IL TRIBUNALE
   Sul  reclamo  proposto  ai  sensi  dell'art.  669-terdecies  contro
 l'ordinanza emessa in data 15 giugno 1993 dal g.i.  dott. Sardo.
                                 FATTO
    Con ricorso ex art. 700 c.p.c. e 2409 del c.c. i reclamanti,  soci
 della S.r.l. Immobiliare S. Maria - nelle more del giudizio di merito
 diretto  a far accertare la violazione in loro danno del diritto alla
 prelazione   con   riferimento   tra   l'altro   alla    costituzione
 dell'usufrutto  di quote della societa' immobiliare S. Maria S.r.l. e
 all'iscrizione di pegno in favore della societa' Artwood Investiments
 Limited - chiedevano l'adozione di misure cautelari al  fine  di  non
 alterare irrimediabilmente le delicate compagini sociali della S.r.l.
 S. Maria Immobiliare.
    Con  ordinanza  in  data  15  giugno  1993  il  giudice istruttore
 dichiarava  improponibile  il  ricorso  ex  art.  2409  del  c.c.   e
 respingeva  tutte  le  istanze di provvedimenti d'urgenza ex art. 700
 del c.p.c.
    Contro tale provvedimento  e'  stato  proposto  reclamo  ai  sensi
 dell'art. 669-terdecies del c.p.c.
    La  prima  questione  necessariamente  sollevata dai reclamanti e'
 proprio   quella   della   legittimita'   costituzionale    dell'art.
 669-terdecies  nella parte in cui limita la utilizzabilita' del nuovo
 strumento del reclamo introdotto con le modifiche di cui  alla  legge
 26  novembre  1990, n. 353, ai soli provvedimenti positivi e cioe' al
 caso  in  cui  le  istanze cautelari siano accolte e cio' in evidente
 contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Ritiene  il  collegio  che  la  questione  sia  rilevante  e   non
 manifestatamente infondata.
    La rilevanza e' in re ipsa in quanto l'unico modo per applicare la
 norma  in  questione  e quindi entrare nel merito delle doglianze dei
 reclamanti passa necessariamente per la soluzione della questione  di
 legittimita' costituzionale.
    Ed  infatti, contrariamente a quanto sostenuto dai reclamanti, nel
 caso  in  esame  non  vi  e'  alcuno  spazio  per  accedere  ad   una
 interpretazione "creativa" della norma in questione che ne estenda la
 portata  ai  provvedimenti  negativi in quanto la precisa dizione del
 testo secondo il quale "contro l'ordinanza con  la  quale  sia  stato
 concesso   un   provvedimento  cautelare,  e'  ammesso  reclamo"  non
 consente, ne' attraverso l'interpretazione estensiva  ne'  attraverso
 l'applicazione del procedimento analogico, di ritenere assoggettabili
 a reclamo: 1) le ordinanze che non accolgano le istanze cautelari; 2)
 quelle   che   revochino  il  provvedimento;  3)  quelle  di  rigetto
 dell'istanza di revoca o modifica; 4) quelle che in sede di  modifica
 ex   art.   669-decies  diminuiscono  la  portata  del  provvedimento
 cautelare gia' concesso.
    Ne' per altro verso la norma puo' essere disapplicata, cosi'  come
 richiesto  dai  reclami,  in  quanto  in  contrasto  con la normativa
 comunitaria ed in particolare con  l'art.  25  della  Convenzione  di
 Bruxelles del 27 settembre 1968.
    Il  richiamo  alla tematica del contrasto tra ordinamento statuale
 interno e diritto comunitario, e' assolutamente privo di  significato
 in questa sede.
    In  particolare  la  citazione  della  sentenza  per molti aspetti
 fondamentale della Corte di giustizia della Comunita' europea in data
 19  giugno  1990  secondo  la  quale  il   giudice   nazionale   deve
 disapplicare  la  norma  di  diritto  interno  che  gli  impedisce di
 adottare provvedimenti provvisori (causa  213/89  Governo  del  Regno
 Unito  contro  Factorame  Ltd.  ed altri) e' riferita, come e' ovvio,
 solo alle controversie inerenti ai diritti comunitari.
    Nel caso di specie si discuteva  degli  artt.  7,  52  e  221  del
 Trattato CEE.
    Per  altro  verso  si  deve  notare  che il contrasto "di cui alla
 sentenza richiamata si riferisce in ogni caso, a diritti  sostanziali
 e  la  novita'  della  decisione  sta proprio nell'aver affrontato il
 problema del rapporto tra diritto sostanziale e  diritto  processuale
 affermando  il ruolo essenziale del secondo, affinche' il primo possa
 avere una reale attuazione. Ed infine e' appena il caso di  ricordare
 che  la  convenzione  di Bruxelles del 27 settembre 1968 (della quale
 sarebbe stato piu' pertinente il richiamo agli artt. 30 e 38)  ispira
 alla  esigenza  di  facilitare  la  circolazione  delle  decisioni in
 materia civile e commerciale in abito europeo nulla  dice  in  ordine
 alla  omogeneizzazione  delle  norme  procedurali  degli  ordinamenti
 interni degli Stati membri.
    In  ordine  alla  manifesta  infondatezza   della   questione   di
 legittimita'   costituzionale   va   innanzitutto  osservato  che  lo
 strumento del reclamo avverso le  ordinanze  concernenti  istanze  di
 provvedimenti  cautelari  e'  una delle novita' piu' importanti della
 riforma introdotta con la legge n. 353/1990  in  quanto  realizza  il
 principio  di  effettivita' della tutela giurisdizionale che non puo'
 dirsi completa quando  la  posizione  soggettiva  vantata  non  possa
 trovare   protezione   attraverso  il  ricorso  ad  un  provvedimento
 cautelare (sul punto Corte costituzionale 28 giugno 1985, n. 190).
