IL PRETORE Letti gli atti del procedimento penale iscritto al n. 801/98 r.g. Dib. pendente nei confronti di Impallazzo Alessandra, nata a Livorno il 17 maggio 1968, per il reato di cui all'art. 663-bis c.p. Alla pubblica udienza del 24 marzo 1999 ha pronunciato, dandone lettura in udienza, la seguente ordinanza: 1) l'imputata e' stata tratta a giudizio per rispondere del reato di divulgazione di stampa clandestina, accertato in Livorno l'8 aprile 1996; in particolare la prevenuta, in concorso con altri la cui posizione e' stata nel frattempo definita, in qualita di rappresentante della lista Pannella-Sgarbi, nel contesto della campagna elettorale, divulgava stampa pubblicata senza l'osservanza delle prescrizioni di legge sulla pubblicazione e sulla diffusione periodica, distribuendo un periodico clandestino denominato "Risorgimento liberale" mancante della registrazione prevista dall'art. 5 della legge n. 47/1998; 2) il suo difensore, prima dell'apertura del dibattimento, ha sollecitato il giudicante a sollevare questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 663-bis c.p., 5, legge n. 47/1948 e 47, legge n. 69/1963, che punisce chi divulga stampati pubblicati senza avere ottenuto la registrazione per difetto di iscrizione del Direttore responsabile nell'Albo dei giornalisti, con riferimento agli artt. 21 e 3 della Costituzione; 3) specificava in particolare il difensore che nel caso di specie la registrazione non era stata richiesta proprio perche' mancava nel direttore responsabile nominato, Bernardini Rita, il requisito richiesto dall'art. 5 citato dell'iscrizione all'Albo dei giornalisti; O s s e r v a L'art. 5, primo comma della legge n. 47/1948, sostanzialmente confermando la disciplina anteriormente vigente, prevede che nessun giornale o periodico puo' essere pubblicato se non sia stato prima registrato presso la cancelleria del tribunale, ed il comma 2 della stessa norma, al n. 3), individua tra gli atti che devono essere depositati contestualmente all'istanza un documento da cui risulti l'iscrizione all'Albo dei giornalisti, nei casi in cui questa sia richiesta dalle leggi professionali; L'ordine professionale dei giornalisti, introdotto gia' in epoca fascista dall'art. 7 della legge 31 dicembre 1925, n. 2305 e poi ulteriormente disciplinato dal regio decreto del 28 febbraio 1928, n. 384, e' oggi disciplinato dalla legge n. 69/1963; tale normativa ha previsto in particolare all'art. 45 che "nessuno puo' assumere il titolo, ne' esercitare la professione di giornalista se non e' iscritto nell'albo professionale", sanzionando le trasgressioni a tale divieto in sede penale; inoltre in alcune norme (artt. 28, 46 e 47) si individuano i casi in cui e' necessario l'esercizio dell'attivita' di giornalista da parte del direttore responsabile, si parifica la disciplina dei giornalisti pubblicisti a quella dei giornalisti professionisti (C. cost. n. 98/1968), si ammette una parziale eccezione alla regola (riferita ai soli direttori, ma con obbligo di vicedirettori iscritti all'Albo) per i quotidiani o le altre pubblicazioni periodiche "che siano organi di partiti o movimenti politici o di organizzazioni sindacali", si esclude dall'obbligo di iscrizione le sole categorie delle pubblicazioni a carattere tecnico, professionale o scientifico; Il periodico clandestino "Risorgimento liberale" non appartiene a nessuna delle categorie per le quali e' prevista l'esclusione dell'esercizio dell'attivita' di giornalista da parte del direttore responsabile; Atteso che l'art. 663-bis c.p., sanziona chi divulga stampa pubblicata senza l'osservanza delle prescrizioni di legge sulla pubblicazione e diffusione di periodici e non periodici, prescrizioni tra le quali rientra evidentemente quella contenuta nell'art. 5, n. 3 legge n. 47/1948 in materia di registrazione, e di presupposti per ottenerla, la questione sollevata appare rilevante; difatti il reato contestato e' ipotizzabile a condizione che manchi alcuno dei presupposti previsti dalla legge, ed in particolare quello dell'appartenenza del direttore responsabile all'ordine dei giornalisti, espressamente previsto dal combinato disposto delle norme citate; La questione appare inoltre, in relazione ai principi statuiti dagli artt. 21, 3, 4 e 18 della Costituzione, non manifestamente infondata; A tale proposito vi e' in linea preliminare da sottolineare quanto emerge dai lavori preparatori dell'Assemblea costituente; il dibattito che all'epoca si venne a sviluppare mostra come i costituenti, piu' che disciplinare l'esercizio del diritto in prospettiva, volessero dettare dei principi che avrebbero dovuto consentire di evitare le esperienze del recente passato e di garantire la liberta' di espressione in genere, e di stampa in particolare; l'art. 21 della Costituzione rappresento' per tale motivo il punto di equilibrio tra le diverse posizioni emerse, ed in particolare