IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   Letti  gli  atti  del  procedimento  n.  7452/1997  r.g.g.i.p.  nei
 confronti di Toso Gian Guido,  nato  a  Udine  il  31  gennaio  1954,
 residente  a Gonars, via Monte Santo n. 28, e Benedetti Marco, nato a
 Udine, il 16 luglio 1961, via San Giovanni n. 31, entrambi  assistiti
 dai  difensori  di  fiducia  avv.ti P. Tommasino ed E. Occhialini del
 Foro di Udine.
   Imputati in ordine al reato p. e p. dall'art. 25, comma  1,  d.P.R.
 n.  915/1982,  ora  p. e p. dall'art. 51, comma 1, d.lgs. n. 22 del 5
 febbraio 1997 per avere,  il  primo  nella  sua  qualita'  di  legale
 rappresentante  della  ditta Greenland S.r.l., il secondo in qualita'
 di responsabile della gestione dell'attivita' ai  sensi  della  legge
 regionale  n. 30/1987, effettuato, consentito o comunque non impedito
 una attivita' di stoccaggio provvisorio  (ora  deposito  preliminare,
 cosi'  come  definito  dall'allegato  B,  punto  D  15,  al d.lgs. n.
 22/1997) di rifiuti speciali  prodotti  da  terzi,  posta  in  essere
 presso  lo stabilimento sito in  comune di Pradamaro, via Cussignacco
 n. 61, in particoalre di rifiuti individuati al  catasto  europeo  di
 rifiuti  con i codici 150201 (kg 577), 160204 (kg 12.911), 170601 (kg
 14.618), in assenza dell'autorizzazione di cui all'art. 6, d.P.R.  n.
 915/1982.
   Commesso in Pradamano, sino alla fine del 1996.
   Premesso  che, con richiesta in data 20 gennaio 1998, il p.m. della
 locale procura della Repubblica presso la pretura in  sede  domandava
 la  condanna  per  decreto  di  Toso  Gian  Guido  e Benedetti Marco,
 imputati del reato sopra indicato,  alla  pena  di  L.  5.500.000  di
 ammenda (di cui L. 4.500.000 in sostituzione di mesi 2 di arresto, ai
 sensi  degli  artt.  53  e  seg.,  legge  24  novembre 1981, n. 689),
 ritenuta  la  sussistenza  di  ogni  presupposto  di  legge   ed   in
 particolare,  della  procedibilita'  d'ufficio, dell'irrogabilita' di
 una sola pena pecuniaria, nonche' della provata  responsabilita'  dei
 prevenuti  desumibile dall'attivita' istruttoria sin qui espletata e,
 in particolare,  dagli  atti  trasmessi  in  data  2  luglio  1997  e
 successivamente,  dalla  Direzione regionale dell'ambiente - Servizio
 per la disciplina dello smaltimento dei rifiuti.   Con  provvedimento
 di data 28 aprile 1998, questo ufficio, ex art.  459, comma 2, c.p.p.
 disponeva la restituzione degli atti al p.m.  rilevando la necessita'
 di   espletare   ulteriori  indagini  tecnico-scientifiche,  ritenute
 indispensabili a fronte delle considerazioni formulate in  tal  senso
 in ordine alla natura dei rifiuti dalla societa' che ha effettuato lo
 stoccaggio  (vds.  note di data 24 luglio 1997 e 27 maggio 1997 della
 ditta Greenland S.r.l.),  al  fine  di  meglio  comprendere  i  fatti
 oggetto  del  procedimento  e,  quindi,  di  pervenire  ad una giusta
 decisione relativamente alla richiesta presentata  dall'accusa.    In
 data   10  giugno  1998  il  p.m.  presentava  istanza  di  incidente
 probatorio  al  fine  di  disporre  perizia  tecnica  necessaria   ad
 accertare  la  categoria  nella  quale  inserire i rifiuti di amianto
 nonche'  gli  altri  residui  in  contestazione,  onde  valutare   la
 compatibilita'  delle  autorizzazioni  rilasciate  alla ditta gestita
 dagli indagati in riferimento allo stoccaggio effettuato,  alla  luce
 della  verificata  classificazione  dei materiali.   Il difensore dei
 pervenuti,  con  atto  di  data  17 giugno 1998, presentava deduzioni
 volte ad evidenziare l'inammissibilita' dell'istanza  della  pubblica
 accusa  per  carenza  dei  requisiti  e indeterminatezza dell'oggetto
 dell'accertamento richiesto; questo ufficio, in data 1  luglio  1998,
 rilevata   l'intervenuta   scadenza   del   termine   delle  indagini
 preliminari, dichiarava inammissibile  per  tale  motivo  l'incidente
 probatorio.
