LA CORTE DI CASSAZIONE
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n.
 8200/89 del r.g. aa.cc. proposto da Gabriele  Verrina,  elettivamente
 domiciliato  in  Roma,  piazza  Annibaliano  n.  18, presso lo studio
 dell'avv. Marino Petrone, che lo rappresenta e difende, giusta delega
 a  margine  del  ricorso,  ricorrente contro il Ministero di grazia e
 giustizia,  in  persona  del  Ministro   in   carica,   elettivamente
 domiciliato  in  Roma,  via  dei Portoghesi n. 12 presso l'Avvocatura
 generale dello  Stato,  che  lo  rappresenta  e  difende  ope  legis,
 controricorrente,  nonche'  il  procuratore  generale presso la Corte
 suprema di cassazione ed il Consiglio superiore  della  magistratura,
 intimati,   avverso   la  decisione  del  Consiglio  superiore  della
 magistratura, emessa il 15 aprile 1988;
    Udita  nella  pubblica udienza, tenutasi il giorno 13 luglio 1990,
 la relazione della causa svolta dal cons. rel. dott. Longo;
    Udito l'avv. Petrone;
    Udito il p.m., nella persona del dott. Amatucci, avvocato generale
 presso la Corte suprema di cassazione che ha  concluso  chiedendo  la
 rimessione della causa alla Corte costituzionale perche' decida sulla
 questione di costituzionalita' peraltro gia' sollevata dalle  sezioni
 unite con precedente ordinanza del 1990;
                           RITENUTO IN FATTO
    Con  separati  procedimenti  disciplinari (nn. 41/84 e 5/85 r.g.),
 successivamente riuniti,  il  dott.  Gabriele  Verrina,  pretore  del
 mandamento  di Citta' di Castello e direttore della casa mandamentale
 della stessa citta', veniva incolpato della violazione  dell'art.  18
 del  r.d.-l.  31  maggio  1946,  n.  511,  per aver mancato ai propri
 doveri, cosi' compromettendo il prestigio dell'ordine giudiziario.
    Nel procedimento n. 41/84 gli si addebitava:
       a)  di  aver  interferito nell'istruttoria in corso a carico di
 Altomonte Maurizio e Agarbati Enrico -  imputati  di  evasione  dalla
 predetta  casa  mandamentale - dopo aver trasmesso per competenza gli
 atti del procedimento  al  Procuratore  della  Repubblica  presso  il
 tribunale  di  Perugia,  e di aver insistito nell'interferire, fino a
 dare ordine ad uno dei custodi della casa predetta di non far entrare
 alcuna  persona  nel  carcere,  compreso il giudice istruttore, dott.
 Materia, senza autorizzazione di esso pretore;
      b)   di  aver  cercato  ripetutamente  d'indurre  l'Agarbati  ad
 accusare un custode del carcere di correita' nell'evasione; e di aver
 inoltre   cercato  di  favorire  l'Altomonte,  unico  accusatore  del
 custode, assicurandogli, sempre che egli avesse  mantenuto  ferme  le
 sue  accuse,  un  proprio intervento presso il giudice di Perugia; di
 aver infine consigliato all'Altomonte, per la sua difesa,  la  scelta
 di due avvocati (Ricciardi e Petrini) di Perugia.
    Nel  procedimento n. 5/85 al dott. Verrina veniva mosso l'addebito
 di aver rivolto, dall'agosto 1983 in poi, a vari istituti di  credito
 della  provincia  di  Perugia,  con sede anche in Citta' di Castello,
 sollecitazioni, con carta intestata della pretura,  e  con  la  firma
 preceduta  dalla  qualifica  "Il  pretore  dirigente",  ad acquistare
 numerose copie di una propria pubblicazione  ("L'imputabilita'  e  il
 reato") in vendita per il prezzo di lire 15.000.