venne pensato per limitare l'intervento da parte degli organi di polizia al settore dei sequestri in via d'urgenza, e per disciplinare il tipo di controllo a cui sottoporre le aziende editoriali; in tale contesto si ritenne di dover escludere la pubblicizzazione dei mezzi di produzione nel settore editoriale, ritenendo che la stampa non potesse essere inserita tra i servizi pubblici in senso stretto, e nella convinzione che si potesse lasciare alla legislazione ordinaria la previsione di un sistema di controllo sociale sulla stessa che fosse adeguato alle esigenze del momento storico; Asseritamente per rispondere alle esigenze dell'epoca venne emanata la legge n. 69/1963 che disciplina l'ordinamento professionale dei giornalisti ispirandosi al modello del giornalismo letterario e su supporto cartaceo; quella legge, pur non fornendo alcuna definizione oggettiva di quella professione, prevede che essa possa essere svolta da chi disponga di una certa qualificazione formale, circostanza questa che ha comportato non pochi problemi con l'affermarsi ad esempio, in anni piu' recenti, della contrattazione collettiva, e del conseguente frequente mutamento dei profili professionali dei singoli lavoratori. La nascita e l'enorme diffusione di strumenti di informazione totalmente sconosciuti negli anni '60 ha contribuito a rendere datata quella legge che impone ad esempio, per tutti i periodici indipendentemente dal loro contenuto, di informazione o di intrattenimento, l'obbligo del direttore responsabile di iscrizione all'Albo, mentre invece nel settore televisivo si e' previsto un identico obbligo soltanto per coloro i quali svolgano attivita' di natura informativa; per non parlare poi di quanto e' nel frattempo avvenuto nel settore delle comunicazioni via modem, oggi totalmente sottratte a controllo nonostante il contenuto di informazione che pure esse possono avere, oltre che di una sconfinata capacita' di diffusione, cosi' da essere portatrici degli stessi rischi che con le disposizioni in commento si era voluto evitare; La Corte costituzionale ha gia' avuto modo di affrontare la questione dell'illegittimita' dell'Ordine professionale dei giornalisti con particolare riferimento all'obbligo di iscrizione dei direttori responsabili (C. cost. n. 11/1968 e n. 98/1968) ritenendo l'irrilevanza dell'ordinamento della professione giornalistica rispetto alla liberta' di manifestazione del pensiero tramite la stampa, e la funzione dello stesso di tutela della liberta' della categoria; a prescindere dal rilievo che e' assai difficile immaginare un istituto che nel contempo limiti e garantisca una liberta' (altro sarebbe stato prevedere uno statuto che garantisse i principi di indipendenza interni), si deve osservare come quelle argomentazioni, svolte in anni in cui la stampa era sostanzialmente l'unico strumento di manifestazione del pensiero, appaiono oggi da rivedere alla luce delle modifiche intervenute nei mezzi di comunicazione, giacche' tale profilo appare rilevante in relazione all'oggettiva compressione del diritto che cosi' viene posta in essere, con conseguente lesione dell'art. 3 della Costituzione; La legittimita' delle norme in commento era stata ritenuta dalla Corte anche in ragione della affermata assimilabilita' dell'Ordine dei giornalisti ad altre categorie professionali, quali i medici e gli avvocati; peraltro questo giudicante ritiene sommessamente che, alla luce della normativa dettata dalla legge n. 69/1963, ma ancor di piu' in ragione della singolarita' della professione in parola, l'unica ad avere ad oggetto l'esercizio di una liberta' costituzionale, quelle argomentazioni vadano rivalutate; il confronto tra l'ordine dei giornalisti e gli altri ordini professionali consente infatti di affermare che il primo, a differenza dei secondi, afferisce a soggetti che: normalmente non godono della qualita' di liberi professionisti; hanno ottenuto l'iscrizione all'albo sostenendo una prova d'idoneita' professionale che certo non puo' parificarsi ad un esame di Stato; devono conseguire un titolo professionale pur esercitando un'attivita' per la quale quel titolo non e' strettamente necessario; da cio' consegue che l'inquadramento professionale e l'assetto organizzativo perseguito normalmente per gli esercenti le libere professioni di natura intellettuale, posto a tutela della fede pubblica in relazione sia alla preparazione tecnica che all'attitudine morale di chi intenda svolgere in via esclusiva determinate mansioni, non appartiene all'Ordine dei giornalisti; ne' d'altra parte si puo' superare tale discrasia conferendo all'Ordine una natura, nella sostanza, di organo di tutela sindacale, giacche' cio' mal si concilierebbe con la previsione di un obbligo tassativo di iscrizione all'albo per l'esercizio di fatto di un diritto costituzionalmente garantito; L'obbligo di iscrizione all'Ordine dei giornalisti per l'esercizio