LA CORTE DI ASSISE D'APPELLO
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel processo n. 1/1993 contro
 Greco Michele nato a Palermo il 12 maggio 1924,  qui  rinviato  dalla
 Corte di cassazione con sentenza del 14 novembre 1992 di annullamento
 parziale,  nei  confronti  del solo Greco, della sentenza della Corte
 d'assise di Palermo, sezione seconda, del 14 febbraio 1992.
    1. - Il processo (che ha avuto anomale vicissitudini nel suo iter,
 spesso oggetto di aspre  critiche  ed  echi  negativi)  si  riferisce
 all'omicidio  del cap. cc. Emanuele Basile comandante della compagnia
 cc. di Monreale, commesso il 4 maggio 1980 nella stessa cittadina.
    2. - Per questo reato sono stati instaurati a  distanza  di  tempo
 l'uno dall'altro due processi:
       a)  uno  contro  Giuseppe  Madonia,  Armando Bonanno e Vincenzo
 Puccio (quest'ultimo poi ucciso in carcere a  Palermo;  per  Bonanno,
 indicato  come ucciso in "regolamento di conti", e' stata disposta la
 separazione del processo), quali esecutori materiali con le  seguenti
 vicende decisorie:
       sentenza  della Corte di assise di Palermo del 31 marzo 1983 di
 assoluzione  per  insufficienza  di  prove   (oggetto   di   critiche
 generali);
       sentenza  della  Corte  di  assise  d'appello di Palermo del 24
 ottobre 1984 di condanna dei tre imputati all'ergastolo;
       sentenza della Corte di cassazione  del  23  febbraio  1995  di
 annullamento  della  precedente  (sotto  il profilo di violazione del
 diritto di difesa in quanto non era stato dato  avviso  ai  difensori
 dell'udienza di estrazione dei giudici popolari);
       sentenza  di  altra  sezione della Corte di assise d'appello di
 Palermo del 23 giugno 1988 che reitero' la condanna all'ergastolo;
       sentenza  della  Corte  di  cassazione  del  7  marzo  1989  di
 annullamento con rinvio ad altra sezione della stessa Corte di assise
 d'appello  di  Palermo  (per  riesaminare  la richiesta di riapertura
 dell'istruzione dibattimentale);
       b)  altro  processo,  nato  da  separazione  dal   maxiprocesso
 palermitano,   contro   Michele   Greco,  Salvatore  Riina,  Bernardo
 Provenzano,  Giuseppe  Calo',  Antonino  Geraci,  Bernardo  Brusca  e
 Francesco  Madonia  (padre del suddetto Giuseppe) quali mandanti, che
 aveva avuto le seguenti vicende:
       sentenza della Corte di assise di Palermo del 16 dicembre  1987
 con  condanna  all'ergastolo di Francesco Madonia, Riina e Provenzano
 ed assoluzione per insufficienza di prove di Greco, Geraci, Brusca  e
 Calo';
       appello delle parti contro questa sentenza.
    I  due  processi  erano,  quindi,  pervenuti  alla stessa Corte di
 assise d'appello di Palermo per vie diverse: il primo su  rinvio  (il
 secondo)  dalla Cassazione, cioe' "dall'altro"; l'altro, per la prima
 volta, in appello, cioe' "dal basso" (il primo,  fra  l'altro,  aveva
 precluse  le  due  sezioni  della  stessa  Corte,  che  gia'  avevano
 pronunciato le sentenze sopra indicate; l'altro no).
    Ciascuno dei due processi subi' dei rinvii,  finche'  essi  furono
 riuniti  (sulle lagnanze delle parti: si veda anche la sentenza della
 Cassazione del 14 novembre 1992, dalla quale scaturisce  questa  fase
 processuale).
    La  sezione  seconda  della  Corte  di assise d'appello di Palermo
 pronuncio' la sentenza del  14  novembre  1992,  con  la  quale,  fra
 l'altro, per quanto qui interessa, condanno' il Greco all'ergastolo.
    Sui  ricorsi  delle  parti  la Cassazione con la piu' volte citata
 sentenza del 14 novembre  1992  ha  annullato  quest'ultima  sentenza
 della  Corte palermitana nei confronti del solo Greco, imputato, come
 detto, nel solo secondo processo e giudicato in fase di appello  (non
 di rinvio) dalla Corte di assise d'appello palermitana.
