IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi nn. 6067 e 6068 del 1997 r.g. proposti da Sottile Sebastiano e Battiato Maria rappresentati e difesi dall'avv. Antonio Galasso nel cui studio e' elettivamente domiciliato in Catania, via Crociferi n. 60; Contro la soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Catania, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania domiciliataria (quanto al ricorso n. 6067 del 1997); Il comune di Mascali, in persona del sindaco pro-tempore rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Tamburello nel cui studio e' elettivamente domiciliato in via Ventimiglia n. 145 (quanto al ricorso n. 6068 del 1997); e con l'intervento (in relazione ad entrambi i ricorsi) della Ravi costruzioni S.n.c. di Giuseppe Raciti e Santo Villani, in persona del legale rappresentante pro-tempore rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Trimboli, nel cui studio e' elettivamente docimiciliato in Catania, via V. Giuffrida n. 37, per l'annullamento: a) quanto al ricorso n. 6067 del 1997, della nota della Soprintendenza del 3 ottobre 1997, n. 14311 di revoca del precedente nulla osta del 3 giugno 1997, n. 2230/II, rilasciato ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939 per la edificazione di un complesso edilizio in territorio del comune di Mascali, frazione di Fondachello; b) quanto al ricorso n. 6068 del 1997, della nota sindacale del 13 ottobre 1997, n. 22389 con la quale il comune ha negato il rilascio della concessione edilizia (prat. 5444) presentata dalla parte ricorrente per la realizzazione di un complesso edilizio in Mascali, frazione Fondachello; Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del giorno 9 dicembre 1998 il relatore consigliere Vincenzo Salamone; Uditi per la parte ricorrente l'avv. Antonino Galasso, per la Soprintendenza ai beni culturali l'avvocato dello Stato Angela Palazzo, per il comune di Mascali l'avv. Giuseppe Tamburello e per la soc. Ravi costruzioni l'avv. Salvatore Trimboli; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. F a t t o Con il gravame n. 6067 del 1997 si espone che la parte ricorrente e' proprietaria di un terreno sito nel comune di Mascali, frazione di Fondachello, fg. 28 partt. 103, 309, 461 e 464, ricadente in ZTO B2 ed inserito nel tessuto urbano di detta frazione. Per detta area il ricorrente ha presentato domanda di concessione edilizia al comune di Mascali (prat. 5444), per la realizzazione di un edificio, ed ha ottenuto i pareri favorevoli della Commissione edilizia e della Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali in data 3 giugno 1997 con nota n. 2230/II. Con la nota della Soprintendenza del 3 ottobre 1997, n. 14311 si e' proceduto alla revoca del precedente nulla osta del 3 giugno 1997, n. 2230/II, rilasciato ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939 per la edificazione del complesso edilizio in questione, avendo verificato che l'area sulla quale avrebbe dovuto sorgere il complesso edilizio ricade nella fascia di rispetto boschiva ed inedificabile, ai sensi dell'art. 10, comma 1 della l.r. n. 16 del 1996. All'atto impugnato vengono mosse le seguenti censure: 1) violazione degli artt. 8 e ss. della legge reg. n. 10 del 1991 e difetto di giusto procedimento; 2) violazione dei principi in materia di autoannullamento e della circolare 31 marzo 1992, n. 5000 e difetto di motivazione; 3) violazione di giudicato che si sarebbe formato sull'obbligo di provvedere in ordine alla domanda di rilascio della concessione edilizia; 4) falsa applicazione dell'art. 10 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 e violazione dell'art. 15, lett. e) della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78 sotto il profilo del travisamento, in quanto le aree con le caratteristiche o con destinazione a ZZ.TT.OO. A e B dovrebbero ritenersi sottratte alla applicazione del vincolo predetto; 5) violazione degli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione in quanto la normativa di cui agli artt. 4, e 10 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16, violerebbe precetti costituzionali, quali il principio di uguaglianza ed il diritto di proprieta'; 6) violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 5 e 10 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16, errore sul presupposto ed incompetenza, in quanto l'imposizione del vincolo presupporrebbe l'inclusione dell'area negli elenchi che l'Amministrazione forestale e' tenuta a compilare ed in quanto l'area in questione non avrebbe le caratteristiche per la qualificazione come boschiva. Con il gravame n. 6068 del 1998 viene impugnata la nota sindacale del 13 ottobre 1997, n. 22389 con la quale