IL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI
   Ha   emesso   la  seguente  ordinanza,  esaminata  la  richiesta  -
 presentata dal pubblico ministero sede, dott. Paolo Itri, il 14 marzo
 1998 -, di applicazione di misure coercitive custodiali nei confronti
 del VI, VII, VIII  e  IX  indagato  qui  appresso  indicati,  (ed  in
 particolare  la custodia in carcere per il VI, VII e IX e gli arresti
 domiciliari per l'VIII):
     1) Chiacchio Umberto;
     2) Chiacchio Eduardo;
     3) Annunziata Giuseppe;
     4) Vito Gaetano;
     5) Pagano Aldo Franco;
     6)  Squame  Giovanni, nato a Napoli il 7 ottobre 1936 e residente
 ad Ottaviano (Napoli), alla via Lucci n. 7;
     7) Iovane Guglielmo, nato ad Angri (Salerno) il 1 agosto 1943  ed
 ivi residente alla via Mastrogennaro n. 3;
     8) De Luca Amerigo, nato a Napoli il 26 novembre 1962 e residente
 a Giugliano (Napoli) alla via Ripuaria n. 249;
     9)  Annunziata  Ciro,  nato  a  Napoli il 13 dicembre 1952 ed ivi
 residente alla via Nicolardi n. 224,
 in relazione ai seguenti reati:
   Tutti:
     a) delitto p. e p. dagli artt. 81 c.p.v., 110, 112, n. 1), 61, n.
 7), e 314, anche  in  relazione  all'art.  40,  comma  2,  cod.  pen.
 perche',  con piu' azioni ed omissioni esecutive del medesimo disegno
 criminoso ed in tempi diversi, agendo in  concorso  tra  loro  e  con
 altre  persone  da  identificare,  l'Annunziata  Giuseppe  nella  sua
 qualita' di sindaco del comune di Terzigno, il Vito quale  segretario
 generale,  il  Pagano Aldo Franco quale ragioniere capo, Iovane quale
 presidente del  Collegio  dei  revisori  dei  conti,  il  De  Luca  e
 Annunziata  Ciro quali componenti del predetto collegio, Squame nella
 sua qualita'  di  funzionario  del  CO.RE.CO.  di  Napoli  incaricato
 dell'istruttoria   in  ordine  al  controllo  di  legittimita'  delle
 delibere di approvazione dei conti consuntivi comunali 1993,  1994  e
 1995  si  appropriavano  - materialmente Chiacchio Umberto (nella sua
 qualita' di amministratore unico e legale responsabile della Italgest
 s.p.a., esercente il  servizio  di  tesoreria)  e  Chiacchio  Eduardo
 (quale   procuratore  speciale,  legale  rappresentante  e  direttore
 generale  della  predetta  societa')  o  comunque  consentivano  (non
 impedendolo   pur   avendone  l'obbligo  giuridico  per  legge,  atti
 amministrativi e contratto) ai predetti Chiacchio Umberto ed  Eduardo
 -  (che  ne  avevano  in  ragione del prestato servizio il possesso o
 comunque la materiale disponibilita') - di  appropriarsi  di  ingenti
 somme  di  denaro  di  pertinenza  dell'ente,  omettendo  ogni dovuto
 controllo sull'andamento e sulla gestione del servizio  di  tesoreria
 ed  in  particolare  i  primi tre, sia trascurando (nell'ambito delle
 rispettive qualita' e competenze) di richiedere  (in  ottemperanza  a
 quanto stabilito dall'art. 13 del contratto di appalto registrato con
 n.  rep.  685  del 13 febbraio 1995) la trasmissione della situazione
 giornaliera descrittiva delle riscossioni e dei pagamenti  effettuati
 dal  tesoriere,  sia  evitando  di  rilevare  (in  sede  di  verifica
 bimestrale di cassa a norma dell'art. 166 del r.d. 19 febbraio  1991,
 n.  297,  e successive modifiche ed integrazioni) i cospicui ammanchi
