ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 3, del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) e dell'art. 24 (recte: 32) della legge 12 aprile 1991, n. 136 (Riforma dell'Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i veterinari) come interpretato autenticamente dall'art. 11, comma 26, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 22 aprile 1996 dal pretore di Torino sul ricorso proposto da Aimerito Paolo Adriano ed altri contro l'ENPAV, iscritta al n. 959 del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1996; Visti gli atti di costituzione di Aimerito Paolo Adriano ed altri e dell'ENPAV e gli atti di intervento dell'ENPAM, della Cassa nazionale del Notariato ed altri, della Fondazione ENPAIA, della Cassa nazionale previdenza e assistenza forense, dell'ONAOSI e del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nell'udienza pubblica del 20 maggio 1997 il giudice relatore Cesare Ruperto; Uditi gli avv.ti Paolo Boer per Aimerito Paolo Adriano ed altri, Giuseppe Abbamonte e Paolo de Camelis per l'ENPAV, Walter Prosperetti per l'ENPAM, Massimo Luciani per la Cassa nazionale del Notariato ed altri e per la Cassa nazionale previdenza e assistenza forense, Lucio Iannotta per la Fondazione ENPAIA, Gianpaolo Rossi per l'ONAOSI e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei Ministri. Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio in cui i ricorrenti, veterinari iscritti negli albi professionali prima dell'entrata in vigore della legge 12 aprile 1991, n. 136, e percio' tenuti alla contribuzione all'ENPAV, avevano chiesto dichiararsi l'inesistenza dell'obbligo d'iscrizione all'Ente, il pretore di Torino, con ordinanza emessa il 22 aprile 1996, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, 18 e 38 della Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 3, del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 (Attuazione della delega conferita dall'art. 1, comma 32, dellalegge 24 dicembre 1993, n. 537, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza) e dell'art. 24 della legge 12 aprile 1991, n. 136 (Riforma dell'Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i veterinari), come autenticamente interpretato dall'art. 11, comma 26, della legge n. 537 del 1993 (Interventi correttivi di finanza pubblica), nella parte in cui tale obbligatorieta' d'iscrizione prevedono nonostante l'avvenuta privatizzazione dell'ente previdenziale. Non ignora il rimettente la sentenza n. 88 del 1995, nella quale questa Corte ha affrontato analoga questione in riferimento a molteplici parametri costituzionali, dichiarandola non fondata, ma ritiene che la privatizzazione dell'ENPAV, medio tempore intervenuta, abbia modificato i presupposti di fatto sui quali tale decisione si basa, ed inoltre esclude che la sentenza in parola abbia esaminato tale nuovo profilo. A parere del giudice a quo l'imposizione del vincolo associativo nel caso di specie non sarebbe giustificata dal fine pubblico che si intende perseguire, in quanto ai veterinari di cui e' causa le prestazioni previdenziali sono gia' garantite per via della loro iscrizione all'INPDAP (in quanto veterinari delle Unita' sanitarie locali); mentre, viceversa, proprio a causa della sopravvenuta trasformazione da ente pubblico in associazione privata, l'ENPAV, nell'ipotesi di disavanzo economico e finanziario, potrebbe andare soggetto alle norme sulla liquidazione coatta, in quanto applicabili, e quindi non garantire piu' l'erogazione delle pensioni (posto che la riserva tecnica e quella legale assicurano tali prestazioni solo per cinque annualita' o poco piu'). Opina quindi il pretore nel senso dell'esclusione del fine pubblico dall'obbligo d'iscrizione all'ENPAV ed assimila la funzione di tale ente a quella di un soggetto erogatore di previdenza complementare. Ma quest'ultima - prosegue il rimettente - dovrebbe essere interamente rimessa alla volonta' del singolo, sicche' l'adesione alla stessa non puo' essere imposta, a fortiori se difetta la certezza dell'erogazione della prestazione. In tal senso andrebbe riesaminata l'affermazione di questa Corte che individuava la causa della contribuzione nella possibilita' di godere delle prestazioni previdenziali, posto che queste non apparirebbero piu' garantite in caso di persistenza dello stato di disavanzo. 