ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 3, del
 d.lgs.  30  giugno  1994,  n.  509 (Attuazione della delega conferita
 dall'art. 1, comma 32, della  legge  24  dicembre  1993,  n.  537  in
 materia  di  trasformazione  in  persone  giuridiche  private di enti
 gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) e dell'art.
 24 (recte:  32) della legge 12 aprile 1991, n. 136 (Riforma dell'Ente
 nazionale  di  previdenza  ed  assistenza  per  i  veterinari)   come
 interpretato  autenticamente  dall'art.  11, comma 26, della legge 24
 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi  di  finanza  pubblica),
 promosso con ordinanza emessa il 22 aprile 1996 dal pretore di Torino
 sul  ricorso  proposto  da  Aimerito  Paolo  Adriano  ed altri contro
 l'ENPAV, iscritta al n. 959 del registro ordinanze 1996 e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  40,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1996;
   Visti gli atti di costituzione di Aimerito Paolo Adriano ed altri e
 dell'ENPAV e gli atti di intervento dell'ENPAM, della Cassa nazionale
 del  Notariato  ed  altri,  della  Fondazione  ENPAIA,  della   Cassa
 nazionale   previdenza   e  assistenza  forense,  dell'ONAOSI  e  del
 Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 1997 il giudice  relatore
 Cesare Ruperto;
   Uditi  gli  avv.ti  Paolo Boer per Aimerito Paolo Adriano ed altri,
 Giuseppe Abbamonte e Paolo de Camelis per l'ENPAV, Walter Prosperetti
 per l'ENPAM, Massimo Luciani per la Cassa nazionale del Notariato  ed
 altri e per la Cassa nazionale previdenza e assistenza forense, Lucio
 Iannotta  per  la  Fondazione  ENPAIA, Gianpaolo Rossi per l'ONAOSI e
 l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio
 dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un  giudizio  in  cui  i  ricorrenti,  veterinari
 iscritti  negli albi professionali prima dell'entrata in vigore della
 legge 12 aprile 1991, n. 136, e  percio'  tenuti  alla  contribuzione
 all'ENPAV,  avevano  chiesto  dichiararsi  l'inesistenza dell'obbligo
 d'iscrizione  all'Ente, il pretore di Torino, con ordinanza emessa il
 22 aprile 1996, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 18  e  38
 della   Costituzione   -  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 1, comma 3, del d.lgs. 30 giugno 1994, n.  509  (Attuazione
 della  delega conferita dall'art. 1, comma 32, dellalegge 24 dicembre
 1993, n. 537, in materia  di  trasformazione  in  persone  giuridiche
 private  di  enti  gestori  di  forme  obbligatorie  di  previdenza e
 assistenza) e dell'art.  24  della  legge  12  aprile  1991,  n.  136
 (Riforma  dell'Ente  nazionale  di  previdenza  ed  assistenza  per i
 veterinari), come autenticamente interpretato dall'art. 11, comma 26,
 della legge  n.  537  del  1993  (Interventi  correttivi  di  finanza
 pubblica),  nella  parte  in  cui  tale  obbligatorieta' d'iscrizione
 prevedono    nonostante    l'avvenuta    privatizzazione    dell'ente
 previdenziale.   Non ignora il rimettente la sentenza n. 88 del 1995,
 nella  quale  questa  Corte  ha  affrontato  analoga   questione   in
 riferimento  a molteplici parametri costituzionali, dichiarandola non
 fondata, ma ritiene che la privatizzazione dell'ENPAV, medio  tempore
