IL TRIBUNALE ORDINARIO
   Ha  pronunziato  la seguente ordinanza nella procedura in camera di
 consiglio iscritta a ruolo  sub  n.  2815/1994,  avente  ad  oggetto:
 ricorso  ex  art.  17 e segg. legge 18 febbraio 1989, n. 56, promossa
 con ricorso depositato in cancelleria  l'8  luglio  1994  da:  Coveri
 Rossella, elettivamente domiciliata in Firenze, Lungarno Vespucci 30,
 presso e nello studio dell'avv. Anton Ugo Serra, che la rappresenta e
 difende  unitamente  all'avv.  Carmelo  D'Antone,  come  da mandato a
 margine del ricorso  contro  Consiglio  dell'ordine  degli  psicologi
 della  regione  Toscana,  in  persona  del  suo presidente dott. Pier
 Nicola Marasco, elettivamente domiciliato in Firenze, via G. La  Pira
 17, presso e nello studio dell'avv. Paola Gallesi, che lo rappresenta
 e difende come da mandato in calce alla copia notificata del ricorso.
    Con  ricorso  presentato  ai  sensi  dell'art.  17  della legge 18
 febbraio 1989 n. 56, la dott.ssa Rossella  Coveri  ha  impugnato  per
 l'annullamento  la  deliberazione  del  Consiglio  dell'ordine  degli
 psicologi della Toscana presa in data 10 marzo 1994, con la quale  si
 rifiutava   il   consenso   alla  predetta  ricorrente  all'esercizio
 dell'attivita' psicoterapeutica, ai sensi dell'art.  35  legge  cit.,
 non  essendo la stessa laureata da almeno cinque anni dall'entrata in
 vigore della legge.
    Fissata  l'udienza  di  comparizione  delle  parti  in  Camera  di
 consiglio   e  notificato  il  ricorso  e  il  decreto  al  Consiglio
 dell'ordine e al p.m., si costituiva l'Ordine degli  psicologi  della
 regione  Toscana, chiedendo il rigetto del ricorso. Discussa la causa
 in camera di consiglio all'udienza del 7 dicembre 1994, il  tribunale
 si  riservava di decidere sulle conclusioni delle parti riportate nei
 rispettivi atti.
    La norma di legge applicata dal Consiglio dell'ordine, come si  e'
 detto,  e'  l'art. 35 della legge n. 56/1989 cit., che recita: "1. In
 deroga a quanto  previsto  dall'art.  3,  l'esercizio  dell'attivita'
 psicoterapeutica e' consentito a coloro i quali o iscritti all'ordine
 degli  psicologi  o  medici  iscritti  all'ordine  dei medici e degli
 odontoiatri, laureati da almeno cinque  anni,  dichiarino,  sotto  la
 propria  responsabilita',  di aver acquisita una specifica formazione
 professionale in psicoterapia, documentandone il curriculum formativo
 con l'indicazione delle sedi, dei tempi e della  durata,  nonche'  il
 curriculum  scientifico e professionale, documentando la preminenza e
 la continuita' dell'esercizio della professione psicoterapeutica.  2.
 E'   compito   degli   ordini   stabilire   la   validita'  di  detta
 certificazione. 3. Le disposizioni  di  cui  ai  commi  1  e  2  sono
 applicabili  fino  al compimento del quinto anno successivo alla data
 di entrata in vigore della presente legge".
    Dalla documentazione  prodotta  e  dalle  comparse  depositate  e'
 risultato   evidente   che   l'unico  motivo  per  cui  il  Consiglio
 dell'ordine degli psicologi della Toscana  ha  rigettato  la  domanda
 della   dott.ssa   Coveri,   diretta  ad  acquisire  l'autorizzazione
 all'esercizio  dell'attivita'  psicoterapeutica,  e'   quello   della
 mancanza  del  requisito  dell'essere  la  stessa  laureata da almeno
 cinque anni: il Consiglio, infatti, non e' entrato nel  merito  della
 validita'    della   certificazione   prodotta   dalla   richiedente,
 considerandola evidentemente piu' che sufficiente.
