LA CORTE D'APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 376 del ruolo generale degli affari contenziosi civili per l'anno 1994, promossa da: comune di Gonnoscodina, in persona del sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in Cagliari presso lo studio del procuratore avvocato Costantino Murgia che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale a margine dell'atto di citazione in appello, appellante; contro, Cauli Giovannino, residente in Gonnoscodina ed elettivamente domiciliato in Cagliari presso lo studio dei procuratori avvocati Giorgio Piras jr., Giorgio Figus ed Anna Lisa Collu che lo rappresentano e difendono, anche disgiuntamente, in forza di procura speciale a margine della comparsa di costituzione in appello, appellato. Con citazione 19 luglio 1987 Cauli Giovannino conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Oristano il comune di Gonnoscodina esponendo che lo stesso era stato, con decreto 1 settembre 1980 del presidente della Giunta regionale sarda, autorizzato ad occupare d'urgenza per la costruzione della scuola materna (opera dichiarata di pubblica utilita', urgente ed indifferibile), 2.000 mq. di un terreno di piu' vasta estensione di sua proprieta'. Esponeva ancora che il termine per l'espropriazione era stato fissato - con delibera n. 28 del 13 giugno 1980 del Consiglio comunale - al 13 dicembre 1983, termine poi prorogato di un anno in forza dell'art. 5 della legge n. 385 del 1980, e che, entro tale ultimo termine, il comune aveva provveduto a realizzare l'opera senza peraltro ultimare correttamente il procedimento di espropriazione per cui, essendosi realizzata l'accessione invertita, chiedeva la condanna del comune al risarcimento dei danni. Il comune contestava la domanda chiedendone il rigetto ed, in subordine, chiedeva che il danno fosse quantificato sulla base del valore agricolo del terreno. Il tribunale di Oristano, con sentenza 1 giugno 1993, condannava il comune al pagamento, a titolo di risarcimento danni, della somma di L. 59.800.000, oltre interessi e rivalutazione ed avverso la detta sentenza proponeva appello lo stesso ente pubblico lamentando che, erroneamente, i primi giudici avessero ritenuto, sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica, la suscettivita' edificatoria del terreno e sostenendo la litis pendenza e la continenza di cause perche', a suo dire, il terreno de quo era stato successivamente inglobato in una maggiore superfice dello stesso Cauli e ricompreso nel piano di zona ex legge n. 167 del 1962 la cui procedura espropriativa era stata regolarmente portata a termine e per la cui indennita', non accettata dal Cauli, pendeva giudizio davanti questa Corte d'appello. Resisteva il Cauli che, a sua volta, proponeva appello incidentale lamentando l'erroneita' della valutazione fatta dai primi giudici in ordine al valore del terreno. Nelle more della presente causa e' entrata in vigore la legge 23 dicembre 1996, n. 662 che al comma 65 dell'art. 3 dispone che "in caso di occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica utilita' intervenute anteriormente al 30 settembre 1996, si applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di cui al comma 1 (media tra valore di mercato e reddito catatstale rivalutato) con esclusione della riduzione del 40%. In tal caso l'importo del risarcimento e' altresi' aumentato del 10%. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in giudicato". Di tale disposizione la difesa dell'appellato ha eccepito l'illegittimita' costituzionale per violazione degli artt. 3, primo comma; 10, primo comma; 24, primo comma; 28; 42, secondo e terzo comma; 53; primo comma; 71, secondo comma; 72, primo comma; 97, primo comma; 104, primo comma e 113, comma primo e secondo della Costituzione. L'eccezione non e', ad avviso di questa Corte, manifestamente infondata oltre che essere sicuramente rilevante nel presente giudizio atteso che la decisione sulla domanda di risarcimento danni e' condizionata dall'accoglimento o meno dell'eccezione che con la presente ordinanza si propone. Ad avviso dell'attore ed anche a parere di questa Corte con la predetta norma viene violato l'art. 3 della Costituzione perche' si introduce