LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile n. 258/91 r.g. promossa da Barbero Olimpia, elettivamente domiciliata in Torino, via Monte di Pieta', 12, presso l'avv. Stefano Commodo, che la rappresenta e difende come da procura in atti, appellante, contro Quercia Giuseppe, residente in Torino, ivi elettivamente domiciliato in via Garibaldi, 57, presso l'avv. Giuseppe Iorfida, che lo rappresenta e difende come da procura in atti, appellato. PREMESSO IN FATTO La presente causa ha ad oggetto l'impugnazione del matrimonio c.d. concordatario contratto tra Giuseppe Quercia ed Olimpia Barberio in Torino il 16 maggio 1976 e trascritto nei registri dello Stato Civile di Torino. L'azione e' stata proposta dal marito ai sensi dell'art. 122, secondo comma, del cod. civ., assumendo l'attore di avere contratto il matrimonio in uno stato di manifesto errore, determinato dalla ignoranza della sussistenza nella moglie di un malattia di tale gravita' da prospettare una convivenza diversa dalla norma e conseguenze ereditarie per i figli (epilessia). La convenuta si e' opposta alla domanda contestandone la fondatezza sotto diversi profili. Il Tribunale di Torino, tuttavia, con la sentenza qui impugnata ha rilevato pregiudizialmente il proprio difetto di giurisdizione, (questione sollevata d'ufficio dal giudice istruttore) "spettando la giurisdizione in via esclusiva al giudice ecclesiastico". A seguito dell'appello ritualmente proposto dalla Barberio, questa corte e' chiamata ad "accertare e dichiarare la giurisdizione del giudice italiano" (ed a pronunciare conseguentemente nel merito) ovvero a confermare il difetto di giurisdizione ritenuto dai primi giudici. Dinanzi a questa stessa corte e' pendente, peraltro, altra causa (r.g. n. 1744/90) - promossa dal Quercia e volta alla deliberazione in Italia della sentenza del tribunale ecclesiastico regionale piemontese che ha dichiarato nullo il matrimonio celebrato dalle stesse parti errore dell'uomo, causato da dolo circa una qualita' della donna convenuta, gravemente perturbativa del consorzio coniugale" (epilessia, can. 1098 C.I.C.) la quale va riunita alla presente per ragioni di connessione (connessione c.d. impropria". O S S E R V A Si discute in causa se la riserva assoluta di giurisdizione a favore dei tribunali ecclesiastici nelle cause di invalidita' del matrimonio c.d. concordatario, stabilita dall'art. 34, quarto comma, del Concordato lateranense del 1929 ("le cause concernenti la nullita' del matrimonio e la dispensa dal matrimonio rato e non consumato" sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici), trovi tuttora spazio di applicazione nell'attuale ordinamento, nonostante la mancata esplicita affermazione di tale principio nell'accordo di modificazione del Concordato, stipulato fra lo Stato italiano e la Santa sede il 18 febbraio 1984 e ratificato con legge 25 marzo 1985, n. 212, ed anzi, nonostante che l'art. 13 del predetto accordo espressamente stabilisca che "le disposizioni del Concordato stesso non riprodotte nel presente testo sono abrogate". Orbene, va anzitutto rilevato che questa Corte non condivide la valutazione fatta dal giudice di primo grado, il quale ha individuato nel testo dell'accordo ratificato con legge n. 121/1985 "un dato particolarmente significativo", contenuto nell'art. 8.2, sub a), che deporrebbe in senso favorevole alla sopravvivenza della riserva di giurisdizione in favore dei tribunali ecclesiastici (la previsione cioe' che il giudice italiano deve accertare, per dichiarare efficaci nella Repubblica italiana le sentenze di nullita' del matrimonio pronunciate dal tribunale ecclesiastico, anzitutto che "il giudice ecclesiastico era il giudice competente a conoscere della causa in quanto matrimonio celebrato in conformita' del presente articolo"). Trattasi infatti a giudizio della Corte, di argomento assai frag- ile, dal quale non pare consentito trarre - se non attraverso un'interpretazione alquanto "forzata" del testo legislativo - la conclusione accolta dai primi giudici. Ed analogamente e' a dirsi in ordine agli ulteriori elementi che il tribunale ha raccolto dal testo dell'accordo, che appaiono generici e per nulla decisivi. Ciononostante, osserva il collegio che la questione sopra prospettata mantiene intatta la propria rilevanza sotto il profilo che, seppur il testo dell'accordo di modificazione del Concordato non riproduce la disposizione che prevedeva la riserva di giurisdizione in favore dei tribunali ecclesiastici, nondimeno tale riserva non potrebbe, comunque, ritenersi abrogata, ove si devesse ritenere che la detta disposizione concordataria assurga al rango di "norma costituzionale"; se, in altre parole, debbasi ritenere che la riserva di giurisdizione sia stata "costituzionalizzata". E' infatti evidente che, in tale ipotesi, il surrichiamato art. 13 dell'accordo non potrebbe riguardare la disposizione in