ha pronunciato la seguente Sentenza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 5 giugno 1996 dal tribunale di Palermo nel procedimento di prevenzione nei confronti di Lupo Cesare Carmelo, iscritta al n. 65 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell'anno 1997; Udito nella camera di consiglio del 18 giugno 1997 il giudice relatore Gustavo Zagrebelsky. Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un procedimento per l'applicazione di misure di prevenzione personali e patrimoniali, a norma della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), il tribunale di Palermo ha sollevato, con ordinanza del 5 giugno 1996, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. 2. - Il tribunale rileva che la proposta di applicazione della misura di prevenzione personale riguarda un soggetto indiziato di appartenere a un'associazione di tipo mafioso, ex art. 1 della citata legge n. 575 del 1965, e che detta norma individua il "livello probatorio" che deve sorreggere la misura richiesta al collegio, indicandolo nella sussistenza di "semplici" indizi della suddetta appartenenza. Osserva quindi il rimettente che lo stesso collegio, in identica composizione, ha in precedenza adottato una pronuncia sulla richiesta di riesame di ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere, misura disposta in autonomo e parallelo procedimento penale, nei confronti della stessa persona, in relazione al reato di associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416-bis cod. pen.); in tale sede, il tribunale ha espresso le proprie valutazioni, oltre che sulle esigenze cautelari, sulla sussistenza di "gravi" indizi di colpevolezza in ordine all'anzidetto reato, confermando il provvedimento impugnato. 3. - Ora, rileva il giudice a quo, il pubblico ministero ha allegato, a sostegno della propria proposta per l'applicazione della misura di prevenzione personale, copia dell'ordinanza di custodia cautelare, che raccoglie tutti gli elementi sui quali essa si fonda, e sulla quale il tribunale si e' gia' pronunciato, in distinto processo, nel senso anzidetto. 4. - Analogamente a quanto riconosciuto nelle sentenze nn. 432 del 1995 e 131 del 1996 della Corte costituzionale, che hanno dichiarato l'incostituzionalita' dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., anche nell'ipotesi in esame si delinea il pericolo che la valutazione conclusiva - qui sulla pericolosita' del proposto - sia o possa apparire condizionata dalla "forza di prevenzione, ... naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali", e cio' pur se le valutazioni rispettivamente compiute e da compiere attengano a processi formalmente e sostanzialmente indipendenti e autonomi. Non manifestamente infondata, quindi, appare la questione di costituzionalita' dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., sollevata dalla difesa del proposto, in quanto non stabilisce l'incompatibilita' alla funzione di giudice competente in ordine alle misure di prevenzione personali per il componente del collegio che si sia pronunciato in sede di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. in distinto processo penale, quando gli elementi allegati a sostegno della proposta siano gli stessi gia' apprezzati nell'ambito dell'impugnazione de libertate. Considerato in diritto 1. - Il tribunale di Palermo, nel corso di un procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione personale prevista dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione incidentale di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio per l'applicazione di una misura di prevenzione personale il giudice che, nell'ambito di un procedimento penale, come componente il tribunale del riesame, si sia pronunciato sull'ordinanza che dispone una misura cautelare personale, quando i presupposti sui quali si fonda la richiesta della misura di prevenzione siano gli stessi che sono stati oggetto di valutazione nella sede del riesame . 2. - La questione e' inammissibile. 2.1. - Nell'ambito del principio del giusto processo di cui questa Corte, in numerose occasioni, ha definito i profili sulla base delle disposizioni costituzionali che attengono alla disciplina della giurisdizione, posto centrale occupa l'imparzialita'-neutralita' del giudice, in carenza della quale tutte le altre regole e garanzie processuali perderebbero di concreto significato. Tale principio in tutti i suoi aspetti, tra cui per l'appunto l'imparzialita' del giudice, indubitabilmente vale anche in relazione al procedimento giurisdizionale di applicazione delle misure di prevenzione personali che incidono su diritti di liberta' costituzionalmente garantiti per mezzo di una "riserva di giurisdizione". In questi casi, la garanzia rappresentata da tale riserva non puo' essere menomata attraverso l'affievolimento dei caratteri che la giurisdizione qualificano come tale. Date queste premesse, l'esigenza di preservare il giudice chiamato a pronunciarsi sulla proposta di applicazione delle misure di prevenzione da ogni