una grave disparita' di trattamento tra i danneggiati da procedimenti espropriativi illegittimi ed i danneggiati dalla generalita' degli altri atti illeciti ai quali e' assicurata la pienezza del risarcimento. Cioe', seppure "la regola generale di integralita' della riparazione ed equivalenza al pregiudizio cagionato al danneggiato non ha copertura costituzionale" (si veda sentenza 24 ottobre 1996, n. 369 della Corte costituzionale), e' pur vero che, con il sistema creato dal legislatore, si viene a creare una incongrua disparita' di trattamento tra soggetti danneggiati da un fatto illecito con l'ulteriore considerazione che, con la previsione dell'applicazione anche ai giudizi in corso, si verifica una doppia ingiustizia a danno dell'uguaglianza dei cittadini: la prima derivante dall'ineguaglianza in termini di danno risarcibile tra soggetti egualmente colpiti da un comportamento illecito e la seconda derivante dalla stessa inefficienza del processo civile, inefficienza che danneggia solo e unicamente i protagonisti dei processi ancora in corso a scapito di coloro che, iniziato il processo nello stesso periodo o, addiritura, in un momento successivo abbiano avuto la ventura di vedere definiti i propri processi in epoca anteriore all'entrata in vigore della legge di cui si discute la costituzionalita'. Ma vi e', ad avviso di questa Corte d'appello, un ulteriore profilo di violazione dell'art. 3 della Costituzione. La Corte, con la gia' citata sentenza n. 369 del 1996, dopo aver notato che l'illecito in esame si connota "per il suo dispiegarsi tra i due estremi (iniziale) della dichiarazione di pubblica utilita' di un'opera e (finale) di concreta realizzazione, si pure non jure, dell'opera stessa" conclude il proprio ragionamento dicendo che "nella fattispecie sussistono in astratto gli estremi giustificativi di un intervento normativo ragionevolmente riduttivo della misura della riparazione dovuta dalla pubblica amministrazione al proprietario dell'immobile che sia venuto ad essere cosi' incorporato nell'opera pubblica". Ammesso quindi, secondo il parere della Corte costituzionale, che vi sia spazio per un intervento normativo "ragionevolmente riduttivo" non si capisce come questo spazio che il legislatore della norma impugnata si e' preso debba valere solo per le occupazioni illegittime intervenute anteriormente al 30 settembre 1996 e non anche per quelle che dovessero intervenire successivamente. Non si capisce cioe' perche' - e cio' causa indubbiamente un'ingiustificata disparita' di trattamento tra i cittadini - la ragionevolezza di una siffatta riduzione che componga in maniera equilibrata "l'interesse dell'amministrazione alla conservazione dell'opera di pubblica utilita' con contenimento dell'incremento di spesa relativo ...e l'interesse del privato ad ottenere riparazione per l'illecito subito" debba valere solo per le occupazioni illegittime avvenute anteriormente al 30 settembre 1996 e non debba invece valere anche per le occupazioni illegittime successive. Cioe' se si ritiene che la soluzione legislativa, oltre che costituzionalmente legittima, sia anche ragionevole perche' contempera equilibratamente i contrapposti interessi in gioco, non si capisce perche' tale ragionevole contemperamento debba aver termine il 30 settembre 1996 e non debba valere anche per le occupazioni illegittime del successivo 1 ottobre. Con il che si crea una disparita' di trattamento tra cittadini, entrambi soggetti passivi di un illecito, disparita' che e' tutt'altro che ragionevole e risulta anzi priva di ogni e qualsiasi giustificazione e, conseguentemente, appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. A parte la considerazione che il legislatore non pare aver effettuato una equilibrata composizione dei contrapposti interessi essendo stata aumentata, in misura quasi inapprezzabile, l'indennita' dovuta per l'espropriazione sicche' appare sostanzialmente applicabile anche alla norma in esame il giudizio di violazione del precetto di eguaglianza gia' stabilito dalla Corte costituzionale con riferimento all'art. 5-bis della legge 8 agosto 1992, n. 359 (sentenza n. 369 del 2 novembre 1996). Non manifestamente infondata appare anche l'eccepito contrasto con l'art. 10, primo comma, della Costituzione in quanto la grave limitazione, introdotta con la legge di cui si discute, alla risarcibilita' delle occupazioni illegittime si pone in contraddizione con gli artt. 7, 8 e 17, secondo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (approvata dall'Assemblea generale dell'O.N.U. il 10 dicembre 1948) e dall'art. 