ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 5, primo comma,
 lettera a, e terzo comma, della legge della Regione Siciliana 6 marzo
 1976,  n.  25  (Disposizioni  per   i   centri   interaziendali   per
 l'addestramento  professionale  nell'industria), e dell'art. 15 della
 legge della Regione Siciliana 14  settembre  1979,  n.  212,  recante
 "Norme  riguardanti  l'Ente  di  sviluppo  agricolo (ESA), l'Istituto
 regionale della vite e del vino (IRVV), l'Azienda siciliana trasporti
 (AST), l'Istituto regionale per il credito alla cooperazione (IRCAC),
 la Cassa regionale per il credito alle imprese artigiane  (CRIAS),  e
 l'Ente acquedotti siciliani (EAS)", promossi con due ordinanze emesse
 il  16  aprile  1997 dal Consiglio di giustizia amministrativa per la
 Regione Siciliana sui ricorsi proposti dal  Consiglio  di  presidenza
 della  Corte  dei  Conti,  iscritte  ai  nn.  793  e 794 del registro
 ordinanze  1997  e  pubblicate   nella   Gazzetta   Ufficiale   della
 Repubblica, prima serie speciale, n. 47 dell'anno 1997.
   Visti  gli  atti  di costituzione del Consiglio di presidenza della
 Corte  dei  conti  nonche'  gli  atti  di  intervento  della  Regione
 Siciliana;
   Udito  nell'udienza pubblica del 13 aprile 1999 il giudice relatore
 Valerio Onida;
   Uditi l'avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Consiglio  di
 presidenza  della Corte dei Conti e l'avvocato Francesco Torre per la
 Regione Siciliana.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -    Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la Sicilia,
 accogliendo il ricorso di alcuni magistrati della Corte dei conti  in
 servizio  presso  le sezioni della Corte per la Regione Siciliana, ha
 annullato due circolari del Consiglio di presidenza della  Corte  dei
 conti,  in  cui si invitavano tutti i magistrati della Corte stessa a
 comunicare  la  loro  eventuale   disponibilita'   per   l'assunzione
 dell'incarico  di  presidente  effettivo o supplente del collegio dei
 revisori del Centro interaziendale per l'addestramento  professionale
 nell'industria  (CIAPI)  di  Palermo. L'annullamento e' fondato sulla
 violazione dell'art.  5 della legge della Regione Siciliana  6  marzo
 1976,   n.   25   (Disposizioni   per  i  centri  interaziendali  per
 l'addestramento professionale nell'industria),  ai  cui  sensi  detti
 incarichi  sono  conferiti a magistrati in servizio presso le sezioni
 della Corte per la Regione Siciliana.
   Nel corso del giudizio di appello contro la pronuncia, promosso dal
 Consiglio di presidenza  della  Corte  dei  conti,  il  Consiglio  di
 giustizia  amministrativa  per  la  Regione  Siciliana, con ordinanza
 emessa il 16 aprile 1997, pervenuta a questa Corte il  successivo  30
 ottobre   (R.O.   n.   793  del  1997),  ha  sollevato  questione  di
 legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 97, 100,
 104, 107, 108 e 116 della Costituzione, nonche' agli articoli 14,  17
 e  23  dello  statuto  speciale della Regione Siciliana, dell'art. 5,
 comma 1, lettera a (che prevede la nomina di un membro effettivo e di
 uno supplente del collegio dei revisori ad opera delle sezioni  della
 Corte  dei  conti  per  la  Regione  Siciliana, che li scelgono fra i
 magistrati in servizio presso le stesse), e comma 3 (che  attribuisce
 la presidenza del collegio al revisore effettivo nominato dalla Corte
 dei conti), della predetta legge regionale n. 25 del 1976.
   Il  remittente  premette, in via interpretativa, che - in forza del
 rinvio operato dall'art. 10, comma 10, della legge 13 aprile 1988, n.