    Con  sentenza  in  data 10 maggio 1985 la sezione disciplinare del
 Consiglio superiore  della  magistratura  infliggeva  al  Verrina  la
 sanzione  disciplinare  della  censura, disponendone il trasferimento
 d'ufficio, sulla base della ritenuta sussistenza  degli  addebiti  di
 cui  al  capo a) del procedimento n. 41/84 ed al capo b) dello stesso
 procedimento, ma limitatamente all'ultima contestazione (relativa  al
 consiglio  per  la nomina dei difensori), nonche' all'addebito di cui
 al procedimento n. 5/85.
    Con  la stessa sentenza la sezione disciplinare lo assolveva dalle
 rimanenti incolpazioni.
    Il  dott.  Verrina ricorreva alle sezioni unite di questa Corte di
 cassazione, che con sentenza del 4 marzo 1987 accoglievano per quanto
 di   ragione   il  primo  mezzo  del  ricorso,  denunziante  vizi  di
 motivazione  in  ordine  alla  ritenuta  prova  dell'ordine  relativo
 all'accesso  alla  casa  mandamentale  ed  ai motivi che lo avrebbero
 ispirato; e del pari, per quanto di ragione,  accoglieva  il  secondo
 mezzo,  relativamente alla ritenuta gravita' dell'aver consigliato al
 detenuto di avvalersi di determinati difensori;  rigettava  il  terzo
 mezzo,  che  censurava  la  statuizione  della  sezione  disciplinare
 sull'ultimo degli addebiti sopra menzionati.
    Questa  Corte cassava pertanto la pronunzia impugnata in relazione
 alle censure accolte, e rinviava la causa alla sezione  disciplinare.
    Con sentenza del 15 aprile 1988 quest'ultima, pronunziando in sede
 di rinvio, assolveva il Verrina dall'incolpazione di cui al  capo  a)
 del   procedimento   n.   41/84,  lo  dichiarava  responsabile  delle
 incolpazioni di cui al capo b) dello stesso procedimento  nonche'  di
 quella  di  cui al procedimento n. 5/85, e gli infliggeva le medesime
 sanzioni disciplinari della censura e del trasferimento d'ufficio.
    Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Verrina,
 sulla base di quattro mezzi di doglianza.
    Il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso.
                         CONSIDERATO IN DIRITTO
    1.   -  Con  il  primo  mezzo  si  denunzia  "violazione  e  falsa
 applicazione dell'art. 59, nono comma, del d.P.R. 16 settembre  1958,
 n.  916,  cosi'  come  modificato dall'art. 12, della legge 3 gennaio
 1981, n. 1 (art. 360, n. 3 del c.p.c.)", e si solleva, in  subordine,
 "questione  di  legittimita'  costituzionale  della predetta norma in
 relazione agli artt. 3, primo comma e 104, primo comma, Cost.".
    Sostiene  in primo luogo il ricorrente, con il mezzo in esame, che
 la sezione disciplinare, accogliendo  l'eccezione  da  lui  proposta,
 avrebbe  dovuto  dichiarare  l'estinzione  del procedimento, "essendo
 decorso piu' di un anno dalla precedente pronuncia" di questa Corte e
 dalla  comunicazione della fissazione dell'udienza in sede di rinvio.
 Secondo la tesi del Verrina, infatti, il termine prescrittivo annuale
 previsto  dall'art.  12  della  legge  3  gennaio  1981, n. 1, che ha
 sostituito l'ultimo comma dell'art. 59 della innanzi citata legge del
 1958,  sarebbe  applicabile  (sebbene siffatta applicabilita' non sia
 esplicitamente prevista dalla norma) anche  nel  giudizio  di  rinvio
 conseguente   alla   cassazione   di   una   sentenza  della  sezione
 disciplinare, e addirittura decorrerebbe non dalla data del  deposito
 (nella  specie,  4  marzo  1987), bensi' da quella della "pronuncia",
 (nella specie, 9  ottobre  1986),  intesa  come  deliberazione  della
 sentenza di cassazione con rinvio.
