IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa portante il n. 1183/93, promossa da Zampierin Erminio avverso il comune di Bassano del Grappa, letti gli atti, a scioglimento della riserva che precede. Con ricorso depositato presso la cancelleria in data 4 ottobre 1993 Zampierin Erminio proponeva opposizione avverso l'ordinanza n. 3180/18 1992 54/92 a.u., emessa in data 8 luglio 1993 e notificata il successivo 20 luglio 1993, con la quale il sindaco del comune di Bassano del Grappa gli aveva ingiunto il pagamento della somma di L. 334.000, oltre alle spese, a titolo di sanzione amministrativa, per non aver sottoposto la figlia minore Zampierin Sara alla vaccinazione obbligatoria contro l'epatite virale B, in violazione degli artt. 1, secondo comma, e 7 della legge 27 maggio 1991, n. 165. A sostegno della impugnazione proposta eccepiva, fra l'altro, la illegittimita' costituzionale degli artt. 1 e 7 della legge n. 165/1991, poiche' dette norme, nell'imporre l'obbligo vaccinale indiscriminatamente a tutti i soggetti nel corso del dodicesimo anno di eta', e nel sanzionare l'omissione di tale comportamento, senza prevedere casi di rinvio o di esonero, e senza disporre a detti fini l'esecuzione di accertamenti preventivi che tutelino la salute del minore da eventuali rischi e complicanze, integrano violazione degli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, nonche', con riferimento all'art. 72 della Costituzione, perche' la legge in esame e' stata approvata dalla commissione affari sociali della Camera dei deputati in una composizione in parte diversa da quella originaria (e, piu' precisamente, con la sostituzione di otto deputati su ventisei). Quest'ultima eccezione appare manifestamente infondata: invero un contrasto con il dettato costituzionale sarebbe ravvisabile solo qualora, per effetto della sostituzione di alcuni fra i membri della commissione cui e' deferito l'esame e l'approvazione di un disegno di legge, quest'ultima venisse ad essere composta in modo tale da non piu' rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari, cosi' come stabilito dall'art. 72, terzo comma, della Costituzione; nella specie invece la sostituzione ha avuto luogo, come si evince dal verbale della seduta del 19 febbraio 1991, ai sensi dell'art. 12, quarto comma, del regolamento della Camera, alla stregua del quale "un deputato che non possa intervenire ad una seduta della propria commissione puo' essere sostituito, per l'intero corso della seduta, da un collega del suo stesso gruppo ..". Diversamente e' invece da ritenere in ordine all'altra questione di legittimita' costituzionale sollevata da parte ricorrente, fondata nei termini che verranno di seguito precisati. Ai sensi dell'art. 32 della Costituzione, la legittimita' costituzionale dei trattamenti sanitari obbligatori e' subordinata alle seguenti condizioni: che il trattamento sia legislativamente previsto; che esso sia disposto in funzione dell'interesse alla salute della collettivita', e, piu' precisamente, al fine della salvaguardia dell'eguale diritto alla salute garantito a ciascun componente della collettivita'; che il provvedimento non danneggi, ma sia anzi utile alla salute di chi vi e' sottoposto; che l'intervento previsto sia rispettoso della persona umana. Tali principi sono stati affermati, con specifico riferimento alla materia delle vaccinazioni obbligatorie, con sentenza della Corte costituzionale n. 307 del 22 giugno 1990, ove dal disposto del primo e del secondo comma dell'art. 32 si fa discendere la conseguenza che "la legge impositiva di un trattamento sanitario non e' incompatibile con l'art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi e' assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacche' e' proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettivita', a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell'uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale", nonche' che "un trattamento sanitario puo' essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi e' assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze che, per la loro temporaneita' e scarsa entita', appaiono normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili". Cio' posto, va osservato che le vaccinazioni obbligatorie comportano il rischio, sia pure percentualmente modesto, del verificarsi di complicanze, concretantesi in menomazioni dell'integrita' psico-fisica (di tale rischio lo stessa commissione affari sociali ebbe modo di discutere in piu' sedute, ed un emendamento del deputato Franca Bassi Montanari, volto all'introduzione di una forma di indennizzo per i danni subiti a causa di vaccinazione obbligatoria, venne ritirato solo in quanto la questione formava oggetto di progetti di legge gia' all'esame della XII Commissione). Difetta tuttavia, nella legge n. 165/1991 come nelle altre leggi impositive di obblighi vaccinali (nonche' negli atti di normazione secondaria emanati in loro attuazione), la previsione dell'esecuzione di accertamenti preventivi, volti alla verifica della sussistenza di eventuali controindicazioni alla vaccinazione, e, comunque, la specificazione del tipo di accertamenti che debbono a tal fine compiersi, in proposito va rilevato che la visita, comprendente un esame obiettivo e la raccolta dell'anamnesi, non e' di per se' sola sufficiente ad individuare od escludere le molteplici patologie che costituiscono controindicazioni alla somministrazione di vaccini, considerato in particolare che esse possono essere anche asintomatiche. A cagione di questa lacuna, gli artt. 1 e 7 della legge n. 165/1991 appaiono in contrasto con l'art. 32 della Costituzione sotto un triplice profilo. Innanzitutto, per violazione della riserva di legge di cui al secondo comma di tale articolo. Si tratta, e' vero, di una riserva relativa di legge (il testo della norma recita infatti: "Nessuno puo' essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge"; e, tuttavia, in una materia tanto delicata qual e' quella in discussione, in cui viene in gioco il diritto "primario ed assoluto" alla salute, la previsione degli accertamenti di cui sopra si e' detto, idonei, se non ad