 intervenuta,  abbia  modificato i presupposti di fatto sui quali tale
 decisione si basa, ed inoltre esclude che la sentenza in parola abbia
 esaminato  tale  nuovo  profilo.    A  parere  del  giudice   a   quo
 l'imposizione  del vincolo associativo nel caso di specie non sarebbe
 giustificata dal fine pubblico che si intende perseguire,  in  quanto
 ai  veterinari di cui e' causa le prestazioni previdenziali sono gia'
 garantite  per  via  della  loro  iscrizione  all'INPDAP  (in  quanto
 veterinari delle Unita' sanitarie locali); mentre, viceversa, proprio
 a  causa  della  sopravvenuta  trasformazione  da  ente  pubblico  in
 associazione privata, l'ENPAV, nell'ipotesi di disavanzo economico  e
 finanziario,  potrebbe  andare soggetto alle norme sulla liquidazione
 coatta,  in  quanto  applicabili,  e  quindi   non   garantire   piu'
 l'erogazione  delle  pensioni  (posto che la riserva tecnica e quella
 legale assicurano tali prestazioni solo per cinque annualita' o  poco
 piu').    Opina  quindi il pretore nel senso dell'esclusione del fine
 pubblico dall'obbligo d'iscrizione all'ENPAV ed assimila la  funzione
 di  tale  ente  a  quella  di  un  soggetto  erogatore  di previdenza
 complementare.  Ma quest'ultima - prosegue il rimettente  -  dovrebbe
 essere   interamente  rimessa  alla  volonta'  del  singolo,  sicche'
 l'adesione alla stessa non puo' essere imposta, a fortiori se difetta
 la certezza dell'erogazione della prestazione. In tal senso  andrebbe
 riesaminata  l'affermazione  di questa Corte che individuava la causa
 della contribuzione nella possibilita' di  godere  delle  prestazioni
 previdenziali,  posto  che queste non apparirebbero piu' garantite in
 caso di persistenza dello stato di disavanzo.
   2. - E' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso
 nel  senso  dell'inammissibilita'  ovvero   dell'infondatezza   della
 questione,   ricordando   anzitutto   come  la  Corte  abbia  escluso
 l'incidenza della privatizzazione  sull'obbligatorieta'  d'iscrizione
 all'ENPAV.  Rispetto  all'evocata  garanzia  della  liberta'  di  non
 associarsi,  osserva  l'Avvocatura  che  lo  Stato  ben  puo'  creare
 strutture  ed  enti  per raggiungere specifici fini pubblici, sicche'
 l'obbligo d'iscrizione a questi  ultimi  si  pone  come  limite  alla
 liberta'  predetta. Inoltre il rimettente non avrebbe considerato che
 il decreto legislativo n. 509 del 1994 (che  riguarda  in  tutto  ben
 sedici  enti)  ha stabilito (artt. 3 e 4) disposizioni che confermano
 il perseguimento del fine (pubblico) previdenziale. In tale ottica si
 collocherebbero l'istituzione presso il Ministero del  lavoro  di  un
 apposito  albo, nel quale sono iscritti tutti gli enti trasformati in
 persone giuridiche private, nonche' le diverse forme di vigilanza  da
 parte  della pubblica amministrazione sia sullo statuto di detti enti
 che sulla  loro  vita  sociale.  Inoltre  e'  previsto  il  controllo
 generale  da  parte  della  Corte  dei  conti  sulla  gestione  delle
 assicurazioni.  Infine - rileva l'Avvocatura - entro  un  anno  dalla
 privatizzazione  i  lavoratori  gia' iscritti a tali istituti possono
 optare per l'iscrizione all'AGO, con facolta' di trasferimento  della
 loro posizione assicurativa.