    L'individuazione  di siffatto termine iniziale deriverebbe secondo
 il ricorrente - "dal disposto dell'art. 380 del  c.p.p.  in  base  al
 quale  la  Corte  di  cassazione,  dopo  la  discussione della causa,
 delibera "nella stessa seduta" la sentenza in camera di consiglio".
    Alle  conclusioni innanzi accennate dovrebbe condurre - secondo la
 tesi del Verrina  -  un'interpretazione  estensiva  del  "nono  comma
 dell'art.  59  del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916", come modificato
 dalla legge del 1981, con l'introduzione della quale  il  legislatore
 avrebbe  manifestato  l'intento di "prevedere dei ben precisi termini
 per l'intero procedimento", diversamente potendo avverarsi  l'ipotesi
 del protrarsi sine die di un procedimento disciplinare a carico di un
 magistrato.
    In  subordine,  il  ricorrente prospetta questione di legittimita'
 costituzionale della  norma  in  esame,  sia  sotto  il  profilo  del
 contrasto  con il principio di uguaglianza (art. 3, Cost.), sia sotto
 quello  del  principio   dell'autonomia   e   dell'indipendenza   del
 magistrato  (art.  104,  Cost.),  sotto  ambedue i profili insistendo
 sulla considerazione  che  per  tutta  l'eventuale  fase  processuale
 "posteriore   alla   prima   sentenza   del   giudice  disciplinare",
 interpretare la legge nel  senso  dell'inesistenza  di  un  qualsiasi
 termine  estintivo  equivarrebbe  ad affermare la possibilita' di una
 durata   all'infinito   del   procedimento   disciplinare    iniziato
 tempestivamente.
    2.   -   Sul  punto  riguardante  la  prospettata  interpretazione
 estensiva la tesi del ricorrente non puo' condividersi.
    Gia'  con  una  precedente  ordinanza (n. 296, del 24 aprile 1990)
 riguardante la medesima  questione,  queste  sezioni  unite,  facendo
 richiamo a principi accolti in alcuni dei propri precedenti (sentenze
 nn.  2144/84,  2265/85,  221/86)  e  disattendendo  l'interpretazione
 adottata  in  un  precedente difforme (sent. n. 3282 del 1985), hanno
 rilevato come di  fronte  al  chiaro  dettato  della  legge,  che  ha
 previsto,   a  pena  di  estinzione  del  procedimento  disciplinare,
 soltanto due diversi termini,  l'uno  annuale  entro  il  quale  deve
 essere  comunicato  all'incolpato  il  decreto  di  fissazione  della
 discussione  orale  innanzi  alla  sezione  disciplinare  e   l'altro
 biennale  entro  cui  (con decorrenza da siffatta comunicazione) deve
 essere emanata  la  sentenza,  non  sia  possibile  accedere  ad  una
 interpretazione   della  legge  che,  anziche'  adeguare  la  formula
 all'uopo adoperata all'effettiva intenzione del legislatore (art.  12
 disp.  prel.),  ne stravolge il contenuto, dando luogo all'emanazione
 di un precetto diverso attraverso un procedimento non gia'  meramente
 ermeneutico, ma creativo della legge.
    Infatti  -  come  osservato nella citata ordinanza - e' fin troppo
 evidente la diversita' fra la prima fase del procedimento -  per  cui
 il  termine,  cui  il  ricorrente  si  riferisce, e' previsto - ed il
 dibattimento che segue  alla  cassazione  con  rinvio,  il  quale  e'
 caratterizzato  fondamentalmente  dall'applicazione  del principio di
 diritto enunciato dalle sezioni unite, per poter concludere nel senso
 auspicato  dal  ricorrente: per argomentare cioe' che il dibattimento
 in sede di rinvio debba esser soggetto allo  stesso  termine  annuale
 previsto dall'art. 12 della novella del 1981 per la fase anteriore.
