita': commercio all'ingorsso con deposito merci; depositi e magazzini non funzionalmente collegati con esercizi al dettaglio esistenti in zona; laboratori di pizzeria a taglio, friggitorie, rosticcerie e simili; attivita' commerciali relative ai generi della grande distribuzione e dell'abbigliamento casual; pubblici esercizi di ristorazione veloce con piatti gia' predisposti, tradizionali e non, nonche' locali di intrattenimento e svago con spettacolo o musica riprodotta e sale da gioco; carrozzerie; cooperative di consumi e spacci esterni. Orbene il menzionato art. 4, consentendo all'autorita' comunale di precludere nel proprio territorio l'esercizio di determinate attivita' imprenditoriali, comporta certamente una limitazione alla liberta' di iniziativa economica privata la quale, in conformita' al disposto dell'art. 41, secondo comma, della Costituzione, puo' essere compressa quando sussistono prioritari fini di utilita' sociale. Il legislatore e' libero di stabilire le modalita' attraverso cui perseguire i suddetti fini ma occorre che l'apprezzamento dell'organo legislativo non sia inficiato da criteri illogici, arbitrari o contraddittori (cfr. Corte costituzionale, sentenze nn. 14/1964, 53/1974 e 446/1988). In altri termini la rispondenza al dettato costituzionale della legislazione che pone limiti e vincoli all'iniziativa economica privata deve essere verificata alla luce del ca. principio di "ragionevolezza", ovvero di coerenza tra fine perseguito e strumenti normativi concretamente utilizzati. Il giudizio di ragionevolezza consiste nello stabilire se la legge si trovi in rapporto di adeguata strumentazione con le finalita' dichiarate e se i mezzi impiegati siano idonei allo scopo o siano, per contro, incongrui. Nella specie non puo' farsi a meno di rilevare che l'art. 4 del d.-l. n. 832/1986, autorizzando la preclusione da parte dell'autorita' comunale delle attivita' ritenute incompatibili con "le tradizioni locali" e con le "aree di particolare interesse del proprio territorio", non appare in sintonia con il precetto costituzionale che prevede la possibilta' di limitare o di indirizzare l'iniziativa economica privata ma non di frapporre ostacoli che ne rendano impossibile l'esercizio. Sotto tale profilo un recente orientamento della giurisprudenza amministrativa (C.S., sezione quarta, 18 marzo 1989, n. 170) ha ritenuto di poter superare l'obiezione di incostituzionalita' richiamando l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale con la decisione n. 9/1973 che ha ravvisato non fondata la questione di legittimita' costituzionale della legge n. 1097/1971 sulla tutela delle bellezze naturali e ambientali nei colli Euganei, la quale vieta "l'attivita' estrattiva del minerale di cave di determinata natura". Tuttavia in quel caso la Corte ha espressamente individuato nella legge n. 1097/1971 l'applicazione di principi gia' insiti nella legge n. 1497/1939 relativa alla tutela delle bellezze naturali in genere. Come e' noto l'art. 7 della legge n. 1497/1939 vieta ai proprietari, possessori o detentori di un bene soggetto a tale disciplina, di distruggerlo o di "introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio a quel suo esteriore aspetto che e' protetto dalla presente legge". Diverso e', pero', il caso in esame dove viene consentito dal piu' volte citato art. 4 del d.-l. n. 832/1986 di apporre un generalizzato divieto all'esercizio di determinate attivita', nonostante queste risultino garantite dall'art. 41 della Costituzione, in assenza della previa verifica da parte del legislatore che le stesse rechino effettivo pregiudizio ai valori che si intende tutelare. In tale ottica stima il collegio che protrebbe ravvisarsi un aspetto di irragionevolezza della norma in esame, atteso che il divieto all'esercizio dell'iniziativa economica privata non risulta giustificato dal fine che il legislatore ha inteso perseguire. In effetti i comuni sono gia' in grado di dettare, indipendentemente dalla norma in questione, prescrizioni urbanistiche idonee a tutelare le tradizioni locali e le aree urbane di particolare interesse. Inoltre la legge n. 1089/1989 prevede la tutela dei beni mobili o immobili di interesse storico, artistico, archeologico ed etnografico (art. 1) nonche' di beni di interesse particolarmente rilevante per il loro riferimento alla storia, politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere (art. 2). L'art. 11 della stessa legge vieta, infine, la destinazione e l'uso dei suddetti beni non compatibili con il loro carattere e, comunque, tale da pregiudicarne la conservazione e l'integrita'. 3. - Il secondo comma dell'art. 4 del d.