 di cassa sul conto di tesoreria unica e sui  conti  correnti  postali
 del  comune,  sia indebitamente trattenendo, l'Annunziata Giuseppe ed
 il Vito, a partire dall'intero esercizio finanziario 1996, i  modelli
 56T  della  Banca  d'Italia  e  comunque  trascurando di consegnare i
 predetti modelli al Collegio dei revisori dei conti, Iovane, De  Luca
 ed  Annunziata  Ciro  omettendo  di  esercitare la dovuta vigilanza -
 (secondo quanto stabilito dall'art. 57 della legge n. 142/1990, dagli
 artt. 64 e 105 del d.lgs. n. 77/1995) - sulla regolarita' contabile e
 finanziaria  della  gestione  dell'ente  ed  in  sede  di   verifiche
 ordinarie  di cassa esprimendo parere favorevole all'approvazione dei
 conti consuntivi 1993, 1994 e 1995, Squame Giovanni infine  omettendo
 di  far  rilevare,  in  sede  istruttoria  ed  esame  -  da parte del
 CO.RE.CO. - della legittimita' delle delibere del Consiglio  comunale
 di  approvazione  dei  detti conti consuntivi, i cospicui ammanchi di
 denaro determinati dalle quotidiane indebite appropriazioni di  somme
 operate  dall'Italgest  in assenza dei regolari prescritti mandati di
 pagamento  emessi  dal  comune  e  comunque  in  sistematica   aperta
 violazione  della  normativa  c.d.  di  tesoreria  unica,  tutto cio'
 facendo in modo  tale  da  non  far  emergere  i  predetti  ammanchi,
 ammontando  le somme sottratte in danno del comune di Terzigno ad una
 cifra quantificabile approssimativamente in L.  8.111.634.137  circa,
 piu'  interessi  per  lire  2  miliardi  e  trecento milioni circa, e
 rimanendo il fatto aggravato in ragione della rilevante gravita'  del
 danno arrecato all'ente.
   In Terzigno (Napoli) e Napoli dal 1993 fino al mese di marzo 1997.
   Iovane Guglielmo:
     b)  delitto p. e p. dagli artt. 61, n. 2, e 476 c.p., perche', al
 fine di assicurarsi l'impunita' del reato di cui al capo che precede,
 nella sua qualita' di presidente del Collegio dei revisori dei  conti
 del  comune  di Terzigno, nell'esercizio delle sue funzioni, alterava
 una copia originale della relazione al conto consuntivo  1993,  della
 quale   sostituiva  la  seconda  pagina  nella  parte  relativa  alla
 contabilita' dell'ente.
   In Terzigno  (Napoli),  reato  commesso  presumibilmente  nell'anno
 1997.
   Iovane Guglielmo, De Luca Amerigo ed Annunziata Ciro:
     c)  delitto  p.  e p. dagli artt. 61, n. 2, 81 c.p.v., 110 e 479,
 c.p., perche', al fine di assicurarsi l'impunita' del reato di cui al
 capo a), in concorso tra loro, Iovane quale presidente  del  Collegio
 dei  revisori dei conti del comune di Terzigno, De Luca ed Annunziata
 Ciro  quali  componenti  del  predetto  Collegio,  con  piu'   azioni
 esecutive  del  medesimo  disegno  criminoso  ed  in  tempi  diversi,
 falsamente  attestavano  nella  relazione  al  conto  consuntivo  del
 predetto  comune per l'anno 1994 di aver provveduto alla verifica del
 rendiconto con le risultanze della gestione alla quale lo  stesso  si
 riferisce, mentre Iovane ed Annunziata attestavano nella relazione al
 conto consuntivo del comune per l'anno 1995 la regolarita' contabile,
 finanziaria e economica della gestione dell'ente.
   In Terzigno (Napoli), negli anni 1995 e 1996.