pre-giudizio che possa comprometterne l'imparzialita' si pone nella stessa misura in cui essa e' stata affermata in relazione al giudice che e' chiamato a pronunciarsi nel processo penale. Nel caso di specie, un imputato del reato di appartenenza ad associazione di tipo mafioso (art. 416-bis cod. pen.) si trova sottoposto altresi' a un procedimento, parallelo e autonomo (a norma dell'art. 23-bis della legge 13 settembre 1982, n. 646), per l'applicazione di una misura di prevenzione prevista dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, come indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso. Secondo la prospettazione contenuta nell'ordinanza di rimessione, il tribunale, quale giudice della prevenzione, e' chiamato a decidere l'applicazione della misura in base ai medesimi elementi di fatto che il tribunale stesso, nella medesima composizione personale, quale giudice del riesame in sede cautelare nel processo penale, ha gia' considerato sufficienti per ritenere la sussistenza, a carico del medesimo soggetto, dei gravi indizi di colpevolezza che, insieme alle esigenze specifiche previste dall'art. 274 cod. proc. pen., giustificano l'adozione di misure cautelari, a norma dell'art. 273, comma 1, cod. proc. pen. E' facile, in tal caso, la conclusione che la valutazione sull'esistenza dei gravi indizi di colpevolezza assorbe, come il piu' contiene il meno, quella sulla pericolosita', basata su meri indizi e che pertanto il tribunale si trova a giudicare su una materia in ordine alla quale esso si e' gia' pronunciato. 2.2. - Le considerazioni che precedono e l'esigenza di garantire l'imparzialita' del giudice nel caso prospettato, tuttavia, non possono condurre alla richiesta declaratoria d'incostituzionalita' dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui esso non prevede la prospettata situazione come ulteriore causa d'incompatibilita' al giudizio. Nel sistema del codice di procedura penale, norme operanti nel senso di escludere la possibilita' di duplicazione di valutazioni della medesima res iudicanda, a opera del medesimo giudice, quale persona fisica, sono dettate nell'ambito sia della disciplina della incompatibilita' del giudice (art. 34), da un lato, sia della disciplina dell'astensione e della ricusazione (artt. 36 e 37), dall'altro. Tra i due ambiti, tuttavia, esiste una differenza categoriale. Come risulta dai casi previsti dall'art. 34, nonche' dalla stessa rubrica di tale articolo (Incompatibilita' determinata da atti compiuti nel procedimento), la ratio dell'istituto dell'incompatibilita' e' di preservare l'autonomia e la distinzione della funzione giudicante, in evidente relazione all'esigenza di garanzia dell'imparzialita' di quest'ultima, rispetto ad attivita' compiute in gradi e fasi anteriori del medesimo processo: autonomia, distinzione e, conseguentemente, imparzialita' che risulterebbero compromesse qualora tali attivita' potessero essere riunite nell'azione dello stesso soggetto chiamato alla funzione giudicante (sentenza n. 155 del 1996). La ratio della disciplina dell'incompatibilita' e' dunque primariamente quella obiettiva del rispetto della logica del processo penale, delle sue scansioni e delle differenze di ruoli che in esso i diversi soggetti sono chiamati a svolgere: il giudizio non si deve confondere, attraverso una sorta di unione personale, con altre attivita' che attengono al processo e che hanno una loro diversa ragion d'essere e il cui compimento potrebbe costituire pre-giudizio rispetto al giudizio medesimo. Alla stregua della ratio anzidetta, si comprende come le incompatibilita' previste dall'art. 34 cod. proc. pen. siano tutte determinate dal fatto solo di aver svolto determinate attivita' nel corso del medesimo procedimento penale, indipendentemente dal contenuto che tali attivita' possono aver assunto (sentenza n. 308 del 1997). In breve: sono tutte incompatibilita' interne all'articolazione del processo penale e sono tutte previste in modo da operare in astratto, non in concreto, e le cause che le determinano sono normalmente tali da poter essere evitate preventivamente attraverso idonei atti di organizzazione dello svolgimento del processo, come la formazione dei collegi giudicanti e l'assegnazione delle cause, trasformandosi in motivi di astensione o ricusazione (art. 36, comma 1, lettera g), cod. proc. pen.) solo quando tali atti non siano stati posti in essere (sentenza n. 307 del 1997). Le cause di astensione e di ricusazione di cui agli artt. 36 e 37 cod. proc. pen. che attengono ad attivita' del giudice - escluse quelle, gia' ricordate, indicate nella lettera g) del comma 1 dell'art. 36, la quale richiama le situazioni di incompatibilita' del giudice, al fine di farne motivo di astensione e poi, per il richiamo contenuto nella lettera a) del comma 1 dell'art. 37, di ricusazione - si collocano invece su un piano diverso. Esse sono dirette immediatamente alla garanzia dell'imparzialita' del giudice e prescindono da qualunque riferimento alla struttura del processo e all'esigenza