2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso nel senso dell'inammissibilita' ovvero dell'infondatezza della questione, ricordando anzitutto come la Corte abbia escluso l'incidenza della privatizzazione sull'obbligatorieta' d'iscrizione all'ENPAV. Rispetto all'evocata garanzia della liberta' di non associarsi, osserva l'Avvocatura che lo Stato ben puo' creare strutture ed enti per raggiungere specifici fini pubblici, sicche' l'obbligo d'iscrizione a questi ultimi si pone come limite alla liberta' predetta. Inoltre il rimettente non avrebbe considerato che il decreto legislativo n. 509 del 1994 (che riguarda in tutto ben sedici enti) ha stabilito (artt. 3 e 4) disposizioni che confermano il perseguimento del fine (pubblico) previdenziale. In tale ottica si collocherebbero l'istituzione presso il Ministero del lavoro di un apposito albo, nel quale sono iscritti tutti gli enti trasformati in persone giuridiche private, nonche' le diverse forme di vigilanza da parte della pubblica amministrazione sia sullo statuto di detti enti che sulla loro vita sociale. Inoltre e' previsto il controllo generale da parte della Corte dei conti sulla gestione delle assicurazioni. Infine - rileva l'Avvocatura - entro un anno dalla privatizzazione i lavoratori gia' iscritti a tali istituti possono optare per l'iscrizione all'AGO, con facolta' di trasferimento della loro posizione assicurativa. 3.1. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono costituite le parti private. I ricorrenti veterinari affermano che la connotazione solidaristica dell'assicurazione ENPAV (richiamata dalla Corte nella sentenza n. 88 del 1995) e' venuta meno a se'guito della privatizzazione, la quale trae origine dalla legge 24 dicembre 1993, n. 537, che all'art. 1, comma 32 e seguenti, autorizza il Governo ad eliminare le duplicazioni organizzative attraverso l'incorporazione di funzioni di un ente in un altro, secondo una logica di equita' di trattamenti e semplificazione amministrativa. Tali principi e criteri direttivi sono peraltro ritenuti congiuntamente dal legislatore, onde la privatizzazione degli enti si e' realizzata ferme restandone le finalita' istitutive e l'obbligatoria iscrizione e contribuzione agli stessi degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali essi risultano istituiti (lett. a), punto 4, art. 1, comma 33, della legge n. 537 del 1993). Osservano i ricorrenti che, nell'ipotesi di liquidazione coatta amministrativa dell'impresa assicuratrice, l'art. 1902 codice civile (applicabile in virtu' del rinvio contenuto nell'art. 1886 stesso codice) prevede lo scioglimento del contratto, in particolare specificando che i contratti di assicurazione sulla vita sono trasferiti all'INA a determinate condizioni. In ogni caso e' escluso l'accollo delle prestazioni pensionistiche a carico di un fondo di garanzia ed inoltre non sono neppure assicurate le stesse obbligazioni in cifra capitale poiche' l'attivo concorsuale puo' in concreto risultare incapiente. Analoga previsione di liquidazione ricorre anche per la previdenza complementare, ove pero' l'adesione a ciascun fondo e' volontaria, attesa l'espressa previsione di cui all'art. 38 della Costituzione, che distingue nettamentela previdenza pubblica da quella privata. Secondo la parte, o si vuole sgravare lo Stato dalla responsabilita' finanziaria ed allora l'ente gestore si deve configurare come una previdenza libera, o si ritiene essenziale il bisogno previdenziale ed allora va garantita la solidarieta' collettiva. Parimenti sarebbe violato l'art. 18 della Costituzione, anche alla stregua delle affermazioni di questa Corte secondo cui l'obbligo di iscrizione risulta legittimo allorche' rappresenti lo strumento piu' idoneo al perseguimento di finalita' pubbliche, la' dove l'ENPAV si configurerebbe in modo analogo ad un fondo complementare, precludendo peraltro agl'iscritti l'accesso ad altri fondi, in ragione del carattere forzoso del prelievo. Si osserva infine che l'introduzione della volontarieta' della contribuzione produrrebbe conseguenze di particolare gravita' poiche' essa sarebbe limitata agli iscritti ad altre forme non privatizzate e poiche' l'ENPAV potrebbe introdurre un sistema di calcolo analogo a quello gia' in essere per i veterinari iscritti agli albi dopo la legge n. 136 del 1991. 