il comune ha negato il rilascio della concessione edilizia (prat. 5444). All'atto impugnato si muovono le seguenti censure: 1) violazione dell'art. 2 della legge reg. 31 maggio 1994, n. 17, in quanto in ipotesi di formazione del silenzio assenso sulla richiesta di concessione edilizia il potere che residua all'Ammnistrazione e' quello dell'autoannullamento in presenza dei relativi presupposti normativi; 2) elusione di giudicato che si sarebbe formato sull'obbligo di provvedere in ordine alla domanda di rilascio della concessione edilizia; 3) vizi derivati dalla revoca del nulla osta della Soprintendenza, impugnato con il precedente gravame. La Soprintendenza ai beni culturali di Catania, nel costituirsi in giudizio, ha chiesto il rigetto del gravame n. 6067 del 1997. Il comune di Mascali, nel costituirsi in giudizio, ha chiesto il rigetto del gravame n. 6068 del 1997. La Ravi costruzioni S.n.c. e' intervenuta nel giudizio spiegando intervento adesivo ad entrambi i ricorsi. Alla pubblica udienza del 9 dicembre 1998 la causa e' passata in decisione. Con sentenza parziale deliberata alla camera di consiglio del 9 dicembre 1998 il Collegio, previa riunione, ha rigettato i ricorsi di cui in epigrafe con eccezione del motivo di censura che attiene al profilo di incostituzionalita' della normativa ed ha, quindi, disposto la sospensione del giudizio per remissione alla Corte costituzionale, con separata ordinanza, della questione di costituzionalita' relativa. Il Collegio ha ritenuto, in particolare, che non meritano accoglimento i primi tre motivi di censura del ricorso n. 6067 del 1997 con i quali rispettivamente si lamenta: violazione degli artt. 8 e ss. della legge reg. n. 10 del 1991 e difetto di giusto procedimento; violazione dei principi in materia di autoannullamento e della circolare 31 marzo 1992, n. 5000 e difetto di motivazione; violazione di giudicato che si sarebbe formato sull'obbligo di provvedere in ordine alla domanda di rilascio della concessione edilizia. Osserva il Collegio che la nota della Soprintendenza del 3 ottobre 1997, n. 14311, di revoca del precedente nulla osta del 3 giugno 1997, n. 2230/II, rilasciato ex art. 7 della legge n. 1497 del 1939 per la edificazione di un complesso edilizio in territorio del comune di Mascali, frazione di Fondachello, e' stato adottato in condizioni di urgenza a provvedere, al fine di impedire una modificazione irreversibile del territorio, incompatibile con l'esigenza di tutela dei beni ambientali. Le condizioni di urgenza esimono dal rispetto delle norme sulla partecipazione al procedimento. La brevita' del lasso di tempo intercorrente dalla data di adozione dell'atto rimosso in autotutela e la circostanza che non aveva ancora avuto inizio l'attivita' edilizia, esimevano la Soprintendenza dal motivare in ordine alla esistenza di un interesse pubblico all'esercizio dell'autotutela; interesse pubblico prevalente, peraltro, in re ipsa nella fattispecie in relazione all'esigenza di salvaguardia dei beni ambientali. Nessuna violazione del giudicato si configura nella fattispecie in quanto la sentenza di questo Tribunale amministrativo, sez. int. 2, del 29 settembre 1995, n. 2233 riguarda la declaratoria della illegittimita' del silenzio rifiuto de comune di Mascali in ordine al rilascio della concessione edilizia. Il giudicato sul silenzio rifiuto non si riferisce, pertanto, alla procedura di rilascio del nulla osta ambientale di competenza di Amministrazione diversa da quella parte nel precedente giudizio e, comunque, non pregiudica il potere legislativo di imporre vincoli generalizzati sul territorio. 4) infondato e' il quarto motivo di gravame con il quale si lamenta falsa applicazione dell'art. 10 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 e violazione dell'art. 15, lett. e) della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, sotto il profilo del travisamento, in quanto le aree con le caratteristiche o con destinazione a ZZ.TT.OO. A e B dovrebbero ritenersi sottratte alla applicazione del vincolo predetto. Il Collegio e' dell'avviso che al divieto di edificazione di cui all'art. 10, comma 1 della l.r. n. 16 del 1996 debba riconoscersi portata autnoma rispetto al vincolo di inedificabilita' previsto dall'art. 15 della l.r. 12 giugno 1976, n. 78; cio' in considerazione, sia della coincidenza solo parziale dell'ambito di operativita' delle norme, sia del carattere speciale della disciplina contenuta nella legge n. 16 del 1996. Va rilevato, inoltre, che le previsioni del citato art. 10 comprendono ed assorbono integralmente l'ambito di efficacia precedentemente coperto dalla lettera e) dell'art. 15 della l.r. n. 78/76 (ad accezione, ovviamente, di