IL CONSIGLIO DI STATO
   Ha pronunziato la seguente ordinanza nella camera di consiglio  del
 2 giugno 1998;
   Visto  l'appello  sub n. 2231/1995 proposto da Pallotta Ernesto, in
 proprio e quale legale rappresentante dell'Associazione Unarma, Tuzzi
 Alberto, in proprio e quale legale  rappresentante  dell'Associazione
 "Solidarieta',   diritto   e  progresso",  Iovino  Giuseppe,  Montini
 Roberto, Di Lorenzo Giuseppe, Di Vito Giuseppe,  Marchetto  Fidenzio,
 Zagra  Giuseppe, Pignataro Gaetano, Moccia Vincenzo e Fiengo Antonio,
 rappresentati e difesi  dall'avv. prov. Carlo Rienzi presso cui  sono
 elett.le domiciliati in Roma, viale delle Milizie, 9;
   Contro   il   Ministero   della  difesa  in  persona  del  ministro
 pro-tempore, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  presso  cui  e  domiciliato  come  per legge in Roma, via dei
 Portoghesi,  12;  per  la  riforma  della  sentenza   del   Tribunale
 amministrativo  regionale  del Lazio - sez. I-bis, 29 luglio 1994, n.
 1217;
   Visti gli atti e i documenti depositati con l'appello;
   Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  del  Ministero  della
 difesa;
   Relatore  alla  pubblica  udienza  del 2 giugno 1998 il consigliere
 Stefano Baccarini e uditi l'avv. Rienzi per gli  appellanti  e  l'avv
 dello Stato De Figueiredo per l'appellato.
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue
                               F a t t o
   Con  ricorso  al  t.a.r.,  del Lazio notificato il 24 giugno 1993 i
 sigg.ri Pallotta  Ernesto  e  litisconsorti,  indicati  in  epigrafe,
 impugnavano  la  determinazione del Ministro della difesa, comunicata
 loro individualmente, di rigetto delle istanze con cui,  in  qualita'
 di  militari appartenenti all'Arma dei Carabinieri o all'Aeronautica,
 avevano chiesto di costituire associazioni professionali a  carattere
 sindacale  tra  il  personale  o  comunque di aderire ad associazioni
 sindacali gia' costituite.
   Deducevano:
     1) violazione dell'art. 3 della legge n.  382/1978,  degli  artt.
 18, 39, 52 e 2 Cost.;
     2)   violazione   degli  artt.  20  e  23,  quarto  comma,  della
 Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo firmata a New York  il
 10  dicembre 1948, dell'art. 5 della Carta sociale europea, dell'art.
 11 della Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo,
 dell'art.    8,  secondo  comma, e 9 della Convenzione adottata dalla
 Conferenza dell'O.I.L. il 17 giugno 1948, degli artt.  4  e  5  della
 Convenzione  adottata  dalla  Conferenza dell'O.I.L. l'8 aprile 1949,
 della risoluzione del Parlamento europeo sul diritto di  associazione
 dei militari del 12 aprile 1984;
     3) illegittimita' costituzionale degli artt. 3 e 8 della legge n.
 382/1978 con riferimento agli artt. 2, 3, 18, 21, 39 e 52 Cost.;
   Resisteva al ricorso il Ministero della difesa.
   Il  t.a.r.  adito - sez. I-bis con sentenza 29 luglio 1994, n. 1217
 rigettava il ricorso.
   Avverso tale sentenza i ricorrenti propongono appello, reiterando i
 motivi formulati in primo grado.
   Resiste all'appello il Ministero della difesa.
   Con atto di motivi  aggiunti  notificato  il  19  luglio  1995  gli
 appellanti  deducono  l'illegittimita'  costituzionale  del d.lgs. 12
 maggio 1995, n. 195.
   All'odierna udienza, uditi i difensori delle parti,  il  ricorso  e
 passato in decisione.
                             D i r i t t o
   1.  -  Occorre  preliminarmente  ordinare  d'ufficio (cfr. Cass., 3
 novembre 1994, n. 9040; 23 maggio 1990, n. 4651), ai sensi  dell'art.
