LA CORTE DEI CONTI
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  giudizio sul ricorso
 iscritto n. 3857/M, del registro di segreteria, proposto dalla sig.ra
 Iacobbe Sabatina, rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Ada  Tuozzi  e
 domiciliata  presso  lo  studio  di  quest'ultima  in Roma,   via del
 Viminale, 43, avverso il provvedimento 13 gennaio 1989  della  D.P.T.
 di  Bari,  di  diniego  del ripristino della pensione privilegiata di
 riversibilita' derivatale dal  defunto  marito  Montrone  Renato,  ex
 allievo sottufficiale di complemento;
   Visto  il  ricorso  iscritto dapprima al n. 0131813 del registro di
 segreteria della sopressa IV sezione centrale e successivamente al n.
 3857/M della segreteria di questa sezione;
   Visti gli atti e i documenti della causa;
   Uditi nella pubblica udienza del 24 maggio 1996, il relatore, nella
 persona del consigliere  dott.  Nicola  Rana,  ed  il  dott.  Michele
 Balducci per l'amministrazione del tesoro.
   Ritenuto e considerato in
                            Fatto e diritto
   Con il ricorso proposto il 16 marzo 1989 alla soppressa IV sezione,
 pensionistica  centrale  per  il  tramite  dell'avv.ssa  Ada Tuozzi e
 riassunto davanti a questa Sezione dalla  Direzione  provinciale  del
 tesoro  di  Bari  con  istanza del 19 gennaio 1996, la sig.ra Iacobbe
 Sabatina  ha impugnato il provvedimento 13 gennaio 1989, con il quale
 la D.P.T.   predetta  le  ha  negato  il  ripristino  della  pensione
 privilegiata di riversibilita' che le era stata concessa quale vedova
 di  Montrone  Renato,  ex allievo sottufficiale di complemento, e poi
 revocata a seguito del  suo  matrimonio  con  Montrone  Vincenzo.  La
 domanda  di ripristino ed il ricorso avverso il suo rigetto si basano
 sulla considerazione che, essendo deceduto anche il  secondo  marito,
 deve  rivivere  il diritto alla pensione derivato alla ricorrente dal
 primo marito, in quanto la ratio della soppressione a  seguito  delle
 seconde  nozze  dovrebbe  rinvenirsi  non nelle nozze in se stesse ma
 nell'implicito riferirsi della norma ablatoria  (l'art.  81,  settimo
 comma,  del  d.P.R.  29  dicembre 1973 n. 1092 - T.U. delle norme sul
 trattamento di quiescenza  del  personale  civile  e  militare  dello
 Stato)  al  possesso  da  parte  del  secondo  marito  di  un reddito
 assoggettabile alla relativa imposta diretta. Dimodoche',  una  volta
 venuto  meno  lo  stato  di nuova coniugata a seguito della morte del
 secondo marito che lasci la vedova completamente priva  di  mezzi  di
 sostentamento  (come  si  assume  esssere  accaduto  nel  caso  della
 Iacobbe), il beneficio andrebbe ripristinato. La controversia pone in
 evidenza profili di legittimita' costituzionale del citato  art.  81,
 comma  settimo,  del  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
 1092/1973, per le ragioni di seguito  esposte.  La  norma  -  che  si
 applica   anche   alla  pensione  privilegiata  ordinaria  in  virtu'
 dell'assimilazione dei due  trattamenti  a  questi  fini,  desumibile
 dagli  artt.  160,  e  189  dello stesso decreto del Presidente della
 Repubblica n. 1092/1973  -  dispone  la  perdita  della  pensione  di
 riversibilita'   in  caso  di  nuove  nozze  del  beneficiario  senza
 subordinare l'effetto decadenziale ad  alcuna  verifica,  tanto  meno
 alla stima delle condizioni economiche del nuovo coniuge.