    Cio' premesso occorre rilevare che la  mancata  previsione  di  un
 doppio  grado  di  giurisdizione  rispetto  alle ordinanze di rigetto
 delle istanze cautelari provoca una evidente violazione del principio
 di parita' di trattamento delle parti sotto il profilo  della  tutela
 giurisdizionale e cio' appare in contrasto con gli artt. 3 e 24 della
 Costituzione.
    Sul  punto  non  e' neanche il caso di accennare al problema della
 rilevanza  costituzionale  del  principio   del   doppio   grado   di
 giurisdizione  in  quanto  il nodo centrale della questione sta nella
 diversa tutela assicurata alle parti del procedimento cautelare.
    A nulla varrebbe argomentare richiamando  l'art.  669-septies  che
 consente  la  riproposizione  della  domanda  in caso di pronuncia di
 incompetenza nonche' nel caso in cui si verifichino  mutamenti  delle
 circostanze o vengono dedotte nuove ragioni di fatto e di diritto.
    Ed  invero,  il  sistema  cosi'  delineato,  che va per ragioni di
 completezza integrato con la previsione di cui  all'art.  669-decies,
 primo  comma,  della possibilita' di ottenere la revoca o la modifica
 del  provvedimento  in  presenza  di  mutamenti  delle   circostanze,
 riconosce  da  un  lato a chi subisce il provvedimento cautelare, non
 solo di ottenere nel corso della causa di merito la revoca o modifica
 dello stesso quando la situazione in fatto  o  in  diritto  muti,  ma
 anche  e  soprattutto  di  ottenere  in  tempi  assai  ristretti  una
 revisione da parte di un altro giudice proprio della situazione, gia'
 sottoposta alla valutazione del primo, mentre dall'altro consente  al
 ricorrente,  il  quale si sia visto respingere l'istanza, soltanto di
 rivolgersi  allo   stesso   giudice,   mutando   necessariamente   la
 impostazione  di  fatto  o  di  diritto  della  propria pretesa cosi'
 omettendo di garantirgli un vero e proprio strumento di  impugnazione
 presso  un  giudice  diverso  che  lo  tuteli  dall'eventuale erroneo
 rigetto del ricorso.
    Per  altro  verso  tale  evidente  sperequazione  tra  le  diverse
 posizioni delle parti coinvolte in un procedimento cautelare non puo'
 trovare  giustificazione in una presunta differenza tra la situazione
 che si viene a creare con l'emanazione di un  provvedimento  positivo
 che  determina  un  mutamento  dello  status  quo,  rendendosi palese
 l'interesse di chi, danneggiato da tale modifica in ipotesi ingiusta,
 debba ottenere una immediata revisione della stessa e  la  situazione
 che  si crea a seguito di un provvedimento di rigetto che e' uguale a
 quella  esistente  ancor  prima  della  proposizione  della   domanda
 cautelare  e  che  pertanto  non  richiede  l'intervento  del giudice
 dell'impugnazione.
    Tale criterio contrasta  con  il  principio  costituzionale  della
 disponibilita' della tutela giurisdizionale, di cui all'art. 24 della
 Costituzione  e  con  il principio della uguaglianza non solo formale
 tra le parti di un processo in quanto il provvedimento emesso  da  un
 giudice, di accoglimento o di rigetto che sia, e' sempre il frutto di
 una  attivita'  giurisdizionale  e  di fronte a tale risultato appare
 evidente che la posizione delle parti  nel  senso  del  diritto  alla
 tutela e' completamente paritaria.
    Il  nostro  ordinamento non conosce tale criterio differenziatore,
 attribuendo pieno diritto alla difesa e alla contestazione,  sia  dei
 provvedimenti  di  contenuto  positivo  che  di  quelli  di contenuto
 negativo, in quanto entrambi in ogni caso  incidono  sulla  posizione
 soggettiva che si era inteso tutelare.
    Per  altro  verso  una istanza cautelare tanto puo' essere tesa ad
 ottenere un mutamento  della  situazione,  tanto  puo'  essere  volta
 proprio  ad  evitare che la situazione muti, talche' sotto il profilo
 del  diritto  alla  tutela  il  segno   negativo   o   positivo   del
 provvedimento  del  giudice  non  puo'  spiegare  alcun effetto sulla
 posizione delle parti del processo cautelare.
    Alla luce di tali considerazioni il reclamo secundum eventum litis
 introduce una compressione del principio di parita' delle parti di un
 procedimento cautelare talche' l'art. 669-terdecies, primo comma, del
 c.p.c. appare in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Il sub procedimento di reclamo va sospeso e gli atti devono essere
 trasmessi  alla  Corte  costituzionale  per  la   risoluzione   della
 questione.
    Infine  va osservato che l'art. 669-quater invocato dai reclamanti
 per ottenere il riesame nel merito in attesa  della  decisione  della
 Corte  costituzionale non puo' trovare applicazione in questa sede in
 quanto per un verso quella norma  si  applica  alla  sospensione  del
 giudizio  di  merito  e  in  ogni  caso il Tribunale adito in sede di
 reclamo potrebbe eventualmente entrare nel merito solo all'esito  del
 giudizio della Corte costituzionale.