IL TRIBUNALE
   Ha deliberato la seguente ordinanza nel  procedimento  iscritto  al
 numero  219  del  registro  delle impugnazioni delle misure cautelari
 personali dell'anno 1995;
   In sede di appello proposto  nell'interesse  di  Vitelli  Giuseppe,
 avverso  la  ordinanza  10 marzo 1995, con la quale il giudice per le
 indagini preliminari presso questo tribunale ha rigettato la  istanza
 di   revoca  della  misura  custodiale  carceraria  per  sopravvenuta
 mancanza di indizi;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
                            P R E M E T T E
   Con  ordinanza  in  data  7 ottobre 1994 il giudice per le indagini
 preliminari presso questo tribunale  emetteva,  in  fase  processuale
 (per  l'intervenuto  esercizio della azione penale mediante richiesta
 di rinvio a giudizio), ordinanza di custodia cautelare in carcere nei
 confronti  di  108  imputati,  tra  i  quali  Vitelli  Giuseppe,   in
 relazione,  quanto  a costui, ai reati di cui agli artt. 416-bis  del
 c.p., 110-575 e  577  (omicidio  Muglia),  56-575  (tentato  omicidio
 Capizzano), reati connessi in materia di armi.
   Con  ordinanza  18  novembre  1994,  questo  tribunale, in parziale
 accoglimento  del  proposto  riesame,   revocava   il   provvedimento
 restrittivo  limitatamente  ai fatti di cui al tentato omicidio (capi
 L3 ed M3), mantenendo, per il resto, la disposta misura.
   Nella istanza 4 febbraio 1995, a  sostegno  della  inattendibilita'
 delle dichiarazioni acquisite, si era dedotto che:
     Pati  Salvatore  (che,  a detta del collaboratore Pagano lo aveva
 informato  dell'omicidio,  perche'  entrambi  detenuti   nella   casa
 circondariale  di  Cosenza)  era  stato  ristretto  in  tale istituto
 soltanto dal 6 al 9 marzo 1983;
     Bartolomeo Stefano  (altro  collaboratore)  era  giunto  in  quel
 carcere  dopo  il  14  marzo  1983,  per cui, il Pati, in presenza di
 costui, non si era potuto "vantare" di essere l'autore dell'omicidio;
     tale   Insolito   ed   altri   collaboratori   avevano    fornito
 dichiarazioni  sull'omicidio,  differenti  sia  per  causale  che per
 autori (indicando persone diverse dal Vitelli).
   Nella ordinanza di rigetto era affermato che il quadro indiziario e
 cautelare  era  rimasto  invariato  e  che  sia  il  Pagano,  che  il
 Bartolomeo e il Pati risultavano presenti nel carcere cosentino dal 6
 al 9 marzo 1983.
   Nel  proposto  appello  la  difesa  deduceva una errata valutazione
 delle risultanze processuali,  posto  che  il  Bartolomeo  era  stato
 arrestato,   per  l'omicidio  Muglia,  il  14  marzo  1983  (come  da
 provvedimento restrittivo notificato in tale data), mentre il Pagano,
 dopo l'ottobre 1982 (a seguito del tentato omicidio di Pino Franco in
 carcere), era in stato di isolamento, sicche' non vi era possibilita'
 materiale di un incontro, ne' vi era motivo di parlare di un omicidio
 ancora non (erratamente) contestato al Bartolomeo stesso.
   La udienza camerale del 2 maggio era differita stante  la  ritenuta
 necessita' di acquisizione di atti procedimentali.
   La susseguente richiesta era evasa con nota 31 maggio 1995.
   Occorre,  ora,  prendere  atto  che,  con decreto 4 maggio 1995, il
 giudice per le indagini preliminari ha disposto il rinvio a  giudizio
 del Vitelli per tutti i delitti ascrittigli.
   Tanto  premesso,  e  senza  alcuna  necessita'  di  rifissazione di
 udienza camerale, per evidenti ragioni di economia processuale;
                              R I L E V A
   E' noto l'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale: "Attesa
 l'intervenuta modifica dell'art. 425 del c.p.p., dal cui  testo,  per
 effetto  della  legge  8  aprile  1993, n. 105, e' stata eliminata la
 parola "evidente"  (riferita  alla  presenza  delle  condizioni  che,
 all'esito    dell'udienza   preliminare,   debbono   dar   luogo   al
 proscioglimento dell'imputato), deve ritenersi nuovamente vigente  il
 principio,  gia' affermato nella vigenza del codice abrogato, secondo
 il quale, in tema di provvedimenti riguardanti la liberta'  personale
 dell'imputato,  l'avvenuto  rinvio  a giudizio di costui si pone come
 motivo di preclusione in ordine alla proposizione e all'esame di ogni
 questione  attinente   alla   sussistenza   dei   gravi   indizi   di
 colpevolezza"  (cfr., da ultimo, Cass. sez. V, 5 maggio 1994 n. 1652,
 Bonifati ed altri, a conferma di  un  orientamento  prevalente  della
 Cassazione,   in  specie  dopo  la  abolizione  del  requisito  della
 "evidenza"  probatoria  ai  fini  del  rinvio   a   giudizio;   cfr.,
 anteriormente  e  tra  le piu' recenti, Cass., sez. V, 17 marzo 1994,
 Morando e, sez. I, 12 febbraio 1994 n. 5196, Russo).