    3. - Su richiesta della difesa del Greco, questa Corte considero':
       A)  i  processi  soggettivamente  e/o oggettivamente cumulativi
 sono il risultato della riunione originaria o lungo il loro  iter  di
 piu'   processi   semplici,   soprattutto   per  motivi  di  economia
 processuale, senza che tuttavia questi perdano la loro  identita'  e,
 in  certo  senso, la propria autonomia, come dimostra la possibilita'
 della separazione (in questo processo ci sono gia' quella per Bonanno
 e quella che ha dato luogo al processo contro  i  mandanti,  fra  cui
 Greco,  separato dal maxiprocesso) o la possibilita' dello sfaldarsi,
 durante il suo iter, dell'unico risultante.
    La formazione del processo cumulativo importa modificazioni  sulla
 competenza;  anche  per  il rispetto del principio costituzionale del
 giudice  naturale  al  nuovo  codice  processuale   ha   ridotto   le
 possibilita' di riunione.
    Questa   e'   impossibile  per  la  diversita'  di  fase  o  grado
 processuale in cui i processi si trovano;
       B) la diversita' fra giudizio di rinvio e giudizio  di  appello
 (posta  in  evidenza  anche  nella  sentenza  della Cassazione del 14
 novembre 1992 citata) e' radicale,  anche  quando  l'annullamento  e'
 totale   (tranne   che  si  tratti  di  vizi  che  fanno  venir  meno
 completamente tutta l'attivita' svolta  con  conseguente  ripresa  ex
 novo ed ab initio dal primo grado).
    Basta  considerare  che  il  giudice  di  rinvio  e' vincolato dai
 principi di diritto affermati dalla Cassazione, sui quali si forma il
 giudicato che vincola tutti, anche  la  stessa  Cassazione  se  adita
 ancora  successivamente,  mentre  il giudice d'appello non ha vincoli
 del genere; che la pronuncia della Cassazione copre il dedotto ed  il
 deducibile  anche  con  riferimento  alle nullita' (esclusi i casi di
 inesistenza), mentre nel giudizio di  appello  sono  suscettibili  di
 esame,  oltre  le istanze regolarmente formulate dalle parti, anche i
 punti rilevabili d'ufficio.
    Anche sotto l'aspetto della competenza la  disciplina  e'  diversa
 perche'  il  giudice  di  rinvio  e'  lo  stesso (come ufficio, ma in
 sezione diversa) fino a quando puo' disporsi di sezione diversa, o e'
 diverso e  cio'  necessariamente  per  evitare  incompatibilita';  il
 giudice  d'appello  e'  quello predeterminato dal codice senza che vi
 siano situazioni di incompatibilita' da evitare.
    Tutto  cio'  e'  nel  rispetto  del  diritto,   costituzionalmente
 garantito, del giudice naturale (art. 25, primo comma, Cost. "nessuno
 puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge");
       C)  va  ricordato  che proprio in attuazione di questo precetto
 sono state modificate alcune norme del codice processuale penale, fra
 le quali  l'art.  543,  che  lasciava  liberta'  alla  Cassazione  di
 scegliere   il   giudice   di   rinvio,   ora   invece  rigorosamente
 predeterminato (altra sezione dello  stesso  ufficio  o  in  mancanza
 ufficio  ferroviariamente  piu'  vicino)  (fra  le  altre  l'art.  60
 divenuto 41-bis per i processi riguardanti i  magistrati,  l'art.  53
 per  i casi di rimessione, ecc.); d'altra parte sono stati limitati i
 casi di  riunione  di  processi  per  connessione  con  deroga  della
 competenza  (art.  48-ter  inserito  con  legge  22 dicembre 1980, n.
 879).
    Non inopportuno e'  ricordare  che  il  nuovo  codice  processuale
 penale  del  1988  e'  in linea con l'applicazione dell'art. 25 della
 Costituzione  (che  gia'   veniva   gradualmente   applicato),   come
 dimostrano   le   norme  sopra  citate,  e  che  deve  costituire  un
 obbligatorio   punto   di   riferimento   per   l'interpretazione   e
 l'applicazione  della legge in senso costituzionale (v. Cass. civ. 12
 giugno 1975, n. 2342).
