ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  ammissibilita', ai sensi dell'art. 2, primo comma,
 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1,  della  richiesta  di
 referendum   popolare   per   l'abrogazione  dell'art.  4,  comma  2,
 limitatamente alle parole "non"  e  "se  non  previa  intesa  con  il
 Governo  e  nell'ambito degli indirizzi e degli atti di coordinamento
 di cui  al  comma  precedente",  del  decreto  del  Presidente  della
 Repubblica  24  luglio  1977,  n. 616 (Attuazione della delega di cui
 all'art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), iscritto al n. 87 del
 registro referendum;
   Vista  l'ordinanza  del  26-27 novembre 1996 con la quale l'Ufficio
 centrale  per  il  referendum  presso  la  Corte  di  cassazione   ha
 dichiarato legittima la richiesta;
    Udito  nella  camera  di  consiglio dell'8 gennaio 1997 il giudice
 relatore Carlo Mezzanotte;
    Uditi gli avvocati Stefano Grassi e Beniamino Caravita di  Toritto
 per  i delegati dei Consigli regionali della Lombardia, del Piemonte,
 della Valle d'Aosta, della Calabria, del Veneto, della Puglia e della
 Toscana.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  L'Ufficio centrale per il referendum,  costituito  presso  la
 Corte  di  cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n.
 352,  e  successive  modificazioni,  ha  esaminato  la  richiesta  di
 referendum  popolare, presentata dai Consigli regionali delle Regioni
 Valle d'Aosta,  Toscana,  Veneto,  Lombardia,  Piemonte,  Calabria  e
 Puglia,  sul  seguente quesito: Volete voi che sia abrogato l'art. 4,
 secondo comma, limitatamente alle  parole  "non"  e  "se  non  previa
 intesa  con  il Governo e nell'ambito degli indirizzi e degli atti di
 coordinamento di cui al comma precedente" del d.P.R. 24 luglio  1977,
 n.  616  (Attuazione  della  delega  di cui all'art. 1 della legge 22
 luglio 1975, n. 382)?".
   2. - Con ordinanza depositata in data 27 novembre  1996,  l'Ufficio
 centrale  per  il  referendum  ha  dichiarato  la  legittimita' della
 richiesta, stabilendo come denominazione del  referendum:  Abolizione
 dei  limiti  statali  alle  attivita'  promozionali  all'estero delle
 Regioni.
   3.  -  Ricevuta  la   comunicazione   dell'ordinanza   dall'Ufficio
 centrale,  il  Presidente  di  questa Corte ha fissato il giudizio di
 ammissibilita'  della  richiesta  referendaria  per  la   camera   di
 consiglio  dell'8  gennaio 1997, disponendo altresi' le comunicazioni
 previste dall'art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.
   4. - Nell'imminenza della  camera  di  consiglio,  i  delegati  dei
 Consigli  regionali  delle  Regioni  promotrici  del referendum hanno
 depositato una memoria, con la quale insistono perche' sia dichiarata
 l'ammissibilita'  della  richiesta  e  chiariscono  che   la   stessa
 mirerebbe  ad  attribuire  alle  Regioni  la possibilita' di svolgere
 attivita'  promozionali   all'estero   nelle   materie   di   propria
 competenza, senza limitazioni di provenienza governativa.
   La  richiesta  di  referendum,  secondo  i  delegati  dei  Consigli
 regionali, non solo  rappresenterebbe  il  risultato  dell'evoluzione
 dell'ordinamento  nazionale e comunitario, ma non porrebbe nemmeno in
 discussione il potere estero dello Stato, in  quanto  si  riferirebbe
 esclusivamente  allo  svolgimento  di  attivita'  che costituirebbero
 espressione  piena  della  capacita'   giuridica   e   dell'autonomia
 regionale.
   In   relazione   agli   altri   temi  generali  dell'ammissibilita'
 referendaria, le Regioni promotrici rilevano che il quesito,  pur  se
 di  tipo  "parziale",  non  avrebbe  natura  manipolativa  e, essendo
 ispirato ad una matrice razionalmente unitaria,  rispetterebbe  anche
 le  condizioni di omogeneita', chiarezza, coerenza e univocita' poste
 dalla giurisprudenza costituzionale.
   Ne',   ad   avviso   dei   delegati   dei    Consigli    regionali,
 all'inammissibilita' del referendum condurrebbe la considerazione che
 l'esito  favorevole della consultazione referendaria darebbe luogo ad
 una situazione normativa incostituzionale.  E  cio'  sia  perche',  a
 fronte   di   attivita'   promozionali   delle   Regioni   all'estero
 interferenti con la sfera dei rapporti internazionali riservata  allo
 Stato,  sarebbe  pur  sempre esperibile il conflitto di attribuzione,
 sia perche', secondo la consolidata giurisprudenza di  questa  Corte,
 nessun  rilievo  potrebbe avere in sede di giudizio di ammissibilita'
 delle richieste di referendum abrogativo la eventuale  illegittimita'
 costituzionale delle norme legislative residue.
