LA CORTE DI APPELLO Ha emesso la seguente ordinanza nelle cause civili riunite iscritte ai numeri 1130 del ruolo generale affari contenziosi civili dell'anno 1988 e 259 del ruolo generale affari contenziosi civili dell'anno 1993, vertenti tra Grimaldi Enrico Giuseppe, nato a Catania il 15 giugno 1948, ivi residente in via S. Euplio n. 134, elettivamente domiciliato in Catania, via Umberto n. 296, presso lo studio dell'avv. Antonino Monaco Crea, che lo rappresenta e difende per procura generale alle liti dell'11 marzo 1988 autenticata dal notaio dr. F. Attaguile da Catania, rep. n. 14895, attore, e il comune di Giarre, in persona del sindaco pro-tempore, autorizzato a resistere in giudizio giusta deliberazione n. 412 dell'11 maggio 1989, elettivamente domiciliato in Catania, via Crociferi n. 60, presso lo studio dell'avv. Carmelo Assennato, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine della comparsa di costituzione di nuovo procuratore del 2 giugno 1997, convenuto. La Corte, letti gli atti del procedimento e sentito il relatore; Rilevato che la controversia in esame riguarda la determinazione dell'indennita' dovuta all'attore Grimaldi Enrico Giuseppe per l'espropriazione di un tratto di terreno di proprieta' dello stesso, sito in territorio di Giarre (oltre che dell'indennita' al medesimo spettante per il periodo di occupazione legittima del fondo); che, secondo quanto e' emerso dalla compiuta istruttoria, ed in particolare dalla relazione di consulenza tecnica d'ufficio e dal certificato di destinazione urbanistica ad essa allegato, il terreno in oggetto ricade in zona agricola (zona E); che tuttavia il nominato consulente tecnico d'ufficio ha accertato la ricorrenza nella specie della cosiddetta edificabilita' di fatto, dal momento che il detto terreno trovasi ubicato in centro abitato, a ridosso di una zona edificata di tipo C3 ed in un comprensorio dotato di tutte le opere di urbanizzazione primaria; che fino all'entrata in vigore dell'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992 n. 333, introdotto dalla legge di conversione 8 agosto 1992 n. 359, la giurisprudenza della Corte di cassazione era costantemente orientata nel senso che ai fini del riconoscimento della natura edificatoria di un'area fosse sufficiente la sussistenza di uno soltanto dei due parametri astrattamente utilizzabili, e cioe' della edificabilita' legale o della edificabilita' di fatto, per la considerazione che, laddove gli strumenti urbanistici prevedano la destinazione di un'area all'edificazione, la vocazione edificatoria di un fondo espropriato compreso in tale area non puo' essere posta in discussione (v. Cass. 14 febbraio 1990 n. 1098) e che d'altronde anche un'area urbanisticamente non edificabile puo' essere considerata edificatoria se di fatto si presti ad essere edificata (v. Cass. 14 aprile 1989 n. 1797), onde, alla stregua di siffatto orientamento, l'indennita' di espropriazione doveva in entrambe le ipotesi sopra prospettate essere commisurata al valore di mercato del bene espropriato; che il comma 3 del citato art. 5-bis dispone che "per la valutazione della edificabilita' delle aree si devono considerare le possibilita' legali ed effettive di edificazione esistenti al momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'espropriazione", mentre il successivo comma 4 stabilisce che "per le aree agricole e per quelle che, ai sensi del comma 3, non sono classificabili come edificabili, si applicano le nonne di cui al titolo Il della legge 22 ottobre 1971 n. 865 e successive modificazioni ed integrazioni"; che con recenti pronunzie della Corte di cassazione, successive all'entrata in vigore delle suindicate norme (28 marzo 1996 n. 2856 e 11 dicembre 1996 n. 11037), e' stato affermato che "la sopravvenienza delle norme medesime nell'indicato contesto ed il loro esplicito indirizzarsi ad obiettivi di risanamento della finanza pubblica non consentono di attribuire significato improprio od atecnico alla congiunzione ''e'', sia quando lega le possibilita' legali con quelle effettive, sia quando accomuna le aree agricole alle aree che risultino carenti di dette coordinate possibilita'", e che "la lettera e la ratio delle disposizioni in esame portano quindi a ritenere che la legge sopravvenuta, in generale, neghi rilevanza autonoma ed esaustiva alla mera edificabilita' di fatto, esigendo che essa si armonizzi con l'edificabilita' di diritto"; che questa Corte ha fondato motivo di ritenere che le suindicate disposizioni, come sopra interpretate, si pongano in contrasto con il principio costituzionale consacrato nell'art. 42, terzo comma, della Costituzione, atteso che l'applicazione indiscriminata dei criteri di valutazione previsti per le aree agricole dal titolo II della legge 22 ottobre 1971 n. 865, in tutti i casi in cui, pur non ricorrendo il requisito dell'edificabilita' legale, le aree espropriate abbiano comunque di fatto una suscettivita' edificatoria, viene sostanzialmente a disancorare la determinazione dell'indennizzo dovuto dall'effettivo valore di mercato delle aree medesime, che, in presenza delle caratteristiche proprie della edificabilita' di fatto, e' normalmente superiore a quello agricolo medio, cosicche' un indennizzo commisurato a quest'ultimo valore non integra quel "serio ristoro" che dovrebbe essere garantito dall'art. 42 della Costituzione; che, in tema di espropriazione per pubblica utilita', e' stata infatti piu' volte affermata dalla Corte costituzionale, fin dalla sentenza 30 gennaio 1980 n. 5, la necessita' che siffatta adeguatezza sia sempre garantita, statuendosi appunto che, per la determinazione del relativo indennizzo in maniera conforme all'indicato precetto costituzionale, avrebbe dovuto in ogni caso farsi riferimento al valore del bene assoggettato ad espropriazione, in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla sua potenziale utilizzazione economica secondo legge; che nella fattispecie in esame la palese dimostrazione dell'inadeguatezza dei risultati ottenuti con il ricorso al criterio stabilito dall'art. 16 della legge 22 ottobre 1971 n. 865 e' costituita dal fatto che lo stesso comune ha determinato l'indennita' provvisoria di espropriazione in misura superiore al valore agricolo del suolo espropriato; che la questione esaminata assume rilevanza ai fini della decisione della controversia, per cui il giudizio va sospeso e gli atti vanno rimessi alla Corte costituzionale;