    Nella relazione al progetto  (in  Gazzetta  Ufficiale  24  ottobre
 1988,  n. 250, supplemento ordinario, n. 2, pag. 10) si spiega che la
 sistemazione delle regole sulla commissione "rispecchia  una  precisa
 linea  politica  legislativa  diretta  ad  una rigorosa delimitazione
 della  connessione  al   fine   di   non   vulnerare   il   principio
 costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (art. 25,
 primo  comma, della Costituzione). Anzi, proprio nel rispetto di tale
 criterio - che non solo e' richiamato dalla  delega  con  i  principi
 della  Costituzione dell'alinea 2, ma ispira numerose direttive della
 stessa  delega:  la  14,  parte  I  e  II,  la  1a si e' costruita la
 disciplina della connessione innovando in parte a quella prevista nel
 codice  di  procedura  penale  vigente";  fra  le  innovazioni  anche
 l'esclusione  di  norme  che  demandano  in  taluni casi ad organi di
 competenza  superiore,  in  genere  la  Cassazione,  la  facolta'  di
 scegliere il giudice, la riduzione "al minimo dei casi di connessione
 allo  scopo  di  evitare  i  processi  cumulativi  e di conseguire la
 massima semplificazione";
       D) in questo quadro  appare  ancora  piu'  evidente  l'anomalia
 della  riunione  dei  due  processi  in fasi processuali radicalmente
 diverse,  operata  dalla  Corte  di  assise  d'appello  di   Palermo,
 riconosciuta  (pur  in  termini  addolciti)  dalla  Cassazione con la
 citata sentenza del 14 novembre 1992. Tuttavia, si e' considerato che
 dalla riunione  non  era  derivata  alcuna  conseguenza  nociva  agli
 imputati,  ne'  di  ordine  processuale,  ne'  di ordine sostanziale,
 perche' sia nel grado fase di  appello  rinvio,  sia  nel  successivo
 grado  di  cassazione  la  tipologia  e la disciplina del giudizio di
 rinvio non avesse influito su quello d'appello e viceversa.
    La Cassazione prima ha escluso (p.  32  della  sentenza  cit.)  in
 concreto "che la disposta riunione abbia avuto, come suo effetto, una
 violazione  delle  norme  sulla  competenza  o  sulle  condizioni  di
 capacita' del giudice: entrambi i giudizi appartenevano, sia  pure  a
 titolo  diverso,  alla  competenza della Corte di assise d'appello di
 Palermo".   "Ha   constatato   (ivi)   che   i   limiti   funzionali,
 indissociabili  dal  giudizio  di  rinvio, non hanno interfertito nel
 giudizio d'appello al  quale  erano  sottoposti  i  componenti  della
 commissione  accusati  di  essere  i  mandanti del delitto" e che "il
 fatto che il giudizio  di  rinvio  nei  confronti  di  Madonia  abbia
 attratto  a  se'  quello, in grado d'appello, pendente a carico degli
 altri imputati, non significa, per cio' solo, traslazione  automatica
 dei  poteri  decisori  dello stesso giudice nei diversi procedimenti,
 ne' sovrapposizione degli effetti devolutivi dell'appello  ai  limiti
 funzionali,  propri  del  giudizio  di  rinvio".  Ha aggiunto che nel
 processo penale, come in  quello  civile,  "il  cumulo  non  disperde
 l'autonomia".
    Da  cio'  l'inesistenza  di  conseguenze  rilevanti  ai fini della
 validita' del giudizio;
       E)  come  esplicitamente  emerge,  l'anomalia   ed   irregolare
 riunione e' stata salvata, perche' non aveva leso alcun diritto delle
 parti.
    La situazione, quindi, poteva durare fino a quando una lesione non
 si verificasse.
    Orbene, respinti gli altri ricorsi ed accolto con annullamento con
 rinvio,  quello di Greco, imputato come mandanti, il cui processo era
 stato trattato dalla Corte palermitana in fase e  grado  di  appello,
 questi aveva diritto ad essere giudicato dal suo giudice naturale che
 e'  altra sezione della Corte palermitana ed in prosieguo, in caso di
 nuovo rinvio, ancora da altra delle tre  sezioni  di  essa  prima  di
 essere rinviato, come invece e' avvenuto, alla Corte nissena.
