IL TRIBUNALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al
 n.  266/91  r.g.a.c.,  passata  in  decisione  alla  pubblica udienza
 collegiale del 12 dicembre 1995,  vertente  tra    Bevacqua  Cristina
 Giovanna in Nostro, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Arico',
 con  studio  in  via  Miraglia,  19  (c/o Albanese) - Reggio Calabria
 attrice, contro comune di Villa S. Giovanni, in persona  del  sindaco
 pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Alfredo Caracciolo, con
 studio in via Cairoli, 22 - Reggio Calabria, convenuto.
                           Rilevato in fatto
   Con  decreto  del  24  marzo  1980  il sindaco di Villa S. Giovanni
 autorizzava l'occupazione d'urgenza di una porzione di mq 2.405 di un
 appezzamento di proprieta' della sig.ra  Bevacqua  Cristina  Giovanna
 dell'estensione  complessiva  di  circa mq 3.660 riportato nel N.C.T.
 alla partita 235 e distinto, nell'insieme dalle particelle 120 e  130
 del  foglio  4  di  mappa,  per l'esecuzione di lavori di costruzione
 della scuola media di Cannitello.
   Il 21  aprile  1980  si  procedeva  alla  materiale  immissione  in
 possesso e veniva accertato lo stato di consistenza.
   Con decreto del presidente della giunta calabra n. 368 del 16 marzo
 1981  veniva deterininata in L. 10.695.900 l'indennita' provvisoria e
 di acconto.
   La proprietaria del suolo occupato con lettera del  6  giugno  1981
 dichiarava  al sindaco  di Villa S. Giovanni essere disposta a cedere
 bonariamente l'immobile per il prezzo offertole aumentato del 50%  ai
 sensi della legge n. 865/1971.
   A seguito di tale dichiarazione il comune di Villa S. Giovanni, con
 provvedimento  della  g.m.  n. 613 del 9 novembre 1981, deliberava di
 provvedere  al  pagamento  del  suolo  occupato  e  delle  pertinenze
 insistentivi   nella   misura  di  complessive  L.  13.582.025  e  di
 corrispondere tale somma dopo la formalita' della  stipula  dell'atto
 di cessione.
   Con  atto  di  citazione  notificato  il 14 febbraio 1991 la sig.ra
 Bevacqua Cristina Giovanna iniziava la presente causa  nei  confronti
 del comune di Villa S. Giovanni. Premesso che il convenuto non si era
 attivato  ai  fini  dell'adempimento  della  formalita' della stipula
 dell'atto di cessione dei beni occupati e che aveva eseguito i lavori
 progettati occupando un'area maggiore di quella oggetto  del  decreto
 di  occupazione d'urgenza, senza peraltro che fosse stato emanato nel
 frattempo il decreto di esproprio definitivo, l'attrice  chiedeva  il
 risarcimento  dei  danni per l'occupazione illegittima oltre ai danni
 subiti per il residuo fondo  non  piu'  utilizzabile  a  seguito  dei
 lavori   nonche'   il   pagamento   dell'indennita'  per  il  periodo
 dell'occupazione legittima.
   Il     convenuto,     costituitosi     in     giudizio,    eccepiva
 l'inammissibilita' dell'azione ritenendo ancora in vita l'accordo  di
 cessione.  ancorche'  non    formalizzato  a  causa della illegittime
 pretese  della  sig.ra  Bevacqua  la  quale  avrebbe  posto  fine  al
 procedimento espropriativo.
   In  comparsa conclusionale, inoltre, il comune di Villa S. Giovanni
 eccepiva  l'avvenuta   prescrizione   quinquennale   dell'azione   di
 risarcimento dei danni da occupazione appropriativa.
   A   seguito   dei  sopralluoghi  effettuati  nell'ottobre  1991  il
 consulente  tecnico  d'ufficio  nominato  nel  corso   del   giudizio
 accertava  che  il  fondo  dell'attrice  era  stato irreversibilmente
 trasformato  con  la  realizzazione  dell'opera  pubblica,  che  tale
 irreversibile  trasformazione rigardava un'area di mq 2.470 (65 mq in
 piu'  rispetto  alla  superficie  cui  si  riferiva  il  decreto   di
 occupazione  d'urgenza)  e che la residua superficie della particella
 130 (270 mq) risultava inutilizzabile per la mancanza di una fonte di
 irrigazione e di un accesso adeguato.
   Precisate le conclusioni all'udienza  collegiale  del  12  dicembre
 1995 la causa veniva rimessa decisione.
