LA CORTE DEI CONTI
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel  giudizio  in  materia  di
 pensione   militare,  iscritto  al  numero  6771/M  del  registro  di
 segreteria,  proposto  dal  sig.  Castagna   Ernesto,   elettivamente
 domiciliato  a  Palermo, via Tripoli n. 3, presso lo studio dell'avv.
 Vincenzo Sigillo' che lo rappresenta e difende, avverso il decreto n.
 2 emesso dal Ministero della difesa in data 13 gennaio 1990.
   Uditi  alla  pubblica  udienza  del  giorno  19  gennaio  1999,  il
 relatore, cons. Francesco Rapisarda, l'avv. Laura Morreale sia delega
 del  difensore;  non  comparsa  per  la discussione l'amministrazione
 resistente.
   Esaminati gli atti ed i documenti della causa.
                               F a t t o
   Con sentenza n. 90/96/M la sezione giurisdizionale per  la  regione
 siciliana,  rigettava  il  ricorso proposto dal sig. Castagna Ernesto
 avverso il provvedimento in epigrafe con il quale era stato negato il
 trattamento pensionistico privilegiato per  la  infermita'  "sindrome
 nevrosica";  detta  infermita'  non  era stata ritenuta dipendente da
 causa di servizio.
   Avverso tale pronuncia il sig. Castagna proponeva appello.
   Con  sentenza  n.  142/97/A,  la  prima   sezione   giurisdizionale
 centrale,   accoglieva   l'appello,  affermando  che  nella  sentenza
 impugnata era stato omesso l'esame di un  fatto  decisivo  costituito
 dallo svolgimento dell'incarico "di comandante di plotone" durante il
 periodo  1973-1976  e  che  "in  detto  periodo partecipo' a numerose
 esercitazioni in bianco e a fuoco in localita' disagiate; che in data
 1 gennaio 1983 percepi' l'indennita' di impiego operativo per reparti
 di campagna ai sensi dell'art. 3,  legge  n.  78/1983".  La  sentenza
 d'appello  prosegue  precisando  che  "le  dette  circostanze  che se
 valutate per la loro valenza ai fini del  decidere  avrebbero  potuto
 portare   ad   un  diverso  convincimento  sono  state  completamente
 trascurate dal giudice di 1 grado; anzi e' nella opposta affermazione
 che trova ragione il  giudizio  di  infondatezza  del  ricorso".  Con
 queste precisazioni il giudice d'Appello anziche' decidere il merito,
 sostituendo  la  propria  valutazione  a  quella  ritenuta errata, ha
 annullato la sentenza  appellata  e  rimesso  gli  atti  alla  stessa
 sezione   giurisdizionale   per  la  regione  siciliana,  in  diversa
 composizione soggettiva, per nuova pronuncia.
   Con atto depositato il 2 novembre 1998 il ricorrente  ha  riassunto
 il  giudizio  davanti a questa sezione chiedendo l'accoglimento delle
 domande gia' formulate.
   All'udienza del giorno 19 gennaio 1999 il ricorrente ha  confermato
 la domanda di accoglimento del ricorso.
                             D i r i t t o
   Ai  sensi  dell'art. 105 del regolamento di procedura per i giudizi
 innanzi alla Corte dei conti, approvato con r.d. 13 agosto  1933,  n.
 1038,  "quando in prima istanza la competente sezione giurisdizionale
 si sia pronunciata soltanto su questioni di carattere  pregiudiziale,
 su  queste  esclusivamente  si  pronunciano  in  appello  le  sezioni
 riunite.    Quando  invece  in  prima  istanza  la  sezione  si   sia
 pronunciata anche sul merito, le sezioni riunite possono conoscere di
 questo, oppure rinviare la causa al primo giudice".
   Secondo   l'interpretazione   che   di   tale   norma   hanno  dato
 costantemente  le  sezioni  di  appello,  sostituitesi  alle  sezioni
 riunite quale giudice di secondo grado ai sensi dell'art. 1 del d.-l.
 n. 453/1993, convertito con modificazioni, nella legge n. 19/1994, in
 sede  di  giudizio  di impugnazione la pronuncia puo' essere limitata
 alle questioni pregiudiziali o investire anche il  merito,  definendo
 il  giudizio; oppure il giudice di secondo grado, a prescindere dalla
 esistenza di una questione pregiudiziale, puo' pronunciarsi  solo  su
 una   parte   del   merito,   rimandando   gli   atti   alla  sezione
 giurisdizionale che ha emesso la  sentenza  di  primo  grado  perche'
 applichi  il  principio di diritto affermato dal giudice di appello e
 decida sulla restante parte della domanda; ovvero  facendo  rientrare
 tra  i  motivi  di  diritto,  per  i quali e' consentito l'appello in
 materia di pensioni, la valutazione di fatti ritenuti  decisivi  puo'
 annullare la sentenza e rimandare gli atti al primo giudice affinche'
 il  giudizio  venga  rifatto,  indicando  il  criterio  e la corretta
 valutazione dei fatti ritenuti rilevanti.
   In conformita' a tale indirizzo giurisprudenziale, che  costituisce
 "diritto  vivente"  (vedi  per tutte sezioni riunite 4 marzo 1998, n.
 10), nella fattispecie in  esame  la  prima  sezione  giurisdizionale
 centrale  ha  annullato  la  sentenza  di  primo  grado  per  erronea
 valutazione dei fatti, ed ha rinviato la causa al  giudice  di  primo
 grado  affinche'  reiteri  il giudizio, indicando quali fatti e quale
 valutazione debba essere posta a motivazione della nuova sentenza  da
 emettere.
   La sezione di appello, quindi come gia' esposto in "fatto" anziche'
 decidere  il  merito  del  giudizio,  confermando  o  modificando  la
 pronuncia del giudice di primo grado,  gli  ha  rimandato  gli  atti,
 indicandogli  specificamente come dovra' essere definito il giudizio.
 In proposito questa sezione ritiene di dover  chiedere  una  verifica
 sul  piano  della  costituzionalita' dell'art. 105 del regolamento di
 procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti,  approvato  con
 r.d. 13 agosto 1933, n. 1038.
   Invero, come ha affermato la Corte costituzionale, e' consentita la
 richiesta del suo intervento sulla compatibilita' con la Costituzione
 di   un   indirizzo   consolidato  di  interpretazione  di  una  data
 disposizione  che,  percio',  costituisce  diritto  vivente,  essendo
 sufficiente   che  il  giudice  a  quo  riconduca  alla  disposizione
 contestata un'interpretazione non  implausibile  di  cui  ritenga  di
 dover  fare  applicazione nel giudizio principale e sulla quale nutra
 dubbi non arbitrari, ne' pretestuosi, di  conformita'  a  determinati
 parametri di costituzionalita' (Corte costituzionale, 21 luglio 1995,
 n. 345).
   In  particolare, questo giudice ritiene che la norma sopra indicata
 sia in contrasto con l'art. 101, comma 2 Cost., che,  secondo  quanto
 affermato  molte  volte  dalla  Corte  costituzionale,  garantisce la
 liberta' e l'indipendenza del giudice, nel senso di vincolare la  sua
 attivita' alla legge e solo alla legge, in modo che egli sia chiamato
 ad  applicarla  senza interventi ed interferenze al di fuori di essa,
 che possano incidere sulla formazione del suo  libero  convincimento,
 anche  se  non  esclude che il giudice possa essere assoggettato alle
 valutazioni che la legge da' dei rapporti, degli atti e dei fatti,  e
 al  rispetto  degli  effetti che derivano dalle norme che regolano il
 procedimento di formazione graduale della  pronuncia  giurisdizionale
 (sent. n.  50 del 1970 e n. 234 del 1976).
   Quel  che, dunque, la legge non puo' fare e' introdurre vincoli che
 abbiano oggettivamente il solo o principale  effetto  di  ridurre  il
 giudice   a   mero   esecutore  della  decisione  assunta  da  altri,
 precludendo  l'espressione  del  suo  ragionato  convincimento  sulle
 questioni dalle quali dipende la soluzione della causa.
   Secondo  il  diritto vivente, la sezione di appello della Corte dei
 conti, pur entrando nel merito del  giudizio  non  lo  definisce  ma,
 accogliendo  il  motivo  di  gravame  proposto,  censura la decisione
 assunta dal giudice di primo grado e ordina allo stesso  di  assumere
 una  soluzione predefinita cosi' impedendo ogni autonomo giudizio. Da
 qui l'evidente vulnus del principio di indipendenza  del  giudice  di
 primo  grado  che  non  deve solo rispettare la soluzione adottata in
 appello, ma e' costretto ad esprimerla come  propria  convinzione  di
 merito.
   Non  ignora  la  sezione  che in passato la Corte costituzionale ha
 ritenuto manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 384 c.p.c.  per
 violazione dell'art. 101, comma 2, della Costituzione. Ma  la  q.l.c.
 ora  sollevata si pone in termini nettamente differenti. In proposito
 e' opportuno sottolineare infatti che l'attivita' svolta dal  giudice
 di  appello  e' del tutto differente da quella esercitata dalla Corte
 di cassazione la  quale,  come  e'  noto;  al  contrario  dell'organo
 giudicante  di secondo grado, e' giudice del diritto e non del fatto.
 Cosicche', salvo che in ipotesi specifiche nelle quali si fa luogo  a
 cassazione  senza  rinvio,  l'accoglimento del ricorso per cassazione
 comporta sempre il rinvio della causa al giudice di merito, ancorche'
 questi, per effetto della  applicazione  del  principio  del  diritto
 enunciato  dalla  Corte  debba  poi  respingere  la  domanda.  Ma  la
 cassazione con o senza rinvio dipende,  invero,  da  tassative  norme
 processuali,  non  a  un potere discrezionale della Suprema Corte, la
 quale come giudice di legittimita' comunque non esprime, sotto  forma
 di  principio  di  diritto,  valutazioni  di  merito  (Cass. civ., 30
 gennaio 1985, n.  593).
   Peraltro, con la novella apportata  dall'art.  66  della  legge  26
 novembre  1990,  n.  353,  all'art. 384 c.p.c. e' stato introdotto un
 principio di economia di giudizi, disponendo che la stessa  Corte  di
 cassazione  definisca il giudizio ed escludendo che si faccia ricorso
 al rinvio  (c.d.  cassazione  sostitutiva)  nei  casi  in  cui,  dopo
 l'enunciazione del principio di diritto, la controversia debba essere
 decisa  in base ai medesimi fatti che hanno costituito il presupposto
 del giudizio errato, in tal guisa postulandosi  che  il  giudice  del
 merito  abbia  avuto modo di esprimere siffatti apprezzamenti ai fini
 di una specifica decisione.
   Il giudice di appello, invece, entra di  regola  nel  merito  della
 domanda  e  ripercorrendo,  sulla  base  dei  motivi di impugnazione,
 l'iter logico seguito dal giudice di primo grado decide  il  giudizio
 nel merito sostituendo il proprio convincimento a quello non ritenuto
 corretto  soltanto nelle ipotesi tassative previste dagli artt. 353 e
 354 c.p.c. il giudice di appello non pronuncia sul merito ma  rimette
 gli  atti  al  primo giudice. La prima delle norme citate riguarda la
 remissione per ragioni di giurisdizione o  di  competenza  e  mira  a
 garantire  la osservanza del doppio grado di giurisdizione qualora il
 primo giudice abbia negato il proprio potere di decisione astenendosi
 in limine dall'esaminare il merito della lite e il giudice di appello
 vada  di  contrario  avviso.  La  seconda  disposizione   limita   la
 remissione  ai  casi  in  cui,  o  per nullita' di notifica dell'atto
 introduttivo   della   lite,   o   per   mancata   integrazione   del
 contraddittorio,  o per indebita intromissione di una parte, il primo
 grado  di  giudizio  possa  dirsi  mancante  o   il   contraddittorio
 incompleto:  anche  in  questa  ipotesi,  dunque, la norma e' posta a
 tutela del principio del doppio grado di giurisdizione che e' uno dei
 cardini del nostro processo.
   In tutte le ipotesi previste negli artt.  353  e  354  c.p.c.,  che
 resterebbero applicabili nel giudizio innanzi alla Corte dei conti ai
 sensi  dell'art.  26  del  reg.  proc.  nel caso che l'art. 105 dello
 stesso reg. venisse  dichiarato  incostituzionale,  in  sostanza,  il
 legislatore  si  e' preoccupato proprio di salvaguardare il principio
 dell'art. 101, comma 2, disponendo che il rinvio da parte del giudice
 d'appello avvenga soltanto nei casi in cui il giudice di primo  grado
 non abbia pronunciato sul merito ovvero quando la decisione d'appello
 non  incida  sulla formazione del libero convincimento del giudice di
 primo grado. Cosa questa che in specie non avviene dal momento che la
 sezione centrale di appello, rinviando la causa al giudice  di  primo
 grado  al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. e
 imponendo  a  questi  perfino  l'osservanza  di  determinati  criteri
 formali  e  sostanziali  per  la  rinnovazione  del giudizio e per la
 valutazione dei fatti di causa, finisce per rendere  quest'ultimo  un
 mero esecutore della decisione assunta da altri.
   D'altra  parte,  si consideri che qualora si ritenesse che la norma
 di cui all'art. 105  del  regolamento  di  procedura  per  i  giudizi
 innanzi  alla  Corte  dei  conti,  non  contenga  ipotesi  tipiche  e
 tassative di rimessione della causa al giudice  di  primo  grado,  ma
 lasci alla discrezionalita' del giudice di appello la scelta dei casi
 in  cui  non  definire  la  controversia,  potrebbe avvenire non solo
 un'infinita duplicazione del primo e del secondo grado di giudizio ma
 anche l'esame della  stessa  controversia  piu'  volte  da  parte  di
 giudici dello stesso grado.
   Non  sussiste, infatti, alcuna preclusione circa la possibilita' di
 proporre un successivo appello dopo  la  nuova  decisione  emessa  in
 primo  grado,  dato che quest'ultima potrebbe sempre essere viziata e
 contenere statuizioni nuove sulle quali la  sezione  di  appello  non
 siasi pronunciata. Nell'ipotesi in esame, potrebbe accadere, che dopo
 che  il  giudice  di  primo  grado  abbia  rielaborato  la  sentenza,
 quest'ultima sia nuovamente impugnata, per lo stesso per  un  diverso
 motivo,  e  che  la sezione di appello, non definendo il giudizio, lo
 rimandi nuovamente al  giudice  di  primo  grado  perche'  valuti  un
 diverso aspetto della domanda.
   Sotto  questo  aspetto  l'art.  105  del  reg.  proc.,  cosi'  come
 interpretato, confligge anche con il principio di  ragionevolezza  in
 quanto  trasmoda  in  una  regolamentazione  del  processo  del tutto
 illogica e incerta.
   La q.l.c. e' rilevante poiche' il presente giudizio non puo' essere
 definito   indipendentemente  dalla  soluzione  della  questione  qui
 cennata,  dalla  cui  risoluzione  deriva   la   legittimita'   della
 devoluzione  della causa a questo giudice con i limiti, notevoli e di
 assai dubbia costituzionalita', imposti al suo  libero  convincimento
 ed alla sua indipendenza.