IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA L'anno 1994 il giorno 6 del mese di giugno in Napoli si e' riunito in camera di consiglio nelle persone dei componenti: dott. Salvatore Iovino, presidente, dott. Annamaria Acerra, magistrato di sorveglianza Napoli, dott. Ivanno Zambrano, esperto e dott. Rosaria Miloro, esperto, con la partecipazione del dott. Giuseppe Febbraro sostituto procuratore generale presso la corte di appello di Napoli e con l'assistenza del sottoscritto assistente per deliberare sulla domanda di Mallardo Giovanni, nato il 3 giugno 1960 ad Avellino domiciliato in Mercogliano, via Nazionale, 82. Oggetto: art. 177 del c.p.; Letti gli atti relativi a Mallardo Giovanni e l'istanza nel suo interesse presentata in data 29 gennaio 1994; O S S E R V A Mallardo Giovanni con sentenza della corte di assise di appello di Napoli in data 24 aprile 1987 era condannato alla pena di anni otto e mesi quattro di reclusione per i reati di banda armata, attentato per finalita' di terrorismo e altri reati satelliti. La corte di assise di appello riconosceva al condannato l'attenuante di cui all'art. 3 della legge n. 304/1982 e questo tribunale, con ordinanza in data 10 luglio 1990, gli concedeva la liberazione condizionale ai sensi dell'art. 9 della citata legge. In data 29 gennaio 1994 il Mallardo ha proposto istanza a questo Tribunale per sentir dichiarare estinta la pena principale e quelle accessorie a seguito del provvedimento di ammissione alla liberazione condizionale. In particolare l'istante deduce che seppure e' incontestabile che l'art. 9 della legge n. 404/1982 prevede la revoca della liberazione condizionale "in ogni tempo", un'interpretazione non in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della costituzione impone che il termine ultimo per la revoca della misura debba essere riportato alla previsione dell'art. 177, secondo comma, del c.p. e di conseguenza mentre la dichiarazione giudiziale di revoca puo' intervenire in ogni momento le cause di revoca debbono essersi realizzate entro tale periodo. Il Mallardo sottolinea, inoltre, che allorche' fu ammesso alla misura ex art. 8 era nelle condizioni di ottenere il beneficio a norma dell'art. 176 del c.p. e pertanto puo' ora avvalersi del regime di cui all'art. 177 del c.p. piu' favorevole. Infine, nell'ipotesi di non adesione del tribunale a nessuna delle due tesi, eccepisce l'incostituzionalita' dell'art. 9 della legge n. 304/1982 in riferimento all'art. 3 della Costituzione in quanto tra soggetti ammessi allo stesso beneficio non puo' crearsi una disparita' di trattamento che vede il dissociato ammesso al beneficio correre il rischio di ritornare in carcere usque ad mortem. La soluzione dei problemi prospettati richiede un'accurata disamina della "liberazione condizionale" disciplinata dagli artt. 8 e 9 della legge n. 304/1982 al fine di pervenire ad una ricostruzione sistematica dell'istituto e di risolvere i problemi sorti per una disciplina legislativa carente. Il punto di partenza deve essere il rapporto tra la liberazione condizionale disciplinata dal codice penale e la liberazione condizionale prevista dalla legislazione speciale. La legge 29 maggio 1982, n. 304, detta all'art. 8 norme particolari per l'ammissione alla liberazione condizionale dei condannati per reati commessi per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale ai quali sia stata riconosciuta una delle circostanze attenuanti di cui agli artt. 2 e 3 della stessa legge (dissociazione o collaborazione). Per l'accesso alla misura debbono concorrere due condizioni: l'aver espiato la meta' della pena inflitta e l'aver tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il ravvedimento. Rispetto ai requisiti prescritti per la liberazione condizionale ordinaria sono evidenti i diversi presupposti: non e' prevista l'espiazione del periodo minimo di trenta mesi, non e' attribuito rilievo alla recidiva, non e' previsto il limite di cinque anni di pena residua, non e' richiesto l'adempimento delle obbligazioni civili. Il testo dell'art. 9 legge speciale, dal titolo "revoca della liberazione condizionale", dispone testualmente: "La liberazione condizionale prevista dall'articolo precedente e' revocata in ogni tempo se la persona liberata commetta successivamente un delitto non colposo per il quale la legge prevede la pena della