LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 1998 depositato il 20 aprile 1990 avverso avviso di liquidazione imposta di registro art. 19963 campione unico relativo ad atto registrato il 29 dicembre 1986, n. 3316 (decadenza da benefici fiscali, imposta + interessi lire 3.640.000), presentato da Ghinizzini Francesco, contro l'Ufficio del registro di Fidenza (Parma). F a t t o In data 29 dicembre 1986 al n. 3316 veniva registrato presso l'Ufficio del registro di Fidenza l'atto di acquisto di un terreno agricolo in favore di Ghinizzini Francesco, con pagamento dell'imposta di registro nella aliquota dell'8%, in luogo della ordinaria aliquota gravante nella misura del 15% sui terreni agricoli, a norma dell'art. 1 e nota 1 della tariffa parte prima del testo unico 26 aprile 1986, n. 131 in favore degli imprenditori agricoli a titolo principale, di cui agli artt. 12 e 13 della legge 9 maggio 1975, n. 153. Con avviso di liquidazione art. 19963 notificato il 28 febbraio 1990, l'Ufficio del registro ha addebitato l'intera imposta di registro per decadenza dai benefici fiscali, in quanto la qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale doveva essere provata mediante documentazione da produrre entro il triennio scadente il 29 dicembre 1989, mentre il Ghinizzini ha prodotto detta documentazione in data 8 gennaio 1990, lo stesso giorno in cui gli e' stata rilasciata dal comune di Parma a seguito di domanda presentata il 5 novembre 1988. Con ricorso tempestivamente depositato in data 20 aprile 1990, il Ghinizzini chiede di poter conservare i benefici fiscali, in quanto "il ritardo di 10 giorni non e' da imputare a negligenza del sottoscritto". L'Ufficio del registro controdeduce affermando che il termine triennale deve intendersi perentorio e posto a pena di decadenza e, come tale, non puo' essere sospeso ne' interrotto (Cass. n. 466/1981; Cass. n. 2216/1993). D i r i t t o Esaminata la documentazione agli atti e udita la discussione, la Commissione ritiene che in tema di imposta di registro su trasferimenti aventi ad oggetto terreni agricoli, vige il disposto dell'art. 1 e nota 1 della tariffa parte prima del testo unico 26 aprile 1996, n. 131, in forza del quale l'acquirente di un terreno, che dichiari di voler assumere la qualita' di imprenditore agricolo, decade dal beneficio della aliquota agevolata, ove nel triennio dalla stipulazione dell'atto non produca la certificazione della qualita' dichiarata, stante la perentorieta' del termine assegnato per la produzione della certificazione. Secondo tale normativa, il ricorso dovrebbe essere respinto, con la conseguente applicazione della normale aliquota di imposta del 15%. Senonche', nei confronti di tale elevata aliquota di imposta, si solleva d'ufficio questione di incostituzionalita', ritenendola, oltre che rilevante ai fini della decisione, non manifestamente infondata per i seguenti motivi. 1. - L'imposta di registro da' luogo ad un prelievo "a cascata", che cioe' viene applicato ad ogni passaggio e sull'intero valore. Si ha motivo di ritenere che ogni imposta "a cascata" sia di per se' irrazionale, poiche' finisce col prelevare dal valore finale del bene una aliquota condensata che varia in modo occasionale in relazione al numero dei passaggi che il bene abbia subito. Tale irrazionalita' acquista maggiore evidenza, quando la misura del prelievo applicato ad ogni passaggio - sempre commisurato al valore del bene non decurtato delle imposte pagate in precedenza - raggiunge una misura tanto elevata da produrre, nel giro di pochi passaggi, l'effetto di espropriare l'intero valore del cespite immobiliare, medio tempore ulteriormente eroso dal concorso di altre imposte patrimoniale e sui redditi. Per tali motivi, l'impostazione nella rilevante misura del 15% a cascata sul trasferimento dei terreni agricoli sembra incostituzionale per violazione del principio di razionalita' e per violazione degli artt. 42 e 47 della Costituzione, rispettivamente garanti della proprieta' privata e del risparmio in tutte le sue forme. 