quanto concerne la tutela dei parchi archeologici), deve, pertanto, ritenersi che la sopravvenuta regolamentazione dell'intera materia ha determinato effetti abrogativi rispetto alla ricordata corrispondente parte della lettera e) dell'art. 15 della l.r. n. 78/1976, anche se quest'ultima disposizione non e' compresa fra quelle espressamente abrogate dalla l.r. n. 16 del 1996 ed elencatevi all'art. 86. In conseguenza di cio', i divieti edificatori posti dal citato art. 10 operano anche per le zone "A" e "B" dei vigenti strumenti urbanistici interessati. Meritano, pertanto, di essere condivise le conclusioni cui sono pervenuti l'ufficio legislativo e legale della Presidenza della regione con nota n. 5970 del 26 marzo 1997, l'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo con parere n. 30539 del 2 dicembre 1997 ed il Consiglio di giustizia amministrativa con parere n. 144/1998 del 21 aprile 1998. 5) non merita accoglimento il sesto motivo di censura con il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 5 e 10 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16, errore sul presupposto ed incompetenza, in quanto l'imposizione del vincolo presupporrebbe l'inclusione dell'area negli elenchi che l'Amministrazione forestale e' tenuta a compilare ed in quanto l'area in questione non avrebbe le caratteristiche per la qualificazione come boschiva. La censura attiene all'esecutivita' delle prescrizioni di cui all'art. 10 anzidetto, in assenza di esplicita disposizione analoga a quella effettuata dell'art. 2, comma 3 della citata l.r. n. 15/1991, che ha reso "direttamente ed immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati" i vincoli di arretramento di cui all'art. 15, della l.r. n. 78/1976 con la prevalenza degli stessi "sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali". La parte ricorrente prospetta l'ipotesi che detta efficacia debba farsi coincidere con la formazione dell'inventario forestale regionale, previsto dall'art. 5 della citata l.r. n. 16/1996, ovvero, in via subordinata, dall'approvazione del piano regolatore generale contenente lo studio agricolo-forestale ex art. 3, comma 11 della citata l.r. n. 15/1991, adeguato alle prescrizioni discendenti dall'applicazione degli artt. 4 e 10 della medesima legge n. 16/1996 (nonostante detto art. 3 faccia riferimento alle "prescrizioni dell'art. 15, lett. e), della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78"). Al riguardo il Collegio ritiene che la ratio e la lettera della disposizione normativa di cui ai commi 1 e 2 del gia' citato art. 10 depongono univocamente nel senso di dover ritenere efficace ope legis il vincolo di inedificabilita' in esame, prevalendo quindi sulle previsioni contenute negli strumenti urbanistici comunali generali ed attuativi, analogamente a quanto disposto dal comma 3 dell'art. 2 della citata l.r. n. 15/1991 (secondo cui "le disposizioni di cui all'art. 15, primo comma, lettere a), d) ed e) della legge regionale 12 giugno 1976, n. 78, devono intendersi direttamente ed immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati. Esse prevalgono, infatti, sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi"). Il divieto edificatorio, infatti, non e' condizionato ad alcun adempimento preliminare e l'eventuale deroga allo stesso divieto viene riferita ai "piani regolatori dei comuni", siano essi esistenti che ancora da approvare. La inedificabilita' quindi, e' operativa anche in assenza di apposito provvedimento amministrativo di visualizzazione del relativo vincolo su elaborati grafici del P.R.G., e cio' nonostante che, a differenza di altri vincoli (cimiteriale, ferroviario, stradale, dei parchi archeologici ecc.), per i quali risulta agevole individuare le relative fasce di rispetto, richiede invece un'apposita valutazione sulla effettiva natura delle aree boscate, come definite dall'art. 4 della menzionata legge n. 16/1996, che costituisce appunto il contenuto dello studio forestale del piano regolatore generale prescritto dall'art. 3 della citata l.r. n. 15/1991. Detta valutazione - che in attesa dello studio forestale potrebbe essere effettuata di volta in volta dall'Ispettorato ripartimentale delle foreste o da professionista abilitato a iniziativa dei privati - non avrebbe, quindi, effetto "costitutivo" del vincolo boschivo, bensi' "dichiarativo", in quanto assumerebbe una funzione "ricognitoria" della presenza di aree boscate aventi le caratteristiche di bosco, come definite dall'art. 4 della legge 16 in argomento. Osserva purtuttavia il Collegio che, per gli strumenti urbanisti (adottati o approvati) i cui studi agricolo-forestali risultino redatti prima della entrata in vigore della piu' volte