 117, all'art. 13, secondo comma, numero 3, della  legge  n.  186  del
 1982  -  gli  incarichi  in  questione  devono  essere  conferiti dal
 Consiglio di presidenza della Corte  dei  conti,  e  non  piu'  dalle
 sezioni  della  Corte  per  la  Regione  Siciliana, come testualmente
 prevede la norma impugnata.
   Quest'ultima, tuttavia,  appare  al  remittente  in  contrasto  con
 numerosi  precetti  della  Costituzione  e dello statuto speciale, in
 quanto, prevedendo lo  svolgimento  da  parte  di  magistrati  di  un
 incarico  obbligatorio presso un ente regionale, verrebbe ad incidere
 sull'indipendenza dei magistrati stessi e sul loro status nonche'  ad
 eccedere le attribuzioni legislative della Regione Siciliana.
   Le sezioni della Corte dei conti per la Regione Siciliana, previste
 dall'art. 23 dello statuto speciale, sarebbero, come la Corte stessa,
 organi  dello  Stato-ordinamento,  onde non potrebbero essere oggetto
 della potesta' legislativa della Regione, la quale non avrebbe  alcun
 potere  di  imporre  ad esse, o ai loro componenti, obblighi di alcun
 genere, come quello di rivestire incarichi presso enti regionali.  La
 materia dello status dei magistrati, compresi  quelli  delle  sezioni
 regionali   della  Corte  dei  conti,  non  rientrerebbe  fra  quelle
 attribuite alla competenza legislativa della Regione.
   Verrebbero in gioco i principi costituzionali di indipendenza della
 Corte dei conti e dei suoi componenti (art. 100, terzo comma, e  108,
 secondo  comma,  della  Costituzione),  nonche'  di  autonomia  della
 magistratura  (art.  104,  primo  comma),  di   necessario   consenso
 dell'interessato  per  l'assunzione  di  funzioni  diverse  da quelle
 d'istituto (art. 107, primo comma), e di riserva di legge in  materia
 di  ordinamento giudiziario e di ordinamento delle magistrature (art.
 108, primo comma).
   L'attribuzione di un incarico presso un ente regionale  inciderebbe
 sia  sull'indipendenza  dei  magistrati  contabili, potendo ritenersi
 inopportuno che un magistrato  rivesta  incarichi  nell'ambito  della
 Regione presso cui esercita le sue funzioni, sia sulla competenza del
 Consiglio  di  presidenza  della  Corte  dei  conti,  trattandosi  di
 incarichi previsti dalla legge regionale  come  obbligatori,  con  la
 conseguente inoperativita' dell'organo in caso di mancata nomina o di
 mancato  consenso  dell'interessato: cio' in violazione del principio
 di buon andamento della pubblica amministrazione.
   Infine la norma denunciata sarebbe in contrasto con i  principi  di
 ragionevolezza e di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione,
 per   la  ingiustificata  disparita'  di  trattamento  a  favore  dei
 magistrati della Corte dei conti in servizio in Sicilia rispetto agli
 altri loro  colleghi:  profilo  questo  che  non  potrebbe  ritenersi
 superato nemmeno in vista della portata circoscritta della norma vuoi
 quanto al numero di incarichi previsti, vuoi quanto ai compensi.
   La  rilevanza della questione sollevata discenderebbe dal fatto che
 il  suo  eventuale  accoglimento   comporterebbe   l'infondatezza   o
 l'inammissibilita'  per  difetto  di  interesse  della  pretesa fatta
 valere nel giudizio a quo dai ricorrenti, i quali ritengono  che  gli
 incarichi  dovrebbero essere conferiti solo ai magistrati in servizio
 in Sicilia.
   2. - Si e' costituito il Consiglio di presidenza  della  Corte  dei
 conti,  appellante nel giudizio a quo chiedendo in un primo tempo che
 la questione fosse dichiarata "inammissibile e infondata".