2. - Altro aspetto di incostituzionalita' e' ravvisabile nel contrasto con l'art. 53 della Costituzione, in quanto i prelievi di cui parliamo prescindono dalla loro incidenza sul livello della imposizione complessiva sia a carico del bene che a carico dei cittadini proprietari. Il fatto che l'acquisto di un bene venga giudicato come "indice concretamente rivelatore di ricchezza" non legittima, ad avviso di questa Commissione, un aumento illimitato ed ingiustificato di aliquota. Basti considerare che, in epoca repubblicana, l'aliquota dell'imposta di registro sugli immobili fu portata al 5% con l'art. 32 della legge 6 agosto 1954, n. 603; fu ridotta al 4% con l'art. 1 della legge 27 maggio 1969, n. 355; fu riportata al 5% con la tariffa all. A) al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634. Poi, improvvisamente, e' stata addirittura triplicata per i terreni agricoli dal d.P.R. n. 131/1986, senza che fosse nel contempo dimostrabile un corrispondente aumento del 300% nella capacita' contributiva degli acquirenti. Giova ricordare che, anche se un limite massimo al prelievo fiscale non e' espressamente stabilito dall'art. 53 della Costituzione, tuttavia a tale omissione del Costituente si puo' ovviare, ritenendo implicita nel concetto di "capacita' contributiva" la compatibilita' con i principi di razionalita' e con il rispetto degli altri valori che la stessa Costituzione garantisce, ivi inclusa la forma di Stato non totalitario. Pertanto l'entita' e la proporzionalita' dell'onere tributario sono soggetti al controllo di costituzionalita', quando, come nel caso in esame, vengono dedotti l'arbitrarieta' o l'irrazionalita' della misura dell'imposizione, ovvero la lesione di diritti costituzionalmente garantiti. 3. - L'aliquota del 15% della imposta di registro viola pure l'art. 3 della Costituzione, in quanto discrimina chi investe il proprio risparmio in terreni agricoli rispetto a chi li investe in altri beni esenti da imposta di registro, o comunque soggetti ad imposta, ma in misura meno gravosa. Ulteriore disparita' di trattamento si puo' osservare fra i privati per i quali l'imposta di registro agisce "a cascata" ed i soggetti IVA, in favore dei quali, a causa della alternativita' fra imposta di registro ed IVA, si applica l'imposta sul valore aggiunto, che non agisce "a cascata", ma soltanto sulla differenza di valori (nel caso di specie la non assoggettabilita' ad IVA e' stabilita dall'art. 2, comma 3, lett. c) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633). 4. - Da ultimo, la fattispecie in esame evidenzia una disparita' di trattamento fra gli imprenditori agricoli a titolo principale che riescono ad ottenere la certificazione nel termine di tre anni e quegli imprenditori che, pur trovandosi nella medesima situazione di fatto, non riescono ad ottenere, senza loro colpa, la certificazione in tempo utile per fruire dell'imposta di registro nella misura ridotta (e pur sempre eccessiva dell'8%). Tale situazione pone in rilievo una violazione del principio di razionalita'-uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, in quanto la normativa non consente che, in luogo del certificato, possa essere prodotta un'attestazione provvisoria, dalla quale risulti che sono in corso gli accertamenti per il rilascio del certificato, ne' sospende il termine in caso di ritardi imputabili ad organi preposti alla formazione del certificato, sicche' finisce col sanzionare a carico dell'imprenditore agricolo, attraverso la decadenza dal beneficio, un comportamento addebitabile a responsabilita' altrui e nel contempo con il ridurre l'ambito di applicabilita' e la funzione istituzionale del beneficio, quando di fatto spetterebbe.