eliminare, certamente a ridurre il rischio di complicanze da vaccino, non puo' non ritenersi ricompresa nella disciplina di principio, regolante gli aspetti essenziali della materia; cio' tanto piu' in quanto, in assenza di qualsiasi direttiva e specificazione sul punto, la discrezionalita' dell'autorita' sanitaria, sul se procedere all'accertamento di eventuali controindicazioni e sulla scelta del tipo di accertamento da compiersi, non appare in alcun modo circoscritta - com'e' necessario allorquando si verte in tema di diritti fondamentali della persona costituzionalmente protetti -. Correlativamente, importando la mancata previsione di accertamenti diagnostici preventivi un aumento del rischio di complicanze da vaccino, tale legge si pone in contrasto con l'esigenza - desumibile sia dal primo comma dell'art 32 della Costituzione, ove la salute e' configurata quale diritto fondamentale dell'individuo, sia dal richiamo al rispetto della persona umana di cui al secondo comma - che il trattamento sanitario obbligatorio non si traduca in una lesione, in un sacrificio del bene salute. Con riferimento ai danni alla salute, ulteriori rispetto a quelle conseguenze della vaccinazione temporalmente delimitate ed aventi scarsa entita', "il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettivita' non e' da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarieta' verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando cosi' legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importa un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri" (cfr. la gia' citata sentenza n. 307/1990). Si consideri inoltre, da un lato, che il riconoscimento in favore del soggetto passivo del trattamento, per l'ipotesi in cui il rischio si sia avverato, di un equo indennizzo per il danno subito (oggi previsto dalla legge n. 210/1992), in tanto e' idoneo a fugare i dubbi di legittimita' costituzionale dell'imposizione di un trattamento sanitario, realizzando un corretto bilanciamento tra le due dimensioni della salute e dello stesso spirito di solidarieta' reciproca tra individuo e collettivita', in quanto si riferisca a quei rischi non prevedibili ed evitabili in base allo stato delle conoscenze scientifiche; dall'altro, che una tutela meramente risarcitoria del diritto alla salute, sicuramente spettante tutte le volte che il danno risulti iniura datum, non puo' ancora reputarsi sufficiente, giacche', per il carattere assoluto, prioritario e non monetizzabile della situazione in esame, gli strumenti che ne assicurano un'effettiva ed efficace tutela sono quelli di tipo preventivo. Infine, sempre ai sensi dell'art. 32, secondo comma, della Costituzione, la legge impositiva di un trattamento sanitario "non puo' in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". Ora, quand'anche non si condivida la opinione per la quale tale clausola richiama e riassume i diritti di liberta' riconosciuti al singolo dalla Costituzione (tra cui in particolare la liberta' di religione e quella di pensiero), il limite in parola importa sicuramente la necessita' che le modalita' di attuazione di detti trattamenti siano il meno possibile coattive. Sotto questo profilo, una piena attuazione del disposto costituzionalmente e' ravvisabile nell'art. 33 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, ai sensi del quale gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori "devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi e' obbligato" (quinto comma), con diritto per l'infermo, nel corso del trattamento, di "comunicare con chi ritenga opportuno" (sesto comma), nonche' obbligo per le u.s.l. di operare per "ridurre il ricorso ai suddetti trattamenti sanitari obbligatori, sviluppando le iniziative di prevenzione e di educazione sanitaria ed i rapporti organici tra servizi e comunita'". Con riferimento alle vaccinazioni obbligatorie, viene in considerazione, oltre alla persona del minore che deve esservi sottoposto, quella dei genitori, in quanto titolari di quella posizione di cui all'art. 30 della Costituzione, che si connota come potere-dovere rispetto al figlio, il cui contenuto e limite e' dato dal perseguimento degli interessi del minore, ma anche come diritto verso l'esterno, nei confronti dello Stato e di chiunque pretenda di interferire nei loro compiti. Cio' implica la necessita' che l'attuazione delle vaccinazioni obbligatorie avvenga, per quanto possibile, mediante la ricerca del consenso e della partecipazione dei genitori: in questa direzione, l'esecuzione di accertamenti diagnostici preventivi idonei ad individuare possibili controindicazioni alla somministrazione del vaccino (in aggiunta ad una corretta informazione sulle vaccinazioni ed i loro rischi) svolge, all'evidenza, un ruolo essenziale. Questo pretore non ignora che con legge 25 febbraio 1992, n. 210, il legislatore ha stabilito che, al fine della prevenzione delle complicanze causate dalle vaccinazioni, le unita' sanitarie locali predispongono ed attuano progetti di informazione, volti ad assicurare "una corretta informazione sull'uso dei vaccini, sui possibili rischi e complicanze, sui metodi di prevenzione", e diretti prioritariamente "ai genitori, alle scuole ed alle comunita' in genere" (art. 7). Quand'anche tuttavia tale previsione fosse reputata idone a fugare i dubbi di legittimita' costituzionale in precedenza esposti, va osservato che nella specie essa risulta inapplicabile: al momento infatti in cui i ricorrenti vennero diffidati a presentare il figlio per la vaccinazione (fine agosto 1992), non sussisteva ancora per l'u.l.s.s. l'obbligo di predisposizione ed attuazione dei suddetti progetti informativi, avendo la legge n. 210/1992 accordato il termine di sei mesi dalla sua entrata in vigore per il suo adempimento. Per le ragioni sopra esposte va ritenuta la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale della legge 27 maggio 1991, n. 165, con particolare riguardo agli artt. 1, 2, primo comma, e 7, nonche' la rilevanza della questione ai fini del giudizio, trattandosi delle norme la cui violazione e' contestata agli odierni ricorrenti, con le conseguenti statuizioni di cui al dispositivo.