LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso proposto da Laudani Filippo, elettivamente domiciliato in Roma via Marziale, 36 presso l'avvocato Maria Concetta Trovato, rappresentato e difeso dall'avvocato Niccolo' Salanitro, giusta delega a margine del ricorso, ricorrente; contro la Banca d'Italia, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma via Nazionale 91, presso il servizio legale della Banca stessa, rappresentata e difesa dagli avvocati Sergio Luciani, Pier Luigi Lorenti e Marcello Condemi, giusta procura in calce al controricorso, controricorrente; avverso il decreto della Corte d'appello di Roma, depositata il 26 ottobre 1994; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 4 febbraio 1997 dal relatore consigliere dott. Giovanni Losavio; Udito per il resistente, l'avvocato Luciani, che ha chiesto il rigetto del ricorso; Udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale dott. Alessandro Carnevali che ha concluso per manifesta infondatezza dell'eccezione di incostituzionalita', rigetto del ricorso. Svolgimento del processo Filippo Laudani proponeva reclamo (a norma dell'art. 145 d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385) alla Corte d'appello di Roma avverso il decreto del Ministro del tesoro n. 243162 del 5 novembre 1993 che, sul fondamento di accertamenti ispettivi eseguiti tra ottobre e dicembre 1990 presso la Banca popolare di Belpasso - della quale il Laudani era consigliere di amministrazione --, aveva applicato nei suoi confronti la complessiva sanzione amministrativa di lire 4.900.000 per la violazione di disposti degli artt. 31 e 32 lettere f) ed h) della legge bancaria (legge n. 141/1938). Il Laudani eccepiva preliminarmente la illegittimita' costituzionale dell'art. 145 della vigente legge bancaria (in rapporto agli artt. 3, 24, 102, secondo comma, e 111 della Costituzione) la' dove, avendo identificato nella Corte d'appello di Roma il giudice competente a decidere sui reclami avverso l'applicazione delle sanzioni, avrebbe istituito un giudice speciale e avrebbe compresso per altro, attraverso il procedimento camerale in unico grado, i diritti della difesa e violato il principio di eguaglianza; nel merito lamentava che le singole violazioni fossero state a lui imputate sul fondamento della responsabilita' obbiettiva, sul presupposto cioe' della mera partecipazione al consiglio di amministrazione, al di fuori della prova - che sarebbe stata necessaria - della sua conoscenza delle violazioni contestate e della possibilita' stessa di conoscerle. Contro il decreto 26 ottobre 1994 della Corte d'appello di Roma - che rigettava il reclamo - il Laudani ha proposto ricorso in cassazione deducendo due motivi di impugnazione, cui resiste la Banca d'Italia con controricorso. Con il primo motivo del ricorso il Laudani ripropone la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 145 decreto legislativo n. 385/1993, che la Corte di merito ha dichiarato manifestamente infondata. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 27, ultimo comma, decreto-legge n. 375/1936; 145 decreto legislativo n. 385/1993; 3 e 5 legge n. 689/1981 - nonche' vizio di motivazione - e lamenta che la Corte di merito, contro il principio della responsabilita' personale, abbia applicato le sanzioni al Laudani nella presunzione che la partecipazione al consiglio di amministrazione comporti la "possibilita' di conoscere tutti gli accadimenti e le problematiche aziendali", con la ritenuta conseguenza che la mancata conoscenza rimandi a "un comportamento negligente e omissivo" dei singoli consiglieri, obbiettivamente "agevolativo delle infrazioni riscontrate"; e abbia posto a carico del reclamante l'onere della prova della presenza di esimenti, con inversione del principio dettato nell'ultimo comma dell'art. 87 legge bancaria (decreto-legge n. 375/1936), secondo il quale le sanzioni sono comminate ai singoli dirigenti (alla cui azione ed omissione debbano imputarsi le infrazioni". Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo del ricorso il Laudani ripropone le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 145 del d.lgs. 1 novembre 1993, n. 385 (che la Corte d'appello di Roma ha dichiarato manifestamente infondate), con riferimento agli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, e in particolare rileva: 1) che l'attribuzione alla Corte d'appello di Roma della competenza esclusiva e funzionale in ordine ai reclami proposti contro i decreti di applicazione delle sanzioni amministrative (con deroga al criterio ordinario della competenza) non sarebbe giustificata da un apprezzabile interesse pubblico e renderebbe irragionevolmente piu' gravoso l'esercizio del diritto di difesa dell'opponente; 2) la previsione del giudizio di opposizione in unico grado comprimerebbe ulteriormente il diritto di difesa; 3) il rito camerale sarebbe intrinsecamente inidoneo "anche sul piano istruttorio" ad assicurare una efficace difesa; 4) infine, priva di ragionevolezza sarebbe la prevista forma del provvedimento conclusivo - decreto - contro il quale e' dato il rimedio straordinario di cui all'art. 111, secondo comma, della Costituzione, ma non il ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., per motivi estesi anche al controllo sulla motivazione. Giudica la Corte manifestamente infondati (condividendo la valutazione espressa al riguardo dalla Corte di merito) i profili di asserita incostituzionalita' di cui ai punti 1., 2. e 3. 2. - Quanto alla asserita deroga al criterio ordinario della competenza cosi' come fissato nell'art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 - recante, nel suo primo capo, la disciplina generale in tema di sanzioni amministrative - si deve osservare che nel sistema di quella legge il collegamento al luogo in cui e' stata commessa la violazione vale ad identificare innanzitutto l'ufficio - autorita' - territorialmente competente a ricevere il rapporto, compiere l'istruttoria ed applicare infine la sanzione in un assetto di competenze decentrate, come disegnato nell'art. 17, esercitate da uffici periferici dei ministeri, prefetti, uffici regionali, presidente della giunta provinciale, sindaco. Sicche' la identificazione del giudice competente a decidere l'opposizione al provvedimento applicativo della sanzione nel pretore del luogo in cui e' stata commessa la violazione ben puo' dirsi derivata dal criterio adottato per definire la competenza della autorita' che ha emesso il provvedimento, in coerenza con il sistema decentrato e diffuso di accertamento, e non invece dettata in funzione della piu' efficace difesa del soggetto destinatario della sanzione (non necessariamente agevolata dalla applicazione di quel criterio). Lo stesso criterio in un diverso sistema di accertamento accentrato e unificato - quale e' quello previsto nella legge bancaria - rimane privo di giustificazione e, cosi' come la tutela giurisdizionale diffusa corrisponde all'assetto decentrato delle competenze amministrative, la concentrazione presso un unico ufficio giudiziario - la Corte d'appello di Roma - e' misura per cosi' dire simmetrica alla centralita' dell'esercizio del controllo sul credito, affidato alla Banca d'Italia (che, contestati gli addebiti, propone al Ministro deI tesoro l'applicazione delle sanzioni: art. 145 decreto legislativo n. 385 del 1993). E dunque la verifica della ragionevolezza della disciplina speciale del sistema sanzionatorio connesso allo statuto della attivita' bancaria rimanda alle ragioni della complessiva disciplina del controllo sull'esercizio del credito, che e' compito di diretta rilevanza costituzionale (disponendo l'art. 47 della Costituzione che "La Repubblica... controlla l'esercizio del credito") e che la legge bancaria affida alla Banca d'Italia coerentemente al ruolo di centralita' che l'ordinamento riconosce all'istituto di emissione, ponendolo al vertice del sistema creditizio. Bastera' quindi rilevare che la concentrazione della competenza giurisdizionale e' diretta espressione del sistema di centralita' dei controlli imposto da obbiettive ragioni di funzionalita' tecnica e non puo' certo dirsi dettata dalla esigenza unilaterale di agevolare la difesa in giudizio della Banca d'Italia, trovando gli stessi soggetti destinatari della sanzione piu' adeguate garanzie - in materie che presentano profili di elevata complessita' tecnica - nella specializzazione dell'unico ufficio giudiziario cui siano affidate controversie della medesima natura, mentre - infine - la rilevanza della materia, attinente a una sfera di interessi (il credito, la tutela del risparmio) a diretta copertura costituzionale, rafforza l'esigenza - generalmente avvertita - di uniformita' della giurisprudenza anche di merito. La concentrazione della tutela giurisdizionale in un unico ufficio giudiziario - cosi' come dispone l'art. 145 qui in esame - non puo' dirsi dunque misura lesiva ne' del principio della piena difesa dei diritti nei confronti degli atti della pubblica amministrazione (artt. 24 e 113 della Costituzione), ne' del principio di ragionevolezza e parita' di trattamento nella disciplina di analoghe situazione (art. 3 della Costituzione). 