   3.1.  -  Nel  giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituite le
 parti private. I ricorrenti veterinari affermano che la  connotazione
 solidaristica  dell'assicurazione ENPAV (richiamata dalla Corte nella
 sentenza  n.  88  del  1995)  e'  venuta  meno   a   se'guito   della
 privatizzazione,  la quale trae origine dalla legge 24 dicembre 1993,
 n. 537, che all'art.  1, comma 32 e seguenti, autorizza il Governo ad
 eliminare le duplicazioni organizzative  attraverso  l'incorporazione
 di  funzioni di un ente in un altro, secondo una logica di equita' di
 trattamenti  e  semplificazione  amministrativa.    Tali  principi  e
 criteri   direttivi   sono   peraltro   ritenuti  congiuntamente  dal
 legislatore, onde la privatizzazione  degli  enti  si  e'  realizzata
 ferme  restandone le finalita' istitutive e l'obbligatoria iscrizione
 e contribuzione agli stessi  degli  appartenenti  alle  categorie  di
 personale  a  favore  dei  quali  essi risultano istituiti (lett. a),
 punto 4, art. 1, comma 33, della legge n. 537 del 1993).
   Osservano i ricorrenti che,  nell'ipotesi  di  liquidazione  coatta
 amministrativa  dell'impresa assicuratrice, l'art. 1902 codice civile
 (applicabile in virtu' del rinvio  contenuto  nell'art.  1886  stesso
 codice)   prevede  lo  scioglimento  del  contratto,  in  particolare
 specificando  che  i  contratti  di  assicurazione  sulla  vita  sono
 trasferiti  all'INA a determinate condizioni. In ogni caso e' escluso
 l'accollo delle prestazioni pensionistiche a carico di  un  fondo  di
 garanzia   ed   inoltre   non   sono  neppure  assicurate  le  stesse
 obbligazioni in cifra capitale poiche' l'attivo concorsuale  puo'  in
 concreto  risultare  incapiente.   Analoga previsione di liquidazione
 ricorre anche per la previdenza complementare, ove pero' l'adesione a
 ciascun fondo e' volontaria,  attesa  l'espressa  previsione  di  cui
 all'art. 38 della Costituzione, che distingue nettamentela previdenza
 pubblica da quella privata.  Secondo la parte, o si vuole sgravare lo
 Stato  dalla  responsabilita' finanziaria ed allora l'ente gestore si
 deve configurare come una previdenza libera, o si ritiene  essenziale
 il  bisogno  previdenziale  ed  allora  va  garantita la solidarieta'
 collettiva.  Parimenti sarebbe violato l'art. 18 della  Costituzione,
 anche  alla  stregua  delle  affermazioni di questa Corte secondo cui
 l'obbligo di iscrizione risulta legittimo  allorche'  rappresenti  lo
 strumento  piu'  idoneo  al perseguimento di finalita' pubbliche, la'
 dove  l'ENPAV  si  configurerebbe  in  modo  analogo  ad   un   fondo
 complementare,  precludendo  peraltro agl'iscritti l'accesso ad altri
 fondi, in ragione del carattere  forzoso  del  prelievo.  Si  osserva
 infine  che  l'introduzione  della  volontarieta' della contribuzione
 produrrebbe conseguenze di particolare gravita' poiche' essa  sarebbe
 limitata  agli  iscritti  ad  altre  forme non privatizzate e poiche'
 l'ENPAV  potrebbe  introdurre  un sistema di calcolo analogo a quello
 gia' in essere per i veterinari iscritti agli albi dopo la  legge  n.
 136 del 1991.