 89  c.p.c., la cancellazione, siccome sconvenienti, delle espressioni
 attinenti ad un terzo, qui non in  grado  di  difendersi,  per  fatti
 tuttora  oggetto  di  indagine  penale  ed  estranei  all'oggetto del
 giudizio, contenute nella memoria degli appellanti del 21 maggio 1998
 (dalle  parole: "e' emblematico il caso..." di cui all'ultima riga di
 p.  6 alla seconda di p. 7).
   2.  -  I  dinieghi  di  costituire  associazioni  professionali   a
 carattere  sindacale  o  di  aderire  ad  associazioni sindacali gia'
 costituite, che formano oggetto  del  presente  appello,  sono  stati
 pronunciati  sul  fondamento  dell'art. 8, primo comma della legge 11
 luglio 1978, n. 382, che  cosi'  dispone:  "I  militari  non  possono
 esercitare   il   diritto   di   sciopero,   costituire  associazioni
 professionali a carattere sindacale, aderire  ad  altre  associazioni
 sindacali".
   Cio'  rende  rilevante  la questione di legittimita' costituzionale
 della disposizione predetta, sollevata con il terzo motivo di ricorso
 in primo grado, qui riproposto.
   Il divieto di esercizio del diritto di  sciopero,  contenuto  nella
 prima proposizione del comma 1 della disposizione in esame, non e' in
 contestazione.
   3.  -  La  posizione degli appartenenti all'ordinamento militare va
 valutata,   in   conformita'   alla   giurisprudenza   della    Corte
 costituzionale,  secondo  un criterio di bilanciamento di valori: tra
 la natura del servizio militare, che  richiede  necessariamente,  per
 l'efficienza dell'organizzazione, gerarchia e disciplina, e i diritti
 costituzionali  spettanti  ai  cittadini,  ai  quali  fa, riferimento
 l'art. 52, terzo comma Cost., che  dispone  che  l'ordinamento  delle
 Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica.
   In questo senso, dispone anche l'art. 3, primo comma della legge 11
 luglio  1978,  n.  382:  "Ai  militari  spettano  i  diritti  che  la
 Costituzione della Republica riconosce ai  cittadini.  Per  garantire
 l'assolvimento  dei compiti propri delle Forze armate la legge impone
 ai militari limitazioni nell'esercizio di  alcuni  di  tali  diritti,
 nonche'  l'osservanza  di particolari doveri nell'ambito dei principi
 costituzionali".
   In  questa  prospettiva,  compito  dell'interprete  e'  quello   di
 esaminare  la  questione  di  specie nell'ambito del quadro normativo
 complessivo, al fine di verificare la ragionevolezza della scelta del
 legislatore.
   Cosi', la Corte costituzionale:
     con sentenza n. 126 del 1985,  ha  dichiarato  costituzionalmente
 illegittimo  l'art.  180,  primo comma, c.p.m.p., che puniva il fatto
 del militare che avesse presentato un reclamo collettivo,  scritto  o
 verbale,  in  riferimento  all'art.  21 Cost., segnalando che: "e' da
 ritenere che la pacifica manifestazione di dissenso dei militari  nei
 confronti  dell'autorita'  militare  -  anche  e soprattutto in forma
 collettiva per l'espressione di esigenze  collettive  attinenti  alla
 disciplina  o  al  servizio  - non soltanto concorra alla garanzia di
 pretese  fondate  o  astrattamente  formulabili  sulla   base   della
 normativa  vigente  e quindi all'attuazione di questa, ma promuova lo
 sviluppo in senso democratico dell'ordinamento delle Forze  armate  e
 quindi concorra ad attuare i comandamenti della  Costituzione";
     con  sentenza  n.  24  del  1989,  ha  dichiarato  non fondata la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  184,  secondo
 comma,  c.p.m.p.,  che  punisce le riunioni arbitrarie di militari in
 luoghi di militari, nei sensi di cui in motivazione,  segnalando  che
 "riunioni/arbitrarie  sono  soltanto  quelle  a carattere sedizioso o
 rivoltoso e che la riunione, se e'  pacifica  e  disarmata  e  se  e'