    Ne e' derivata, quindi, una duplice lesione del diritto del Greco;
 quella,  come  detto,  di non essere giudicato dal giudice naturale e
 quella di avere reso molto piu' onerosa la difesa,  com'e'  per  ogni
 processo  che si svolge fuori dalla propria residenza, onerosita' che
 puo'  costringere  a  limitare  questo  diritto  (un  solo  difensore
 anziche' due; necessita' di trasferirsi in altro loco; ecc.);
       F)  in  tali  casi  non  giova rifarsi all'esatto principio che
 giudice naturale precostituito e'  quello  determinato  dalla  legge,
 anche  in deroga alle norme fondamentali sulla competenza ed anche in
 conseguenza di riunione di processi per connessione.
    Cio', infatti, puo' valere se la riunione e' avvenuta nel rispetto
 della legge  e  non  se  essa  e'  stata  anomalamente  disposta  pur
 nell'opposizione delle parti.
    Ne'  giova  che la riunione non abbia prodotto vizio da cui derivi
 la nullita', sia perche' le norme  che  regolano  il  processo  vanno
 osservate per se' stesse a prescindere dalle sanzioni previste per la
 loro   violazione,  per  cui  l'errore,  irrilevante  ai  fini  della
 validita' di gradi e  fasi  fino  ad  allora  svolti,  doveva  essere
 eliminato  perche'  non  ledesse  diritti nel prosieguo del processo,
 come, invece, avviene perche' Greco resta sottratto  al  suo  giudice
 naturale  e perche' si vede resa molto piu' onerosa la difesa fino ad
 intaccarla, solo per irregolarita' a lui non attribuibili  e  da  lui
 segnalate e respinte.
    In  base a queste considerazioni questa Corte con ordinanza del 24
 gennaio 1994 rimise il processo  alla  Corte  di  cassazione  perche'
 preso  atto  di  quanto  sopra  e considerando che il rinvio a questa
 Corte fosse un errore materiale,  lo  correggesse.  Segnalo'  a  tale
 scopo  il  precedente  processo  c/Ciriminna  che  la  Cassazione con
 sentenza del 24 marzo  1986  aveva,  dopo  annullamento,  rinviato  a
 questa  Corte,  anziche'  ad  altra sezione palermitana. Questa Corte
 invio' il processo  per  la  correzione  dell'errore  materiale  alla
 Cassazione  con  ordinanza del 19 aprile 1988 e quest'ultima corresse
 l'errore con provvedimento del 14 ottobre 1988.
    4. - In questo caso, pero', la Corte  di  cassazione  ha  rilevato
 inammissibile la richiesta di correzione, considerando:
      che  la  riunione,  una volta disposta, consolida i suoi effetti
 sulla competenza;
      che l'errore materiale, per essere suscettibile  di  correzione,
 non  deve essere partecipe del processo volitivo del giudice, ma deve
 semplicemente  consistere  in  mancanza  di  corrispondenza  fra   il
 contenuto reale di una decisione e la sua formale estrinsecazione;
      che   la   sentenza   di   rinvio  della  Cassazione  e'  sempre
 attribuitiva della competenza, per cui non e' consentito discuterne e
 l'eventuale  errore  non  e'  corregibile  ne'  e'  possibile  alcuna
 modifica.
    5. - Questa Corte ritiene che la situazione determinatasi presenta
 piu'  aspetti di incostituzionalita' che e' opportuno rimuovere, come
 ha chiesto in difesa del Greco.
    6. - Un primo attiene all'intangibilita' assoluta  delle  pronunce
 della  Cassazione  con  relativa  impossibilita'  di riesame anche in
 quelle statuizioni implicite o conseguenziali,  che  non  sono  state
 oggetto  di  dibattito,  non  sono manifestazione di un giudizio come
 decisione e giungono, per il contenuto, quasi a sorpresa.
    Nel  caso  in  esame  l'errore  materiale  non  puo'  celarsi  con
 l'affermazione  (per  altri  casi  ovvia)  che  ogni  pronuncia della
 Cassazione, comunque emessa, e' sempre attributiva  della  competenza
 e,  quindi,  espressione  di  una volonta' decisoria, per cui bisogna
 fare ossequio all'ipse dixit.
    Il comportamento nell'analogo caso Ciriminna sopra citato e' stato
 diametralmente  opposto, proprio nel sostanziale rispetto della legge
 nella funzione di nomofilachia attribuita alla Cassazione.
    Queste situazioni contrastanti si ripetono da anni  fino  a  tempi
 recentissimi   e   v'e'  stata  la  tendenza  ad  interpretare  anche
 estensivamente le norme sull'errore materiale (art. 149  del  vecchio
 codice  proc.  penale  ed  art. 130 del nuovo) per evitare lesioni di
 diritti ed ingiustizia, superando talora ostacoli meramente formali.