   3.2.   -   L'ENPAV   ha   a   sua  volta  chiesto  la  declaratoria
 d'infondatezza  della   questione,   anzitutto   richiamandosi   alle
 affermazioni contenute nella sentenza n. 88 del 1995 di questa Corte,
 pressoche'  integralmente riportate in memoria. A parere della difesa
 dell'ente,  la  tesi  dei  ricorrenti  circa  il  venir  meno   della
 connotazione  solidaristica  della  previdenza  in  parola a se'guito
 della privatizzazione sarebbe  del  tutto  "stravagante",  e  sarebbe
 altresi' infondato vuoi il richiamo all'art. 1902 codice  civile vuoi
 l'eventualita' della messa in liquidazione, non vertendosi in tema di
 societa'  per  azioni,  bensi'  di  enti che di privato hanno solo la
 gestione ma la cui operativita' e' necessaria.  Viene poi ricostruita
 dall'ENPAV la vicenda storica della privatizzazione.  A riguardo esso
 ricorda come la delega contenuta nell'art. 1, comma  33,  lettera  a)
 punto   4,  della  legge  n.  537  del  1993,  fissasse  tre  aspetti
 fondamentali:  a)  il  finanziamento   esclusivamente   privato,   b)
 l'obbligo  di  raggiungere le finalita' istitutive, c) le garanzie di
 autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile.   La
 figura  soggettiva  che  scaturisce da tale processo non sarebbe gia'
 quella della societa' per azioni, bensi' di un ente  sui  generis  in
 quanto  senza  scopo di lucro, inquadrabile semmai nell'a'mbito delle
 associazioni o fondazioni. Di qui la specialita' dello statuto legale
 degli   enti, costituito dal decreto legislativo  n.  509  del  1994,
 dalla  normativa  precedente  e dalle norme civilistiche.   La difesa
 dell'ente   confuta   quindi    alcuni    profili    d'illegittimita'
 costituzionale   prospettati   dai   ricorrenti   e  non  considerati
 nell'ordinanza di rimessione, sottolineando altresi' che quest'ultima
 ha  fatto  propria  l'impostazione  come  sopra   contestata,   salvo
 aggiungere  l'ulteriore  profilo  della violazione dell'art. 18 della
 Costituzione. La difesa, in proposito,  ricorda  come  tale  liberta'
 possa   venire  compressa  o  limitata  per  finalita'  schiettamente
 pubblicistiche,   secondo   la   giurisprudenza   costituzionale,   a
 condizione  che  non  vengano  lesi  altri diritti costituzionalmente
 rilevanti.
   Non sarebbe infine configurabile l'ipotesi di liquidazione  coatta,
 posto  che l'art. 2 del decreto legislativo n. 509 del 1994 si limita
 a prevedere la nomina di un  commissario  liquidatore  con  i  poteri
 previsti  dalle  norme  sulla  liquidazione  coatta amministrativa in
 quanto applicabili, ma questi non potrebbe in nessun  caso  procedere
 alla liquidazione di un ente necessario. Sarebbe poi da escludere una
 sopravvenuta  facoltativita'  del fine previdenziale come conseguenza
 della privatizzazione, in quanto la  prima  farebbe  venir  meno  gli
 elementi   organizzativi   e   finanziari   indispensabili   per   il
 perseguimento del fine previdenziale. Inoltre gli artt. 18 e 38 della
 Costituzione vanno coordinati nel  senso  che  gli  associati  devono
 essere  chiamati  a  concorrere  a  detto fine; ed allora l'impugnata
 normativa ottempera al precetto posto dall'art. 38 della Costituzione
 assicurando la  previdenza  per  malattia,  invalidita'  e  vecchiaia
 attraverso  lo  strumento  associativo.    Il  rifiuto  di  adesione,
 percio', non puo' risolversi in un ostacolo ad  attivita'  dovuta  in
 forza degli stessi precetti costituzionali.
   4.  -  Nel  giudizio  dinanzi  a questa Corte hanno depositato atti
 l'ENPAM (Ente nazionale previdenza  e  assistenza  medici),  l'ENPAIA
 (Ente  nazionale  previdenza  e assistenza impiegati agricoltura), la
 Cassa nazionale del Notariato, la Cassa  nazionale  di  previdenza  e
 assistenza a favore dei dottori commercialisti, la Cassa nazionale di
 previdenza   ed   assistenza   a   favore  dei  ragionieri  e  periti
 commerciali, l'ENPACL (Ente nazionale di previdenza ed assistenza per
 i consulenti del lavoro), l'INARCASSA (Cassa nazionale di  previdenza
 ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti),
 la  Cassa  italiana  di  previdenza ed assistenza dei geometri liberi
 professionisti,  chiedendo  di  essere  ammessi  a   partecipare   al
 giudizio; ma, con ordinanza dibattimentale, gli interventi sono stati
 dichiarati  inammissibili,  in  difetto  della  qualita' di parti nel
 giudizio a quo ovvero  della  titolarita'  di  situazioni  giuridiche
 dirette  e  individualizzate  su  cui l'esito del giudizio stesso sia
 suscettibile di incidere.