3.2. - L'ENPAV ha a sua volta chiesto la declaratoria d'infondatezza della questione, anzitutto richiamandosi alle affermazioni contenute nella sentenza n. 88 del 1995 di questa Corte, pressoche' integralmente riportate in memoria. A parere della difesa dell'ente, la tesi dei ricorrenti circa il venir meno della connotazione solidaristica della previdenza in parola a se'guito della privatizzazione sarebbe del tutto "stravagante", e sarebbe altresi' infondato vuoi il richiamo all'art. 1902 codice civile vuoi l'eventualita' della messa in liquidazione, non vertendosi in tema di societa' per azioni, bensi' di enti che di privato hanno solo la gestione ma la cui operativita' e' necessaria. Viene poi ricostruita dall'ENPAV la vicenda storica della privatizzazione. A riguardo esso ricorda come la delega contenuta nell'art. 1, comma 33, lettera a) punto 4, della legge n. 537 del 1993, fissasse tre aspetti fondamentali: a) il finanziamento esclusivamente privato, b) l'obbligo di raggiungere le finalita' istitutive, c) le garanzie di autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile. La figura soggettiva che scaturisce da tale processo non sarebbe gia' quella della societa' per azioni, bensi' di un ente sui generis in quanto senza scopo di lucro, inquadrabile semmai nell'a'mbito delle associazioni o fondazioni. Di qui la specialita' dello statuto legale degli enti, costituito dal decreto legislativo n. 509 del 1994, dalla normativa precedente e dalle norme civilistiche. La difesa dell'ente confuta quindi alcuni profili d'illegittimita' costituzionale prospettati dai ricorrenti e non considerati nell'ordinanza di rimessione, sottolineando altresi' che quest'ultima ha fatto propria l'impostazione come sopra contestata, salvo aggiungere l'ulteriore profilo della violazione dell'art. 18 della Costituzione. La difesa, in proposito, ricorda come tale liberta' possa venire compressa o limitata per finalita' schiettamente pubblicistiche, secondo la giurisprudenza costituzionale, a condizione che non vengano lesi altri diritti costituzionalmente rilevanti. Non sarebbe infine configurabile l'ipotesi di liquidazione coatta, posto che l'art. 2 del decreto legislativo n. 509 del 1994 si limita a prevedere la nomina di un commissario liquidatore con i poteri previsti dalle norme sulla liquidazione coatta amministrativa in quanto applicabili, ma questi non potrebbe in nessun caso procedere alla liquidazione di un ente necessario. Sarebbe poi da escludere una sopravvenuta facoltativita' del fine previdenziale come conseguenza della privatizzazione, in quanto la prima farebbe venir meno gli elementi organizzativi e finanziari indispensabili per il perseguimento del fine previdenziale. Inoltre gli artt. 18 e 38 della Costituzione vanno coordinati nel senso che gli associati devono essere chiamati a concorrere a detto fine; ed allora l'impugnata normativa ottempera al precetto posto dall'art. 38 della Costituzione assicurando la previdenza per malattia, invalidita' e vecchiaia attraverso lo strumento associativo. Il rifiuto di adesione, percio', non puo' risolversi in un ostacolo ad attivita' dovuta in forza degli stessi precetti costituzionali. 4. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte hanno depositato atti l'ENPAM (Ente nazionale previdenza e assistenza medici), l'ENPAIA (Ente nazionale previdenza e assistenza impiegati agricoltura), la Cassa nazionale del Notariato, la Cassa nazionale di previdenza e assistenza a favore dei dottori commercialisti, la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, l'ENPACL (Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i consulenti del lavoro), l'INARCASSA (Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti), la Cassa italiana di previdenza ed assistenza dei geometri liberi professionisti, chiedendo di essere ammessi a partecipare al giudizio; ma, con ordinanza dibattimentale, gli interventi sono stati dichiarati inammissibili, in difetto della qualita' di parti nel giudizio a quo ovvero della titolarita' di situazioni giuridiche dirette e individualizzate su cui l'esito del giudizio stesso sia suscettibile di incidere. 