    Cosi',  solo  per  indicare  a  caso  alcune  fattispecie  fra   i
 moltissimi casi verificatisi:
      in  materia  di  condanna  di  minore  al  pagamento delle spese
 processuali e di una somma a favore della Cassa per le  ammende,  non
 consentita   dall'art.  29  del  d.-lgs.  29  luglio  1989,  n.  272,
 contenente norme di attuazione del d.P.R. 22 settembre 1988, n.  448:
 per l'impossibilita' della correzione "per il formarsi del giudicato"
 Cass.  I,  5  maggio  1992,  Delle  Chiaie;  per  la  possibilita' di
 ricorrervi "anche per modificare in toto  la  volonta'  espressa  dal
 giudice   quando   sia   palesemente   manifesta   l'ingiustizia  del
 provvedimento e non esistono rimedi diversi per eliminare la  stessa"
 Cass.  I,  23  settembre  1992,  Attanasio; Id. 23 settembre 1992, Di
 Balsamo (la reiterazione delle pronunce  con  lo  stesso  oggetto  in
 breve tempo dimostra la non rarita' degli errori);
      in  materia  di determinazione della pena: per l'impossibilita',
 anche se per errato  computo,  importando  una  modifica  essenziale,
 Cass.  V, 15 dicembre 1971; per la possibilita' se quella fissata nel
 dispositivo  costituisce  il  risultato  di   un'erronea   operazione
 aritmetica eseguita su dati numerici rilevabili dalla motivazione del
 provvedimento, Cass. II, 31 ottobre 1975, Bartoli;
      cosi'  ancora  in  una vastita' di casi, come per la mancanza di
 sottoscrizione  della  sentenza  da  parte  del   giudice;   per   la
 dichiarazione  di  inammissibilita'  di  ricorso fondata su un errato
 computo del termine (o per vero e proprio  errore  di  conteggio  dei
 giorni   o   per   non  avere  considerato  la  festivita'  ricadente
 nell'ultimo giorno, ecc.); per la dichiarazione  di  inammissibilita'
 di   ricorso,  considerandosi  non  iscritto  nell'albo  speciale  il
 difensore, sottoscrittore dei motivi,  che  invece  lo  era;  per  la
 dichiarazione    di   inammissibilita'   di   ricorso   per   mancata
 presentazione di motivi, in realta' regolarmente depositati;  per  la
 dichiarazione  di  inammissibilita'  di  ricorso  per  avere usato il
 difensore il nome col quale  era  generalmente  conosciuto,  anziche'
 quello suo proprio; ecc.
    Il  contrasto  delle  pronunce  (a  prescindere  dall'esattezza di
 ognuna di esse,  che  qui  non  interessa)  dimostra  l'insufficienza
 dell'istituto della correzione per evitare le sostanziali ingiustizie
 che  nei  casi di rifiuto ne derivano (e d'altro lato la possibilita'
 di scantonamenti  che  dall'adattamento  interpretativo  della  norma
 possono  derivarne);  dimostra  anche  il trattamento opposto di casi
 identici o molto simili, che sono molto piu' numerosi di  quanto  non
 si  creda  e  comunque  di  quelli, gia' numerosi, che affiorano, con
 lesione di  diritti  e,  fra  l'altro,  del  principio  di  giustizia
 distributiva,  che  e'  poi  lesione  del  principio  di  eguaglianza
 costituzionalmente garantito.
    Appare, quindi, costituzionalmente illegittima la mancanza di  una
 norma  che  regali  l'impugnazione  dei provvedimenti emessi de plano
 dalla Corte di cassazione, allorche'  essi  siano  o  possano  subito
 essere  lesivi  di  diritti,  al  di  fuori  e  svincolata dai limiti
 prescritti  per la correzione materiale degli atti (attribuendone, se
 del caso, la competenza alle sezioni unite).
    Non  si  tratta  di   creazione   di   un   ulteriore   grado   di
 aggiudicazione,  per  mancanza  del carattere di generalita' e per la
 sostanziale configurazione di opposizione, destinato  ad  evitare  le
 conseguenze negative di errori a sorpresa.
    7.  -  Il  secondo  aspetto attiene al principio della perpetratio
 iurisdictionis.