del rispetto della logica intrinseca ai suoi diversi momenti di svolgimento. Cio' che conta e' l'esistenza di comportamenti del giudice che, siano essi tenuti entro o fuori il processo stesso, per il loro concreto contenuto sono tali da poter fare ritenere la sussistenza di un pregiudizio in capo al giudice, rispetto alla causa da decidere (v. le lettere c) e h) del comma 1 dell'art. 36 e la lettera b) del comma 1 dell'art. 37 cod. proc. pen.). In breve: le cause di astensione e di ricusazione non hanno strutturalmente a che vedere con l'articolazione del processo e sono previste in modo da operare non in astratto ma in concreto. Data tale loro natura, l'ordinamento prevede, come mezzo normale per farle valere e ottenere la sostituzione del giudice, l'iniziativa dello stesso giudice che e' tenuto a chiedere di astenersi (art. 36 cod. proc. pen.) ovvero quella della parte interessata che dichiara la ricusazione (art. 38 cod. proc. pen.). 2.3. - Da quanto precede deve trarsi, come regola di giudizio, che, qualora un motivo di pregiudizio all'imparzialita del giudice derivi da sue attivita' compiute al di fuori del giudizio in cui e' chiamato a decidere - siano esse attivita' non giudiziarie o attivita' giudiziarie svolte in altro giudizio - si verte nell'ambito di applicazione non dell'istituto dell'incompatibilita' ma di quello dell'astensione e della ricusazione. A tale regola si e' conformata la giurisprudenza di questa Corte che, in numerose occasioni, ha operato un'estensione dei casi di incompatibilita' a una serie di ipotesi attinenti a previe attivita' tipiche compiute dal giudice nel medesimo giudizio penale. Un'apparente eccezione alla regola secondo la quale l'incompatibilita' opera esclusivamente entro i confini del medesimo processo penale e' rappresentata dalla sentenza n. 371 del 1996. Tale pronuncia e' giustificata dalla particolarita' della fattispecie in quell'occasione esaminata, essendosi trattato dell'effetto pregiudicante - che la Corte inquadro' nell'ambito delle cause d'incompatibilita' del giudice - da riconoscersi alle valutazioni in ordine alla sussistenza di responsabilita' penale di un soggetto sottoposto a giudizio separato, valutazioni espresse dal giudice in una sentenza resa relativamente a soggetti imputati per lo stesso fatto storico ascritto al primo e commesso in concorso. In tale specifica situazione facilmente puo' ritenersi che alla pluralita' formale di procedimenti penali corrisponda tuttavia l'unicita' sostanziale della vicenda portata a giudizio. Ond'e' che la segnalata sentenza n. 371 del 1996 puo' ritenersi un'eccezione - rispetto alla costante giurisprudenza di questa Corte circa l'ambito di operativita' dell'istituto dell'incompatibilita' del giudice nel processo penale - soltanto, per l'appunto, formalmente ma non sostanzialmente (sentenze nn. 307 e 308 del 1997). 2.4. - L'anzidetto criterio di classificazione delle situazioni pregiudicanti nell'ambito dell'incompatibilita' o dell'astensione e della ricusazione comporta l'impossibilita' di seguire il giudice rimettente nella sua richiesta di una pronuncia di incostituzionalita' dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen. tale da estendere l'incompatibilita' alla situazione di pre-giudizio verificatasi nella specie. Manca l'identita' del procedimento, ne' sarebbe invocabile la ratio particolare che sta alla base della sentenza n. 371 del 1996, essendo pacifiche - tanto nella giurisprudenza di legittimita' quanto in quella costituzionale: da ultimo sentenze n. 193 del 1997 e n. 48 del 1994 e ordinanza n. 275 del 1996 - le essenziali differenze, quanto a presupposti e finalita', che separano il processo penale (e in esso i procedimenti cautelari) dal processo di prevenzione, pur se quest'ultimo si trovi ad essere modellato sulle forme del primo. Ond'e' che, nella specie, deve ritenersi che le valutazioni pregiudicanti e quelle pregiudicate sono ascrivibili a distinte vicende processuali. Tale conclusione e' poi rafforzata dalla considerazione, che e' propria dello stesso giudice rimettente, secondo la quale il fattore pregiudicante della sede di prevenzione, nella specie, non dipenderebbe dalla precedente attivita' di giudizio come tale, svolta nella sede dell'incidente cautelare nel processo penale. Dipenderebbe invece dalla circostanza specifica e concreta dell'identita' dei presupposti di fatto sui quali il tribunale, nell'una e nell'altra veste, si e' trovato e si trova ora a dover decidere. Il che conferma che non si e' in presenza di un'incompatibilita' di funzioni in astratto, riportabile alla logica dell'art. 34 cod. proc. pen. 3. - La questione deve pertanto essere dichiarata inammissibile. Con l'ovvia, conseguenziale avvertenza tuttavia che, qualora una situazione carente dal punto di vista dell'imparzialita' non potesse trovare soluzione alla stregua degli artt. 36 e 37 cod. proc. pen., quali attualmente vigenti, potrebbe aprirsi la via per un'ulteriore, ma diversamente impostata, questione di legittimita' costituzionale.