 diretta  a  trattare senza animosita' di cose attinenti al servizio o
 alla disciplina nell'intento di  un  inserimento  partecipativo  alla
 vita  della caserma, lungi dall'essere pericolosa, puo' rappresentare
 mezzo  di   promozione   e   di   sviluppo   in   senso   democratico
 dell'ordinamento delle Forze armate";
     con  sentenza  n.  37  del  1992,  ha dichiarato l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 15, secondo  comma  della  legge  11  luglio
 1978,  n.  382  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  il militare
 sottoposto a procedimento disciplinare ha  la  facolta'  di  indicare
 come   difensore  nel  procedimento  stesso  un  altro  militare  non
 appartenente all'"ente" nel quale egli  presta  servizio,  segnalando
 che  "il  condizionamento  derivante  dal  vincolo  di subordinazione
 gerarchica che caratterizza l'ambiente di  vita  del  difensore  puo'
 esser  tale,  in  alcuni  casi,  da  non garantire l'espletamento del
 mandato in modo adeguatamente imparziale e indipendente da  pressioni
 esterne".
   Per  effetto  di  tali  pronunce,  che  hanno  riconosciuto  sia la
 liceita' penale dei reclami collettivi e delle riunioni  a  carattere
 non  sedizioso  ne'  rivoltoso,  sia  la  facolta'  dell'incolpato di
 nominare difensore anche un militare non appartenente all'ente presso
 cui presta servizio, la sfera del collettivo e della solidarieta' tra
 militari si e' significativamente ampliata.
   4.1. - Per quanto attiene al quadro normativo, ai militari e' fatto
 divieto,  oltre  che  di  esercitare  il  diritto  di  sciopero,   di
 costituire  associazioni  professionali  a  carattere  sindacale e di
 aderire ad altre associazioni sindacali (art. 8, primo  comma,  legge
 n. 382/1978).
   I  militari  in  servizio di leva e quelli richiamati in temporaneo
 servizio, peraltro,  possono  iscriversi  o  permanere  associati  ad
 organizzazioni  sindacali  di  categoria, ma e' fatto loro divieto di
 svolgere  attivita'  sindacale  quando:  a)  svolgono  attivita'   di
 servizio;  b)  sono  in  luoghi  militari  o  comunque  destinati  al
 servizio; c) indossano l'uniforme; d) si qualificano, in relazione ai
 compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad  altri  militari
 in  divisa  o  che  si  qualificano come tali (artt. 8, comma 2, e 5,
 comma 3, legge n. 382 cit.).
   La costituzione di associazioni o circoli fra militari e'  ammessa,
 anche  se subordinata al preventivo assenso del Ministro della difesa
 (art. 8, comma 3, legge n. 382 cit.).
   4.2.  -  Inoltre  esistono  organi  rappresentativi   -   centrale,
 intermedi  e  di  base  -  dei  militari,  eletti  con  voto diretto,
 nominativo e segreto (art. 18, legge n.  382/1978),  competenti  alla
 formulazione  di  pareri,  di  proposte  e  di  richieste su tutte le
 materie che formano oggetto  di  norme  legislative  o  regolamentari
 circa la condizione, il trattamento, la tutela - di natura giuridica,
 economica,   previdenziale,  sanitaria,  culturale  e  morale  -  dei
 militari (art. 19, legge n. 382/1978).
   Gli organi rappresentativi hanno inoltre la funzione di prospettare
 le istanze di carattere collettivo, relative  ai  seguenti  campi  di
 interesse:
     conservazione  dei  posti di lavoro durante il servizio militare,
 qualificazione professionale, inserimento  nell'attivita'  lavorativa
 di coloro che cessano dal servizio militare;
     provvidenze   per  gli  infortuni  subiti  e  per  le  infermita'
 contratte in servizio e per causa di servizio;
     attivita' assistenziali, culturali, ricreative  e  di  promozione
 sociale, anche a favore dei familiari;
     organizzazione delle sale convegno e delle mense;
     condizioni igienico-sanitarie;
     alloggi (art. 19 cit.).