citata l.r. n. 16/1996, si presenta sempre la necessita' di un riesame o di una semplice "verifica" degli stessi in ragione dei loro contenuti, al fine di pervenire eventualmente all'adozione di un'apposita variante al piano regolatore generale, e cio', non tanto per dare operativita' ai vincoli di inedificabilita' in argomento, che agiscono, come gia' rilevato, ope legis, ma al fine di rendere facilmente riconoscibili i limiti dello jus aedificandi ed in relazione alla grave compromissione che si determina sul diritto di proprieta'. Detta variante, infatti, seppur non abbia i caratteri tipici di quella "urbanistica", in quanto non connessa a scelte discrezionali, attiene comunque alle funzioni del P.R.G., stante che, ai sensi dell'art. 7 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, detto piano deve necessariamente indicare i "vincoli" presenti nel territorio comunale. Quanto alla presenza nell'area di proprieta' della parte ricorrente dei requisiti che rendono operativa la applicazione del divieto di edificazione, osserva il Collegio che, da adeguata istruttoria, e' stato posto in rilievo come la stessa si trovi nella fascia di rispetto di un'area boschiva impiantata a seguito di intervento della publica amministrazione e che possiede caratteristiche di superficie e di copertura ben maggiore di quelle richieste dall'art. 4 della l.r. n. 16 del 1996. Alla medesima funzione, meramente dichiarativa e non costitutiva, assolve la formazione e l'aggiornamento dell'inventario forestale regionale previsto dall'art. 5 della l.r. n. 16 del 1996; nessuna disposizione del successivo art. 10, infatti, riconnette alla relativa redazione la imposizione del vincolo. 6) con riguardo al quinto motivo di censura con il quale si lamenta la violazione degli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione, in quanto la normativa di cui agli artt. 4, e 10 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16, violerebbe precetti costituzionali quali il principio di uguaglianza ed il diritto di proprieta', il Collegio, ritenendo sussistere la rilevanza ai fini della decisione della controversia e la non manifesta infondatezza, con la presente ordinanza solleva incidente di costituzionalita', riservando alla sentenza definitiva la pronuncia in ordine a spese ed onorari del giudizio. 7) infondato in parte e' il ricorso n. 6068 del 1997. Non merita accoglimento il primo motivo di gravame, con il quale si lamenta la violazione dell'art. 2 della l.r. 31 maggio 1994, n. 17, in quanto in ipotesi di formazione del silenzio assenso sulla richiesta di concessione edilizia il potere che residuerebbe all'Amministrazione e' quello dell'autoannullamento in presenza dei relativi presupposti normativi; La censura muove dal presupposto fattuale che antecedentemente all'adozione dell'atto impugnato si sia formata la fattispecie del silenzio assenso sull'istanza di rilascio della concessione edilizia. L'iter procedimentale per il rilascio della concessione edilizia in questione e' antecedente al mutamento della destinazione urbanistica dell'area, avvenuto ope legis ai sensi dell'art. 10 della legge regionale n. 16 del 1996, che ne ha determinato l'inedificabilita' assoluta. Ancora in data 16 luglio 1997 la parte ricorrente integrava la documentazione tecnica necessaria al rilascio della concessione edilizia ed in data 1 settembre 1997 gli uffici tecnici del comune palesavano l'esistenza di ragioni ostative al rilascio della concessione edilizia, evidenziate e fatte proprie dalla Commissione edilizia in sede di parere reso nelle sedute del 4 e 19 settembre 1997. Infine in data 14 ottobre 1997 il comune, con l'atto impugnato, denegava il rilascio della concessione edilizia anche sulla scorta del diniego di nulla osta della Soprintendenza oggetto del precedente gravame. Dalla ricostruzione delle fasi procedimentali seguenti alla richiesta di concessione edilizia e' agevole desumere che nella fattispecie non si e' determinata la formazione della fattispecie di silenzio assenso, ostandovi peraltro il difetto di un adempimento procedimentale essenziale che incombeva alla parte ricorrente, quale la produzione di perizia giurata di un tecnico attestante la conformita' urbanistica delle opere edilizie da realizzare. 