   La necessita' di una verifica del genere e' stata affermata, per la
 verita', dalla Corte costituzionale nella sentenza 27 giugno-8 luglio
 1975,  n.  184,  ma  contrariamente  a  quanto  mostra di ritenere la
 ricorrente,  l'affermazione  non  si  estende  a  tutte  le   ipotesi
 possibili di attribuibilita' della pensione al coniuge superstite del
 titolare diretto del rapporto con l'amministrazione, bensi' alla sola
 ipotesi  della vedova (o del vedovo) di guerra, cioe' del coniuge del
 mutilato o invalido di guerra che sia deceduto in  conseguenza  della
 stessa  mutilazione o invalidita' riconosciuta dipendente dalla causa
 di guerra, come  chiarito  dalla  stessa  Corte  costituzionale,  con
 sentenza 6 luglio 1989 n. 375.
   Nell'ipotesi   predetta  non  si  versa  in  tema  di  pensione  di
 riversibilita' bensi' di pensione indiretta, nel senso che il coniuge
 superstite ottiene il trattamento pensionistico non a titolo derivato
 dal coniuge che la godeva o avrebbe avuto diritto a  goderla,  bensi'
 iure proprio ed a titolo risarcitorio. E su questa linea, infatti, si
 muove l'art.  42 del d.P.R. 23 dicembre 1978 n. 915, che, modificando
 la   precedente   normativa   pensionistica   di   guerra  dichiarata
 incostituzionale con la   citata  sentenza  n.  184/1975,  limita  la
 possibilita'  per l'amministrazione di non concedere o di revocare la
 pensione in caso di nuove nozze del  coniuge  superstite  all'ipotesi
 del  possesso  da  parte  del nuovo marito di un reddito di una certa
 entita', ma la disposizione riguarda esclusivamente  la  pensione  di
 guerra  indiretta,  cioe'  quella  spettante,  come  si  e' visto, ai
 cosiddetti  "vedovi  di guerra". Dimodoche', anche per le pensioni di
 guerra e' rimasta ferma la perdita automatica ed incodizionata  -  in
 caso  di  nuove  nozze  -  della pensione di reversibilita', cioe' di
 quella che deriva al coniuge superstite del mutilato  o  invalido  di
 guerra  che  sia deceduto per causa diversa da quella che determinato
 la mutilazione o l'invalidita' riconosciuta dipendente dalla  guerra.
 Tale  differente  trattamento e' stato sin qui riconosciuto legittimo
 dalla Corte costituzionale e spiegato, come dianzi accennato, con  la
 funzione risarcitoria della pensione indiretta, rispetto a quella, di
 ordine  meramente  naturale ed etico, che ha indotto il legislatore a
 concedere la riversibilita' della  pensione  agli  aventi  causa  del
 pensionato  di  guerra  (cfr.,  in tal senso, Corte costituzionale n.
 186 del 1985 e 375 del 1989, gia' citata).
   Ne discende che, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente,
 la sua  situazione  non  e'  equiparabile,  alla  luce  della  citata
 giurisprudenza  costituzionale,  a quella della vedova di guerra come
 sopra definita, ma, se mai, a quella della vedova del  pensionato  di
 guerra  deceduto  per  causa  non  riferibile a quest'ultima: l'una e
 l'altra vedova, infatti, conseguono non la  pensione  indiretta  iure
 proprio,   bensi'   quella  di  riversibilita',  cioe'  derivata  dal
 beneficio goduto in vita dal marito. Ed entrambe, in  caso  di  nuove
 nozze,  la  perdono senza alcuna verifica delle condizioni di reddito
 del nuovo marito, e, quindi, automaticamente  ed  incondizionatamente
 (per  le  vedove  del  pensionato  di guerra si veda l'art. 51 ultimo
 comma del decreto del Presidente della Repubblica n.  915/1978),  ma,
 come si e' visto, la Corte costituzionale ha sinora escluso in radice
 qualsiasi illegittimita' o arbitrarieta' di tale trattamento rispetto
 a quello riservato alla vedova di guerra.