   5. - Nell'imminenza dell'udienza hanno presentato memorie  entrambe
 le parti.
   I  ricorrenti  nel  giudizio  a  quo hanno insistito sulla tesi del
 doppio livello di tutela  previdenziale,  una  pubblica  di  base  ed
 un'altra   complementare,   che   scaturiscono  dall'unica  attivita'
 professionale svolta e s'inseriscono  nella  "cornice"  dell'art.  38
 della  Costituzione  a  se'guito  del  decreto legislativo n. 124 del
 1993.  Solo per la prima varrebbe ormai il concetto  di  solidarieta'
 categoriale,  mentre  la  seconda  dovrebbe  basarsi su una struttura
 volontaria: in sostanza la  relazione  tra  le  posizioni  gestionali
 dell'INPDAP   e  quelle  dell'ENPAVsarebbe  descrivibile  in  termini
 gerarchici: di base, ex art. 38, comma  secondo,  della  Costituzione
 quella  del  primo,  secondaria  e riflessa e percio' necessariamente
 volontaria, quella  dell'ENPAV.    La  negazione  di  tale  paradigma
 comporterebbe  la  violazione  della citata norma costituzionale; del
 resto  la  Cassa  privatizzata  avrebbe  anche   le   caratteristiche
 finanziarie  della previdenza complementare, in quanto autofinanziata
 e potenzialmente soggetta a fallimento.
   L'ENPAV ha ribadito che la trasformazione degli enti (a cui si  era
 obbligatoriamente  iscritti)  in  soggetti privati non ha fatto venir
 meno il carattere facoltativo della previdenza, la' dove,  viceversa,
 l'obbligatorieta'  della  contribuzione  e'  essenziale per la stessa
 sopravvivenza   dell'ente   gestore:   la   necessita'    del    fine
 previdenziale,  insomma,  non resta snaturata dalla forma associativa
 creata per perseguirlo.  Quanto alla prospettata violazione dell'art.
 18 della Costituzione, sarebbe significativo il fatto  che  il  primo
 comma   di   questo   afferma   il   diritto   di   associarsi  senza
 autorizzazione, in antitesi al potere, mentre nel caso in  esame,  e'
 la   legge   ad   imporre  l'associazione  onde  perseguire  un  fine
 costituzionalmente voluto e garantito.
                         Considerato in diritto
   1. - Il pretore di Torino dubita della legittimita'  costituzionale
 dell'art.  1,  comma 3, del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 e dell'art.
 24  della  legge  12  aprile  1991,  n.  136   "come   autenticamente
 interpretato  dall'art.  11,  comma 26, della legge n. 537 del 1993",
 nella  parte  in  cui  mantengono  fermo  l'obbligo  d'iscrizione   e
 contribuzione  all'ENPAV  dei  veterinari gia' iscritti all'albo alla
 data di entrata in vigore della predetta legge n.  136  del  1991  ed
 assoggettati  anche  a  contribuzione  INPDAP,  nonostante l'avvenuta
 privatizzazione dell'ente previdenziale.  A parere del giudice a quo,
 la trasformazione dell'ENPAV da ente pubblico in associazione privata
 comporterebbe  la modifica della forma di previdenza da esso gestita,
 assimilabile  -  secondo  la  prospettazione  -  ad   una   copertura
 assicurativa   complementare,   ma  in  cui  non  e'  piu'  garantita
 l'erogazione delle prestazioni in caso di dissesto dell'ente.  Con la
 conseguenza  di   un'asserita   irragionevolezza   del   mantenimento
 dell'obbligo  contributivo,  nonche'  della  violazione  dell'art. 38
 della Costituzione, che distingue nettamente la  previdenza  pubblica
 obbligatoria   da  quella  privata,  complementare  e  volontaria,  e
 dell'ulteriore  lesione  dell'art.   18   della   Costituzione,   che
 garantisce la liberta' anche di non associarsi.