   Il  p.m.  dott.  Gianpaolo Fabbro, in data 3 luglio 1998, reiterava
 l'istanza di emissione  di  decreto  penale  di  condanna,  rilevando
 l'opportunita'  di sollevare questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 459, comma 3, c.p.p. nella parte in cui non prevede che  il
 giudice,  se  ritiene necessarie ulteriori indagini, fissi un termine
 al p.m. per il compimento delle stesse.
   Considerata l'opportunita', sottolineata dall'organo requirente, di
 sottoporre al giudizio della Corte  costituzionale  la  questione  di
 legittimita'  dell'art.  459, comma 3, c.p.p., nella parte in cui non
 prevede che il giudice, se ritiene necessarie  ulteriori  indagini  a
 seguito  della  richiesta  di decreto penale avanzata dopo il decorso
 del termine per le indagini preliminari, fissi  un  termine  al  p.m.
 per  il  compimento delle stesse, per violazione dei parametri di cui
 all'art. 3, comma 1, e 24 della Costituzione.
                             O s s e r v a
   In tema di procedimento monitorio, il sindacato del giudice per  le
 indagini  preliminari non puo' considerarsi circoscritto al controllo
 delle condizioni di ammissibilita' del procedimento stesso, ne'  alla
 rilevazione   dell'incongruita'   della   pena  in  riferimento  alla
 imputazione in se' considerata, ma puo'  spaziare  nell'utilizzazione
 di  ogni risultanza processuale, senza, peraltro poter incidere sulla
 liberta' del p.m.  di scegliere il rito e di formulare  l'imputazione
 (cfr.  Cass.  24 marzo 1994, Nastri, C.E.D. Cass. n. 198289; Cass. 24
 giugno 1993, De Mcco, C.E.D. Cass. n. 194459).
   Il rigetto della richiesta del decreto penale di  condanna  con  la
 restituzione  degli  atti  al  p.m. comporta la regressione alla fase
 delle  indagini  preliminari  ...  Essa  vale,  dunque,  soltanto   a
 segnalare  al p.m. l'opportunita' di esperire indagini contestuali (e
 formulare richieste congiunte in relazione a  procedimenti  distinti.
 Cfr.  Cass.   20 settembre 1993, Urcioli; conf. Cass. 12 maggio 1994,
 Dastru, C.E.D.  Cass. n. 199063).
   Nel  senso  dell'ammissibilita'  (doverosita')  del  controllo  sul
 merito  da  parte  del giudice, e' stato rilevato che "se nel sistema
 sono previste pregnanti  valutazioni  in  ordine  alla  richiesta  di
 archiviazione,  a  maggior  ragione queste devono potere svolgersi in
 presenza di una richiesta di condanna, come del resto si desume dalla
 lettera della legge e dalla espressa  previsione  della  sentenza  di
 proscioglimento a norma dell'art. 129 c.p.p. (art. 459, comma 3)" (v.
 Comm. al nuovo c.p.p., vol. IV, UTET, p. 874).
   Del resto, "la circostanza per cui il provvedimento giurisdizionale
 non  viene  piu'  emesso  ex officio, ma su richiesta del p.m. ... e'
 elemento tale da far concludere che e'  stato  introdotto  un  filtro
 giurisdizionale   ''terzo'',  che  non  puo'  non  esplicare  effetti
 positivi anche in termini di una maggiore garanzia difensiva"  e  che
 "pure  in  mancanza di espressa previsione, deve essere adeguatamente
 motivata la decisione  con  cui  il  giudice  rigetta  la  richiesta,
 perche'   sulla   base  della  motivazione  fornita  il  p.m.  potra'
 determinarsi in ordine all'indirizzo da imprimere al procedimento per
 il suo ulteriore corso" (v. Comm. cit. pp. 864 e 874).