   In linea con il citato indirizzo (ed in relazione a  casi  diversi,
 ma ugualmente significativi), le due pronunce che seguono:
     A)  "Detto  principio  non soffre deroga nemmeno nel caso in cui,
 intervenuta sentenza di condanna, questa, in  sede  di  legittimita',
 sia  stata  annullata  con  rinvio  per  difetto  di motivazione, non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizi  di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass., sez.  I, 7 gennaio 1994 n. 5120, Bontempo Scavo);
     B) "E'  invece  possibile,  anche  successivamente  al  rinvio  a
 giudizio,  rimettere  in discussione il principio, allorquando si sia
 in presenza di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio'  stesso,  non
 vengono  ad essere in contrasto con la intervenuta decisione" (Cass.,
 sez. I, 4 febbraio 1994 n. 5257, Mancion).
   La forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque,  il  proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo:
     1)  la  introduzione  della  modifica  legislativa alla regola di
 giudizio per la emissione del decreto dispositivo del  giudizio,  con
 la  conseguenza  che  la soppressione dell'inciso "evidente" (dopo il
 verbo "risulta") postulando "la insussistenza di  elementi  denotanti
 una  situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita' dell'imputato",
 comporta che "gli elementi di colpevolezza, la  cui  sussistenza  per
 definizione  normativa,  costituisce  motivo  di  legittimazione  del
 provvedimento di rinvio a giudizio, si rendono valutabili  nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibattimentali";
     2)  la  rivalutazione  della disciplina del rinvio a giudizio nei
 termini  fissati  dall'art.  374  del  c.p.p.  abrogato,  laddove  la
 giurisprudenza  era  consolidata nell'escludere, una volta emanata la
 ordinanza di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul  fondamento
 dell'accusa,   sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e  sulla
 sufficienza  degli   indizi:   conseguentemente,   le   contestazioni
 contenute  in  tale  ordinanza  non  erano modificabili ai fini della
 pronuncia sulla liberta' personale e quindi non erano sindacabili  in
 sede processuale dibattimentale.
   La  forza  del principio rende necessitato il ricorso alla verifica
 di costituzionalita'.
   La questione e' rilevante poiche' la norma di  cui  si  segnala  la
 incostituzionalita'  (il disposto dell'art. 310 in relazione all'art.
 429 del c.p.p. nella parte in  cui,  alla  stregua  dell'orientamento
 esaminato,  e'  precluso ogni controllo, sia formale che sostanziale,
 in sede di appello cautelare circa la persistenza dei gravi indizi di
 colpevolezza,  dopo il rinvio a giudizio decretato) e' di immediata e
 diretta applicazione nel procedimento.
   Inoltre, la incidenza  e'  di  particolare  pregnanza,  atteso  che
 l'intervenuto  rinvio  precluderebbe  l'esame  del  merito cautelare,
 fatto valere in sede di appello, e fondato su dati  probatori  nuovi,
 idonei  alla  revisione  del quadro indiziario, rispetto ai quali non
 risultano addotte ulteriori  contrapposte  acquisizioni,  se  non  il
 (mero) fatto processuale dell'adottato decreto ex art. 429 del codice
 di rito penale.
   La questione non e' manifestamente infondata.
   La riforma del 1993, abolitiva del requisito della "evidenza" posto
 dall'art.  425  del  c.p.p.,  non  ha,  in  effetti,  delineato alcun
 parametro sui poteri valutativi del giudice a conclusione della  fase
 processuale preliminare.
   Non   solo   nessun   dato  normativo  puo'  avallare  la  asserita
 coincidenza del criterio della gravita' indiziaria anche ai fini  del
 rinvio  a  giudizio,  quanto vi ostano precisi, e contrari, argomenti
 sistematici, all'interno del nuovo codice  e  nel  raffronto  con  il
 vecchio regime.