   2. - La questione e' infondata.
   2.1.  -  La  censura  si  appunta  segnatamente  sulla normativa di
 privatizzazione, nella parte in  cui  essa  (art.  1,  comma  3,  del
 decreto  legislativo  n.  509 del 1994) tiene ferma l'obbligatorieta'
 della iscrizione e della contribuzione a carico  delle  categorie  di
 lavoratori  e  professionisti  per  le  quali  gli  enti  sono  stati
 istituiti. Ma e' anche impugnata la previsione contenuta nell'art. 24
 della legge  di  riforma  dell'ENPAV,  che  il  rimettente  definisce
 "autenticamente interpretata" dall'art.  11, comma 26, della legge 24
 dicembre  1993, n. 537, e dalla quale egli fa discendere l'attualita'
 dell'obbligo di contribuzione per i veterinari di cui al  giudizio  a
 quo  gia'  assoggettati a contribuzione in favore dell'INPDAP siccome
 pubblici dipendenti.
   In realta' tale ultimo effetto si produce  a  carico  dei  predetti
 lavoratori  in  virtu' del combinato disposto dell'art. 11, comma 26,
 della legge n. 537 del 1993 e dell'art. 32 della  legge  n.  136  del
 1991:  e'  quest'ultima  infatti la norma abrogatrice dell'originario
 obbligo di  contribuzione,  e  in  virtu'  della  quale  l'iscrizione
 all'ENPAV   dei   veterinari   lavoratori   dipendenti  era  divenuta
 facoltativa,   ridiventando   obbligatoria   proprio    a    se'guito
 dell'interpretazione  introdotta  dal  citato  art.  11,  per  i soli
 veterinari iscritti nell'albo al momento di entrata in  vigore  della
 legge  n. 136 del 1991.  Al di la' della sua imperfetta formulazione,
 la questione coincide quindi in parte qua con quella  gia'  esaminata
 dalla   Corte   nella  sentenza  n.  88  del  1995,  che  ha  escluso
 l'illegittimita' costituzionale di tale  intervento  legislativo.  Il
 pretore  rimettente,  peraltro,  assume  che la privatizzazione medio
 tempore intervenuta avrebbe "modificato la situazione di fatto su cui
 si e' basata" allora la Corte stessa.
   2.2. -  Tanto  premesso,  deve  escludersi  che  la  trasformazione
 dell'ENPAV  in  associazione privata, con effetto dal 1 gennaio 1995,
 abbia inciso nel senso prospettato dal giudice  a  quo  sulla  natura
 dell'attivita'  svolta  dall'ente  medesimo,  cosi'  determinando una
 sostanziale modificazione dei caratteri del rapporto previdenziale in
 esame.  Con l'art. 1, commi 32 e 33, lettera a), punto 4, della legge
 n.  537 del 1993 e' stata conferita delega al Governo per  riordinare
 o  sopprimere  enti pubblici di previdenza ed assistenza, ed e' stata
 in particolare prevista la possibilita' di privatizzare - nelle forme
 dell'associazione o della fondazione - gli enti che non  usufruiscono
 di  finanziamenti  pubblici,  con  garanzie  di  autonomia  ma "ferme
 restando  le  finalita'  istitutive  e  l'obbligatoria  iscrizione  e
 contribuzione  agli  stessi  degli  appartenenti  alle  categorie  di
 personale  a  favore  dei quali gli enti stessi risultano istituiti".