   Non  sussistendo  piu'  dubbi relativamente alla natura ordinatoria
 del termine di sei mesi di cui all'art.  459,  comma  1,  c.p.p.  (v.
 Cass.  sez.  un.,  6 marzo 1992, Glarey), appare invece in contrasto,
 prima ancora che con altri parametri  costituzionali,  con  i  canoni
 della  ragionevolezza e della coerenza, principi tutti cristallizzati
 nell'art. 3, comma 1, Cost., la previsione di cui all'art. 459, comma
 3, c.p.p. nella parte in cui, una  volta  scaduto  il  termine  delle
 indagini  preliminari, non riservi al giudice il potere di fissare il
 termine indispensabile per il  compimento  delle  ulteriori  indagini
 ritenute  necessarie  al  fine dell'accertamento del fatto storico e,
 quindi,   pervenire   ad   una   giusta   decisione,   onde   evitare
 proscioglimenti o condanne immeritati.
   Nel   caso  di  specie,  questo  ufficio,  stante  le  perplessita'
 sull'accertamento del fatto manifestate con il provvedimento di  data
 28  aprile  1998,  non  potrebbe  determinarsi  se  non  nel senso di
 restituire gli atti, per gli stessi motivi, al  p.m.,  il  quale,  si
 vedrebbe  "costretto" o a formulare la richiesta di rinvio a giudizio
 (con le ovvie,  in  termini  di  economia  processuale,  e  pregnanti
 conseguenze   del  caso,  soprattutto  nell'ipotesi  di  accertamento
 tecnico favorevole al prevenuto, effettuato in  sede  dibattimentale)
 ovvero  a  presentare  istanza  di archiviazione che, alla luce della
 situazione probatoria gia' evidenziata, non potrebbe  che  risolversi
 in una decisione ex artt. 409, comma 4, e 554 c.p.p.
   Detta   opzione,  secondo  chi  scrive,  si  tradurrebbe  comunque,
 irrimediabilmente,  oltre  che  in  un'inutile  spreco  di  attivita'
 processuale  che,  proprio  il  procedimento  monitorio, mira per sua
 natura (e nell'intento del legislatore delegato) ad evitare,  in  una
 ingiustificata  ingerenza  da  parte  del  giudice  per  le  indagini
 preliminari nell'ambito della liberta' di scelta  del  p.m.  inerente
 l'individuazione del rito da seguire per la definizione del giudizio,
 liberta'  piu' volte ribadita dal giudice di legittimita' come immune
 da qualunque interferenza del sindacato del g.i.p.
   Appare, invece, piu' ragionevole e coerente al  sistema  come  anzi
 delineato,  riservare  al  g.i.p.,  ex  art. 459, comma 3, c.p.p., un
 adeguato strumento volto a garantire entro  un  termine  strettamente
 prefissato  la  tendenziale  completezza delle indagini, accertamenti
 che il p.m. ha l'obbligo di eseguire, non essendo  tale  obbligo  ne'
 avulso  ne'  autonomo  rispetto  a quello di compiere "ogni attivita'
 necessaria"  per  assumere  le  determinazioni  inerenti  l'esercizio
 dell'azione  penale  (art.  358 in relazione all'art. 326 c.p.p.), di
 talche' l'indicazione del giudice opera come devoluzione di  un  tema
 di indagine che il p.m. e' chiamato a sviluppare in piena autonomia e
 liberta'  di  scelta  circa la natura, il contenuto e le modalita' di
 assunzione dei singoli atti che ritenga necessari ai  suddetti  fini.
 La  disciplina stabilita dagli artt. 405, 406 e 407 c.p.p., una volta
 avanzata la richiesta di decreto penale dopo il decorso  del  termine
 per  le  indagini,  non  ha  piu'  modo  di  operare, risultando tale
 disciplina  in   funzione   dell'attivita'   di   indagine   compiuta
 d'iniziativa  del  p.m.,  assoggettata  al controllo del giudice solo
 quanto all'osservanza dei termini stabiliti dalla legge o  prorogati.