   Nel  sistema  si  e' verificato, tuttavia, un quid novi per effetto
 della  sentenza  26-30  luglio  1993,  n.  361,  che  ha   dichiarato
 incostituzionale  il  citato art. 42 del decreto del Presidente della
 Repubblica n.  915/1978 nella parte in cui stabiliva che la vedova di
 militare deceduto per causa bellica perde il diritto  a  pensione  se
 contrae  nuove  nozze con   chi fruisca di un reddito superiore ad un
 certo limite. Il quid novi sta dunque nel fatto che il giudice  delle
 leggi  ha  ritenuto  irragionevole,  e quindi rimosso, l'unico limite
 frapposto dall'ordinamento alla conservazione della pensione da parte
 della vedova di guerra che contragga  nuove  nozze.  Cio'  significa,
 peraltro,  che  dopo la citata sentenza della Corte costituzionale n.
 361/1993, tra la vedova titolare di pensione indiretta di guerra e la
 vedova  cui  e'  stata  concessa  la  riversibilita'  della  pensione
 privilegiata  di  servizio  corre la seguente concreta differenza: la
 prima puo' risposarsi senza perdere il diritto a pensione anche se il
 nuovo marito gode di  una  vera  e  propria  ricchezza;  la  seconda,
 invece,  non  puo' risposarsi, se non a costo di perdere la pensione,
 anche qualora il nuovo marito versi nella piu' assoluta indigenza.
   Tale constatazione induce  questo  giudice  a  sollevare  d'ufficio
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 81, comma settimo,
 del  decreto  del  Presidente della Repubblica n. 1092/1973, in primo
 luogo sotto il  profilo  dell'irragionevolezza  della  situazione  di
 assoluto disfavore in cui e' venuta a trovarsi la ricorrente rispetto
 alla  situazione  di  assoluto  favore  in cui verrebbe a trovarsi in
 condizioni uguali una  vedova  di  guerra.  L'irragionevolezza  della
 norma  la pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, ne' tale
 contrasto  sembra  attenuarsi  per  il  fatto che la situazione della
 ricorrente non e' dissimile, come si e' visto, da quella della vedova
 del pensionato di guerra.
   Non sembra, infatti, che le ragioni  che  hanno  indotto  la  Corte
 costituzionale,  nelle  citate  sentenze  n.  186/1985  e 375/1989, a
 giustificare la differenza di trattamento tra la vedova di  guerra  e
 la  vedova  del  pensionato  di  guerra - e cioe' la titolarita' iure
 proprio  della  pensione  da  parte  della  prima  ed  il   carattere
 risarcitorio  della  pensione medesima - siano sufficienti a spiegare
 una differenza di trattamento divenuta cosi' netta, per effetto della
 sentenza n.  361/1993,  da  radicare  una  contrapposizione  dell'una
 situazione  all'altra, posto che a fronte di un favore ormai pieno ed
 assoluto per la vedova  di  guerra  sembra  collocarsi  un  disfavore
 altrettanto  pieno  ed  assoluto  per  la  vedova del titolare di una
 pensione privilegiata di servizio.
   La contrapposizione appare tanto piu' irrazionale dal  momento  che
 la   pensione   privilegiata  ordinaria  non  presenta  un  contenuto
 meramente equitativo, non mancando, nella sua stessa attribuzione  in
 favore  del dipendente, il fine di ripagarlo delle menomazioni subite
 e del disagio economico che ne e' a lui derivato, in termini di spese
 mediche da sostenere, in  via  continuativa  nonche'  in  termini  di
 minore  capacita' lavorativa e produttiva, con effetti negativi anche
 per il coniuge ed  i  figli,  attesa  la  sua  ridotta  capacita'  di
 accumulare  risparmio  e  beni  duraturi. Di conseguenza, la pensione
 privilegiata, in virtu' degli esposti suoi aspetti risarcitori del de
 cuius e, indirettamente, anche del coniuge e dei  figli,  non  sembra
 che  venga  riversata  a  questi  ultimi a titolo di mera concessione
 bensi' a titolo di conservazione della sua funzione di  compensazione
 del  mancato accumulo   di risparmio e di beni da parte del de cuius.