                          Rilevato in diritto
   Secondo   l'ormai   consolidata   giurisprudenza   della  Corte  di
 cassazione  l'occupazione  illegittima  del  suolo   privato   e   la
 costruzione   su   di  esso  di  un'opera  da  parte  della  pubblica
 amministrazione, determinato, per limpossibilita' della  restituzione
 al proprietario (cui segue l'effetto dell'acquisto dell'immobile alla
 mano  pubblica)  un  danno  nella  sfera giuridica del privato la cui
 azione per il conseguimento del valore ha natura  risarcitoria  (cfr.
 Cass.  s.u.  25  novembre  1992, n. 12546). Da tale ricostruzione del
 fenomeno della c.d. occupazione acquisitiva  e  della  corsequenziale
 disciplina   questo   tribunale  non  ritiene  di  discostarsi  nella
 decisione del caso de-quo.
   In  particolare  con  riferimento  specifico  a  quest'ultimo  deve
 ritenersi certamente illegittima l'occupazione del suolo della sig.ra
 Bevacqua in quanto effettuata sine titulo visto che alla scadenza del
 termine   di  occupazione  d'urgenza  non    e'  seguito  il  decreto
 definitivo di  esproprio  e  l'opera  pubblica  e'  stata  realizzata
 irreversibilmente.
   Non   pare   attendibile  l'affermazione  del  convenuto  circa  la
 perdurante  sussistenza  dell'accordo  di  cessione  volontaria   con
 l'attrice.
   Invero,  a parte la circostanza, rilevabile chiaramente dagli atti,
 che  taie  "accordo"  mai   e'   stato   regolarizzato   formalmente,
 richiedendo  la  legge la forma scritta ad substantiam, in realta' ne
 par dubbia la stessa esistenza.
   Perche' possa  parlarsi  di  accordo  in  termini  contrattuali  e'
 necessario che proposta ed accettazione coincidano pienamente, il che
 non  e'  nel  caso  che  ci  riguarda  atteso  che la sig.ra Bevacqua
 chiedeva che al prezzo offerto dalla pubblica amministrazione venisse
 aggiunta una ulteriore somma quale corrispettivo per il maggior suolo
 occupato.
   Anche l'eccezione di prescrizione sollevata dal comune di Villa San
 Giovanni non sembra fondata.
   Secondo  l'orientamento   della   Cassazione   prevalente   qualora
 l'irreversibile  trasformazione  del  suolo  sia  avvenuta durante il
 periodo di legittima occupazione e' solo al  momento  della  scadenza
 del  relativo  termine  che si verificano gli effetti dell'accessione
 invertita.
   Nel  caso  che  ci  occupa, tale termine non e' quello previsto nel
 decreto di occupazione d'urgenza e cioe' marzo 1985, bensi marzo 1986
 vista l'automatica  operativita'  sul  provvedimento  suddetto  della
 proroga  di  cui all'art. 1, comma 5-bis decreto-legge n. 901/1984 il
 quale  rende  in  maniera  diretta  ed  immediata  sui   termini   di
 occupazione termporanea determinati dall'autorita' ammistrativa (cfr.
 Cas. I sez. 23 febbraio 1995, n. 2062).
   Considerato  che  l'atto  di  citazione  e'  stato notificato il 14
 febbraio 1991 deve escludersi, dunque, l'avvenuta prescrizione.
   Ritenuto pertanto, che nella  controversia  de-qua  dovrebbe  farsi
 applicazione  della norma di cui all'art. 1, comma 65, della legge 28
 dicembre 1995, n. 549, entrata in vigore nelle more tra l'udienza  di
 discussione e la presente decisione:
     che   l'applicazione   della  norma  predetta  (e  quindi,  delle
 disposizioni di cui all'art. 5-bis del d.-l. 11 luglio 1992, n.  333,
 convertito,  con  modificazioni,  dalla le 8 agosto 1992, n. 359, del
 quale la stessa ha sostituito il comma 6) anche nei giudizi  pendenti
 consegue  all'espressa  previsione  contenuta  nella  norma della sua
 applicazione in tutti i casi in cui "non sono  stati  determinati  in
 via   definitiva   il   prezzo,  l'entita'  dell'indennizzo  e/o  del
 risarcimento del danno ...";
     che,  appunto,  nel  caso  di  specie  trattasi  di   determinare
 giudizialmente   l'entita'   del  risarcimento  del  danno  spettante
 all'attrice per l'occupazione illegittima di cui sopra;
     che, a seguito dell'entrata in vigore della norma di cui all'art.
 1, comma 65, della legge n. 549/1995, il tribunale dovrebbe  adottare
 per  la  liquidazione  dei  danni  di  cui  l'attrice  ha  chiesto il
 risarcimente i criteri, gia' dettati per il  calcolo  dell'indennita'
 di  espropriazione,  di  cui  all'art.  5-bis  del  decreto-legge  n.