5. - Nell'imminenza dell'udienza hanno presentato memorie entrambe le parti. I ricorrenti nel giudizio a quo hanno insistito sulla tesi del doppio livello di tutela previdenziale, una pubblica di base ed un'altra complementare, che scaturiscono dall'unica attivita' professionale svolta e s'inseriscono nella "cornice" dell'art. 38 della Costituzione a se'guito del decreto legislativo n. 124 del 1993. Solo per la prima varrebbe ormai il concetto di solidarieta' categoriale, mentre la seconda dovrebbe basarsi su una struttura volontaria: in sostanza la relazione tra le posizioni gestionali dell'INPDAP e quelle dell'ENPAVsarebbe descrivibile in termini gerarchici: di base, ex art. 38, comma secondo, della Costituzione quella del primo, secondaria e riflessa e percio' necessariamente volontaria, quella dell'ENPAV. La negazione di tale paradigma comporterebbe la violazione della citata norma costituzionale; del resto la Cassa privatizzata avrebbe anche le caratteristiche finanziarie della previdenza complementare, in quanto autofinanziata e potenzialmente soggetta a fallimento. L'ENPAV ha ribadito che la trasformazione degli enti (a cui si era obbligatoriamente iscritti) in soggetti privati non ha fatto venir meno il carattere facoltativo della previdenza, la' dove, viceversa, l'obbligatorieta' della contribuzione e' essenziale per la stessa sopravvivenza dell'ente gestore: la necessita' del fine previdenziale, insomma, non resta snaturata dalla forma associativa creata per perseguirlo. Quanto alla prospettata violazione dell'art. 18 della Costituzione, sarebbe significativo il fatto che il primo comma di questo afferma il diritto di associarsi senza autorizzazione, in antitesi al potere, mentre nel caso in esame, e' la legge ad imporre l'associazione onde perseguire un fine costituzionalmente voluto e garantito. Considerato in diritto 1. - Il pretore di Torino dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 3, del d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509 e dell'art. 24 della legge 12 aprile 1991, n. 136 "come autenticamente interpretato dall'art. 11, comma 26, della legge n. 537 del 1993", nella parte in cui mantengono fermo l'obbligo d'iscrizione e contribuzione all'ENPAV dei veterinari gia' iscritti all'albo alla data di entrata in vigore della predetta legge n. 136 del 1991 ed assoggettati anche a contribuzione INPDAP, nonostante l'avvenuta privatizzazione dell'ente previdenziale. A parere del giudice a quo, la trasformazione dell'ENPAV da ente pubblico in associazione privata comporterebbe la modifica della forma di previdenza da esso gestita, assimilabile - secondo la prospettazione - ad una copertura assicurativa complementare, ma in cui non e' piu' garantita l'erogazione delle prestazioni in caso di dissesto dell'ente. Con la conseguenza di un'asserita irragionevolezza del mantenimento dell'obbligo contributivo, nonche' della violazione dell'art. 38 della Costituzione, che distingue nettamente la previdenza pubblica obbligatoria da quella privata, complementare e volontaria, e dell'ulteriore lesione dell'art. 18 della Costituzione, che garantisce la liberta' anche di non associarsi. 2. - La questione e' infondata. 2.1. - La censura si appunta segnatamente sulla normativa di privatizzazione, nella parte in cui essa (art. 1, comma 3, del decreto legislativo n. 509 del 1994) tiene ferma l'obbligatorieta' della iscrizione e della contribuzione a carico delle categorie di lavoratori e professionisti per le quali gli enti sono stati istituiti. Ma e' anche impugnata la previsione contenuta nell'art. 24 della legge di riforma dell'ENPAV, che il rimettente definisce "autenticamente interpretata" dall'art. 11, comma 26, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e dalla quale egli fa discendere l'attualita' dell'obbligo di contribuzione per i veterinari di cui al giudizio a quo gia' assoggettati a contribuzione in favore dell'INPDAP siccome pubblici dipendenti. In realta' tale