   In una successiva  memoria,  prodotta  in  vista  dell'udienza,  la
 difesa del Consiglio di presidenza chiede invece che la questione sia
 dichiarata  infondata  per  quanto  riguarda  i profili piu' generali
 concernenti la  possibilita'  stessa,  per  la  legge  regionale,  di
 prevedere  il  conferimento  di siffatti incarichi a magistrati della
 Corte dei conti; fondata invece per quanto  riguarda  la  limitazione
 operata  dalla  legge  la'  dove  dispone  che  gli  incarichi  siano
 conferiti a magistrati in servizio in Sicilia.
   Quanto ai profili piu' generali, la parte osserva che il compito di
 stabilire i modi di tutela  dell'indipendenza  dei  magistrati  della
 Corte  dei  conti  e di definire lo status dei magistrati e' affidato
 alla legge. Ora, la possibilita' di conferimento ai magistrati  della
 Corte dei conti di incarichi extraistituzionali sarebbe prevista gia'
 dal  combinato  disposto  dell'art.  10 della legge n. 117 del 1988 e
 dell'art. 13, secondo comma, numero 3, della legge n. 186  del  1982.
 Tale  disciplina  sarebbe  poi  stata  completata con la legge n. 241
 (recte: 421) del 1992, che ha delegato il Governo  ad  emanare  norme
 dirette  fra  l'altro  a  prevedere che incarichi ai dipendenti della
 pubblica  amministrazione   possano   essere   conferiti   "in   casi
 rigorosamente predeterminati" (art. 2, comma 1, lettera p). L'art. 58
 del  d.lgs.    n.  29  del  1993,  in  attuazione  di tale delega, ha
 stabilito il principio che possono  essere  conferiti  ai  dipendenti
 delle   pubbliche   amministrazioni   solo   incarichi  espressamente
 contemplati dalla legge o da altra fonte normativa, e ha previsto per
 i magistrati l'emanazione di appositi regolamenti che determinino gli
 incarichi  consentiti e quelli vietati.  Per i magistrati della Corte
 dei conti, il d.P.R. 27 luglio  1995,  n.  388  (Regolamento  recante
 norme  sugli incarichi dei magistrati nella Corte dei conti, ai sensi
 dell'art. 58, comma 3, del decreto legislativo 3  febbraio  1993,  n.
 29)  ha  espressamente  ammesso  che  essi  possano essere chiamati a
 coprire incarichi previsti dalla legge dello  Stato  o  dallo  stesso
 regolamento  con  specifico  riferimento a magistrati della Corte dei
 conti in genere (art. 3, comma 3,  lettera  h)  e  in  particolare  a
 partecipare  a  collegi  sindacali  o  di revisori dei conti nei casi
 espressamente previsti "da legge dello Stato o delle  Regioni"  (art.
 3, comma 6, lettera g).
   Non  avrebbero  dunque  fondamento  i  dubbi  avanzati  sulla legge
 impugnata sotto il profilo  della  violazione  dell'indipendenza  dei
 magistrati  e della riserva di legge statale in tema di magistrature:
 essa infatti si  sarebbe  limitata  ad  utilizzare  una  possibilita'
 offerta  dalla  legge  statale.  Ne'  l'incarico in questione sarebbe
 configurato come un dovere  indefettibile,  con  conseguente  lesione
 dell'autonomia  del  magistrato,  ma  come  una "nomina", liberamente
 accettabile o rinunciabile.
   Per le  stesse  ragioni  non  sarebbe  fondato  il  dubbio  che  la
 disposizione  denunciata  ecceda  le competenze della Regione. Questa
 avrebbe esercitato il suo potere di disciplina di un  ente  o  di  un
 organismo  regionale,  e  avrebbe disciplinato in concreto l'utilizzo
 della facolta', offerta dalla legge statale, di avvalersi  dell'opera
 di  magistrati  della Corte dei conti. Fonte prima dell'incarico, per
 il magistrato, non sarebbe dunque la legge regionale.
   Quanto poi all'obiezione secondo cui, ove mancasse il consenso  del
 magistrato,   l'organo  previsto  dalla  legge  regionale  resterebbe
 inoperante, la parte osserva che si tratterebbe pur sempre di un caso
 limite, che potrebbe riguardare qualsiasi organo.