   4.3. - Infine, i militari concorrono, mediante partecipazione degli
 organi  di rappresentanza alla concertazione dei ministri competenti,
 al procedimento di formazione dei provvedimenti che  disciplinano  il
 contenuto   del   rapporto   d'impiego  delle  Forze  di  polizia  ad
 ordinamento militare e delle Forze armate, ai sensi dell'art. 2 della
 legge 6 marzo 1992, n. 216 e del conseguente d.lgs. 12  maggio  1995,
 n. 195.
   A  tal  proposito,  i motivi aggiunti proposti dagli appellanti per
 denunciare la legittimita' costituzionale del d.lgs. n. 195/1995 sono
 inammissibili,  perche'   trattasi   di   disposizioni   di   cui   i
 provvedimenti impugnati non fanno applicazione.
   5.1.  -  Cio'  posto, appare dubbio che l'esclusione della liberta'
 sindacale per i militari trovi un ragionevole  fondamento.
   Tale esclusione non e' una conseguenza  necessaria  dell'esclusione
 della  titolarita'  del  diritto  di  sciopero, come e' reso evidente
 dall'ordinamento della Polizia di Stato, nel quale  l'esclusione  del
 diritto  di  sciopero (art. 84, legge 1 aprile 1981, n. 121) coesiste
 con il riconoscimento della liberta' sindacale.
   5.2.  -  Quanto  al  resto,  i  militari  godono  di  liberta'   di
 associazione.
   Una  liberta'  di  associazione,  peraltro  -  consentita  tra soli
 militari con il previo assenso del ministro - confinata in  un  limbo
 funzionale,  delimitato  dal  divieto  per l'associazione di assumere
 iniziative che possano avere carattere sindacale  e  dai  conseguenti
 immanenti controlli dell'autorita' militare.
   I  militari  di  leva,  per  contro, possono iscriversi o permanere
 associati ad associazioni di  categoria,  sia  pure  con  determinati
 divieti nello svolgimento dell'attivita' sindacale.
   5.3.  -  I  militari  eleggono  organi  rappresentativi con compiti
 propositivi e di tutela in tutte le materie attinenti al rapporto  di
 servizio,   ivi   compresa   la   partecipazione  alla  concertazione
 interministeriale in ordine al contenuto del rapporto d'impiego.
   Il  legislatore,  dunque,  pur  negando  ai  militari  la  liberta'
 sindacale,  ha riconosciuto loro facolta' tipiche del contenuto della
 liberta' sindacale medesima, sia pure devolvendole a specifici organi
 di rappresentanza, configurati in posizione  collaborativa  -  e  non
 antagonistica - rispetto alle autorita'.
   Non   giova,  peraltro,  argomentare  dall'esistenza  degli  organi
 rappresentativi per negare la  necessita'  del  riconoscimento  della
 liberta' sindacale.
   Con  gli  organi di rappresentanza, infatti, "non e' coperto l'arco
 delle possibili istanze collettive" (Corte cost., sent.  n.  126  del
 1985,  punto  6  della motivazione): cosi', ad esempio, in materia di
 contenzioso.
   Inoltre, quello degli organi di rappresentanza non  costituisce  un
 sistema  alternativo al principio della liberta' sindacale ad libitum
 del legislatore: con esso, infatti, vengono  sacrificati  i  principi
 della   liberta'   dell'organizzazione  sindacale  e  del  pluralismo
 sindacale.
   Di  particolare rilievo, quest'ultimo, quando si tratti, secondo la
 normazione  vigente,  di  eleggere  i  componenti  degli  organi   di
 rappresentanza,  potendosi le scelte dei militari elettori avvalere -
 contrariamente alla prassi  attuale  -  delle  indicazioni  emergenti
 dalla dialettica sindacale.