 Dimodoche', l'aver previsto la decadenza della pensione  privilegiata
 della vedova che si risposi, per il solo fatto di risposarsi, e senza
 subordinare tale effetto decadenziale quanto meno alla verifica delle
 condizioni  economiche  del  nuovo  marito  appare  anche socialmente
 ingiusto e irrazionale e, quindi, anche per  questo  aspetto,  l'art.
 81,  comma  settimo,  del  decreto del Presidente della Repubblica n.
 1092/1973 si pone  in  contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione
 nonche'  in  contrasto  con  gli artt. 29 e 31 della Costituzione che
 tutelano le basi morali ed economiche su  cui  si  costituisce  e  si
 regge  la  famiglia, anche oltre il venir meno dei singoli componenti
 che abbiano contribuito a fondarla.
   Gli  esposti  profili  di   incostituzionalita'   oltre   che   non
 manifestamente  infondati  appaiono  altresi'  rilevanti  ai fini del
 decidere, ancorche' il ricorso non sia inteso a rimuovere  ab  initio
 la  perdita  della  pensione  a  seguito  delle  nuove nozze (aspetto
 quest'ultimo non piu'  azionabile  dalla  ricorrente  in  quanto  non
 tempestivamente  gravatasi  avverso  il  provvedimento adottato a suo
 carico successivamente alle  nozze  stesse,  contratte  il  7  giugno
 1984),   bensi'   al   ripristino  del  beneficio  in  considerazione
 dell'intervenuto decesso del secondo marito.
   Appare invero evidente che l'impossibilita' del ripristino opposta
  dall'amministrazione si basa sulla perdita del trattamento  a  causa
 delle    seconde  nozze, e, quindi, sul protrarsi degli effetti della
 norma ablatoria nonostante  il  ritorno  del  ricorrente  allo  stato
 vedovile.    Il  che  attualizza  gli  effetti negativi della norma a
 carico  della  ricorrente  medesima,  e  quindi  ne  rende  attuale e
 rilevante, in rapporto alla  domanda,  la  verifica  di  legittimita'
 costituzionale alla luce dei dubbi prospettati.
   D'altro  canto,  il fatto che la ricorrente agisce nel riacquistato
 stato vedovile induce ad ulteriori  dubbi  di  costituzionalita'  nei
 riguardi  dell'art.  81,  comma  settimo,  del decreto del Presidente
 della Repubblica n. 1092/1973.
   La norma, infatti, nulla prevedendo  in  rapporto  all'eventualita'
 del  riacquisto  di  detto  stato,  rende  la  perdita della pensione
 definitiva e irreversibile. Cio'  appare  irrazionale,  e  quindi  in
 contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione,  sia  in se', perche'
 equivale a mantenere in  vita  una  incompatibilita'  ex  lege  anche
 quando  ne  e'  cessato  il  presupposto,  sia  per  il  carattere di
 punitivita'  che  cosi'  assume   la   norma   stessa,   tanto   piu'
 incomprensibile  in  quanto  su  questa via si perviene ad attribuire
 alle nuove  nozze  un  valore  negativamente  discriminatorio,  senza
 neppure   subordinare   il  perpetuarsi  dell'effetto  negativo  alla
 verifica delle condizioni economiche, della vedova (o del vedovo) del
 pensionato dopo il decesso del secondo, coniuge.  Il che si  traduce,
 altresi',  in  un  implicito  incentivo delle unioni libere a scapito
 della formazione della  famiglia  legittima,  per  cui  si  profilano
 ulteriori  motivi  di  contrasto  della norma di cui trattasi con gli
 artt. 29 e  31,  della  Costituzione,  nonche'  ulteriori  motivi  di
 contrasto  con l'art. 3, essendo palese la disparita' del trattamento
 riservato alla vedova del titolare di pensione  privilegiata  che  si
 risposi rispetto alla vedova del pensionato che si giovi dei vantaggi
 di  un'unione libera, senza perdere per questo la pensione derivatale
 dal de cuius.