    Il  rigetto  della  domanda e' conseguenza dell'essersi la Biagini
 laureata il 3 aprile 1989, con la conseguenza che al  10  marzo  1994
 (ultimo  giorno  utile per l'applicazione della normativa transitoria
 dell'art. 35, per quanto disposto dal terzo comma) non aveva maturato
 il requisito dei cinque anni dalla laurea.
    L'unica  problematica  interpretativa  sottoposta   al   Tribunale
 riguarda  l'interpretazione  del  termine  di  cinque anni voluto dal
 legislatore.
    La ricorrente suggerisce un'esegesi meno rigida di quella recepita
 dall'ordine, per due ordini di motivi:
       a) la legge ha voluto fare riferimento a coloro  che  si  siano
 laureati   nell'anno   accademico  1988/89,  vale  a  dire  dell'anno
 accademico dal quale sono trascorsi  i  cinque  anni  previsti  dalla
 norma    per    aver   diritto   al   riconoscimento   dell'attivita'
 psicoterapeutica;
       b) la valutazione meno rigida - che tenga cioe' conto dell'anno
 accademico in cui il soggetto si e' laureato,  o  quanto  meno  della
 sessione di laurea o della data del suo inizio, invece che della data
 esatta  della  discussione  della  tesi di laurea - e' consentita dal
 fatto   che    l'opposta    soluzione    verrebbe    a    determinare
 un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  tra  i laureati nella
 medesima sessione di laurea.
    Cio' posto, il Collegio non puo'  esimersi  dall'osservare  quanto
 segue:
      1) in realta' il legislatore, mediante la disposizione del terzo
 comma,  che  limita  l'applicazione  della  normativa  transitoria ai
 cinque  anni  successivi  alla  data  di  entrata  in  vigore   della
 normativa,   ha  sostanzialmente  stabilito  un  termine  preciso:  i
 requisiti devono maturare nel periodo 10 marzo 1989-10 marzo 1994  e,
 piu'  in  particolare  il  soggetto  deve essere laureato entro il 10
 marzo 1989;
      2) la normativa di cui all'art. 35 e' norma eccezionale rispetto
 alla regola generale  posta  dall'art.  3  della  legge  56,  cui  fa
 espressa deroga: ne consegue che l'interpretazione analogica non puo'
 essere   permessa   e   l'orientamento  deve  essere  tendenzialmente
 restrittivo;
      3) il  requisito  della  laurea  da  oltre  cinque  anni  e'  un
 requisito diverso e ulteriore rispetto a quello del raggiungimento di
 una  sufficiente formazione professionale che e' dimostrato (e su cui
 il Consiglio dell'ordine deve esprimere  la  sua  valutazione)  dalla
 autodichiarazione  e dalla documentazione prodotta e non dal possesso
 da un certo periodo del diploma di laurea.
    In definitiva, secondo il Tribunale, I'applicazione del termine di
 cinque anni dalla laurea non puo' che essere letterale e puntuale: il
 soggetto richiedente deve essere laureato entro il  giorno  dell'anno
 di  cinque anni prima rispetto alla data della delibera del Consiglio
 dell'ordine: se il Consiglio dell'ordine come nel caso di specie,  ha
 deliberato  il  10  marzo  1994 il soggetto richiedente doveva essere
 laureato entro il 10 marzo 1989.
    Si deve, a questo punto, far emergere la ratio dell'art. 35,  che,
 si ricordi, e' norma transitoria.
    Prima  dell'emanazione  della  legge  n. 56/1989 l'esercizio della
 psicoterapia era permesso a chiunque, o  meglio  non  era  vietato  a
 nessuno;  il  legislatore  ha voluto porre, da ora in poi, dei limiti
 ben precisi, in modo che la psicoterapia  fosse  esercitata  solo  da
 soggetti abilitati.
    L'art.   35,  pertanto,  costituisce  un  tentativo  di  passaggio
 "morbido"  da  una  situazione  per  nulla   regolamentata   ad   una
 rigidamente regolamentata, mediante l'individuazione di soggetti che,
 per  la  professionalita'  raggiunta  fino al momento dell'entrata in
 vigore della  nuova  normativa,  si  ritiene  non  necessitino  della
 frequenza  del  corso  quadriennale  di formazione post-universitario
 previsto dall'art. 3.