8) infondato e' il secondo motivo di censura con il quale si lamenta la elusione di giudicato che si sarebbe formato sull'obbligo di provvedere in ordine alla domanda di rilascio della concessione edilizia. Si deduce la elusione del giudicato, in reone alla sentenza di questo T.A.R. n. 2233/95, sez. 2, con cui e' stato dichiarato illegittimo il silenzio rifiuto formatosi su precedente istanza di concessione edilizia; ritengono, in particolare, i ricorrenti che nei loro confronti non puo' trovare applicazione la l.r. n. 16/1996, che impone il vincolo di inedificabilita' nelle zone di rispetto delle fasce forestali, dovendosi avere riferimento alla disciplina antecedente all'entrata in vigore della legge in questione, per effetto della suddetta sentenza. Nel caso, pero', non si configura elusione del giudicato in quanto, in primo luogo la sentenza n. 2233/95 non risulta notificata al comune; conseguentemente essa e' passata in giudicato un anno e quarantacinque giorni dopo la data della sua pubblicazione (29 settembre 1995), e cioe' ben oltre la data di entrata in vigore della l.r. n. 16/1996 (12 aprile 96). Le disposizioni della suddetta legge, pertanto, trovano applicazione anche nel caso in specie. Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale il momento rilevante ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile all'istanza di concessione e' quello della notificazione della pronuncia di annullamento del silenzio rifiuto o del diniego (tra le tante, espressamente, la stessa adunanza plenaria del Consiglio di Stato 8 gennaio 1986, n. 1, Cons. Stato IV, 14 gennaio 1997, n. 5; T.A.R. Catania, sez. 2, 8 marzo 1997, n. 381). In ogni caso giova precisare che non puo' essere opposta all'interessato la diversa e deteriore disciplina urbanistica sopravvenuta alla notificazione della sentenza di annullamento del diniego (o del silenzio rifiuto), allorche' la stessa consegue alle variazioni derivanti da atti che rientrano nella disponibilita' del comune (P.R.G. e regolamento edilizio, piani particolareggiati, localizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico, ecc.); e non anche alle variazioni conseguenti all'entrata in vigore di nuove disposizioni di legge e, in genere, ad atti che esulano dalla competenza e disponibilita' del comune (come nel caso della l.r. n. 16/1996). Soltanto nel primo caso, infatti, la notificazione al comune della sentenza con cui si annulla il diniego (o il silenzio rigetto), puo' assumere valore inibitorio dell'emanazione di eventuali atti capaci di vanificare le aspettative degli interessati. E' questa la ratio di tutte le decisioni in materia; significativa e' in proposito la pronuncia del Consiglio di Stato, adunanza plenaria n. 1 del 1986, sulla quale in sostanza si fondano tutte le successive pronunce, in cui si rileva espressamente che "... riguardo a tutti i riferimenti normativi diversi dalla disciplina urbanistica .... appare pacificamente accolto il principio che le disposizioni sopravvenute dopo la richiesta di concessione non possono essere ignorate ne' eluse nel momento in cui l'autorita' si accinge a provvedere in concreto. Cio' si dice, ad esempio, delle prescrizioni sanitarie, di quelle antisismiche, dei vincoli a tutela delle bellezze naturali e dei beni d'interesse storico o artistico, e via dicendo. In tutti questi casi non pare dubbio che si debba tenere conto della disciplina sopravvenuta ..." "(Sent. cit., punto 5); ed ancora, occupandosi del "temperamento spesso apportato dalla giurisprudenza al principio recepito da questo Collegio ... temperamento grazie al quale si dice che restano inopponibili all'interessato le variazioni dello strumento urbanistico sopravvenute dopo la notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso contro il diniego o contro il silenzio rifiuto ...", il Consiglio ha rilevato che "questo temperamento puo' essere confermato, con la seguente precisazione: che la notificazione della sentenza deve intendersi fatta non solo e non tanto al sindaco quale titolare del potere di rilasciare concessioni edilizie in attuazione degli strumenti urbanistici, quanto al sindaco anche quale capo e legale rappresentante dell'amministrazione comunale, titolare, quest'ultima, dell'iniziativa in materia di pianificazione urbanistica. Alla notifica ... della sentenza si puo' riconoscere, in tale ipotesi, il valore ed il significato implicito di diffida a non operare, ove ne abbia ancora la competenza, variazioni allo strumento urbanistico, che si riflettano sulla situazione cosi' come definita al momento della sentenza" (pronuncia cit., punto 8). Tale principio e' stato, poi confermato e ribadito da tutta la successiva giurisprudenza, secondo cui "non sono opponibili all'interessato le variazioni dello strumento urbanistico sopravvenute dopo la notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso contro il precedente atto o comportamento negativo" (Cons. Stato, IV, 14 gennaio 1997, n. 5). Nel caso in specie la variazione che ha comportato l'inedificabilita' del suolo, non soltanto e' intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento del ricorso contro il precedente comportamento negativo, ma consegue a disposizioni di legge e non ad eventuali modifiche dello strumento urbanistico poste in essere dal comune. 