ultimo effetto si produce a carico dei predetti lavoratori in virtu' del combinato disposto dell'art. 11, comma 26, della legge n. 537 del 1993 e dell'art. 32 della legge n. 136 del 1991: e' quest'ultima infatti la norma abrogatrice dell'originario obbligo di contribuzione, e in virtu' della quale l'iscrizione all'ENPAV dei veterinari lavoratori dipendenti era divenuta facoltativa, ridiventando obbligatoria proprio a se'guito dell'interpretazione introdotta dal citato art. 11, per i soli veterinari iscritti nell'albo al momento di entrata in vigore della legge n. 136 del 1991. Al di la' della sua imperfetta formulazione, la questione coincide quindi in parte qua con quella gia' esaminata dalla Corte nella sentenza n. 88 del 1995, che ha escluso l'illegittimita' costituzionale di tale intervento legislativo. Il pretore rimettente, peraltro, assume che la privatizzazione medio tempore intervenuta avrebbe "modificato la situazione di fatto su cui si e' basata" allora la Corte stessa. 2.2. - Tanto premesso, deve escludersi che la trasformazione dell'ENPAV in associazione privata, con effetto dal 1 gennaio 1995, abbia inciso nel senso prospettato dal giudice a quo sulla natura dell'attivita' svolta dall'ente medesimo, cosi' determinando una sostanziale modificazione dei caratteri del rapporto previdenziale in esame. Con l'art. 1, commi 32 e 33, lettera a), punto 4, della legge n. 537 del 1993 e' stata conferita delega al Governo per riordinare o sopprimere enti pubblici di previdenza ed assistenza, ed e' stata in particolare prevista la possibilita' di privatizzare - nelle forme dell'associazione o della fondazione - gli enti che non usufruiscono di finanziamenti pubblici, con garanzie di autonomia ma "ferme restando le finalita' istitutive e l'obbligatoria iscrizione e contribuzione agli stessi degli appartenenti alle categorie di personale a favore dei quali gli enti stessi risultano istituiti". In attuazione di tale delega, l'art. 1 del decreto legislativo n. 509 del 1994 contempla siffatto tipo di trasformazione, condizionandolo all'assenza di finanziamenti pubblici ed esplicitamente sottolineando la continuita' della collocazione dell'ente nel sistema, come centro d'imputazione dei rapporti e soprattutto come soggetto preposto a svolgere le attivita' previdenziali ed assistenziali in atto. All'autonomia organizzativa, amministrativa e contabile riconosciuta ai singoli enti in ragione della loro mutata veste giuridica fanno riscontro un articolato sistema di poteri ministeriali di controllo sui bilanci e d'intervento sugli organi di amministrazione, nonche' una generale funzione di controllo sulla gestione da parte della Corte dei conti. Particolare attenzione ha poi posto il legislatore al fine di prevenire situazioni di crisi finanziaria e dunque di garantire l'erogazione delle prestazioni: e' stato cosi' sancito il vincolo d'una riserva legale a copertura per almeno cinque anni delle pensioni in essere (art. 2, comma 2, del decreto legislativo n. 509 del 1994) e, piu' recentemente in sede di riforma del sistema pensionistico generale, e' stata prevista l'obbligatorieta' della predisposizione di un bilancio tecnico attuariale per un arco previsionale di almeno quindici anni (art. 3, comma 12, della legge 8 agosto 1995, n. 335). Il gia' citato comma 4 dell'art. 2 consente inoltre, nel caso di disavanzo economico finanziario, la nomina di un commissario straordinario che adotti i provvedimenti necessari per il riequilibrio della gestione; e solo ove sia accertata l'impossibilita' di tale operazione, dopo un triennio dalla suddetta nomina, e' previsto l'intervento di un commissario liquidatore con i poteri attribuiti dalle norme in materia di liquidazione coatta amministrativa. 