    Di fronte ad un caso-limite come quello della ricorrente Coveri la
 quale, per ventiquattro  giorni,  non  puo'  rientrare  nel  disposto
 dell'art.   35   nonostante   la   esperienza   maturata   in   campo
 psicoterapeutico, questo  Tribunale  si  e'  posto,  di  ufficio,  il
 problema  relativo alla sindacabilita' o meno, dal punto di vista dei
 principi costituzionali, dei  criteri  seguiti  dal  legislatore  nel
 disegnare la normativa transitoria.
   Si  deve  sottolineare  che  il  legislatore  intende  discriminare
 all'interno di una categoria di  soggetti  che  gia  esercitavano  la
 professione psicoterapeutica, come si evince con certezza dal curric-
 ulum  scientifico  e  professionale  che  deve  essere prodotto nella
 domanda: dettando i  criteri  limitativi  dell'art.  35  (diploma  di
 laurea;  possesso dello stesso da almeno cinque anni; possesso di una
 specifica formazione professionale in psicoterapia;  esercizio  della
 psicoterapia  con  modalita'  continua  e preminente) il legislatore,
 quindi,  prevede  che  alcuni  di  tali  soggetti  non  possano  piu'
 esercitare la psicoterapia.
    Tale eventualita' deve essere osservata sotto due profili:
       a) per il richiedente che si vede respinta la domanda si tratta
 della  negazione  di  un  diritto  fino a quel momento esercitato; e'
 intuitivo che l'esercizio di tale  diritto  abbia,  fra  l'altro,  un
 rilevante risvolto economico-sociale.
    In tale visuale emerge la necessita' di rispetto dell'art. 3 della
 Costituzione,  in  modo che tale limitazione - sicuramente necessaria
 nella logica della legge n. 56/1989 - sia applicata soltanto in  casi
 nei  quali  la stessa e' necessitata e non venga applicata in maniera
 diversa rispetto a soggetti in posizione analoga.
    Emerge, inoltre,  ancora  con  maggior  forza  la  necessita'  del
 richiamo  all'art. 35 della Costituzione, trattandosi di soggetti che
 esercitavano un lavoro legittimamente  e  che  si  vedono  negata  la
 possibilita' di continuare in tale esercizio;
       b) per il/i paziente/i del soggetto richiedente ed al quale sia
 stata   respinta  la  domanda  (pazienti  che,  si  ripete,  esistono
 sicuramente, in quanto presupposto per la presentazione della domanda
 e'  l'esercizio  della  professione   psicoterapeutica)   si   tratta
 dell'interruzione  di  una  terapia in corso. E' notorio che, proprio
 per il tipo di terapia, la sostituzione di uno psicoterapeuta con  un
 altro  risulti assai difficile in molti casi, in quanto la figura del
 curante assume, rispetto a certe patologie, un'importanza di  maggior
 spessore  rispetto  a  quella  che  puo'  assumere  quella del medico
 curante in una patologia di carattere esclusivamente fisico.
    In questa seconda visuale, il rispetto dell'art. 32, primo  comma,
 della  Costituzione,  che tutela anche la salute psichica, impone che
 l'interruzione forzata della terapia sia limitata ai casi in  cui  il
 curante  dia  cosi'  scarse garanzie di preparazione professionale da
 risultare  preferibile, anche rispetto alla salute dei suoi pazienti,
 che la terapia si interrompa e che il  malato  si  rivolga  ad  altro
 psicoterapeuta.
    Nella    presente    controversia,    peraltro,   il   vaglio   di
 costituzionalita' puo' essere proposto soltanto rispetto ad  un  solo
 requisito  dettato  dall'art.  35 della legge n. 56/1989, vale a dire
 quello del possesso da oltre  cinque  anni  del  diploma  di  laurea.
 Infatti,  come  gia'  evidenziato, la Biagini e' in possesso di tutti
 gli  altri  requisiti:  e'  laureata,  ha  effettuato   la   prevista
 autodichiarazione  e  il  Consiglio dell'ordine niente ha eccepito in
 ordine al possesso da parte della stessa di una specifica  formazione
 professionale in psicoterapia, ne' in ordine all'esercizio continuo e
 preminente della professione psicoterapeutica.