    D'altro  canto  - si e' ancora osservato - l'art. 12 ora citato ha
 modificato  soltanto  l'art.  59  del  ricordato  d.P.R.  del   1958,
 riflettente  esclusivamente  le  fasi dell'istruttoria e del giudizio
 innanzi alla sezione  disciplinare,  senza  incidere  tuttavia  sulla
 disciplina  delle eventuali fasi di gravame e sul procedimento che si
 svolge in sede di rinvio, la cui autonomia rispetto  al  procedimento
 iniziale non appare suscettibile di discussione.
    3.  -  Peraltro,  sembra meritare adesione la tesi subordinata del
 ricorrente, secondo cui l'interpretazione, la quale  esclude  che  la
 legge prevede un termine di prescrizione dell'azione disciplinare per
 le fasi successive a quella che si conclude  con  la  prima  sentenza
 disciplinare,  determina  il  sorgere  di un problema di legittimita'
 costituzionale della ricordata norma della legge  del  1981;  e  puo'
 ritenersi che la questione sorga non soltanto in relazione agli artt.
 3 e 104, bensi' anche con riferimento  agli  artt.  24  e  101  della
 Costituzione,  come  gia'  parimenti  osservato nella citata, recente
 ordinanza di queste sezioni unite.
    La  questione  accennata,  nel  caso  di  specie,  sembra  potersi
 ritenere rilevante e non manifestamente infondata (e dall'esposizione
 dei  termini  e  delle  ragioni  per cui la si ritiene tale emergera'
 anche la superfluita' dell'indugiare sulla contestabilita' della tesi
 del  ricorrente  la  quale,  ai  fini  della  decorrenza  del termine
 prescrittivo da lui supposto applicabile, identifica la data  di  una
 sentenza   di   queste   sezioni   unite   civili  con  quella  della
 "deliberazione"  anziche'  con  quella  della   pubblicazione   della
 decisione).
    Sotto  il profilo della rilevanza, va ricordato in primo luogo che
 l'incolpato  stesso,  gia'  nel   giudizio   innanzi   alla   sezione
 disciplinare,    aveva    chiesto    dichiararsi   l'estinzione   del
 procedimento. Ed in secondo luogo va osservato che, una volta esclusa
 - in sede di interpretazione della legge n. 1 del 1981 - nel giudizio
 di rinvio innanzi alla sezione disciplinare l'applicazioe del termine
 annuale  previsto  dall'art.  12  della legge citata, il procedimento
 disciplinare di rinvio rimane  privo  di  qualsiasi  termine  che  lo
 disciplini   e   puo'   quindi   legittimamente   protrarsi  a  tempo
 indeterminato. A  questa  conclusione  si  perviene  ineluttabilmente
 osservando che - come queste sezioni unite hanno gia' avuto occasione
 di precisare con  la  sent.  n.  2342/88  -  le  norme  del  processo
 disciplinare  a  carico di magistrati dinanzi all'aposita sezione del
 c.s.m., ivi incluse quelle del rito penale richiamate dagli artt.  33
 e  34  del r.d.-l. 31 maggio 1946, n. 511, trovano applicazione anche
 in sede di rinvio,  dopo  l'annullamento  della  pronuncia  di  detta
 sezione  disposto dalla suprema corte, senza che possano invocarsi le
 disposizioni dettate dagli artt. 392 e ss. del c.p.c.
    La   relativa  disciplina  giuridica  presuppone  infatti  che  il
 giudizio di rinvio trovi impulso in un atto di riassunzione  che,  in
 quanto  rimesso  alla  iniziativa  della  parte interessata, la legge
 processuale dispone debba essere compiuto entro un dato termine.  Nel
 procedimento  disciplinare  invece,  dopo  la  cassazione con rinvio,
 manca qualsiasi atto riassuntivo poiche' la procedura, anche in  sede
 di rinvio, e' caratterizzata dalla officiosita' analogamente a quanto
 si verifica  nel  processo  penale.  In  quest'ultimo,  tuttavia,  la
 mancanza  di  un termine entro cui deve essere proseguito il giudizio
 di rinvio nei confronti dell'imputato trova un correttivo di notevole
 rilevanza  nella  disciplina  della  prescrizione  che  determina  la
 estinzione della pretesa punitiva quando sia decorso un dato  periodo
 di  tempo  (che  varia  a  seconda  del reato commesso) senza che sia
 intervenuta la sentenza irrevocabile.