   Inoltre, mentre il sistema degli organi di rappresentanza da' luogo
 ad  una  mera  partecipazione  dei  rappresentanti  degli stessi alla
 concertazione  interministeriale  diretta  alla  determinazione   del
 contenuto  del  rapporto  di  impiego  del  personale  delle Forze di
 polizia ad ordinamento militare (art. 2, comma 1, lett. B) del d.lgs.
 12 maggio 1995, n. 195) e delle Forze armate (art. 2, comma 2, d.lgs.
 n. 195 cit.), il sistema della liberta' sindacale puo' dar  luogo  al
 piu'  incisivo  strumento  dell'accordo  sindacale,  in vigore per le
 Forze di polizia ad ordinamento civile (art. 2,  comma  1,  lett.  A)
 d.lgs. n. 195 cit.).
   5.3.  -  Nemmeno  potrebbe  fondarsi  l'esclusione  della  liberta'
 sindacale sull'esigenza di non indebolire la disciplina militare.
   Le  norme  disciplinari,   infatti,   non   subirebbero,   con   il
 riconoscimento della liberta' sindacale, alcuna modifica.
   Inoltre,  all'argomentazione  di tipo "ideologico" sembrano potersi
 estendere le acquisizioni della Corte costituzionale circa il  limite
 alla  liberta'  di  manifestazione del pensiero dei militari, secondo
 cui "per la configurabilita' del limite suindicato non e' sufficiente
 la critica anche aspra delle  istituzioni,  la  prospettazione  della
 necessita'  di mutarle, la stessa contestazione dell'assetto politico
 sociale sul piano ideologico, ma occorre un incitamento  all'azione e
 quindi un principio di azione, e cosi' di  violenza  contro  l'ordine
 legalmente  costituito, come tale  idoneo a porre questo in pericolo"
 (Corte cost., sent. n. 126 del 1985 cit, punto 5 della motivazione).
   Sempre  secondo  la  Corte  costituzionale,   "cio'   non   importa
 obliterare quelle particolari esigenze di coesione dei corpi militari
 che  si  esprimono  nei valori della disciplina e della gerarchia; ma
 importa negare che tali valori  si  avvantaggino  di  un  eccesso  di
 tutela   in   danno   delle  liberta'  fondamentali  e  della  stessa
 democraticita' dell'ordinamento delle  Forze  armate"  (Corte  cost.,
 sent. n. 126 del 1985 cit., punto 6 della motivazione).
   6.  - Cio' posto, la questione di legittimita' costituzionale della
 disposizione in esame appare non manifestamente infondata.
   Ed invero, chiarito che il divieto dell'esercizio  del  diritto  di
 sciopero resta fermo, con tutto il sistema della disciplina militare,
 pur  con  il riconoscimento della liberta' sindacale, sembra di dover
 dubitare della ragionevolezza complessiva di un  sistema  che  da  un
 lato  conferisce  separata  evidenza  alle  istanze  collettive della
 categoria, dall'altro esclude il principio della  liberta'  sindacale
 senza  che sembrino ricorrere motivi fondati su valori costituzionali
 preminenti.
   Tale disciplina non appare ragionevole, in riferimento:
     agli artt: 39 e 52, terzo comma Cost.,  atteso  che,  nel  quadro
 normativo   complessivo,  non  si  ravvisano  motivi  plausibili  per
 sopprimere per  i  militari  uno  tra  i  diritti  costituzionalmente
 garantiti,  di  cui  lo stesso art. 3 della legge n. 382/1978 prevede
 soltanto limitazioni nell'esercizio;
     all'art.  3  Cost., atteso che, nel quadro normativo complessivo,
 non sembra ragionevole la  diversita'  di  disciplina  rispetto  alle
 Forze  di  polizia  ad  ordinamento civile, che godono della liberta'
 sindacale.
   La questione, pertanto, va rimessa alla Corte costituzionale  e  il
 processo va sospeso.