                             Premesso che:
   Con  ordinanze  del 21 aprile 1997 e del 16 giugno 1997, che qui si
 hanno per  integralmente  richiamate,  questa  A.g.  emetteva,  -  su
 richiesta  dell'ufficio  della  pubblica  accusa,  per la condotta di
 peculato descritta nel  capo  d'imputazione,  ordinanze  di  custodia
 cautelare  nei  confronti,  in  un primo tempo di Chiacchio Umberto e
 Chiacchio Eduardo, - (titolari della tesoreria Italgest) -, ed, in un
 secondo, di Annunziata  Giuseppe  e  Vito  Gaetano  nelle  rispettive
 qualita'  di  sindaco  e  segretario  del  comune di Terzigno nonche'
 quella  interdittiva  della  sospensione  dal  pubblico  ufficio   di
 ragioniere  capo  del  medesimo  ente amministrativo nei confronti di
 Pagano Aldo Franco.
   Nelle citate ordinanze venivano ricostruiti  storicamente  i  fatti
 nonche' venivano individuate le singole condotte ritenute delittuose,
 condotte  connotate sia da gravita' di indizi ex art. 273 c.p.p., che
 da cautele ex art. 274 c.p.p.
   Successivamente a tali ordinanze le  indagini  della  procura  sede
 approfondivano anche aspetti attinenti al regime dei controlli che, a
 suo avviso avevano permesso la condotta di peculato.
   Tali  condotte,  secondo  le risultanze della esaminanda richiesta,
 avevano quali protagonisti i tre componenti del Collegio dei revisori
 dei conti del comune  di  Terzigno,  -  (Iovane  Guglielmo;  De  Luca
 Amerigo;  Annunziata  Ciro)  -, ed il funzionario del CO.RE.CO., tale
 Squame Giovanni;
     il p.m. si determinava nei confronti di quest'ultimi a  formulare
 le richieste di misura custodiale di cui in epigrafe;
                             O s s e r v a
   Una  delle  due  innovazioni  procedurali introdotte dalla legge n.
 234/1997 attiene all'integrazione dell'art.  289,  comma  2,  c.p.p.,
 laddove  si  e'  stabilito che "nel corso delle indagini preliminari,
 prima  di  decidere  sulla  richiesta  del  pubblico   ministero   di
 sospensione  dall'esercizio  di  un  pubblico  ufficio o servizio, il
 giudice procede all'interrogatorio  dell'indagato  con  le  modalita'
 indicate agli artt.  64 e 65".
   Com'e'  noto,  il  secondo  comma  dell'art.  289 c.p.p. prevede la
 misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di  un  pubblico
 ufficio  o  servizio  in  relazione  ai  delitti  contro  la pubblica
 amministrazione (art. 314 - 360 c.p.), anche ove una delle ipotesi di
 reato da ultimo indicate preveda una pena al di  sotto  della  soglia
 edittale di cui all'art. 287, comma 1.
   Con  l'introduzione  sopra  citata  e'  stato  sancito che, - fermi
 restando i noti presupposti (artt. 273, 274 e 275 c.p.p.)  -,  se  il
 giudice,  su  domanda del p.m., si determina all'applicabilita' della
 misura   interdittiva   di    sospensione,    purche'    quest'ultima
 specificamente  richiesta dalla pubblica accusa, deve necessariamente
 dar  luogo,  prima  dell'emissione   del   provvedimento   cautelare,
 all'interrogatorio dell'indagato.
   E' fuor di dubbio che la suddetta introduzione ha trovato occasione
 nella  riforma  del  delitto  di  abuso  di  ufficio (art. 323 c.p.),
 presente nello stesso  testo  di  legge,  al  fine  di  allargare  le
 garanzie dell'indagato sebbene e' molto probabile che la "fretta" con
 la  quale si e' provveduto ha finito per creare delle approssimazioni
 (il  legislatore,  difatti,  oltre  all'abbassamento   della   soglia
 edittale  per  il delitto di abuso d'ufficio, - per il quale non sono
 piu'   possibili   misure   custodiali   -,   ha    anche    previsto
 l'interrogatorio   pre-cautelare  in  caso  di  richiesta  di  misura
 interdittiva, del tutto dimentico delle altre ipotesi  di  reato  cui
 questa norma e' applicabile).