    Nel  procedimento  disciplinare  nei  confronti  dei magistrati la
 stessa applicazione delle norme del processo penale - estensibile per
 concorde  riconoscimento  anche  alla  fase di rinvio - dove non sono
 previsti termini di  sorta  per  la  instaurazione  del  giudizio  di
 rinvio,  attesa  la  sua  officiosita',  fa si' che la norma in esame
 sostanzialmente operi, quale diritto vivente, nel senso che  in  tale
 fase del procedimento, e diversamente da quella iniziale, l'incolpato
 e' soggetto illimitatamente al potere  disciplinare  e  quindi  senza
 termine  alcuno.  Il  che  determina  la  rilevanza della prospettata
 questione di legittimita' costituzionale.
    4.   -  La  medesima  questione  e'  altresi'  non  manifestamente
 infondata, avendo riguardo al configurabile contrasto  dell'art.  12,
 quarto  comma,  della  legge citata con gli artt. 3, 24, 101, secondo
 comma, e 104, secondo comma, della Costituzione.
    Per  quanto  riguarda  il contrasto con l'art. 3 una prospettabile
 irragionevolezza della norma emerge considerando che se e' vero  che,
 come  la  Corte  costituzionale  con  la  sentenza n. 145 del 1976 ha
 statuito, non e' fondata - in riferimento  agli  artt.  101,  secondo
 comma,  104,  primo  comma,  e  107,  primo  e  settimo  comma, della
 Costituzione - la  questione  di  legittimita'  costituzionale  della
 normativa  sulla  disciplina  dei magistrati (r.d. 31 maggio 1946, n.
 511; legge 24 marzo 1958, n. 195; d.P.R. 16 settembre 1958,  n.  916)
 per la parte relativa alla omessa prefissione di termini all'inizio e
 alla  definizione  del  processo   disciplinare,   nonche'   l'omessa
 previsione di una prescrizione estintiva dell'azione disciplinare, in
 quanto in questa materia la discrezionalita' legislativa spazia entro
 un  ambito  molto largo, e' altresi' vero che dopo la pronunzia della
 Corte  costituzionale  la  legge  3  gennaio  1981,   n.   1,   sulla
 costituzione  ed  il  funzionamento  del  Consiglio  superiore  della
 magistratura,  ha  avvertito  l'esigenza  di   limitare   nel   tempo
 l'esercizio  dell'azione  disciplinare,  al  fine  di  realizzare una
 giusta tutela del diritto di difesa dei magistrati  nel  procedimento
 disciplinare.  La  previsione  normativa si e' tuttavia limitata alla
 prima fase del procedimento, che va dal suo  inizio  alla  fissazione
 della discussione orale innanzi alla sezione disciplinare, mentre non
 si e' previsto alcun termine per il procedimento  che  si  svolge  in
 sede  di  rinvio in seguito alla sentenza di cassazione delle sezioni
 unite,  il  quale  puo'  instaurarsi  e  protrarsi  nel  tempo  anche
 illimitatamente  stando  alla  disciplina  introdotta  dalla norma in
 esame.