9) sono ugualmente infondate le censure con le quali si denunciano vizi derivati dalla revoca del nulla osta della Soprintendenza, impugnato con il precedente gravame, con l'eccezione della censura con la quale si lamenta la incostituzionalita' dell'art. 10 della l.r. n. 16 del 1997 ed in relazione alla quale con la presente ordinanza si solleva l'incidente di costituzionalita'. D i r i t t o Con riguardo al quinto motivo di censura del ricorso n. 6067 del 1997 (e dedotto in via derivata con il ricorso n. 6068 del 1997) con il quale si lamenta la violazione degli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione, in quanto la normativa di cui agli artt. 4, e 10 della legge regionale 6 aprile 1996, n. 16 violerebbe precetti costituzionali, quali il principio di uguaglianza ed il diritto di proprieta', il Collegio, ritiene sussistere la rilevanza ai fini della decisione della controversia (essendo stati rigettati gli altri autonomi motivi con coeva sentenza parziale) e la non manifesta infondatezza, e solleva incidente di costituzionalita'. La legge regionale siciliana 6 aprile 1996, n. 16 contiene norme sul "riordino della legislazione in materia forestale e di tutela della vegetazione). Al titolo 1 la predetta legge contiene norme sulla forestazione ed all'art. 1 dispone che "la regione promuove la valorizzazione delle risorse del settore agro-silvo-pastorale, il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni di montagna, l'incremento della superficie boscata, della selvicoltura e delle attivita' connesse a questa, la prevenzione delle cause di dissesto idrogeologico, la tutela degli ambienti naturali, la ricostituzione e il miglioramento della copertura vegetale dei terreni marginali, la fruizione sociale dei boschi anche a fini ricreativi". All'art. 3 la legge regionale predetta dispone che "per quanto non diversamente disposto, si applicano, nel territorio della regione, le norme del regio d.-l. 30 dicembre 1923, n. 3267 e successive modifiche ed integrazioni e le successive leggi statali rignardanti la materia forestale". L'art. 4 contiene la definizione di bosco per cui "si definisce bosco a tutti gli effetti di legge una superficie di terreno di estensione non inferiore a 5.000 mq in cui sono presenti piante forestali, arboree e/o arbustive, destinate a formazioni stabili, in qualsiasi stadio di sviluppo, che determinano una copertura del suolo non inferiore al 50 per cento. Si considerano altresi' boschi, semprehe' di dimensioni non inferiori a quelle di cui al comma 1, le formazioni rupestri e ripariali, la bassa ed alta macchia mediterranea, nonche' i castagneti anche da frutto e le fasce forestali di larghezza media non inferiore a 25 metri. Non si considerano in ogni caso boschi i giardini pubblici e i parchi urbani, i giardini e i parchi privati, le colture specializzate a rapido accrescimento per la produzione del legno, anche se costituite da specie forestali, nonche' gli impianti destinati prevalentemente alla produzione del frutto". L'art. 10 definisce le attivita' edilizie consentite nelle zone boschive e prescrive: "1) sono vietate nuove costruzioni all'interno dei boschi e delle fasce forestali ed entro una zona di rispetto di duecento metri dal limite esterno dei medesimi. 2) in deroga a quanto disposto dal comma 1, i piani regolatori dei comuni possono prevedere l'inserimento di nuove costruzioni nelle zone di rispetto dei boschi e delle fasce forestali per una densita' edilizia territoriale massima di 0,30 mc/mq. Il comparto territoriale di riferimento per il calcolo di tale densita' e' costituito esclusivamente dalla zona di rispetto; 3) la deroga di cui al comma 2 e' subordinata al parere favorevole della Sovrintendenza ai beni culturali e ambientali competente per territorio, sentito altresi' il Comitato tecnico-amministrativo dell'AFDRS per i profili attinenti alla qualita' del bosco e alla difesa idrogeologica; 4) i pareri della Sovrintendenza, di cui al comma 3, sono espressi in base a direttive formulate dall'assessore regionale per i beni culturali ed ambientali e per la pubblica istruzione, sentito il Consiglio regionale per i beni culturali e ambientali; 5) all'intemo dei parchi naturali la deroga al divieto di costruzione nelle zone di rispetto dei boschi e delle fasce forestali resta consentita nei soli limiti e con le procedure di cui all'art. 25 della legge regionale 9 agosto 1988, n. 14. 