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (stipulata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata, unitamente al suo protocollo addizionale del 20 marzo 1952, con la legge 4 agosto 1955, n. 848). Tali due norme sono "norme di diritto internazionale generalmente riconosciute" alle quali il legislatore, in forza appunto del primo comma dell'art. 10, e' tenuto a conformarsi. In particolare l'art. 17, secondo comma, della Dichiarazione universale stabilisce che "nessun individuo potra' essere arbitrariamente privato della sua proprieta'" e l'art. 13 della convenzione stabilisce che "ogni persona fisica o morale ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua proprieta' che per causa di pubblica utlita' e nel rispetto delle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale". Pur consapevole che la piu' volte citata sentenza n. 369 del 1996 ha dichiarato che la regola generale dell'integrale riparazione del danno non gode di copertura costituzionale questa Corte d'appello ritiene di riproporre alla Corte la questione relativa alla violazione effettuata dalla norma di cui si discute dell'art. 24, primo comma, della Costituzione atteso che la riduzione del diritto al risarcimento del danno arrecato con tali fatti illeciti appare costituire una palese limitazione dell'effettivita' della tutela giurisdizionale. Si osserva a tale proposito come, contrariamente a quanto affermato nella sentenza n. 369 del 1996, la limitazione di responsabilita' in campo contrattuale e' ben diversa da quella per fatto illecito atteso che la prima va a costituire parte integrante della disciplina legale del rapporto contrattuale cui ci si puo' sottrarre o concordando condizioni piu' favorevoli o non stipulando il contratto, mentre la seconda assicura la totale o parziale impunita' ad un fatto compiuto in violazione del diritto e non consente al cittadino di sottrarsi in alcun modo alle sue conseguenze creando cosi' un vero e proprio scardinamento dello stato di diritto di cui il principio del neminem laedere costituisce uno dei fondamenti intoccabili. E' evidente che uno Stato che non garantisca una piena tutela contro le violazioni delle leggi, anche e sopra tutto quando compiute dalla pubblica amministrazione, cessa di essere uno Stato di diritto proprio perche', sopra tutto nei confronti dei pubblici poteri, cessa di esistere una effettiva e piena tutela dei diritti che vengono violati. Non manifestamente infondata e' anche, ad avviso di questa Corte d'appello, l'eccepita violazione degli artt. 28 e 42 della Costituzione atteso che, con il primo, il legislatore costituzionale ha voluto proprio evitare che lo Stato ed i suoi funzionari fossero sottratti, in tutto od in parte, agli atti compiuti in violazione dei diritti e, con la seconda, perche' non appare ammissibile che si consegua un risultato sostanzialmente analogo (salva la minima differenza introdotta dal legislatore del 1996) a quello dell'espropriazione allorche' l'acquisizione del bene avvenga in violazione della legge. Ritiene ancora questa Corte che non sia manifestamente infondato il richiamo alla violazione dell'art. 53 della Costituzione atteso che la limitazione del risarcimento al 55% del valore venale del bene finisce per porre una notevole parte del costo dell'opera pubblica a carico del cittadino che, per avventura, sia proprietario dell'area sulla quale l'opera deve essere costruita violando cosi' il principio costituzionale del rispetto alla sua capacita' contributiva. Cioe' il maggior contributo richiesto per la realizzazione dell'opera pubblica al cittadino - privato illecitamente dell'area - rispetto alla totalita' degli altri contribuenti, appare privo di qualsiasi ragionevole giustificazione ed in contrasto col gia' citato art. 53 della Costituzione. Non manifestamente infondata si rivela