 Si  potrebbe  obiettare,  pero',  che  l'ampliamento  delle  facolta'
 attribuite al g.i.p. contrasterebbe con il principio fondamentale che
 la  legge delega al codice di procedura penale ha dettato di "massima
 semplificazione nello svolgimento del processo, con  eliminazione  di
 ogni  atto  o  attivita'  non  essenziale"  (art.  2,  n. 1, legge n.
 81/87). Tale assunto, tuttavia, non sembra condivisibile da  un  lato
 per  l'essenziale  funzione  di  garanzia  e  di controllo svolta dal
 giudice in  questa  fase,  che  in  tal  modo  si  completerebbe  con
 l'esercizio  della  stessa  possibilita' riconosciutagli ex art. 409,
 comma 4, c.p.p., e dall'altro va rilevato che il tendenziale successo
 del rito monitorio (qualora  si  concluda  con  l'accoglimento  delle
 richieste  del  p.m.),  finalizzato  a deflazionare in concreto - per
 note  ragioni  -  il   ricorso   al   processo   dibattimentale,   e'
 inscindibi'lmente correlato all'adozione di provvedimenti di condanna
 fondati  su elementi probatori certi ed incontrovertibili; tanto piu'
 e'  suscettibile  di  discussione  il  quadro  probatorio   posto   a
 fondamento  dell'imputazione  di  cui  al  decreto penale, tanto piu'
 logicamente, e' probabile l'attivazione del rito  ordinario  mediante
 l'opposizione   al   decreto   e,   di   conseguenza,   l'ineludibile
 vanificazione  dell'efficacia  deterrente,  in  termini  di  economia
 processuale,  derivante  dall'adozione del procedimento semplificato.
 Pertanto, appare fondata la questione di  legittimita'  in  relazione
 all'art.  459, comma 3, c.p.p., nella parte in cui non prevede che il
 giudice, se ritiene necessarie ulteriori  indagini  a  seguito  della
 richiesta  di  decreto  penale  avanzata dal p.m. dopo il decorso del
 termine per le indagini preliminari, fissi un termine al p.m. per  il
 compimento  delle stesse, per violazione dei canoni di ragionevolezza
 e della coerenza cui all'art. 3, comma 1,  della  Costituzione.    La
 violazione  di quest'ultimo parametro rileva anche sotto l'aspetto di
 disparita' di trattamento tra situazioni tra loro omogenee, in quanto
 ispirate  alla  medesima  ratio,  in  quanto  tale  potere  e'  stato
 riconoscuito al g.i.p. in sede di decisione in ordine alla ricesta di
 archiviazione (cfr. Corte costituzionale sent. n. 445 del 1990; Corte
 costituzionale  sent.  n.  436 del 1991; Corte costituzionale ord. n.
 253 del 1991) e quindi, in  una  situazione  processuale  di  analogo
 controllo  giurisdizionale  sull'attivita'  del  p.m., addirittura di
 incidenza meno immediata nella sfera  dei  diritti  di  liberta'  del
 cittadino rispetto a quella in esame.
   Il  dubbio  di  legittimita'  appare  fondato  anche  in  relazione
 all'art.     24  della  Costituzione,   in   quanto   dalla   carenza
 dell'invocato   strumento  processuale  non  puo'  che  derivare  una
 riduzione  complessiva  del  sistema  delle  garanzie  difensive  che
 proprio  l'introduzione  del "filtro" giurisdizionale nell'ambito del
 procedimento per decreto  (non  previsto  dal  vecchio  rito)  voleva
 evitare.
   Sotto  il  profilo rilevanza di fatto, la risoluzione del dubbio di
 costituzionalita' appare essenziale, in quanto  dipendono  dall'esito
 del  giudizio di legittimita' le ulteriori determinazioni processuali
 relative al presente giudizio, che possono  risolversi,  nell'ipotesi
 di  accoglimento  dell'eccezione, nell'indicare le ulteriori indagini
 da espletare, come gia' precisato, o nel rigetto della  richiesta  di
 decreto penale presentata dal p.m.