    A  prescindere  dal  fatto  se  l'attribuzione  della   competenza
 derivante  dalla connessione sul criterio originario ed autonomo o no
 (v. riferimenti in Cass. I, 8 febbraio 1993, Maltese), e' certo e  lo
 ha  riconosciuto  la  stessa  nella  sentenza  14 novembre 1992 sopra
 riassunta per questa parte - che nel  caso  in  esame  mancavano  gli
 elementi  necessari per procedersi a riunione, anzi vi erano elementi
 imperativi destinati a permanere.
    La Cassazione ha riconosciuto l'irregolarita' della  riunione,  ma
 ha  constatato  che  nel  caso  specifico  particolare  non  si erano
 verificate nullita' per il tratto processuale svoltasi  davanti  alla
 Corte di assise d'appello di Palermo.
    Il  suo argomentare e' semplice: non si sono verificate, in quella
 sede,  nullita',  solo  perche'  nella  situazione  particolare   gli
 imputati  non  potevano  lamentare  lesione di alcun diritto, essendo
 stati giudicati dallo stesso giudice che avrebbe dovuto giudicarli se
 i processi fossero rinnovati  separati  secondo  legge,  cioe'  erano
 stati  giudicati dal loro giudice naturale. Ancora, la diversita' del
 titolo (giudizio di rinvio/appello) per cui erano davanti  lo  stesso
 giudice  e  le  diverse  caratteristiche  del giudizio di rinvio e di
 quello di  appello  non  avevano  influito  sui  diritti  di  ciascun
 imputato.
    Se  cio'  la  Cassazione  ha  constatato per circostanze del tutto
 particolari  coincidenti,  tuttavia  non  ha  reso  (ne'  mai  poteva
 rendere)  regolare  la riunione dei processi che era, restava e resta
 irregolare e poteva essere tollerata solo fino a  quando  non  avesse
 leso diritti.
    Ma  con  la  stessa  pronuncia  ed  il rinvio a giudice diverso da
 quello al quale, secondo le regole  e  senza  l'irregolare  riunione,
 spetta  la  competenza  per  il  giudizio di rinvio, si verificava la
 lesione del diritto al giudice naturale, che  la  Cassazione  non  ha
 considerato, ne' preso in esame.
    Orbene,  non  si puo' stabilizzare un'irregolarita'; tanto meno la
 si puo' stabilizzare con lesione di diritti.
    Il solo fatto che davanti  alla  Corte  di  assiste  d'appello  di
 Palermo  non  si siano verificate nullita', non trasforma in regolare
 la riunione dei processi che non lo e' mai stata; tanto meno  esclude
 le   lesioni   di   diritti   che   dell'irregolarita'  sono  diretta
 conseguenza.
    Qui  non  si  tratta,  ne'  si  puo'   trattare   di   perpetuatio
 iurisdictionis,  ma  di  perpetratio  erroris  che provoca lesioni di
 diritti (per di piu' prevedibile - anzi voluta nel momento in cui  la
 si   determina,  se  si  segue  il  provvedimento  di  diniego  della
 correzione dell'errore, che peraltro, sotto certi aspetti, si pone in
 contraddizione con la stessa precedente sentenza).
    Ne'  si puo' dire che il giudice naturale e' quello indicato dalle
 norme del codice e, in caso di riunione di processi, quello  indicato
 dalle   norme   conseguenziali   che   regolano  le  modifiche  della
 competenza. Cio' e' esatto per le  riunioni  regolari;  non  lo  puo'
 essere  per  quelle  irregolari,  peraltro  oggetto  di  rilievi  fin
 dall'inizio, per cui non potrebbe parlarsi neanche di acquiescenza.
    Esattamente e'  stato  rilevato  che  e'  come  affermare  che  X,
 sparando  un  colpo  d'arma da fuoco a Y che e' a m 50 per ucciderlo,
 come avviene, non debba rispondere di omicidio perche' il  proiettile
 a  m 20, o 30, o 40 della sua traiettoria non ha ancora raggiunto Y e
 non l'ha ucciso.
    Le variazioni di competenza per connessione possono  resistere  se
 sono legittime e se tali restano, non quando cessano di esserlo.