questione. Osserva, invero, il collegio, in conformita' all'orientamento della Corte di cassazione, che in materia di diritti di famiglia o di questione di stato, il diritto italiano non consente al cittadino di sottrarsi, con una convenzione espressa o tacita, al proprio giudice nazionale (cfr. Cass. 5 gennaio 1972, n. 16). In particolare, nei giudizi matrimoniali relativi a coniugi italiani, l'accettazione della giurisdizione straniera da parte del convenuto italiano non costituisce criterio di collegamento idoneo a sottrarre la controversia al giudice italiano, implicando essa sostanzialmente una deroga alla giurisdizione italiana, espressamente vietata dall'art. 2 del c.p.c. In tal caso, infatti, le parti vogliono lo stesso risultato della vietata deroga convenzionale, dando luogo ad un procedimento che sfocia in un impedimento, ai sensi dell'art. 797, n. 6, del c.p.p., alla istituzione dinanzi ad un giudice italiano del giudizio per il medesimo oggetto fra le stesse parti (Cass. 18 luglio 1975, n. 2845). La deroga, pertanto, deve essere prevista espressamente dalla legge. E sotto tale profilo, va osservato che la Corte costituzionale con la sentenza 2 febbraio 1982, n. 18, nell'affrontare i rapporti tra l'ordinamento italiano e quello canonico, alla stregua di qualsiasi altro ordinamento straniero) con la conseguente applicabilita' degli artt. 796 e 797 del c.p.c.), ha affermato che non contrasta con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale la riserva della giurisdizione ai tribunali ecclesiastici in materia di invalidita' del matrimonio concordatario. Si e' obiettato tuttavia in dottrina che altro e' consentire alle parti di derogare alla giurisdizione italiana in materia di diritti disponibili, altro e' rinunciare a giudicare su diritti indisponibili e assegnare alle parti un giudice naturale estraneo all'organizzazione giurisdizionale dello Stato, comprendendosi, peraltro, che altro e' riconoscere gli effetti civili del matrimonio religioso ed altro e' consentire che un matrimonio sia giudicato nullo soltanto da tribunali estranei alla Repubblica. Sotto questo profilo, si e' anche sostenuto che per far cadere la riserva di giurisdizione in favore dei tribunali ecclesiastici, non sarebbe stata affatto necessaria una norma espressa, attesa la irrinunciabilita' da parte dello Stato ad una sua prerogativa sovrana ed inalienabile. Orbene, l'accordo di Villa Madama ed il Protocollo addizionale - come sopra si e' ricordato - hanno abrogato tutte le disposizioni del Concordato del 1929 (tra le quali rientra l'art. 34, quarto comma) non riprodotte nel nuovo testo, e nel contempo, non hanno dettato alcuna norma che, nel riservare espressamente ai tribunali ecclesiastici la giurisdizione sulle domande di nullita' del matrimonio possa implicare la rinuncia dello Stato a giudicare le stesse. Questa Corte ritiene plausibile, tuttavia, l'opinione espressa da taluni giudici di merito (tribunale Catania 13 ottobre 1987, tribunale Napoli 22 aprile 1989), secondo cui la riserva assoluta di giurisdizione in favore dei tribunali ecclesiastici non e' stata riprodotta nell'accordo di modificazione del Concordato - l'art. 8, secondo comma, della legge 25 marzo 1985, n. 121, si limita a disciplinare la delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullita' del matrimonio - in quanto costituisce "l'effetto di una scelta dello Stato costituzionalmente garantita" (cosi' tribunale Napoli 22 aprile 1989 cit.); in altre parole, detta riserva e' stata recepita nella stessa Costituzione. Ove cosi' debbasi ritenere - nonostante la rilevata irrinunciabilita' dello Stato all'eserczio della giurisdizione in sujecta materia - non par dubbio al collegio che competa preliminarmente alla Corte costituzionale di verificare se nella Costituzione sia effettivamente contenuta questa limitazione alla sovranita' dello Stato. Deve pertanto questa Corte sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 27 maggio 1929, n. 810, nella parte in cui viene data esecuzione all'art. 34, quarto comma, del Concordato fra la Santa sede e lo Stato italiano dell'11 febbraio 1929, in relazione all'art. 7, primo comma, della Costituzione, il quale dispone che "lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani". La indicata questione di costituzionalita' si appalesa, invero, sotto un aspetto, rilevante, atteso che questa Corte, ove fosse riconosciuta la riserva assoluta di giurisdizione a favore dei tribunali ecclesiastici, con esclusione di quella (concorrente) dei tribunali della Repubblica, in materia di invalidita' del matrimonio concordatario, dovrebbe declinare la propria giurisdizione (confermando la sentenza impugnata, ancorche' con diversa motivazione); sotto altro aspetto, la questione non puo' neppure ritenersi manifestamente infondata, non apparendo incontrovertibile secondo gli attuali orientamenti della dottrina e della giurisprudenza.