   Senza  qui  entrare  nel  merito  ne'  di  ulteriori  questioni  di
 costituzionalita'  che  non  attengono  alla  vicenda   in   oggetto,
 (previsione  di tale garanzia solo per la misura interdittiva sancita
 dall'art.  289  c.p.p.,  e  non  per  le  altre),  ne'  di  questioni
 risolvibili   ermeneuticamente,   (applicabilita'   della  disciplina
 dell'art. 289, comma 2, c.p.p., novellato  non  solo  per  i  delitti
 contro  la  pubblica  amministrazione  ma  ogni  qualvolta si intenda
 sospendere dal pubblico ufficio o servizio l'indagato, a  prescindere
 dal   tipo   di   reato,   come   del  resto  nel  caso  di  specie),
 l'interrogativo  che,  retoricamente,  ci  si  intende  porre  e'  il
 seguente:    -  il giudice deve svolgere l'interrogatorio sempre, - e
 cioe', anche quando investito di una richiesta di  misura  custodiale
 intende  applicare,  nel  rispetto  del  principio di gradualita', la
 misura sospensiva dell'art.   289 c.p.p. -,  oppure  solo  quando  il
 pubblico  ministero  chiede  esclusivamente  la irrogazione di quella
 limitazione ed egli intende accoglierla?
   Stando  alla lettera della legge e' inequivoco che il giudice debba
 procedere all'interrogatorio dell'indagato solo nell'eventualita' che
 gli sia richiesta quella specifica misura e  lui  intenda  adottarla:
 il  legislatore  ha,  difatti,  lessicalmente vincolato tale dovere a
 quello  specifico  input  ne'  sono  possibili  letture  sistematiche
 diverse.
   Avallare tale interpretazione vorrebbe dire, pero':
     a)  creare  una illegittima disparita' di trattamento tra il caso
 in cui l'indagato si veda  colpito  dalla  limitazione  ex  art.  289
 c.p.p.,  dopo  aver  comunque  esposto  le  sue ragioni al giudice, -
 qualora gia' il pubblico ministero abbia preselezionato la  possibile
 sanzione  cautelare chiedendo espressamente quella interdittiva -, ed
 il caso  in  cui  subisce  l'interdizione  senza  esser  stato  prima
 sentito,  - qualora il p.m. abbia chiesto una misura piu' grave ed il
 giudice si sia determinato a quella interdittiva, gradualmente da lui
 ritenuta piu' appropriata;
     b) far divenire  la  pubblica  accusa  arbitra  di  una  garanzia
 difensiva  dell'indagato  potendo egli determinarne l'ingresso o meno
 semplicemente chiedendo una misura piu' grave di quella interdittiva.
   Ritiene l'estensore che,  sotto  il  profilo  della  non  manifesta
 infondatezza,     intravedere     nella     prospettata    situazione
 un'illegittimita'  costituzionale   riguardo   alla   disparita'   di
 trattamento  (art.  3  della  Costituzione)  ed alla compressione del
 diritto  di  difesa  (art.  24  della  Costituzione)  e'  del   tutto
 appropriato;   (De  iure  condendo,  il  legislatore  avrebbe  dovuto
 sancire: "Il giudice prima di  applicare  la  misura  di  sospensione
 dall'ufficio   o  dal  pubblico  procede  all'interrogatorio  con  le
 modalita' indicate agli articoli 64 e 65").
