IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile in  primo  grado
 iscritta   al   n.  4446  r.g.  1994,  introdotta  da  Porfido  Vita,
 rappresentata dagli avv.ti Angelo e  Antonio  Fortunato,  attrice,  e
 Moschetti   Girolama,   rappresentata   dall'avv.  Attilio  Sebastio,
 convenuta, e  Moschetti  Giovanni,  Moschetti  Lucrezia  e  Moschetti
 Pietro contumaci, convenuti.
   Oggetto: simulazione contratto.
                            Fatto e diritto
   Con  atto  notificato  il 6 dicembre 1994 Porfido Vita conveniva in
 giudizio Moschetti Girolama, Moschetti Giovanni, Moschetti Lucrezia e
 Moschetti  Pietro,  cosi'  riassumendo  davanti  a  questo  tribunale
 giudizio precedentemente intentato nei confronti della sola Moschetti
 Girolama.
   Riferiva: che aveva contratto matrimonio con tale Moschetti Lorenzo
 il  15 aprile 1974, possedendo a tale data la somma di lire 5.000.000
 circa; che il coniuge  aveva  acquistato  nel  1976  un  appartamento
 nell'abitato di Laterza (TA); che il 24 gennaio 1979 era sopravvenuta
 la separazione personale dei coniugi; che con atto del 10 agosto 1980
 il   Moschetti   aveva  venduto  alla  sorella  Girolama  il  cennato
 appartamento; che il 2 agosto 1981 il Moschetti era  deceduto,  senza
 lasciare  proprieta'  idonea  a  soddisfare  i diritti successori del
 coniuge; che l'atto del 10 agosto 1980 era simulato; che,  introdotto
 il  giudizio  contro  Moschetti  Girolama  con  atto notificato il 23
 febbraio 1982, il tribunale di Taranto -  III  sezione  civile  aveva
 accolto  la  domanda (sentenza n. 752/91), dichiarando la simulazione
 dell'impugnata compravendita; che in sede di appello (sentenza  Corte
 di appello di Lecce depositata il 15 giugno 1994 n. 572/94), ritenuto
 che   al   giudizio   di   primo  grado  non  avevano  partecipato  i
 litisconsorti necessari  Moschetti  Lucrezia,  Moschetti  Giovanni  e
 Moschetti  Pietro,  era  stata  disposta la rimessione della causa al
 primo giudice per la necessaria integrazione del litisconsorzio.
   Rinnovava quindi le istanze e conclusioni proposte nel  primo  atto
 introduttivo.
   Mentre gli altri convenuti rimanevano contumaci, Moschetti Girolama
 sosteneva:   che   la  domanda  era  inammissibile,  per  difetto  di
 legittimazione della Porfido, e priva di fondamento; che  la  Porfido
 era  infatti  decaduta  dal  diritto di accettare l'eredita'; che non
 sussisteva simulazione. Concludeva per il rigetto della domanda.
   La causa veniva  assegnata  alla  stessa  sezione  ed  allo  stesso
 giudice estensore dell'impugnata sentenza.
   Il procuratore della convenuta proponeva istanza di ricusazione sia
 del  giudice  istruttore  sia  di altro giudice della stessa sezione,
 avendo essi gia' preso cognizione della causa nelle precedente  fase.
 L'istanza veniva rigettata.
   La  stessa parte eccepiva l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 51 cod. proc. civ., per disparita' di trattamento  rispetto  all'art.
 383,  comma  primo,  c.p.c.,  per  lesione  del principio inerente al
 "giudice naturale" e per lesione del diritto di difesa.
   Ribadiva successivamente la stessa eccezione,  per  violazione  del
 principio di imparzialita' del giudice.
   Proposta dal giudice istruttore istanza di astensione al presidente
 del  tribunale  per  "gravi  ragioni  di convenienza" (art. 51 ultima
 parte c.p.c.), la medesima veniva rigettata.
   Ritiene questo collegio  che  la  causa  non  possa  essere  decisa
 indipendente   dalla   risoluzione  della  questione  afferente  alla
 legittimita' della propria investitura.
   Ritiene cioe' che non si possa  prescindere  dalla  operativita'  o
 meno  nella specie dell'art. 51 cod. proc. civ., nella parte in cui -
 al n. 4 - limita l'obbligo di astenersi (e quindi  la  proponibilita'
 della  ricusazione,  ai sensi del successivo art. 52 cod. proc. civ.)
 al caso in cui il magistrato abbia  conosciuto  la  causa  "in  altro
 grado  del  processo",  con  preclusione  della  sua  efficacia nella
 diversa ipotesi di pregressa conoscenza da parte dello stesso giudice
 in "altra fase del processo".