 In attuazione di tale delega, l'art. 1 del decreto legislativo n. 509
 del 1994 contempla siffatto tipo di  trasformazione,  condizionandolo
 all'assenza di finanziamenti pubblici ed esplicitamente sottolineando
 la  continuita' della collocazione dell'ente nel sistema, come centro
 d'imputazione dei rapporti e soprattutto  come  soggetto  preposto  a
 svolgere   le  attivita'  previdenziali  ed  assistenziali  in  atto.
 All'autonomia organizzativa, amministrativa e contabile  riconosciuta
 ai  singoli  enti  in ragione della loro mutata veste giuridica fanno
 riscontro un articolato sistema di poteri ministeriali  di  controllo
 sui  bilanci  e d'intervento sugli organi di amministrazione, nonche'
 una generale funzione di controllo  sulla  gestione  da  parte  della
 Corte  dei conti.  Particolare attenzione ha poi posto il legislatore
 al fine di prevenire situazioni di  crisi  finanziaria  e  dunque  di
 garantire  l'erogazione  delle prestazioni: e' stato cosi' sancito il
 vincolo d'una riserva legale a copertura per almeno cinque anni delle
 pensioni in essere (art. 2, comma 2, del decreto legislativo  n.  509
 del  1994)  e,  piu'  recentemente  in  sede  di  riforma del sistema
 pensionistico generale, e'  stata  prevista  l'obbligatorieta'  della
 predisposizione  di  un  bilancio  tecnico  attuariale  per  un  arco
 previsionale di almeno quindici anni (art. 3, comma 12, della legge 8
 agosto 1995, n. 335). Il gia' citato comma  4  dell'art.  2  consente
 inoltre, nel caso di disavanzo economico finanziario, la nomina di un
 commissario straordinario che adotti i provvedimenti necessari per il
 riequilibrio    della    gestione;   e   solo   ove   sia   accertata
 l'impossibilita' di tale operazione, dopo un triennio dalla  suddetta
 nomina,  e' previsto l'intervento di un commissario liquidatore con i
 poteri attribuiti dalle  norme  in  materia  di  liquidazione  coatta
 amministrativa.
   2.3.   -   Dal  quadro  cosi'  tracciato  emerge  che  la  suddetta
 trasformazione  ha  lasciato  immutato  il  carattere   pubblicistico
 dell'attivita' istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli
 enti,  articolandosi  invece  sul diverso piano di una modifica degli
 strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei
 soggetti stessi: l'obbligo contributivo  costituisce  un  corollario,
 appunto,   della   rilevanza   pubblicistica   dell'inalterato   fine
 previdenziale.    L'esclusione  di  un  intervento  a  carico   della
 solidarieta'  generale consegue alla stessa scelta di trasformare gli
 enti, in quanto implicita nella premessa che  nega  il  finanziamento
 pubblico  o  altri ausili pubblici di carattere finanziario. E dunque
 l'asserita insufficienza delle  garanzie  che  in  un  remoto  futuro
 potrebbe  pregiudicare l'erogazione delle prestazioni, secondo quanto
 il rimettente paventa, non puo' fondare  il  dubbio  di  legittimita'
 costituzionale  circa  l'imposizione dell'obbligo contributivo.  Piu'
 in dettaglio, la censura si rivela inconsistente  non  appena  la  si
 verifichi  in  rapporto  al  profilo rilevante nel giudizio a quo che
 concerne i veterinari gravati dalla doppia contribuzione: in  ragione
 della  discrezionalita'  riconosciuta  al legislatore nel graduare il
 passaggio dal regime  dell'iscrizione  obbligatoria  generalizzata  a
 quello   bimodale   (iscrizione   obbligatoria   accanto   a   quella
 facoltativa), questa Corte nella citata sentenza n. 88  del  1995  ha
 osservato  come,  nel  tempo,  verra'  a  ridursi  la percentuale dei
 veterinari che sono mantenuti nel vecchio regime della  generalizzata
 iscrizione   obbligatoria.      Parallelamente   l'ampia   estensione
 temporale,  in  cui  si  e' inteso garantire l'equilibrio finanziario
 dell'ente nei modi suddetti, induce ad escludere l'attendibilita' del
 dissesto evocato in via  meramente  ipotetica  nella  prospettazione.