    Il   Tribunale  ritiene  che  la  motivazione  che  ha  spinto  il
 legislatore a dettare il requisito del possesso del diploma di laurea
 da  oltre  cinque  anni  sia  quella  di  porre  una  presunzione  di
 sufficiente  maturazione  professionale:  il  soggetto  solo  dopo la
 laurea potrebbe dedicarsi proficuamente  e  seriamente  all'esercizio
 della  psicoterapia,  potendo  acquisire  una  determinata formazione
 mediante corsi e mediante l'esercizio di psicoterapia; il termine  di
 cinque anni, evidentemente, e' stato ritenuto congruo per raggiungere
 una  ragionevole  convinzione  in  ordine  al  raggiungimento  di  un
 determinato standard - sia dal punto di vista professionale,  che  da
 quello  "esperienziale".  Verosimilmente il legislatore ha, altresi',
 tenuto conto che, nel regime  ordinario  dettato  dall'art.  3  della
 legge n. 56/1989, i laureati potranno esercitare la psicoterapia solo
 dopo  circa  cinque  anni  dalla laurea (dovendo seguire corsi almeno
 quadriennali).
    Ebbene,  se  questa  e'  la  ratio  della   norma,   essa   appare
 insoddisfacente,  tanto  da  rendere  non manifestamente infondata la
 questione relativa alla sua correttezza costituzionale.
    In primo luogo essa non tiene presente che, prima dell'entrata  in
 vigore  della  legge  n.  56/1989, l'esercizio della psicoterapia era
 possibile anche ai non laureati: la data di laurea,  quindi,  non  e'
 affatto   indice  del  presumibile  inizio  dell'approfondimento  del
 soggetto rispetto all'attivita' psicoterapeutica.
    In secondo luogo, e specialmente, l'art. 5  demanda  al  Consiglio
 dell'ordine  una  piena  valutazione  in  ordine al raggiungimento da
 parte del richiedente della  specifica  formazione  professionale  in
 psicoterapia,   mediante   l'analisi   del  curriculum  prodotto  dal
 soggetto, e la valutazione degli studi compiuti dallo  stesso,  della
 continuita'  e  della  preminenza  dell'esercizio  della  professione
 psicoterapeutica.
    La presunzione insita nell'art. 35, pertanto, viene a  sovrapporsi
 al  giudizio  di  merito che il Consiglio dell'ordine deve esprimere,
 obbligando il Consiglio stesso  a  respingere  le  domande  anche  in
 presenza  di  una  convinzione  piena in ordine al raggiungimento dei
 requisiti piu' volte citati.
    E' il caso che appunto viene in esame nel presente  giudizio,  pur
 con la caratteristica del caso-limite.
    Sembra al Tribunale, invece, che il Consiglio dell'ordine, per una
 valutazione  congrua  della  posizione  di  ogni  soggetto, possa si'
 tenere conto del possesso della laurea da un certo  periodo,  ma  che
 sia   irragionevole  -  e  in  determinati  casi,  iniquo  -  che  la
 valutazione  di  tale  parametro sia rigidamente predeterminato dalla
 legge e non  possa  essere  liberamente  e  consapevolmente  valutato
 insieme a tutti gli altri parametri.
    Rispetto  ai  parametri costituzionali sopra richiamati, pertanto,
 la norma in oggetto  rende  possibili  (e,  nel  caso  oggetto  della
 presente  controversia, provoca) gravi violazioni: soggetti aventi la
 stessa preparazione professionale in  psicoterapia  che  ricevono  un
 trattamento  ingiustificatamente differenziato; soggetti con adeguata
 formazione  professionale   che   vengono   impediti   a   proseguire
 l'esercizio  di  una  professione legittimamente intrapresa; pazienti
 che  vengono  ingiustificatamente  costretti  ad   interrompere   una
 psicoterapia  in  corso  o,  quanto  meno,  a  sostituire  al proprio
 psicoterapeuta un altro.
    Tali violazioni appaiono evitabili mediante  la  soppressione  del
 requisito  in  oggetto  e  l'affidamento  al giudizio complessivo del
 Consiglio dell'ordine (a sua volta,  si  deve  ricordare,  pienamente
 valutabile  dal  giudice  ordinario davanti al quale la deliberazione
 venga impugnata) della  decisione  in  ordine  alla  sussistenza  dei
 presupposti    necessari    per   la   continuazione   dell'esercizio
 dell'attivita' psicoterapeutica.