del diritto sancito dall'art. 21 della Costituzione appare contrastare in particolare con la previsione dell'art. 18 della Costituzione in materia di liberta' di associazione; tale liberta' e' stata ritenuta dalla Corte riferita tanto al diritto di associarsi liberamente, quanto al diritto di non associarsi; le previsioni contenute nella legge n. 69/1963 appaiono costituire un obbligo per i giornalisti professionisti, ed inoltre per il direttore responsabile, di associarsi tra loro se vogliono esercitare il diritto riconosciuto dall'art. 21 Costituzione, con cio' negandosi di fatto la possibilita' di associazione negativa (cio' si argomenta in relazione al fatto che in precedenza la Corte ha ritenuto la legittimita' delle norme in commento in considerazione del fatto che esse sarebbero ispirate alla volonta' di tutelare il diritto di espressione dei giornalisti, con cio' riconoscendosi la natura di tutela sindacale dell'Ordine); Quanto sino ad ora argomentato consente inoltre di dubitare anche del contrasto della normativa indicata con l'art. 4 della Costituzione che riconosce il diritto al lavoro, diritto per l'esercizio del quale non possono essere imposti dalla legge ordinaria limiti se non in relazione ad un interesse costituzionalmente protetto; cio' premesso si deve rammentare che la legge n. 69/1963 trova la propria ragione d'essere nella necessita' di assicurare un'adeguata preparazione professionale, di consentire agli organi dell'Ordine, attraverso l'introduzione del potere disciplinare nei confronti dei giornalisti, la repressione dei comportamenti contrari all'onore ed al decoro della professione, di tutelare la liberta' di espressione del pensiero degli iscritti nei confronti del potere economico su cui la stampa si sostiene; se cio' e' vero, l'unico principio a cui si potrebbe fare riferimento, per affermare l'esistenza di un interesse costituzionalmente protetto legittimante una limitazione del diritto al lavoro, e' l'art. 21 della Costituzione; ma tale norma riconosce a tutti, e non solo agli iscritti all'albo, il diritto alla libera espressione del proprio pensiero, e d'altra parte la repressione di determinati comportamenti viene affidata al giudice ordinario, e non all'Ordine, ed alle norme penali espressamente dettate a tale proposito (il che significa che non sarebbero legittime quelle limitazioni al principio sancito dall'art. 21 che siano previste da norme ordinarie la cui violazione, tra l'altro, e' gia' sanzionata con una norma di pari grado); Deve altresi' rilevarsi come l'iscrizione all'albo, pur costituendo un presupposto per l'esercizio di un diritto costituzionale, quantomeno nella forma professionale (ma e' d'altra parte la stessa Corte ad affermare che il giornalismo, "se si alimenta anche del contributo di chi ad esso non si dedica professionalmente, vive soprattutto attraverso l'opera quotidiana dei professionisti" alla cui liberta' "si connette, in un unico destino, la liberta' della stampa periodica, che a sua volta e' condizione essenziale di quel libero confronto di idee nel quale la democrazia affonda le sue radici vitali"), ed in ogni caso per l'esercizio della funzione di direttore responsabile, mentre per altre forme di manifestazione del pensiero diverse dalla stampa manca un'identica disciplina, e' condizionata ad una serie di vincoli ed oneri; si pensi a tale proposito al potere dei Consigli di concedere l'iscrizione a chi abbia riportato una condanna che non importi interdizione dai pubblici uffici, o dopo la cessazione di questa, "vagliate tutte le circostanze e specialmente la condotta del richiedente" (art 31 u.c., legge n. 69/1963), ed al fatto che tale potere non viene escluso neppure in relazione a condanne per reati di opinione; Alla necessita' per gli aspiranti giornalisti di produrre una dichiarazione motivata del direttore responsabile circa la pratica esperita, dichiarazione che non viene per legge limitata alla sola attestazione obiettiva degli elementi formali del rapporto; ai poteri disciplinari ed alle relative sanzioni cui sono sottoposti coloro che si rendono colpevoli di comportamenti "non conformi al decoro ed alla dignita' professionale" (art. 48), e che devono essere correlati all'obbligo inderogabile "del rispetto della verita' sostanziale dei fatti" (art. 2); Il quadro come sopra delineato consente di ritenere non manifestamente infondata la questione sollevata dell'illegittimita' costituzionale del combinato disposto degli artt. 663-bis c.p., 5, comma 2 n. 3 della legge n. 47/1948 e 45 della legge n. 69/1963, costituendo quest'ultimo un limite al libero esercizio del diritto al lavoro, a non associarsi obbligatoriamente ma solo per libera scelta, all'espressione del proprio pensiero con l'uso dello scritto, limitazione quest'ultima che non ricorre in relazione ad altre forme di esercizio del diritto sancito dall'art. 21 della Costituzione.