   1.  -  Incontroverso  che  la  valutazione del giudice dell'udienza
 preliminare non puo' fondarsi "sugli stessi parametri delibativi alla
 stregua dei quali il giudice del dibattimento e' chiamato a  decidere
 se  pronunciare  sentenza  di  proscioglimento  o di condanna" (cfr.,
 testualmente, C. cost. sent. n. 82/93), ne consegue che  il  criterio
 decisorio preliminare non puo' individuarsi nella "probabile condanna
 dell'imputato",  poiche'  la  prova  "idonea  a  sostenere una futura
 condanna" e' soltanto quella che si presenti "non insufficiente"  (in
 relazione alla completezza investigativa) e "non contraddittoria" (in
 relazione   al  profilo  valutativo),  imponendo,  al  contrario,  al
 suddetto giudice, nel primo caso (di  prova  "non  sufficiente"),  la
 sollecitazione  ad integrazione probatoria ex art. 422 del c.p.p.  e,
 nel secondo (di "prova contraddittoria"), la emanazione  di  sentenza
 di non luogo a procedere.
   Invece,  la armonizzazione del sistema, nella combinata valutazione
 dei criteri sottostanti alle disposizioni di cui agli artt. 429, 425,
 409 del c.p.p. e 125 disp. att. stesso codice, imporrebbe di ritenere
 che il rinvio a  giudizio  sia  legittimato  dalla  "idoneita'  degli
 elementi  acquisiti  nelle indagini preliminari a sostenere la accusa
 nel giudizio", con la esclusione di una prognosi di colpevolezza.
   2. - Non puo' reggere,  parallelamente,  la  assimilazione  con  il
 vecchio  "proscioglimento  istruttorio",  sia  perche'  la istruzione
 "doveva" essere completa, sia perche', nel dubbio,  era  privilegiata
 la formula favorevole al giudicabile, secondo gli schemi propri di un
 superato modello inquisitorio.
   Oltretutto,  la  "gravita'  indiziaria  di  colpevolezza" impone un
 vaglio  probatorio  critico  di  tasso  piu'  elevato  rispetto  alla
 "sufficienza  probatoria",  all'epoca reputata idonea per il rinvio a
 giudizio.
   3. - Il  procedimento  in  materia  cautelare  personale  e'  stato
 concepito in termini di autonomia rispetto a quello di merito, per la
 privilegiata  garanzia  del bene compresso (della liberta', o meglio,
 delle liberta' della persona) e per la specificita' valutativa.
   Nulla  esclude  che,  nel  rispetto  della separazione dei giudizi,
 l'imputato sia rinviato a giudizio in stato di liberta'.
   Si indicano, a parametro:
     a) il disposto dell'art. 111, comma 2,  della  Costituzione,  che
 salvaguarda  la  tutela di legittimita', contro i provvedimenti sulla
 liberta'   personale,   per   "violazione   di   legge",   violazione
 riscontrabile  vieppiu'  nel  preliminare controllo di merito, eppure
 preclusa,  nel  caso  in  esame,  in  virtu'   di   una   presunzione
 (insuperabile  allo  stato degli atti e preclusiva della rilevanza di
 ogni  intermedia   evenienza   addotta   dalla   parte   a   sostegno
 dell'interposto  gravame)  di  "probabile  colpevolezza",  insita nel
 (nelle more) decretato rinvio a giudizio;
     b) il disposto dell'art. 3 della Costituzione, per  una  evidente
 disparita' di trattamento, in contrasto con ogni coerenza sistematica
 e  ragionevolezza  normativa, sul tema primario di tutela del diritto
 di liberta', tra indagati ed imputati ed anche  tra  imputati,  avuto
 riguardo  alla  fase  processuale  precedente  la decisione finale di
 udienza preliminare e quella  immediatamente  successiva,  fino  alla
 emissione della sentenza conclusiva del grado, in specie, laddove:
      detta  scelta si coordina con una decisione preliminare, a tasso
 garantistico non ben definito, perche' un errore di prospettiva sulla
 utilita'  del  dibattimento   si   ripercuote   inevitabilmente   sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito,  nemmeno  sul  decreto  di  rinvio  a  giudizio, notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela ordinanza dell'abrogato regime processuale);
      l'incidenza  del  decreto  dispositivo del giudizio si pone come
 fatto  occasionale  e  sopravvenuto,  rispetto  a  giudizi  cautelari
 pendenti, come quello in esame;
     c)  il  disposto  dell'art.  24,  comma  2,  della  Costituzione,
 perche', per le ragioni gia' dette, restringendosi la sfera di tutela
 sulle  censure  proponibili  avverso   il   provvedimento   cautelare
 impugnato, ne resta ingiustificatamente ed aleatoriamente sacrificato
 il  diritto  di  difesa in relazione al bene primario della liberta',
 tanto piu' tutelabile, quanto piu' il sacrificio di esso si ponga con
 predominante   efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo    sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.
   Pertanto, il procedimento va sospeso con ogni conseguenza di legge.