reclusione superiore nel massimo ai quattro anni, ovvero se risulti che la liberazione condizionale e' stata ottenuta a mezzo di dichiarazione di cui sia stato giudizialmente realmente accertata la falsita'". Gia' dal titolo si rileva una differenza dal corrispondente art. 177 del c.p., l'art. 9 prevede la revoca della liberazione, l'art. 177 la revoca e l'estinzione della pena. Invero la norma del codice penale dopo aver previsto al primo comma le cause di revoca, al secondo comma testualmente sancisce: "decorso tutto il tempo della pena inflitta senza che sia intervenuta alcuna causa di revoca, la pena rimane estinta ..". Tale diversa disciplina delle ipotesi di revoca ha indotto la Corte di cassazione a ritenere, con giurisprudenza costante, non applicabile all'istituto previsto dalla legge speciale la liberta' vigilata secondo il disposto dell'art. 230, n. 2, del c.p. in quanto non essendo prevista come causa di revoca la violazione degli obblighi la sottoposizione risulterebbe obbligo non munito di sanzione. Tale orientamento, accreditato nella migliore dottrina, determina una netta differenziazione ontologica tra i due istituti. La misura disciplinata dall'art. 176 del c.p. nella prassi giudiziaria e' divenuta il possibile momento conclusivo dell'iter del condannato: dalla detenzione alla liberta' attraverso la conquista di quote sempre maggiori di liberta'. Anche se trova ancora oggi la sua collocazione nel titolo sesto, capo secondo, "dell'estinzione della pena" del codice penale, sostanzialmente trattasi di una misura alternativa diretta a favorire il reinserimento sociale del condannato in quanto la reclusione e' convertita in una misura limitativa della liberta' personale. Il riconoscimento di tale natura e' rinvenibile nella sentenza della Corte di cassazione del 24 gennaio 1977 che esclude la possibilita' di revoca anticipata della liberta' vigilata applicata ex art. 230, n. 2, del c.p. trattandosi non di misura di sicurezza ma di misura sostitutiva della pena. Nella relazione al nuovo codice di procedura penale, nel 1988 il legislatore scrive: "la competenza della misura alternativa della liberazione condizionale e' attribuita al tribunale di sorveglianza". Anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 282/89, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale del primo comma dell'art. 177 del c.p., riconosce la natura di pena alla liberta' vigilata conseguente alla liberazione condizionale. L'istituto disciplinato dalla legge speciale non puo' essere qualificato come misura alternativa in quanto non opera una sostituzione di una pena con un'altra: con la concessione della "liberazione condizionale" l'esecuzione della pena cessa. I due istituti, allora anche se nominalmente uguali sono ontologicamente differenti e la "cosiddetta liberazione condizionale speciale" e' piu' vicina all'istituto della sospensione condizionale della pena, in quanto si e' in presenza di una rinuncia da parte dello Stato all'esecuzione della condanna, che interviene nella fase esecutiva e non in quella di cognizione (anche se con caratteri e condizioni diversi un istituto simile e' stato introdotto dall'art. 90 del d.P.R. n. 309/1990). Ricostruita la natura dell'istituto occorre esaminare i problemi prospettati dall'istante: se e come e' possibile conseguire la dichiarazione di estinzione della pena detentiva e delle pene accessorie. Le soluzioni prospettate dal difensore del Mallardo non possono essere condivise. Allorche' l'istante riconosce che "la dichiarazione giudiziale di revoca puo' intervenire in qualunque momento" implicitamente riconosce l'impossibilita' di dichiarare l'estinzione della pena. Pretendere poi che il verificarsi delle cause di revoca debbano intendersi limitate al "tempo della pena inflitta" (art. 177, secondo comma, del c.p.) e' contrario al dato letterale della norma e alla disciplina dell'istituto che non prende in considerazione ad alcun effetto il periodo residuo di pena da scontare. Neppure puo' essere condivisa l'ulteriore tesi: il giudizio in ordine all'ammissione del condannato alla liberazione condizionale e' stato svolto in funzione dei requisiti di ammissibilita' previsti dalla legislazione speciale; non puo' ex post formularsi un giudizio in ordine alla sussistenza dei requisiti prescritti dall'art. 176 del c.p.; ottenuta la liberazione