 333/1992 succitato, piuttosto che quello, seguito in precedenza,  del
 valore venale del bene;
     che   e',   quindi,   rilevante   la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, comma 65, della legge 28  dicembre  1995,
 n. 549, cosi' come sostitutivo del comma 6 dell' art. 5-bis del d.-l.
 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, dalla legge  8
 agosto  1992,  n.  359,  che  il  collegio ritiene di dover esaminare
 d'ufficio a norma dell'art. 23, terzo comma,  della  legge  11  marzo
 1953, n.  87;
   Ritenuto altresi':
     che,  secondo  la ricostruzione de|la fattispecie dell'accessione
 invertita  (o  occupazione  acquisitiva),  l'acquisto  in  capo  alla
 pubblica   amministrazione      "del   nuovo  bene  risultante  dalla
 trasformazione del precedente si configura ... come  una  conseguenza
 ulteriore,  eziologicamente  dipendente  non  dall'illecito  ma dalla
 situazione  di  fatto  -  realizzazione   dell'opera   pubblica   con
 conseguente  non  restituibilita'  del  suolo in essa incorporata che
 trova il suo antecedente storico nella illecita occupazione  e  nella
 illecita  destinazione  del fondo alla costruzione dell'opera stessa"
 (Corte cost. 17-23 maggio 1995, n. 188), sicche' l'intera fattispecie
 viene attratta nell'ambito  dell'illecito,  nel  quale  la  somma  di
 denaro che la p.a. e' tenuta a pagare al privato in conseguenza della
 perdita   da  lui  subita  "costituisce  non  gia'  controvalore,  ma
 reintegrazione  patrimoniale  a  titolo risarcitorio di cui il valore
 del bene non e' che un parametro di determinazione" (Corte cass. s.u.
 1254, 6/1992 cit.);
     che, pertanto, la fattispecie in esame e'  assolutamente  diversa
 da  quella  dell'espropriazione di aree edificabili (cfr. Corte cost.
 16 dicembre 1993, n. 442), la quale presuppone,  invece,  che  l'ente
 espropriante  abbia  seguito  un  procedimento legittimo, in esito al
 quale  soltanto  e'  consentita  la  corresponsione  al  privato   di
 un'indennita'  che, seppure congrua, seria, adeguata, puo' non essere
 esattamente commisurata al valore venale del bene;
     che la diversita' tra  le  fattispecie  e'  resa  evidente  dalla
 circostanza   che  nel  caso  dell'espropriazione  l'ordinamento  non
 reagisce ad un danno, da risarcire, ma tende a  garantire  un  giusto
 corrispettivo  al  soggetto  che  si  e'  visto  sottrarre un proprio
 diritto per i motivi d'interesse generale sottesi all'espropriazione;
     che, viceversa, nell'ipotesi dell'occupazione acquisitiva  vi  e'
 l'esigenza  di  reagire  ad un fatto che deterinina una lesione della
 sfera giuridica  individuale,  considerata  sotto  il  profilo  della
 lesione  della  proprieta',  e  che  e'  illecito  perche'  posto  in
 "violazione - certamente consapevole - delle norme  che  stabiliscono
 in  quali  casi e con quali procedimenti la proprieta' di un immobile
 privato puo' essere autoritativamente  sacrificata  per  esigenze  di
 pubblico  interesse,  ai  sensi  dell'art.  42,  terzo  comma,  della
 Costituzione,  nonche'  delle  norme  che  consentono  la  temporanea
 compressione  della  facolta'  di  godimento dei beni privati" (Corte
 cass. s.u. 26 febbraio 1983, n. 1464  );  pertanto,  il  risarcimento
 risponde  in  tale  caso alla finalita' tradizionale di compensazione
 pecuniaria di danni patrimoniali e quindi  la  relativa  liquidazione
 dovrebbe rispettare la regola dell'equivalenza tra danno  cagionato e
 danno da risarcire;
     che  la  norma  di  cui  all'art.  1,  comma  65,  della legge n.