    Siffatta  diversita' di disciplina appare tuttavia irragionevole e
 priva di  concreta  giustificazione,  non  comprendendosi  per  quale
 motivo   il  legislatore  ordinario  abbia  avvertito  l'esigenza  di
 limitare nel tempo l'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti
 dei  magistrati  nell'ambito  di  un procedimento il quale, attesa la
 fase istruttoria che lo caratterizza,  richiede  presumibilmente  uno
 spazio  di  tempo  piu'  ampio  per  pervenire  alla fissazione della
 discussione  orale  innanzi  alla  sezione  disciplinare,  dopo   che
 quell'istruttoria  sia  stata  compiutamente  espletata,  rispetto al
 tempo che ragionevolmente puo' richiedersi per  la  fissazione  della
 discussione  orale,  dopo  la  sentenza  di  cassazione  con  rinvio,
 nell'ambito di un procedimento  (quello,  appunto,  di  rinvio),  nel
 quale  non  deve  svolgersi  di  regola alcuna attivita' istruttoria,
 trattandosi soltanto di  dare  attuazione  al  principio  di  diritto
 enunciato dalla Corte di cassazione.
    E   questa   irrazionale   disciplina   delle   diverse  fasi  del
 procedimento disciplinare determina una disparita' di trattamento dei
 magistrati  nell'ambito della prima fase che e' soggetta per legge al
 termine annuale entro cui deve  essere  comunicato  all'incolpato  il
 decreto  di  fissazione  della discussione orale a pena di estinzione
 del procedimento rispetto a quanto si verifica nella fase  di  rinvio
 dalla  cassazione,  nella  quale  invece  non  e'  irragionevolamente
 previsto termine alcuno.
    La  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 12, quarto
 comma, della legge in esame si  prospetta  altresi'  con  riferimento
 agli  artt.  24,  101,  secondo  comma,  e  104,  primo  comma, della
 Costituzione.
    Infatti,  se  la  discrezionalita'  legislativa  spazia in materia
 entro un ambito larghissimo "trattandosi di operare  una  valutazione
 comparativa  dei  due  contrapposti  interessi,  del  prestigio della
 funzione e di una giusta tutela dei diritti  dei  singoli  dipendenti
 pubblici"  (come  affermo'  la  Corte  costituzionale  con  la citata
 sentenza n. 145/1976), con l'entrata in vigore dell'art.  12,  quarto
 comma, della legge 3 gennaio 1981, n. 1, non puo' piu' dirsi che, per
 quanto  riguarda  i  magistrati  dell'ordine  giudiziario,  e'  stata
 riconosciuta  prevalenza  incondizionata  al  primo  degli  accennati
 interessi,  non  potendosi  altrimenti  spiegare  la  norma  che   ha
 prefissato  i  termini previsti dall'art. 12, quarto comma, se non in
 funzione di una soluzione meno severa di quella desumibile in assenza
 di   qualsiasi   intervento  legislativo  in  materia.  Si  e'  cosi'
 privilegiato l'interesse del magistrato ad una sollecita  definizione
 del    procedimento    disciplinare,    essendosi    legislativamente
 riconosciuto che la mancata prefissione di termini al  riguardo  puo'
 incidere  negativamente  sia  sulla  tutela  del  diritto  di  difesa
 dell'incolpato che sulla sua serenita' di giudizio  nell'espletamento
 dei   suoi   delicati  compiti  ed  infine  sulla  sua  autonomia  ed
 indipendenza.
    In  definitiva,  e'  da  ritenere  rilevante  e non manifestamente
 infondata la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  12,
 quarto  comma,  della  legge  3 gennaio 1981, n. 1, piu' volte citata
 nella parte in cui, pur statuendo che entro un anno  dall'inizio  del
 procedimento  disciplinare  nei  confronti del magistrato deve essere
 comunicato all'incolpato,  a  pena  di  estinzione  del  procedimento
 stesso,  il  decreto  che  fissa  la  discussione  orale davanti alla
 sezione disciplinare, non prevede termine  alcuno  per  l'inizio  del
 procedimento  in  sede di rinvio dalla cassazione - per contrasto con
 gli artt. 3, 24, 101,  secondo  comma,  e  104,  primo  comma,  della
 Costituzione, e pertanto necessaria, ai sensi dell'art. 1 della legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23  della  legge  11
 marzo   1953,   n.   87,   la   rimessione   degli  atti  alla  Corte
 costituzionale.