condizionale ai sensi della legge speciale, la disciplina dell'istituto resta solo quella prevista dalla normativa speciale. Oltretutto una dichiarazione di estinzione della pena ai sensi dell'art. 177 del c.p. sarebbe impossibile per carenza totale di uno dei requisiti prescritti dalla norma, in particolare l'osservanza degli obblighi della liberta' vigilata, cioe' l'esecuzione del residuo di pena in misura alternativa. A seguito della concessione della "cosiddetta liberazione condizionale speciale" in Mallardo non e' stato sottoposto a liberta' vigilata; non si capisce quale parametro assumere per una eventuale dichiarazione di estinzione della pena. Quanto alla richiesta di estinzione delle pene accessorie, formulata sempre ai sensi dell'art. 177 del c.p., e' di tutta evidenza la sua inconsistenza in quanto le pene accessorie in ogni caso non sono dichiarate estinte insieme alla estinzione della pena ma solo con la riabilitazione. La diversa disciplina dell'art. 177 del c.p. e dell'art. 9 della legge n. 304/1982 non viola nella prospettazione difensiva l'art. 3 della Costituzione in quanto le situazioni confrontate non sono assimilabili: la diversa natura degli istituti, la maggiore ampiezza del beneficio, la rinuncia dello Stato al principio dell'inderogabilita' della condanna possono giustificare la diversita' di disciplina. Il collegio non puo' pero' esimirsi dall'affrontare il problema della costituzionalita' della norma da un diverso profilo. Ebbene assimilato sul piano sistematico l'istituto dell'art. 9 a quello della sospensione condizionale della pena balza subito in evidenza la diversita' di disciplina con istituti simili. L'art. 163 del c.p. fissa in cinque o due anni il termine durante il quale rimane sospesa l'esecuzione della pena; l'art. 167 del c.p. dispone che se nei termini stabiliti il condannato non commette un delitto ed adempie gli obblighi prescritti il reato e' estinto. Tale disciplina di ordine generale e' ripresa dall'art. 7 della legge n. 304/1982 che disciplina la sospensione condizionale della pena nei confronti dei terroristi pentiti o dissociati e fissa in dieci o cinque anni il termine di sospensione della pena. L'art. 90 del d.P.R. n. 309/1990 che ha introdotto nel nostro ordinamento un'ipotesi specifica di sospensione della pena concessa nella fase esecutiva fissa in cinque anni il termine di sospensione; il successivo art. 93 dispone l'estinzione della pena se nel termine fissato il condannato non commette un delitto e attua il programma terapeutico. La mancata previsione di un termine nell'art. 9 della legge in esame determina un'ingiustificata disparita' di trattamento tra condannati ammessi, sia pure con modalita' e presupposti diversi, a fruire dello stesso beneficio e si pone percio' in contrasto con l'art. 3 della costituzione. Sotto altro aspetto la norma viola anche l'art. 27, terzo comma, della Costituzione. Essendo prevista la revoca in ogni tempo della liberazione condizionale, non e' ravvisabile un momento a partire dal quale puo' calcolarsi il decorso del termine (cinque o dieci anni prescritti dall'art. 179 c.p.) per accedere alla riabilitazione. Del resto trattandosi di sospensione della pena non decorrono neppure i termini di prescrizione, decorsi i quali, la pena verrebbe estinta. L'impossibilita' di conseguire la riabilitazione, e con essa l'estinzione delle pene accessorie e degli effetti penali della condanna, viola l'art. 3 della Costituzione in quanto crea senza alcun giustificato e plausibile motivo una categoria di condannati diversi. Inoltre, poiche' la riabilitazione rappresenta il punto terminale del cammino del condannato verso il completo reinserimento sociale l'impossibilita' giuridica di estinguere con la riabilitazione le pene accessorie ed ogni altro effetto giuridico derivante dalla condanna, appare contraria al principio della rieducazione della pena in quanto lascia persistere una serie di limitazioni a prescindere dal ravvedimento e dal reinserimento sociale del condannato. In considerazione della rilevanza della questione nel presente giudizio per l'innegabile interesse del Mallardo a veder fissato un momento al quale assicurare la decorrenza del termine necessario per poter accedere all'istituto della riabilitazione e della conseguente e non manifesta infondatezza dell'eccezione di incostituzionalita';