    La  legislazione  e  la  giurisprudenza danno precisi segni in tal
 senso:
      l'art. 622 cod. proc. pen. (e gia' l'art.  541  del  precedente)
 prescrivono il rinvio del processo dalla Cassazione al giudice civile
 secondo la competenza di questo in base alle norme processuali civili
 e non a quello penale in caso di annullamento delle sole disposizioni
 e dei capi civili della sentenza. E l'inserimento del processo civile
 in  quello  penale  con  l'esercizio dell'azione civile e' un caso di
 riunione di processi con imprescindibile modifiche della competenza;
      la Cassazione in altri processi (v. ad es. la  sentenza  del  22
 dicembre  1994, mancava di annullamento della sentenza della Corte di
 assise d'appello di Palermo del  23  giugno  1982  nel  processo  per
 l'eccidio  dei  CC  della  stazione  di Alkamar, cioe' Alcamo marina)
 contro imputati maggiorenni e  minorenni,  sopraggiunta  la  sentenza
 della  Corte  costituzionale  del  15 luglio 1983, n. 222, secondo la
 quale i minorenni debbono essere giudicati solo ed esclusivamente dai
 giudici minorili, salva  la  validita'  sotto  questo  aspetto  delle
 sentenze  precedenti, ha rinviato il processo contro i minorenni alla
 sezione  minorile  della  Corte  d'appello  (nel  caso  suddetto,  di
 Palermo) e quello contro i maggiorenni alla Corte di assise d'appello
 (nel  caso  suddetto,  di Palermo) proprio perche' la citata sentenza
 della Corte costituzionale aveva reso illegittima la riunione dei due
 processi determinando cosi' la doverosa loro separazione.
    Questa non fu adottata prima del giudizio  in  Cassazione  perche'
 non  necessaria  e  non  lesiva  di  alcun diritto, ma dovette essere
 adottata in sede di rinvio perche' altrimenti sarebbero state violate
 le norme  sul  diritto  al  giudice  naturale  in  conseguenza  della
 violazione  delle  norme  sulla  competenza  funzionale  dei  giudici
 minorili.
    Il principio della perpetratio iurisdictionis  non  era,  infatti,
 piu' applicabile
    8.  -  Non  puo',  d'altra  parte, sfuggire ancora (e la questione
 diventa piu' vasta) che il principio della perpetratio iurisdictionis
 e' una fietio non assolutamente  necessaria  che  spesso  si  risolve
 soltanto  in  una  violazione non giustificata del diritto al giudice
 naturale, specie nei casi  di  processi  cumulativi  con  conseguenze
 sulla  competenza,  secondo  applicazioni  che finiscono con l'essere
 esasperate.
    Non  puo'  sfuggire  che  quando  una  competente   del   processo
 cumulativo  si  esaurisce per qualsiasi motivo, non vi e' piu' alcuna
 ragione perche' essa continui ad influire sull'intero  processo,  del
 quale  nella  realta'  non fa piu' parte, specie se cio' influisca su
 diritti  o  li  leda.  Nella  realta'  in  tal  caso si tratta di una
 separazione automatica, fisiologica, conseguente all'esaurirsi di  un
 elemento componente.
    Nel  caso  in  esame  con la sentenza della Corte di cassazione e'
 cessata la cumulativita' soggettiva ed anche quella oggettiva.
    Non si puo' non constatare  (terra-terra,  anche  dall'uomo  della
 strada)  che  questa  Corte non puo' mai interessarsi a titolo alcuno
 degli altri imputati e, in particoalre,  di  Giuseppe  Madonia,  gia'
 condannato  definitivamente  quale esecutore materiale, e di tutto il
 processo che riguarda gli esecutori materiali, cioe'  quello  che  e'
 gia' stato esaminato tre volte dalla Cassazione ed e' stato da questa
 rinviato  due  volte  alla  Corte di assise d'appello di Palermo, per
 cui, esaurita per esso la  cognizione  delle  tre  sezioni  di  detta
 Corte,  in  caso  di  ulteriore  rinvio dalla Cassazione, esso doveva
 essere rimesso a questa Corte essendo ormai  le  sezioni  palermitane
 incompatibili.
    Ma  questo  processo  si  e'  esaurito  e questa Corte che sarebbe
 destinataria del rinvio solo per esso, proprio di esso non  puo'  per
 nulla   occuparsi   per   l'avvenuta  formazione  del  giudicato  (la
 contraddizione secondo comune logica e' palese).