-l. n. 832/1986 dispone che i comuni accertino le attivita' svolte negli esercizi compresi nelle aree di particolare interesse e confermino le autorizzazioni commerciali nei limiti delle attivita' effettivamente in atto alla data di entrata in vigore del decreto medesimo. Cio' comporta che le amministrazioni interessate possono vietare lo svolgimento di nuove attivita' ritenute incompatibili con le tradizioni locali o con aree di particolare interesse ma non imporre, per converso, la cessazione di quelle gia' intraprese prima dell'entrata in vigore della legge sopravvenuta, le quali vengono in tal modo poste al riparo da nuove imprese concorrenti. La tutela della liberta' di concorrenza rappresenta tuttavia un valore che sia la dottrina sia la giurisprudenza della Corte costituzionale hanno collegato direttamente all'art. 41 della Costituzione. Essa inoltre risponde ai principi ispiratori dell'ordinamento comunitario cui recentemente il legislatore italiano ha inteso adeguarsi con la legge 10 ottobre 1990, n. 287, recante "norme per la tutela della concorrenza e del mercato". La liberta' di concorrenza non esclude che l'iniziativa economica possa essere assoggettata a limiti per fini di utilita' generale ma, imponendo che detti limiti siano eguali per tutti, vieta di discriminare tra soggetti pienamente liberi e soggetti impediti allo svolgimento di una particolare attivita', in relazione al mero dato cronologico dell'inizio dell'impresa. E' pur vero che, secondo l'ordinamento piu' volte ribadito dal supremo giudice di legittimita' (Corte costituzionale, sentenze nn. 66 e 138 del 1979, 122/1980 e 38/1984), non contrasta con il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti ma in momenti diversi nel tempo, giacche' lo stesso fluire di questo costituisce di per se' un elemento differenziatore. Peraltro la questione appare qui diversa, posto che i limiti in funzione dell'utilita' sociale una volta apposti devono necessariamente valere per tutti. Ritenere una certa attivita' economica contrastante con tale utilita' solo perche' iniziata successivamente ad un'altra da un lato vale a configurare l'inosservanza del principio di liberta' di concorrenza desumibile dall'art. 41 e del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione; dall'altro sembra costituire frutto di contraddizione che, in quanto tale, e' indice di sostanziale irragionevolezza. 4. - Ulteriore aspetto sul quale occorre soffermarsi concerne la violazione del principio di riserva di legge sancito dall'art. 41 della Costituzione. Quest'ultima norma consente di limitare l'iniziativa economica individuale solo in forza di una legge. Siffatta riserva, espressamente prevista dall'ultimo comma del menzionato art. 41 deve invero ritenersi estesa anche alle materie regolate dal secondo comma della stessa norma, e cioe' ai limiti posti alla liberta' di impresa a fini di "utilita' sociale" o della "sicurezza, liberta', dignita' umana" (Corte costituzionale, sentenze nn. 50 e 103 del 1957, 47 e 52 del 1958, 4 e 5 del 1962 e 40/1964). Dalle suindicate pronunce si ricava che l'art. 41 citato, pur affermando la liberta' dell'iniziativa economica privata, autorizza l'apposizione di vincoli al suo esercizio subordinatamente al verificarsi di una duplice condizione: sotto l'aspetto sostanziale, che detti limiti corrispondano alla utilita' sociale e, sotto quello formale, che la relativa disciplina sia effettuata ad opera della legge. Consegue da cio' che la valutazione dei fini pubblici prevalenti rispetto all'iniziativa economica privata e' preclusa all'amministrazione, spettando al solo legislatore. Poiche' l'art. 4 del d.-l. n. 832/1986 non reca criteri o direttive idonei a contenere in un ambito rigorosamente delimitato la discrezionalita' del comune nell'individuare le attivita' economiche da vietare nel proprio territorio, deve ritenersi che tale disposizione contrasti con il principio di riserva di legge di cui all'art. 41 della Costituzione. La giurisprudenza della Corte costituzionale ha chiarito, in particolare, che il legislatore quando adotta discipline intese a limitare la liberta' di iniziativa economica privata deve determinare le regole fondamentali idonee a mantenere entro confini ben identificati l'esercizio dell'attivita' normativa secondaria quanto di quella, particolare e concreta, di esecuzione, evitanto che essa si svolga in modo assolutamente discrezionale (Corte costituzionale, sentenza n. 4/1962, cit.). Dagli affermati principi e' possibile ricavare che almeno due sono le esigenze di cui la evidenziata riserva di legge esige il rispetto; l'adeguata limitazione della discrezionalita' amministrativa e l'affidamento alla pubblica amministrazione del potere di compiere valutazioni non arbitrarie ma fondate su accertamenti e criteri di scelta tecnici. Il ripetuto art. 4 del d.-l. n. 382/1986 e' invece generico nelle formule dispositive e non ha per nulla regolato il procedimento attinente all'esercizio della nuove competenze attribuite ai comuni, che in materia sono percio' dotati di potere assolutamente discrezionale, in contrasto con la riserva di legge ex art. 41 della Costituzione, la quale esige una incisiva delimitazione della discrezionalita' amministrativa che sia idonea ad assicurare l'imparzialita' della azione pubblica. Per tale verso, intrecciandosi strettamente il tema della riserva di legge con quello dell'imparzialita', sembra profilarsi l'ulteriore violazione dell'art. 97 della Costituzione. 5. - Alla stregua delle suepposte considerazioni le questioni di costituzionalita' sollevate appaiono non manifestamente infondate e rilevanti ai fini del decidere in quanto alla loro risoluzione e' direttamente legata la possibilita' di accoglimento o meno del ricorso n. 3493/1988, che ha ad oggetto una delibera del comune di Roma con la quale e' stato esercitato il potere conferito dall'art. 4 del d.-l. n. 382/1986. Pertanto il collegio sciogliendo la riserva contenuta nella decisione parziale di pari data reputa che le sopra delineate questioni di costituzionalita' vadano rimesse, previa sospensione del giudizio, gia' disposta con la predetta decisione alla competente sede costituzionale.