2.3. - Dal quadro cosi' tracciato emerge che la suddetta trasformazione ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell'attivita' istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi: l'obbligo contributivo costituisce un corollario, appunto, della rilevanza pubblicistica dell'inalterato fine previdenziale. L'esclusione di un intervento a carico della solidarieta' generale consegue alla stessa scelta di trasformare gli enti, in quanto implicita nella premessa che nega il finanziamento pubblico o altri ausili pubblici di carattere finanziario. E dunque l'asserita insufficienza delle garanzie che in un remoto futuro potrebbe pregiudicare l'erogazione delle prestazioni, secondo quanto il rimettente paventa, non puo' fondare il dubbio di legittimita' costituzionale circa l'imposizione dell'obbligo contributivo. Piu' in dettaglio, la censura si rivela inconsistente non appena la si verifichi in rapporto al profilo rilevante nel giudizio a quo che concerne i veterinari gravati dalla doppia contribuzione: in ragione della discrezionalita' riconosciuta al legislatore nel graduare il passaggio dal regime dell'iscrizione obbligatoria generalizzata a quello bimodale (iscrizione obbligatoria accanto a quella facoltativa), questa Corte nella citata sentenza n. 88 del 1995 ha osservato come, nel tempo, verra' a ridursi la percentuale dei veterinari che sono mantenuti nel vecchio regime della generalizzata iscrizione obbligatoria. Parallelamente l'ampia estensione temporale, in cui si e' inteso garantire l'equilibrio finanziario dell'ente nei modi suddetti, induce ad escludere l'attendibilita' del dissesto evocato in via meramente ipotetica nella prospettazione. Meno che mai tale eventualita' e le conseguenze che se ne vogliano rappresentare in danno degli assicurati, valgono ad argomentare nel senso del venir meno del fine pubblico ed a qualificare la previdenza in discorso come complementare conclusione, ripetesi, non giustificata dal solo fatto della mutata natura giuridica dell'ente gestore per inferire una sopravvenuta non obbligatorieta' della contribuzione. A riguardo resta valido quanto osservato nella citata sentenza n. 88 del 1995 circa la giustificazione dell'obbligo, da ricercarsi nel rafforzamento della tutela previdenziale degli obbligati al doppio contributo (possibili beneficiari futuri di una doppia pensione) e, insieme, nella solidarieta' endocategoriale che il legislatore si e' preoccupato di non far venire improvvisamente meno, onde assicurare l'idonea provvista di mezzi: considerazione, quest'ultima, tanto piu' valida ora, in un sistema dichiaratamente autofinanziato. 2.4. - Le conclusioni raggiunte circa l'immutata natura della previdenza consentono quindi di assimilare integralmente l'ipotesi in esame a quella oggetto del precedente scrutinio e di richiamare le motivazioni allora svolte nell'escludere che la doppia previdenza concreti violazione dell'art. 38 della Costituzione anche in ragione del carattere programmatico del principio che ne impone il superamento. 2.5. - Ma la permanente vigenza del fine pubblicistico generale dell'attivita' che gli enti svolgono, consente altresi' di respingere la sostanziale richiesta di riesame in cui si concreta la prospettazione anche sotto l'ulteriore profilo dedotto, concernente l'art. 18 della Costituzione. Questa Corte ha escluso che sia lesiva della liberta' (negativa) di associazione l'imposizione da parte della legge, per la tutela di altri interessi costituzionalmente garantiti, di obblighi di appartenenza ad un organismo pubblico a struttura associativa, "purche' non siano altrimenti offesi liberta', diritti e principi costituzionalmente garantiti (diversi dalla liberta' negativa di associarsi)", e risulti al tempo stesso che tale previsione "assicura lo strumento meglio idoneo all'attuazione di finalita' schiettamente pubbliche, trascendenti la sfera nella quale opera il fenomeno associativo costituito per la libera determinazione dei privati" (sentenza n. 40 del 1982), o di un fine pubblico "che non sia palesemente arbitrario, pretestuoso o artificioso" (sentenza n. 20 del 1975; e cfr. anche le sentenze n. 120 del 1973 e n. 69 del 1962). Tanto puo' affermarsi anche con riguardo agli scopi previdenziali perseguiti dall'ENPAV, nel quadro della gia' richiamata solidarieta' interna ai professionisti, a vantaggio dei quali l'ente e' stato istituito: la comunanza d'interessi degli iscritti comporta che ciascuno di essi concorra con il proprio contributo al costo delle erogazioni delle quali si giova l'intera categoria, di talche' il vincolo puo' dirsi presupposto prima ancora che imposto.