6) all'interno delle riserve naturali non e' consentita la deroga al divieto di cui al comma 1; 7) il divieto di cui al comma 1 non opera per la costruzione di infrastrutture necessarie allo svolgimento delle attivita' proprie dell'Amministrazione forestale; 8) in deroga al divieto di cui al comma 1 nei terreni artificialmente rimboschiti e nelle relative zone di rispetto resta salva la facolta' di edificare nei limiti previsti dalla normativa vigente per le zone territoriali omogenee agricole; 9) con riferimento ai boschi compresi entro i perimetri dei parchi suburbani ed alle relative fasce di rispetto, ferma restando la soggezione a vincolo paesaggistico, ai sensi della legge 8 agosto 1985, n. 431, non si applicano le disposizioni di cui ai commi 1 e 2. L'edificazione all'interno di tali boschi e' tuttavia consentita solo per le costruzioni finalizzate alla fruizione pubblica del parco; 10) le zone di rispetto di cui al comma 1 sono in ogni caso sottoposte di diritto al vincolo paesaggistico ai sensi della legge 29 giugno 1939, n. 1497". Il vincolo di immodificabilita' assoluta per i terreni boschivi (introdotto antecedentemente con l'art. 15, lett. e), della l.r. n. 78 del 1976) e' proprio della legislazione regionale siciliana, mentre, come e' noto, in ambito nazionale vige il vincolo imposto dalla legge n. 431 del 1985, che pone l'onere del preventivo nulla osta ex legge n. 1497 del 1939. Ebbene, anche l'art. 1 della legge n. 431 del 1985, prevede espressamente che "il vincolo .... non si applica alle zone A e B". Giova precisare che le zone A e B (sia nella normativa regionale, che in quella nazionale) sono esenti, non solo dai vincoli derivanti dalle zone di rispetto dei boschi, ma da qualunque vincolo derivante da zone di rispetto dal mare, da laghi e fiumi, da aree archeologiche, ecc., nessuno escluso. In altri termini, nessuna norma (nazionale o regionale) ha mai previsto vincoli naturalistico-ambientali che comportino la inedificabilita' assoluta con riguardo alle zone A e B, nei cui confronti - viceversa - sono possibili vincoli storici, artistici, ecc. Riguardo alla ratio dell'esclusione dal vincolo nelle Z.T.O. A e B, la giurisprudenza ha chiarito che il legislatore ha inteso non compromettere le utilizzazioni edilizie ed urbanistiche da tempo consolidatesi nei centri edificati (cfr. C.d.S. VI 19 maggio 1994, n. 794). La giurisprudenza costituzionale, sin dalla nota sentenza n. 5 del 1980, ha chiarito che lo jus aedificandi e' insito nel diritto di proprieta'; e cio', vale tanto piu' per le aree ricadenti nelle zone A e B del territorio comunale, atteso che rispetto ad esse si e' gia' creata una rilevante aspettativa da parte dei proprietari circa le potenzialita' edificatorie dei propri terreni. A conferma di cio' e della rilevata ratio, in forza della quale le zone A e B sono escluse dai vincoli ex l.r. n. 78/1976 e legge n. 431/1985, la giurisprudenza ha gia' chiarito che l'esclusione da vincoli delle zone A e B non determina disparita' di trattamento fra i cittadini delle varie zone, "giacche' essa tiene conto di un'oggettiva diversita' di situazioni" (cfr. C.G.A. 5 maggio 1993, n. 158). Al contempo si e' precisato che, in forza della propria competenza esclusiva ex art. 14 dello statuto, la regione siciliana puo' dettare deroghe rispetto alle leggi Statali, sempreche' tale diversita' non sia arbitraria o irrazionale, ma risponda alla necessita' di adattamento della disciplina generale alle particolari esigenze locali" (cfr. T.A.R. Palermo II, 21 luglio 1994, n. 809). Cio' posto si osserva che la Corte costituzionale ha precisato che le disposizioni della legge n. 431/1985 costituiscono disciplina qualificabile come norme fondamentali di riforma economico-sociale, pertanto ha dichiarato illegittime quelle disposizioni delle regioni, anche a statuto sociale, che si discostavano ingiustificatamente dalle disposizioni nazionali, e cio' sia quando esse erano dirette in senso ampliativo (cfr. Corte costituzionale 31 marzo 1994, n. 110 e 9 dicembre 1991, n. 437), sia - per lidentita' di ratio - quando la normativa regionale si dirigeva in senso restrittivo rispetto a quella nazionale, incidendo e comprimendo ingiustificatamente ed irrazionalmente il diritto di proprieta' privata (Corte costituzionale 29 dicembre 1995, n. 529). In altri termini: il diritto di proprieta' (costituzionalmente garantito ed implicante anche lo jus aedificandi) puo' ben essere degradato dal legislatore mediante espropriazioni e/o apposizione di vincoli espropriativi o generalizzati, ma in tutti i casi la compressione del diritto di proprieta' deve rispondere ad un interesse pubblico chiaro ed evidente (cfr. T.A.R. Lazio I, 20 dicembre 1986, n. 2317) o, come si esprime testualmente l'art. 42, comma 3, della Costituzione, "per motivi di interesse