3. - Palesemente infondati sono anche i profili 2 e 3 di asserita illegittimita' costituzionale, giacche', da un lato, non e' precetto costituzionale che la tutela giurisdizionale dei diritti sia garantita attraverso il doppio grado del giudizio di merito, mentre la stessa norma che regola il giudizio di opposizione secondo il modello generale della legge n. 689/1989 prevede (art. 23, ultimo comma) che la sentenza del pretore "e' inappellabile"; dall'altro, il rito camerale e' intrinsecamente idoneo ad assicurare tutela ai diritti soggettivi, specie quando, come nella materia concernente la disciplina della attivita' bancaria, la controversia abbia contenuto di specialita' tecnica e le fonti di conoscenza siano prevalentemente documentali. 4. - Non manifestamente infondata e rilevante nel presente giudizio deve invece ritenersi la questione di legittimita' (di cui al quarto profilo della prospettazione del ricorrente) del comma sesto dell'art. 145 qui in esame, la' dove dispone che il giudizio e' dato (in camera di consiglio) con "decreto motivato". Non e' in discussione che tale provvedimento, che decide una controversia in materia di diritti soggettivi, assuma la natura sostanziale di sentenza e percio' contro di esso sia ammesso il rimedio straordinario del ricorso per cassazione per violazione di legge a norma dell'art. 111, secondo comma, Costituzione, rimedio che appunto il Laudani ha inteso esercitare proponendo il presente ricorso. Ma mentre, per le ragioni qui sopra espresse, la scelta discrezionale del legislatore per la deviazione dalla disciplina ordinaria della competenza e per la adozione del rito camerale trova adeguata giustificazione nella considerazione della specialita' (anche per la elevata complessita' tecnica) della materia e dei modi accentrati di controllo e accertamento, non pare che altrettanto possa dirsi quanto alla esclusione dell'ordinario ricorso per cassazione, che invece l'art. 23 della legge n. 689/1981 prevede come rimedio contro la sentenza del pretore conclusiva del giudizio di opposizione all'ordinanza-ingiunzione che sanziona l'illecito amministrativo. Sicche', mentre la sentenza del pretore ex art. 23 legge n. 689/1981 e' impugnabile in cassazione per tutti i motivi di cui all'art. 360 c.p.c., e, in particolare, anche per quello di cui al n. 5 dello stesso articolo, il decreto della Corte d'appello ex art. 145, comma sesto, e' soggetto al sindacato di stretta legalita' ex art. 111, secondo comma, della Costituzione ed e' sottratto al controllo sulla adeguatezza della motivazione, secondo il motivo tipizzato al n. 5 dell'art. 360 c.p.c., con effetti di sperequazione che sembrano in contrasto con il principio di eguaglianza dell'art. 3 della Costituzione e in nessun modo giustificati dalle stesse ragioni di specialita' che hanno indotto il legislatore a concentrare il contenzioso "bancario" nella Corte d'appello di Roma (anche in considerazione della complessita' e rilevanza della materia) e che postulano la pienezza del sindacato di legittimita'. Non puo' quindi dirsi manifestamente infondata - con riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - la questione di costituzionalita' dell'art. 145, comma sesto, d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385 la' dove, prevedendo che il giudizio sia "dato" con "decreto motivato" esclude il ricorso ordinario per cassazione - a norma dell'art. 360 c.p.c. -, in tal modo accordando alle posizioni di diritto soggettivo coinvolte nella controversia una tutela giurisdizionale meno intesa rispetto alla sentenza che conclude il giudizio di opposizione alla ordinanza-ingiunzione applicativa di sanzioni amministrative e valutarie che l'art. 23 della legge n. 689/1981 espressamente dichiara impugnabile con l'ordinario ricorso per cassazione (e in particolare la materia valutaria - per l'affinita' con quella monetaria - appare rilevante quale riferimento di comparazione). E certamente rilevante la stessa questione e' nel presente giudizio, avendo il ricorrente con il secondo motivo di impugnazione svolto una esplicita censura alla motivazione del decreto della Corte d'appello di Roma, che sarebbe viziata per insufficienza e illogicita' (nella valutazione delle prove in ordine alla personale responsabilita' del Laudani, componente del consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Belpasso, senza speciali deleghe), censura che la vigente formulazione del comma sesto dell'art. 145 non consente di ammettere ed esaminare.