   La cennata disposizione dell'art. 51 cod. proc. civ. non si sottrae
 al dubbio di legittimita' costituzionale in relazione ai parametri  e
 per le ragioni che seguono.
   1.  -  Violazione  dell'art. 3 della Costituzione per irragionevole
 disparita' di trattamento di situazioni  omogenee.
   Sussiste  apparente  disparita'  di  trattamento  tra  la   cennata
 esclusione  di operativita' e la disciplina ex art. 383, comma primo,
 c.p.c.   (rinvio - dopo la cassazione -  ad  altro  giudice  di  pari
 grado)  ed  ex  art.  51  n.  4  c.p.c. (obbligo di astensione ove il
 magistrato abbia dato consiglio o prestato patrocinio nella  causa  o
 deposto come testimone o ne abbia conosciuto come magistrato in altro
 grado del processo).
   In questi casi, infatti, sottesa alla previsione del legislatore e'
 sempre  l'esigenza  di  precludere  allo  stesso  giudice,  che si e'
 variamente  gia'  pronunciato  sul  merito  della  controversia,   di
 conoscere  nuovamente  la  stessa  causa,  rinnovando  logicamente la
 stessa pronuncia.
   Si presume infatti che il giudice il quale abbia gia'  maturato  un
 convincimento  in  ordine  alla  soluzione della causa, non offra per
 cio' stesso sicura  garanzia  di  obiettivita'  nell'espressione  del
 nuovo giudizio, anche se questo venga corredato di eventuali elementi
 nuovi.
   Orbene,  se costituisce avvertita necessita' del legislatore di non
 coinvolgere piu' volte lo  stesso  giudice  nella  valutazione  della
 stessa  causa  (il  principio  e'  operante  anche  in  altri settori
 dell'ordinamento, specialmente in  materia  processuale  penale),  e'
 evidente  che  tale  bisogno ricorre anche allorche' il giudizio o la
 valutazione siano stati espressi in altra fase del medesimo processo.
   In  buona  sostanza,  se  incompatibilita'  sussiste  nelle   altre
 situazioni rappresentate, perfino dallo stesso art. 51 c.p.c., non si
 ravvisa ragione di negare siffatta incompatibilita' ove la cognizione
 sia avvenuta in altra fase dello stesso processo.
   Specialmente,  appare fortemente priva di razionale giustificazione
 la disparita' di trattamento tra il previsto  obbligo  di  astensione
 nell'ipotesi  di  prestazione di consiglio (art. 51 n. 4 c.p.c. prima
 parte) che normalmente si esprime ante causam, e  la  preclusione  di
 analoga  astensione  nel caso di pregressa cognizione della causa "in
 altra fase", cioe' nel corso dello stesso processo.
   2. - Violazione dell'art. 24, comma secondo, della Costituzione.
   L'esclusione dell'obbligo  di  astensione  nel  caso  di  pregressa
 cognizione della causa in altra fase individua inoltre una situazione
 di  lesione del diritto di difesa, atteso che potrebbero rivelarsi in
 concreto ininfluenti nuovi argomenti difensivi e nuovi mezzi di prova
 a  fronte  di  un  orientamento   decisionale   del   giudice   ormai
 determinato.
   Soprattutto,  la  cennata  esclusione appare lesiva dei principi di
 imparzialita' e terzieta' del giudice, i quali  potrebbero  risultare
 compromessi  dalla  cosiddetta  forza  di "prevenzione", "cioe' dalla
 naturale tendenza  a  mantenere  un  giudizio  gia'  espresso  od  un
 atteggiamento  gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso
 procedimento"  (Corte  cost.  n.  432/1995).  In  altri  termini,  la
 acquisita   conoscenza   della  causa  da  parte  del  giudice  e  la
 manifestazione del suo orientamento, palesatosi in una  sentenza  poi
 annullata,  non  possono  non  avere  effetto riduttivo rispetto alla
 fiducia  dei  cittadini  sulla  obiettivita'  dello  stesso,  le  cui
 conclusioni  appaiono  ora  aprioristicamente  determinate o comunque
 presumibili.
   La posizione manifestamente presa  con  l'espressione  del  decisum
 rende   infatti  improbabile  una  revisione  dell'orientanento,  con
 conseguente  compressione  del  diritto   di   difesa   della   parte
 soccombente nella precedente fase processuale.