                         Considerato in diritto
   1.  -    La  richiesta  di referendum abrogativo sulla quale questa
 Corte e' chiamata a pronunciarsi investe l'art. 4, secondo comma, del
 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616,  secondo  il  quale  le  Regioni  "non
 possono  svolgere  all'estero  attivita'  promozionali  relative alle
 materie di loro competenza se non previa  intesa  con  il  Governo  e
 nell'ambito degli indirizzi e degli atti di coordinamento" menzionati
 nel  primo comma dello stesso articolo, che ne affida l'adozione allo
 Stato.  A  causa  del  modo  in  cui   e'   formulato   (si   propone
 l'eliminazione  delle parole "non" e "se non previa intesa etc."), la
 ratio che il quesito referendario obiettivamente incorpora  consiste,
 come   del   resto   risulta  anche  dalla  denominazione  impostagli
 dall'Ufficio centrale per il referendum della  Corte  di  cassazione,
 nella  rimozione  di  ogni  limite statale all'attivita' promozionale
 all'estero  delle  Regioni,  cosi'  che  queste  possano  liberamente
 autodeterminarsi  senza dover soggiacere all'onere di intese previe o
 di osservare indirizzi governativi procedimentali o di contenuto.
   2. - La richiesta, nel suo oggettivo ed  evidente  significato,  e'
 inammissibile.
   Lo   svolgimento   all'estero   di  attivita'  promozionale  spetta
 indubbiamente alle Regioni come attivita' loro propria,  comprendente
 ogni  comportamento  legato  da  un  nesso  di  strumentalita' con le
 materie di competenza regionale,  diretto  allo  sviluppo  economico,
 sociale  e  culturale  del  proprio  territorio  (sentenza n. 179 del
 1987). E tuttavia, contrariamente a quanto  sostenuto  dalle  Regioni
 promotrici,  si  tratta  di  attivita'  non  solo  contigua, ma anche
 potenzialmente interferente con la  politica  estera  riservata  allo
 Stato;  essa  postula  pertanto  strumenti giuridici di coordinamento
 onde evitare che si determinino riflessi negativi sugli indirizzi  di
 politica internazionale assunti dal Parlamento e dal Governo.
   3.  -  Questa  Corte  ha  piu'  volte  ricordato come il peculiare,
 reciproco atteggiarsi delle competenze statali e regionali in materia
 internazionale ed il loro inevitabile interferire chiamino  in  causa
 il  principio di leale cooperazione (sentenze n. 425 del 1995, n. 212
 del 1994, n. 250 del 1993), il quale impone,  quale  vero  e  proprio
 vincolo  costituzionale,  in  primo luogo la preventiva conoscenza da
 parte dello Stato delle attivita' che le singole Regioni intendano di
 volta  in  volta  promuovere  (quindi,  un  dovere  di   informazione
 preventivo  in  capo alle Regioni:   sentenze n. 425 del 1995, n. 204
 del 1993, n. 472 del 1992); e, secondariamente,  quale  indefettibile
 strumento  di  tutela  dell'esclusivita'  degli  indirizzi statali di
 politica internazionale, che vanno salvaguardati ovviamente prima che
 l'attivita' delle Regioni venga  intrapresa,  la  possibilita'  dello
 Stato   di  opporre  tempestivamente  il  proprio  motivato  diniego,
 peraltro sindacabile da questa Corte in sede di  conflitto  (sentenza
 n. 204 del 1993).
   L'ipotesi,  avanzata  dalle  Regioni promotrici, che lo Stato debba
 far valere solo successivamente e in via repressiva  la  contrarieta'
 dell'attivita'    regionale   ai   propri   indirizzi   di   politica
 internazionale equivarrebbe a vanificare il principio  costituzionale
 di   leale   cooperazione,   sul  quale  si  fondano  sia  l'esigenza
 dell'obbligo di informazione preventiva da parte delle  Regioni,  sia
 la  possibilita'  di  un  preventivo  motivato diniego da parte dello
 Stato.
   Poiche' la ratio ispiratrice del quesito non e' la sostituzione  di
 un  modello  di  coordinamento  con  altro diverso ed equivalente dal
 punto  di  vista  della  concretizzazione  del  principio  di   leale
 cooperazione,  bensi'  l'eliminazione  in  radice  di  ogni  forma di
 coordinamento  fra  Stato  e  Regioni   in   materia   di   attivita'
 promozionali   all'estero,   si  deve  concludere  che  la  richiesta
 referendaria, per il tramite dell'abrogazione delle  parole  "non"  e
 "se  non previa intesa con il Governo e nell'ambito degli indirizzi e
 degli atti di coordinamento di cui  al  comma  precedente"  contenute
 nell'art.  4,  secondo  comma,  del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, e'
 tesa a colpire inammissibilmente il principio costituzionale di leale
 cooperazione che trova il suo diretto fondamento  nell'art.  5  della
 Costituzione.
   In   conclusione,  e'  qui  operante  il  limite  "gerarchico"  del
 referendum abrogativo, reso  esplicito  da  questa  Corte  fin  dalla
 sentenza n.  16 del 1978.