ancora l'eccezione di costituzionalita' della norma esaminata per violazione degli artt. 71, primo comma, e 72, primo comma, della Costituzione atteso che l'art. 71, nel prescrivere che il progetto di legge di iniziativa popolare sia redatto in articoli, costituisce un principio di carattere generale che trova riscontro nella disposizione di cui al primo comma dell'art. 72. La stessa Corte costituzionale (con sentenza 17 aprile 1957, n. 57) ha riconosciuto al meccanismo della doppia votazione la caratteristica di "principio fondamentale che regola l'approvazione delle leggi presso le nostre assemblee legislative" e, successivamente, con la sentenza n. 9 del 9 marzo 1959 - con cui supero' il principio dell'insindacabilita' degli interna corporis - ha affermato il princi'pio che lo stesso meccanismo di votazione deve rispettarsi anche nella pocedura di approvazione delle commissioni. E' pertanto indubitato che l'approvazione in blocco di una legge composta da diversi articoli contrasta con l'art. 72, ma, ad avviso di questa Corte d'appello, il principio sancito dal legislatore costituzionale non e' rispettato neanche quando, come nel caso in esame, in ogni articolo sono raccolti un coacervo assolutamente eterogeneo di norme. La legge n. 662 del 1996 ha raccolto in soli tre articoli (composti, rispettivamente di 272, 224 e 217 commi) le materie piu' disparate tra di loro con l'unico risultato, vista anche la fiducia posta su ognuno dei tre articoli, di evitare la presentazione e la votazione di qualsiasi emendamento. La gia' ricordata sentenza n. 9 del 1959 ha escluso la possibilita' di un proprio sindacato delle noe contenute nei regolamenti parlamentari ma le questioni qui prospettate hanno riferimento alla sostanziale violazione dell'art. 72 che, solo formalmente rispettato, viene sostanzialmente aggirato privandolo della ragione per cui era stato approvato che e' quella di garantire che ogni parlamentare possa manifestare la propria volonta' liberamente su ogni articolo che, per essere considerato tale, deve avere un grado di organicita' tale da giustificare la riunione in una sola disposizione di piu' proposte normative. Nel caso di specie invece l'affastellamento delle piu' svariate questioni e materie in un unico articolo coarta la volonta' del singolo parlamentare, sopra tutto quando su quell'articolo si ponga la fiducia, costringendolo ad approvarlo in blocco, ad esempio a causa dell'eventuale necessita' di approvazione di alcuni dei c.d. commi. Infine, ad avviso di questa Corte d'appello, non pare manifestamente infondata neppure la allegata violazione dell'art. 97, primo comma, perche' la limitazione del risarcimento del danno arrecato dalla pubblica amministrazione col suo comportamento illecito, contrasta con le finalita', da detto articolo stabilite, di buon andamento e di imparzialita' cui l'amministrazione deve adeguarsi nel suo agire. Da ultimo non manifestamente infondata appare l'eccezione di violazione dei commi primo e secondo dell'art. 113 della Costituzione atteso che, indubbiamente, il comma 65 della legge n. 662 del 1996 limita la pienezza della tutela giurisdizionale spettante al cittadino per il fatto che la violazione e' stata posta in essere dalla pubblica amministrazione. Appare invece manifestamente infondata, ad avviso di questa Corte, l'ultimo profilo di incostituzionalita' sollevato dalla difesa dell'appellato per violazione dell'art. 104, primo comma, della Costituzione atteso che con tale norma non si verifica alcuna ingerenza del potere legislativo sul giudiziario. Va pertanto ordinata l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e, sospeso il presente giudizio, va disposto che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica ex art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Osserva da ultimo la Corte come non possa farsi luogo alla richiesta sentenza non definitiva di condanna generica del comune appellante al risarcimento dei danni con contestuale liquidazione di una provvisionale perche', anche a tacere dei problemi posti dalla modifica delle conclusioni all'udienza collegiale, all'accoglimento della stessa osta l'inequivoca volonta' contraria manifestata dal comune appellante.