    Viene, invece, chiamata a conoscere del  processo  contro  Michele
 Greco,   solo  perche'  regolarmente  riunito  a  quello  contro  gli
 esecutori materiali, dal quale, per l'esaurirsi di quel processo,  e'
 ormai  separato  e  vive  seguendo  un  iter processuale suo proprio,
 processo del quale ben due delle tre sezioni della  Corte  di  assise
 d'appello  di  Palermo  possono  conoscere per altre due volte e sono
 esse i giudici naturali del Greco (anche per eventuale  altro  rinvio
 dalla  Cassazione)  e non questa Corte, e, poi, addirittura quella di
 Catania per altro eventuale rinvio.
    Non puo'  sfuggire  che  resta  leso  o  quanto  meno  enormemente
 compresso  il  diritto  di  difesa  (oltre lo scopo di conoscibilita'
 diretta dei processi e del loro svolgimento nei luoghi in cui i fatti
 sono stati commessi, al quale misurano anche altre norme: v.  ad  es.
 art.  36  cod. pen. che prescrive che la pubblicazione della sentenza
 avvenga nel luogo  in  cui  il  delitto  fu  commesso),  che  diventa
 eccessivamente  oneroso  con  conseguenti  limitazioni (per restare a
 questo processo, e' ben evidente che altro e' subire il  processo  di
 rinvio  ed  eventualmente altro ancora nella stessa citta', specie se
 coincidente con la propria residenza, altro e' subirne un secondo  in
 altra residenza ed un terzo ancora in altra).
    Queste  considerazioni  valgono  anche  per  altre ipotesi: ad es.
 l'assoluzione definitiva da omicidio in  Corte  di  assise  di  primo
 grado,  non  ha ragione di essere seguita da un processo davanti alla
 Corte di assise d'appello per il residuo reato sulle  armi  che  puo'
 essere  conosciuto  senza  inconvenienti  (anzi  col vantaggio di non
 impegnare un collegio numeroso) dalla sezione penale della  Corte  di
 appello,  che  e'  il  giudice naturale originario per questo reato e
 tale deve ridiventare allorche' cessa la riunione  dei  processi  che
 determina lo spostamento della competenza.
   Per  quanto  interessa in questo processo si ritiene che in caso di
 rinvio dalla Cassazione, per annullamento parziale di  sentenza,  che
 importa  il  venir  meno,  in  un  processo cumulativo, dell'elemento
 componente che ha determinato spostamento di competenza,  esso  debba
 essere disposto a quel giudice che e' competente per l'imputato e per
 il reato oggetto del rinvio. La mancanza di questa previsione (che e'
 anche  nella  disciplina  delle  impugnazioni) imposta la sostanziale
 violazione del diritto al giudice naturale (che  il  principio  della
 perpetratio  iurisdictionis,  fondandosi  su  una  fictio, non salva)
 (art.  25  della  Costituzione),  nonche'  del  diritto   di   difesa
 rendendolo  molto  piu' oneroso e quindi comprimendolo (art. 24 della
 Costituzione).
    9. - Da quanto esposto emerge  la  rilevanza  in  questo  giudizio
 della  questione di legittimita' costituzionale degli artt. 623 e 624
 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 24 e  25  della  Costituzione
 nei termini sopra illustrati.
    10.  -  E'  appena  il  caso  di  aggiungere  che l'assunto che la
 sentenza  di  rinvio  della  Cassazione  e'  sempre  attribuitiva  di
 competenza  vale  sempre nel rispetto delle norme e dei diritti delle
 parti specie se costituzionalmente grantiti. Nessuna  norma  consente
 un'attribuzione  della  competenza ad libitum e non deve sfuggire che
 l'art. 543 del vecchio codice che lasciava ampia liberta'  di  scelta
 del  giudice  di  rinvio alla Corte di cassazione e' stato modificato
 con legge 21 febbraio 1984, n. 14, con fissazione di criteri  rigidi,
 proprio   per   adeguarlo   alla   disposizione  dell'art.  25  della
 Costituzione sul giudice naturale. Di analogo contenuto e' l'art. 623
 del nuovo codice. Questa disposizione non puo' essere posta nel nulla
 in  base  ad  una  inadeguata  applicazione   del   principio   della
 perpetratio  iurisdictionis  fondato su erronea applicazione di norme
 sulla riunione di processi ed ancora  quando  si  e'  verificata  una
 reale  separazione  che recide alla base le ragioni dello spostamento
 di competenza per connessione.