   Le  suddette  discrasie  di  valenza  costituzionale   ancor   piu'
 emergono,  nella  loro  lampanza,  ove  si  ponga  mente  ai seguenti
 ulteriori argomenti:
     a) la disparita' puo' verificarsi anche all'interno del  medesimo
 procedimento  allorche'  richiesto di misure coercitive personali sia
 custodiali che  di  interdizione  ex  art.  289  c.p.p.,  il  giudice
 applichi  sempre  quest'ultima  ma  nell'un caso senza interrogatorio
 preventivo dell'indagato e nell'altro con;
     b) se da un lato fa capo al pubblico ministero il principio della
 domada   cautelare    -    (e,    consequenzialmente,    quello    di
 modulazione-selezione della stessa, di cui l'abrogato art. 291, comma
 1-bis, c.p.p., costituiva l'archetipo) - e' fuor di dubbio che risale
 al   giudice  quello  della  graduazione  dell'intervento  cautelare,
 normativizzato dall'art. 275 c.p.p.;
     c) in  ordine  a  quanto  da  ultimo  detto  va  evidenziato  che
 l'introduzione   normativa  svolta  dalla  legge  n.  234/1997  -,  a
 differenza di quanto accadeva con l'art. 291, comma 1-bis,  c.p.p.  -
 non  pone  il  giudice  nell'alternativa  tra  l'applicare o meno una
 misura cautelare bensi' nel dar  ingresso  o  meno  ad  una  garanzia
 difensiva:  la  Consulta  ritenne, con ordinanza n. 4, del 22 gennaio
 1992,  manifestamente  infondata   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale   dell'articolo   sopra  citato  sia  perche'  non  in
 contrasto con i criteri enunciati dalla direttiva n. 59, dell'art. 2,
 della legge delega sia in quanto  non  venivano  infranti  gli  altri
 parametri  costituzionali  potendo  il  giudice  rigettare  qualsiasi
 coercizione;  nel  caso di specie, invece, principio di eguaglianza e
 diritto di difesa vengono indubitabilmente calpestati e/o  conculcati
 in  forza  del  principio della domanda (e modulazione) cautelare, il
 quale puo' si', a monte, selezionare le misure ma  non  puo'  mai,  a
 valle,   andare   ad  elidere  una  garanzia  difensiva  propedeutica
 all'eventuale applicazione;
     d) nel dare ingresso ad una  sorta  di  contradditorio  cautelare
 anticipato il legislatore, - invero, con fare timido -, ha senz'altro
 voluto  collegare  la  situazione  procedimentale sopra rappresentata
 alla  misura  cautelare  da  applicare  e  non  certo  al  potere  di
 pre-selezione  (modulazione)  del  pubblico  ministero  che non e' in
 alcun modo in discussione: in definitiva, fatto  salvo  quest'ultimo,
 puo'  anche  lo stesso impedire l'ingresso di una garanzia difensiva,
 quale quella dell'interrogatorio del giudice, che rientra da un  lato
 nel diritto di difesa dell'indagato e dall'altro nel potere-dovere di
 graduazione attribuito al giudicante?
   Non puo' certo revocarsi in dubbio la circostanza che il potere del
 pubblico   ministero   di   chiedere  l'applicazione  di  una  misura
 coercitiva  e  di  preselezionarne   il   tipo   trova   interruzione
 allorquando la richiesta (art. 291 c.p.p.) viene inoltrata al giudice
 competente:  in seguito a cio', subentra l'esclusivo potere-dovere di
 quest'ultimo  ad  analizzarla  sotto  i  vari  profili  previsti  dal
 legislatore (artt. 273, 274, 275 e ss. c.p.p.): ebbene, e' proprio in
 ordine   all'ultimo  parametro  (quello  della  gradualita'),  ed  in
 relazione  alla  sola  misura  interdittiva  della  sospensione   dal
 pubblico   ufficio   e  servizio  che  e'  stato  creato  il  diritto
 dell'indagato "sospendendo" all'interrogatorio.
   Quest'ultimo, lo si ripete, costituisce appendice  solo  di  quella
 singola,  e  specifica,  misura  interdittiva  ed  e'  posta, - quale
 garanzia -, non  solo  oltre  il  confine  del  potere  del  pubblico
 ministero  desumibile  dall'art.  291 c.p.p., ma anche in un campo, -
 quello della difesa -, non intaccabile dal medesimo ne' dal  giudice,
 anzi propedeuticamente all'intervento tout court di quest'ultimo.
   L'interrogatorio  pre-cautelare  introdotto dall'art. 289, comma 2,
 c.p.p., - che costituisce un'autentica novita' nel codice di rito  -,
 fa  richiamo  agli  artt. 64 e 65 c.p.p., e cio', al di la' del fatto
 che   tale   istituto   costituisce   un   ibrido,    (interrogatorio
 investigativo  o  di  garanzia?), comporta il pieno innesto in quelle
 norme poste a garanzia dell'imputato (alias, indagato) con  quel  che
 ne dovrebbe conseguire in termini di non compressione.
   Fermo restando i suddetti elementi di non manifesta infondatezza va
 altresi' posta in luce la rilevanza della questione nel caso de quo.