generale"; ma nel caso delle zone A e B non vi puo' essere alcun interesse pubblico a comprimere il diritto di proprieta', fino ad escludere lo stesso jus aedificandi per tutelare un interesse paesaggistico o naturalistico in pieno abitato (e peraltro senza nemmeno la mediazione del potere di valutazione degli organi preposti alla salvaguardia dei vincoli paesaggistici); al che si aggiunge la palese disparita' di trattamento con il resto del territorio nazionale e con i proprietari di aree ricadenti sempre in zone A e B, ma limitrofi non a boschi, bensi' a laghi, fiumi, mare, ecc. Le Z.T.O. A e B (cosi' come definite nel d.m. n. 1444/1968) sono, infatti, zone gia' fortemente urbanizzate ed antropizzate, pertanto, l'imposizione di un vincolo di immodificabilita' assoluta su aree di tal fatta sarebbe del tutto illogico, poiche' non ha senso impedire di edificare (entro certi limiti compatibili con la vicinanza ad un'area vincolata) in un area gia' edificata. Dal che l'illegittimita' costituzionale di un sacrificio imposto alla proprieta' privata senza che vi sia alcun interesse pubblico a giustificarlo. In questa ottica giova evidenziare i deleteri effetti della predetta normativa, dato che nella fattispecie la zona di rispetto verrebbe a ricomprendere ampie aree degli abitati di tanti comuni delle pendici dell'Etna, dei Nebrodi, delle Madonie, dei Peloritani, degli Iblei (si vedano, ad esempio, le situazioni dei comuni di Floresta, Ucria, S. Domenica Vittoria sui Nebrodi, di Milo, S. Alfio, Nicolosi sull'Etna) i cui centri urbani sono da sempre limitrofi a boschi. Una rigorosa applicazione della predetta normativa determinerebbe un grave pregiudizio a questi (come ad altri) centri urbani, poiche' ad ogni edificio demolito non potra' mai piu' essere sostituito un altro (casa o chiesa o caserma o municipio od ospedale ecc.), per la sussistenza del vincolo di inedificabilita' che non consentirebbe mai di garantire la sopravvivenza del centro urbano, che inevitabilmente verrebbe via via diradato ed eliminato. La conclusione non cambia neppure se in sede di nuovo strumento urbanistico si consentisse l'edificabilita' con l'indice dello 0,30 mc/mq (art. 10, comma 2); sia perche' questa scelta e' frutto di un potere discrezionale e non un obbligo dell'Amministrazione, sia perche' con un tale indice (estremamente ridotto) non si potrebbe certamente garanti re la sopravvivenza dell'abitato i cui indici di cubatura siano attualmente di gran lunga maggiori. In questi comuni l'applicazione della normativa di cui all'art. 10 della l.r. n. 16 del 1996 comporterebbe un grave degrado ed un pregiudizio allo sviluppo di antichi agglomerati urbani, e l'impossibilita' di realizzare anche solo opere pubbliche all'interno dell'abitato esistente che dovranno, pertanto, essere realizzati all'esterno dell'abitato. Sussistono, pertanto, i presupposti per ritenere la non manifesta infondatezza di illegittimita' costituzionale di una normativa che, contrariamente a quanto avviene in tutto il resto del territorio nazionale e a quanto e' previsto per tutti gli altri vincoli, ha la potenzialita' per determinare il degrado dei centri abitati per la tutela aree boschive (spesso di formazione successiva), garantita gia' dall'ordinamento con misure limitative dello jus aedificandi meno penalizzanti e, certamente, piu' compatibili nel bilanciamento di interessi di pari valenza costituzionale. Tali preoccupazioni, peraltro, sono state pienamente condivise dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo con il parere n. 30539 del 2 dicembre 1997 e dall'Assessorato territorio ed ambiente, il quale, con la nota 26 febbraio 1998, n. 65, ha aggiunto ulteriori gravi e rilevanti considerazioni, che conducono anch'esse, per altre vie, all'incostituzionalita' delle norme predette. Se lo scopo della norma e' quello di creare una ampia fascia di rispetto come argine alle nuove ipotesi edificatorie degli strumenti urbanistici, tale scopo e' adattabile alle zone di espansione dell'abitato e non gia' a quelle gia' edificate, quali sono le zone A e B, dato che nessun apprezzabile vantaggio alla tutela dei boschi puo' infatti comportare l'inedificabilita' di ambiti urbani storicamente edificati. Il Collegio, pertanto, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritiene rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di cui in motivazione, la questione di costituzionalita' dell'art. 10, commi 1 e 2, della legge regionale siciliana 6 aprile 1996, n. 16 per violazione degli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione nella parte in cui trova applicazione anche alle zone A e B (o con caratteristiche equiparabili) dei piani regolatori generali.