 Meno  che  mai  tale eventualita' e le conseguenze che se ne vogliano
 rappresentare in danno degli assicurati, valgono ad  argomentare  nel
 senso del venir meno del fine pubblico ed a qualificare la previdenza
 in   discorso   come   complementare   conclusione,   ripetesi,   non
 giustificata dal solo fatto della mutata natura  giuridica  dell'ente
 gestore  per  inferire  una  sopravvenuta  non  obbligatorieta' della
 contribuzione.
   A riguardo resta valido quanto osservato nella citata  sentenza  n.
 88  del 1995 circa la giustificazione dell'obbligo, da ricercarsi nel
 rafforzamento della tutela previdenziale degli  obbligati  al  doppio
 contributo  (possibili  beneficiari futuri di una doppia pensione) e,
 insieme, nella solidarieta' endocategoriale che il legislatore si  e'
 preoccupato  di  non far venire improvvisamente meno, onde assicurare
 l'idonea provvista di mezzi: considerazione, quest'ultima, tanto piu'
 valida ora, in un sistema dichiaratamente autofinanziato.
   2.4. - Le  conclusioni  raggiunte  circa  l'immutata  natura  della
 previdenza consentono quindi di assimilare integralmente l'ipotesi in
 esame  a  quella  oggetto del precedente scrutinio e di richiamare le
 motivazioni allora svolte nell'escludere  che  la  doppia  previdenza
 concreti  violazione dell'art. 38 della Costituzione anche in ragione
 del  carattere  programmatico  del  principio  che   ne   impone   il
 superamento.
   2.5.  -  Ma  la  permanente vigenza del fine pubblicistico generale
 dell'attivita' che gli enti svolgono, consente altresi' di respingere
 la  sostanziale  richiesta  di  riesame  in  cui   si   concreta   la
 prospettazione  anche  sotto l'ulteriore profilo dedotto, concernente
 l'art. 18 della Costituzione.  Questa Corte ha escluso che sia lesiva
 della liberta' (negativa)  di  associazione  l'imposizione  da  parte
 della  legge,  per  la  tutela  di altri interessi costituzionalmente
 garantiti, di obblighi di appartenenza ad  un  organismo  pubblico  a
 struttura associativa, "purche' non siano altrimenti offesi liberta',
 diritti   e  principi  costituzionalmente  garantiti  (diversi  dalla
 liberta' negativa di associarsi)", e risulti al tempo stesso che tale
 previsione "assicura lo strumento  meglio  idoneo  all'attuazione  di
 finalita'  schiettamente pubbliche, trascendenti la sfera nella quale
 opera il fenomeno associativo costituito per la libera determinazione
 dei privati" (sentenza n. 40 del 1982), o di un  fine  pubblico  "che
 non  sia palesemente arbitrario, pretestuoso o artificioso" (sentenza
 n. 20 del 1975; e cfr. anche le sentenze n. 120 del 1973 e n. 69  del
 1962).     Tanto  puo'  affermarsi  anche  con  riguardo  agli  scopi
 previdenziali perseguiti dall'ENPAV, nel quadro della gia' richiamata
 solidarieta' interna ai professionisti, a vantaggio dei quali  l'ente
 e'  stato istituito: la comunanza d'interessi degli iscritti comporta
 che ciascuno di essi concorra con  il  proprio  contributo  al  costo
 delle  erogazioni delle quali si giova l'intera categoria, di talche'
 il vincolo puo' dirsi presupposto prima ancora che imposto.