   Il   legislatore   allorche'  ha  sancito  il  dovere  propedeutico
 dell'interrogatorio da  parte  del  giudice  prima  dell'applicazione
 della   misura   interdittiva   di   cui   all'art.  289  c.p.p.,  ha
 implicitamente ritenuto che l'A.g.  debba considerare  sussistenti  i
 gravi indizi di colpevolezza. (Non puo' ritenersi, - come a contrario
 fatto  da  parte  della dottrina -, che, anche in caso di volonta' di
 rigetto, il giudice deve  comunque  procedere  all'interrogatorio  in
 quanto  altrimenti - in caso di appello del p.m. - si eliderebbe tale
 garanzia stante la circostanza che il legislatore  ha  inserito  tale
 norma non nell'art. 279 c.p.p., bensi' nello specifico precetto della
 misura con obbligo risalente, quindi, anche al giudice del gravame).
   Tale  sussistenza  ex  art.  273  c.p.p.,  non  va (non dev'essere)
 esplicata in un provvedimento pre-cautelare ragion per  cui  ai  fini
 della rimessione alla Corte costituzionale e' sufficiente evidenziare
 che questa A.g.  ritiene, - allo stato -, la confacenza dei medesimi,
 confacenza che immediatamente innesta quella relativa alla cautela di
 reiterabilita'  delle  condotte  che,  nel caso di specie, si ritiene
 tutelabile con la misura interdittiva ex art. 289  c.p.p.  (Tale  non
 necessita'  di  un  provvedimento  pre-cautelare, al di la' della sua
 assoluta mancanza di previsione ricavabile dal codice di rito,  trova
 ovvia  ragione  nel  fatto che gli indagati in sede di interrogatorio
 potrebbero ben intaccare anche  il  parametro  di  cui  all'art.  273
 c.p.p., parametro, dunque, da considerare doverosamente in itinere).
   In breve, nel caso di specie, l'estensore, ritenuti sussistenti sia
 i  gravi  indizi di colpevolezza che la cautela di cui all'art.  274,
 lett. c), c.p.p., nel dar luogo alla valutazione di gradualita' della
 misura applicanda (art. 275 c.p.p.) considera come appropriata quella
 interdittiva ex art. 289 c.p.p.: nel  rispetto  della  lettera  della
 legge,  l'estensore  dovrebbe  applicare  quest'ultima  senza sentire
 preventivamente gli indagati in  interrogatorio  ex  artt.  64  e  65
 c.p.p.,  cosi',  allo  stesso tempo, sopprimendo ingiustamente, - nei
 sensi di cui  in  motivazione  -,  una  garanzia  degli  indagati  ed
 autolimitando    impropriamente    il    proprio   potere-dovere   di
 gradualizzare la misura.
   In relazione ad entrambi i punti indicati  da  ultimo  va,  infine,
 osservato che:
     a)  l'art.  275  c.p.p.,  laddove  sancisce  che "nel disporre le
 misure il giudice tiene conto della specifica idoneita'  di  ciascuna
 in  relazione  alla  natura  ed  al grado delle esigenze cautelari da
 soddisfare nel caso concreto"  intende  riferirsi  implicitamente  ad
 ogni  elemento  che  possa  incidere  su  tali  presupposti,  di  cui
 l'interrogatorio preventivo dell'indagato - una volta previsto - puo'
 costituire occasione fondamentale di approfondimento sul punto;
     b) sottrarre la possibilita' di effettuare quest'ultimo vuol dire
 non solo comprimere la  difesa  dell'indagato  ma  anche  limitare  i
 poteri di accertamento che il legislatore ha ritenuto di concedere in
 proposito  stante  la minor gravita' della sanzione che ci si accinge
 ad applicare e la caduta di ogni vincolo di segretezza - (Il richiamo
 agli artt. 63 e 64 c.p.p. rafforza tale necessita' di una  preventiva
 audizione,  sempre  ed in ogni caso, e non solo in forza della scelta
 di pre-selezione  del  pubblico  ministero  gia'  implicitamente  non
 accolta dal giudice).