 549/1995, equiparando  effetti economico-patrimoniali  della  perdita
 del  bene  per  fatto  illecito a quelli dell'espropriazione secundum
 legem&d,  appare  illegittima  per  violazione  della  norma  di  cui
 all'art. 3, primo comma, della Costituzione sia perche', in contrasto
 col principio di ragionevolezza, si vengono a trattare in modo uguale
 situazioni   diverse,  sia  perche'  il  legislatore  attribuendo  al
 rapporto  la  qualificazione  giuridica  propria  dell'illecito,  nel
 presupposto  che  esso corrisponda nella sua sostanza a quello (tanto
 e' vero che fa espresso riferimento al "risarcirnento del  danno"  in
 aggiunta  ed in alternativa all'indennizzo), finisce per assoggettare
 il rapporto cosi' qualificato ad una disciplina ompletamente diversa,
 qual'e'  quella  dettata  in  materia  di  espropriazione   di   aree
 edificabili,   con   l'ulteriore   ingiustificata  sperequazione  che
 identiche saranno le conseguenze per l'ente espropriante  che  faccia
 ricorso  ad  un  legittimo  procedimento  espropriativo  e quello che
 invece ponga in essere un'attivita' illecita;
     che la questione di legittimita' costituzionale  della  norma  in
 discorso nemmeno appare manifestamente infondata con riferimento alla
 norma  di  cui all'art. 42, terzo comma della Costituzione, in quanto
 vanifica la limitazione, contenuta  in  tale  norma,  del  potere  di
 esproprio  della  p.a. ai soli casi previsti dalla legge: ed, invero,
 sebbene  sia  possibile  la  coesistenza  nell'ordinamento   di   una
 pluralita'  di  modelli espropriativi, tuttavia perche' all'integrale
 ristoro    del    sacrificio   subito   dal   privato   per   effetto
 dell'espropriazione possa sostituirsi l'indennizzo (cosi' come  ormai
 univocamente  inteso nel senso di congruo ristoro) e' necessario, per
 il disposto della norma costituzionale suddetta,  che  l'ipotesi  sia
 legislativamente  configurata  in  conformita' allo schema traslativo
 presupposto da tale norma;
   Ritenuto infine:
     che effettivamente non e' precluso  al  legislatore,  nell'ambito
 della  figura  generale del risarcimento, derogare al principio della
 riparazione integrale del danno sofferto (di cui all'art.  1223  cod.
 civ.,  richiamato,  per  i  fatti illeciti, dall'art. 2056 cod. civ.)
 disponendo per  legge  il  limite  massimo  del  risarcimento  ovvero
 determinando legislativamente il quantum dovuto;
     che  tuttavia la deroga al regime ordinario nella fattispecie che
 ci  occupa  appare  di   dubbia   legittimita'   costituzionale   con
 riferimento  alla  norma di cui all'art. 3, primo comma, nonche' alla
 disciplina  di  cui  all'art.  42,  secondo  e  terzo  comma,   della
 Costituzione,  dal  momento che, prevedendo l'ordinamento un apposito
 procedimento nell'ambito del  quale  va  operata  la  mediazione  tra
 l'interesse generale sotteso a1l'espropriazione e l'interesse privato
 espresso  dalla  propriteta'  privata,  quando  la  p.a.  si trova ad
 operare al di fuori di tale procedimento, mentre e'  compatibile  con
 la   disciplina   suddetta   il  mancato  adempimento  della  pretesa
 restitutoria (in attuazione  della funzione sociale della proprieta':
 cfr.   Corte  cost.  31  luglio  1990,  n.  384),  non  trova  alcuna
 ragionevole  giustificazione la mancata integrale tutela risarcitoria
 ed invero, in tale caso la completa  ed  adeguata  valutazione  degli
 interessi  in  gioco  presuppone  l'integrale  risarcimento del danno
 subito dal privato, risolvendosi la diversa soluzione legislativa  in
 un'ulteriore  limitazione  apportata  alla  proprieta' privata che si
 traduce - non essendo finalizzata ad assicurare la funzione sociale
  (cfr. art. 42, secondo comma della Costituzione) ed operando  al  di
 fuori di una procedura espropriativa (cfr. art. 42, terzo comma della
 Costituzione) - in un'ingiustificata compressione del diritto;
     che tale ragionevolezza e' ancora piu' evidente ove si compari la
 posizione  di  chi  subisce  l'occuazione  acquisitiva con quella del
 proprietario del suolo su cui venga costruito l'altrui edificio (art.
 938  c.c.):  a  prescindere,  infatti,  dal   quamtum   spettante   a
 quest'ultimo  - di sicuro non esestensibile a fattispecie simili - e'
 pur vero che   il fenomeno   dell'accessione  invertita,  contemplato
 appunto  dall'art.  938  c.c.  e    posto  a  fondamento della stessa
 occupazione acquisitiva, importa un integrale ristoro del pregiudizio
 economico sofferto dall'originario proprietario, e che  tale  ristoro
 e'  invece  escluso in radice - e per definizione - della norma della
 cui legittimita' costituzionale si dubita;
   Ritenuta pertanto la non manifesta infondatezza della questione  di
 illettimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma 65, della legge 28
 dicembre 1995, n. 549, cosi' come sostitutivo del  comma  6  dellart.
 5-bis  del  decreto-legge  11  luglio  1992,  n. 333, convertito, con
 modificazioni, dalla legge 3 agosto 1992, n. 359, per  contrasto  con
 l'art.  3, primo comma, e con l'art. 42, secondo e terzo comma, della
 Costituzione: