ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 38  del  d.P.R.
 26  aprile 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento della
 legge 4  aprile  1952,  n.  118,  sul  riordinamento  delle  pensioni
 dell'assicurazione  obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i
 superstiti), promosso  con  ordinanza  emessa  l'8  aprile  1997  dal
 pretore  di  Firenze  nel  procedimento  civile vertente tra D'Errico
 Magni Marfisa e l'INPS, iscritta al n.  338  del  registro  ordinanze
 1997  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25,
 prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto l'atto di costituzione dell'INPS nonche' l'atto di intervento
 del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1999 il giudice relatore
 Fernando Santosuosso;
   Uditi  l'avvocato  Carlo  De  Angelis per l'INPS e l'Avvocato dello
 Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei Ministri
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nell'ambito di un  giudizio  promosso  dalla  tutrice  di  due
 nipoti  minorenni  contro il diniego dell'INPS di cointestare anche a
 questi ultimi la pensione  di  reversibilita'  concessale  a  seguito
 della  morte  del  marito  e  di  corrisponderle  l'assegno al nucleo
 familiare comprendente  i  due  nipoti,  il  pretore  di  Firenze  ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con
 gli  artt.  3  e  38  della  Costituzione, dell'art. 38 del d.P.R. 26
 aprile 1957, n. 818 (Norme di attuazione  e  di  coordinamento  della
 legge  4  aprile  1952,  n.  118,  sul  riordinamento  delle pensioni
 dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed  i
 superstiti),  nella  parte  in  cui non prevede che le provvidenze da
 esso elencate  possano  essere  riconosciute,  oltre  che  ai  minori
 regolarmente  affidati  dagli  organi competenti, anche ai minori dei
 quali risulti la vivenza a carico di altra persona assicurata, e  non
 consente  la  prova di tale circostanza tramite atto notorio od altro
 mezzo.
   2. - Il giudice  a  quo  rileva  che  l'istruttoria  ha  confermato
 l'assunto della ricorrente, secondo cui i due minori, pur se da tempo
 convivevano  ed  erano  a  completo carico dei nonni, non erano stati
 formalmente affidati agli stessi, in quanto, nelle more del  relativo
 procedimento, era sopravvenuta la morte del nonno.
   Tuttavia soggiunge il pretore la tutrice sostiene che la situazione
 di   fatto   sarebbe   tale   da   consentire  la  concessione  della
 contitolarita' della  pensione  di  reversibilita'  ed  il  pagamento
 dell'assegno  al nucleo familiare, alla luce della ratio del suddetto
 d.P.R. n. 818 del 1957: che e' quella di garantire il sostentamento a
 coloro che, incapaci  di  procurarsi  da  soli  un  proprio  reddito,
 dipendono   in   tutto   o   in   parte   da   quello   del  defunto,
 indipendentemente dall'accertamento di tale situazione in base a dati
 meramente formali.
   3. - Secondo il giudice  a  quo  la  norma  impugnata,  "certamente
 ispirata  dalla  finalita'  di  evitare  facili  abusi,  sembra pero'
 peccare di eccessivo rigore, laddove non consente che  la  situazione
 di  vivenza a carico, ove manchi un formale affidamento, possa essere
 accertata con qualunque altro mezzo": ad esempio, con l'atto notorio,
 richiamato dall'art. 5 del d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797 (Testo unico
 sugli assegni familiari).
   Di conseguenza, persone prive  di  qualsiasi  risorsa  economica  e
 della  capacita'  di procurarsi un reddito, come i minori affidati di
 fatto ai parenti, ricevono una tutela  inferiore  rispetto  a  quella
 goduta  da coloro che sono stati regolarmente e formalmente affidati,
 senza che nessuna colpevole inerzia possa loro addebitarsi.
   Ne risulterebbero  violati  il  principio  di  eguaglianza  sancito
 dall'art.  3, oltre all'art. 38 della Costituzione.
   4.  -  Si e' costituito in giudizio l'INPS, il quale ha chiesto che
 la questione sia dichiarata infondata.
   Secondo l'Istituto, nella  normativa  previdenziale  l'attribuzione
 delle    prestazioni    fa   sempre   riferimento   alle   situazioni
 giuridicamente rilevanti e non a quelle di  fatto,  proprio  perche',
 come  ha ritenuto anche il giudice a quo devono essere evitati facili
 abusi.
   Quindi l'effettiva convivenza con il de cuius non costituirebbe  un
 criterio  sufficiente  per  l'attribuzione delle prestazioni, essendo
 necessaria una idonea situazione giuridica.
   D'altra parte, la tutela  inferiore  di  cui  godrebbero  i  minori
 affidati   di   fatto  ai  parenti  non  sarebbe  riconducibile  alla
 previsione   normativa,   ma   sarebbe    l'effetto    del    mancato
 perfezionamento della fattispecie legale.
   5.  -  E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata manifestamente
 infondata.
   Secondo  l'Avvocatura,  la  scelta  compiuta  dal  legislatore   di
 ancorare  l'individuazione  dei  soggetti  titolari  del diritto alle
 prestazioni  previdenziali  a  situazioni  di   diritto,   quali   la
 filiazione  e  l'affidamento, anziche' alla situazione di fatto della
 vivenza a carico, appare non solo pienamente razionale,  ma  altresi'
 conforme ad esigenze di certezza delle situazioni giuridiche.
   La  norma,  poi, non risulterebbe discriminatoria nei confronti dei
 minori che siano di fatto a carico dell'assicurato, non solo  per  la
 diversita'  della  loro situazione giuridica, ma anche per la ragione
 che al loro mantenimento e' comunque tenuto a provvedere il  genitore
 o l'affidatario.
   Parimenti, non costituirebbe idoneo tertium comparationis l'art.  5
 del  d.P.R. n. 797 del 1955, dato che lo stesso condiziona il diritto
 agli assegni familiari alla prova della vivenza a  carico,  che  deve
 pero'  aversi  esclusivamente all'interno di un preesistente rapporto
 di filiazione.
   Per quanto attiene poi  al  contrasto  della  norma  impugnata  con
 l'art.    38 della Costituzione, l'Avvocatura rileva che la questione
 potrebbe essere dichiarata inammissibile  per  assenza  di  specifica
 motivazione  sulla  rilevanza  e sulla non manifesta infondatezza. In
 ogni  caso,  per  la  difesa  erariale  l'attuazione  del   principio
 solidaristico  di  cui  all'art. 38 della Costituzione "e' assicurata
 dalla reversibilita' del trattamento  previdenziale,  di  cui  godeva
 l'assicurato,  in favore del minore, cui era gia' tenuto a provvedere
 in virtu' del predetto rapporto di filiazione o di affidamento".
                         Considerato in diritto
   1. - Il pretore di Firenze ha sollevato questione  di  legittimita'
 costituzionale,   per   contrasto   con   gli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione, dell'art. 38 del d.P.R. 26 aprile 1957, n.  818  (Norme
 di  attuazione  e di coordinamento della legge 4 aprile 1952, n. 118,
 sul riordinamento delle pensioni dell'assicurazione obbligatoria  per
 l'invalidita',  la vecchiaia ed i superstiti), nella parte in cui non
 prevede  che  le  provvidenze  da  esso   elencate   possano   essere
 riconosciute,  oltre che ai minori regolarmente affidati dagli organi
 competenti, anche ai minori dei quali risulti la vivenza a carico  di
 altra persona assicurata, e non consente la prova di tale circostanza
 tramite atto notorio od altro mezzo.
   2. - La questione e' fondata nei limiti di seguito precisati.
   Secondo   la   norma  impugnata,  i  trattamenti  previdenziali  si
 estendono entro certi limiti e condizioni  a  determinati  componenti
 della  famiglia  dell'assicurato. In particolare, "sono equiparati ai
 figli legittimi e legittimati  i  figli  adottivi  e  gli  affiliati,
 quelli  naturali legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati,
 quelli nati da precedente matrimonio dell'altro  coniuge,  nonche'  i
 minori  regolarmente  affidati  dagli  organi  competenti  a norma di
 legge". Nel caso in cui i soggetti prioritariamente indicati manchino
 o non abbiano piu' titolo  alla  reversibilita',  la  pensione  viene
 assegnata ad altri parenti (art.  13 del r.d.l. n. 636 del 1939, come
 sostituito  dall'art. 22 della legge n. 903 del 1965). E' necessario,
 comunque, che i  suddetti  familiari,  al  momento  del  decesso  del
 lavoratore o del pensionato, vivessero a suo carico.
   3.  -  Tra  i  destinatari  diretti  e  immediati della pensione di
 reversibilita' non sono, dunque, inclusi i nipoti, pur  se  minori  e
 viventi a carico degli ascendenti, a meno che siano stati formalmente
 affidati a questi ultimi dagli organi competenti.
   Tale  esclusione  risulta  irragionevole  e  comporta la violazione
 dell'art. 3 della Costituzione.
   Infatti,   la   ratio   della   reversibilita'   dei    trattamenti
 pensionistici  consiste  nel  farne  proseguire  almeno parzialmente,
 anche dopo la morte del loro titolare,  il  godimento  da  parte  dei
 soggetti  a lui legati da determinati vincoli familiari, garantendosi
 cosi' ai beneficiari la protezione dalle conseguenze che derivano dal
 decesso del congiunto (v. le sentenze n. 70 del 1999, n. 18 del 1998,
 n. 495 del 1993 e n. 286 del 1987). Si realizza in  tal  modo,  anche
 sul   piano   previdenziale,   una   forma   di  ultrattivita'  della
 solidarieta' familiare.
   Tanto premesso, nel presente caso e' sufficiente osservare  che  il
 rapporto  di parentela tra ascendenti e discendenti ha non solo nella
 realta' concreta, ma anche sotto il profilo  giuridico  un  carattere
 peculiare  e  piu' intenso rispetto a quello che puo' instaurarsi fra
 un soggetto ed i  minori  affidatigli  dagli  organi  competenti.  Ed
 infatti  tale rapporto e' particolarmente disciplinato e privilegiato
 dal legislatore, sia sul  piano  dei  diritti  che  su  quello  degli
 obblighi connessi: basti pensare al dovere di concorso negli oneri di
 mantenimento,  istruzione  ed  educazione,  sancito dall'art. 148 del
 codice civile a carico degli ascendenti quando i genitori non hanno i
 mezzi sufficienti; all'obbligo di prestare  gli  alimenti,  che  puo'
 essere  assolto anche accogliendo e mantenendo nella propria casa gli
 aventi diritto (artt.   433 e 443 del  codice  civile);  alla  tutela
 penale  di  tali  doveri  ed  obblighi  (artt.  570  e 591 del codice
 penale).
   A causa della suddetta peculiarita', la legge esenta gli ascendenti
 (e  gli  altri  parenti  entro  il  quarto  grado),   che   accolgano
 stabilmente  nella  propria abitazione un minore, dal dovere di darne
 segnalazione al giudice tutelare (art. 9 della legge 4  maggio  1983,
 n.  184): i nipoti, infatti, fanno gia' parte della loro famiglia, di
 modo che  non  occorre  alcun  affidamento  formale  da  parte  delle
 pubbliche autorita'.
   Risulta  dunque  irragionevole  che,  mentre  i  minori formalmente
 affidati dagli organi competenti legati da vincoli  meno  stretti  di
 quelli  familiari  in  linea  retta  possono  continuare a godere del
 trattamento pensionistico del de cuius i minori che vivono  a  carico
 dell'ascendente  assicurato  ne  siano  esclusi. Se nel primo caso la
 ragion d'essere puo' rinvenirsi nella  circostanza  che  l'ambito  di
 famiglia presa in considerazione dal regime generale della previdenza
 sociale tende ad essere piu' ampio rispetto a quello che fa esclusivo
 riferimento  al  matrimonio  ed  alla  filiazione,  nel  secondo caso
 l'esclusione non ha alcuna valida giustificazione.
   Deve essere,  dunque,  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
 della   norma  impugnata  nella  parte  in  cui  non  include  tra  i
 destinatari diretti e immediati della pensione  di  reversibilita'  i
 nipoti minori e viventi a carico degli ascendenti assicurati, che non
 siano  stati  formalmente  affidati  a  questi  ultimi  dagli  organi
 competenti.
   4. - Resta assorbito il profilo relativo alla denunciata violazione
 dell'art. 38 della Costituzione.