   La parte ritiene invece fondata  la  censura  di  contrasto  con  i
 principi  di  ragionevolezza  ed  eguaglianza  per  la  disparita' di
 trattamento fra i magistrati in servizio in Sicilia e gli  altri.  La
 limitazione    territoriale   per   l'assunzione   dell'incarico   si
 tradurrebbe in un divieto per  i  magistrati  diversi  da  quelli  in
 servizio  in Sicilia di assumere l'incarico, e, in ultima analisi, in
 un vero e proprio criterio di assegnazione degli incarichi.
   La disposizione sarebbe quindi, oltre che irragionevole,  contraria
 ad  una  legge fondamentale dello Stato, che riserva a se stessa o ad
 atti da essa delegati di stabilire i criteri  di  assegnazione  degli
 incarichi  nonche'  gli  organi competenti a fissare tali criteri: in
 violazione, oltre che dell'art.  3,  anche  degli  artt.  108,  primo
 comma,  116  e  117  della  Costituzione, nonche' degli artt. 14 e 17
 dello statuto speciale.
   Pertanto la parte chiede l'accoglimento della questione nei  limiti
 predetti.
   3.   -  E'  intervenuto  il  Presidente  della  Regione  Siciliana,
 chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
   Secondo la Regione, la sezione del controllo della Corte dei  conti
 per   la   Regione   Siciliana,   come   il  Consiglio  di  giustizia
 amministrativa  in  sede  consultiva,   sarebbe   organo   ausiliario
 dell'apparato  costituzionale  della  Regione  stessa, costituendo il
 complemento necessario del decentramento istituzionale realizzato con
 l'autonomia  regionale.  In  tal  senso  deporrebbe  l'art. 23, terzo
 comma, dello statuto siciliano, che prevede la nomina dei  magistrati
 delle  sezioni  ad  opera  dei  Governi  dello  Stato e della Regione
 d'accordo fra loro, anche se poi l'art. 10 delle norme di  attuazione
 approvate  con  d.lgs.  n.  655 del 1948 ha ridotto tale accordo alla
 previa intesa con il Governo regionale ai fini della destinazione dei
 magistrati, con il loro consenso, alle sezioni regionali.
   La norma denunciata si fonderebbe sul ruolo di organo  al  servizio
 dello    Stato-comunita',    garante    imparziale    dell'equilibrio
 economico-finanziario del settore pubblico, proprio della  Corte  dei
 conti,  utilizzando,  a  garanzia  della  oculata gestione degli enti
 regionali, il particolare contributo  di  esperienza  dei  magistrati
 delle sezioni regionali della Corte dei conti per la loro neutralita'
 e  la  loro specifica attitudine ad esaminare tutti gli aspetti della
 contabilita' pubblica.
   Non sussisterebbe dunque alcuna violazione degli artt. 14, 17 e  23
 dello statuto, ne' degli artt. 108 e 116 della Costituzione.
   Quanto  alla  censura  di  violazione  degli  artt. 104 e 107 della
 Costituzione, essa sarebbe da escludere in radice, dato che la nomina
 di detti magistrati e' subordinata alla competenza del  Consiglio  di
 presidenza  della  Corte  dei conti. Ne' l'incarico inciderebbe sullo
 status dei magistrati,  trattandosi  di  funzioni  non  di  istituto,
 conferite    dall'organo    di    autogoverno    con    il   consenso
 dell'interessato. L'ipotesi di inoperativita' dell'organo per mancata
 nomina o  mancato  consenso  sarebbe  poi  smentita  dai  fatti,  che
 dimostrano  come  dall'entrata in vigore della legge impugnata non vi
 siano mai state  difficolta'  di  reperimento  dei  magistrati  delle
 sezioni  regionali  destinati a presiedere i collegi dei revisori dei
 conti negli enti regionali.
   Sarebbe infondata anche la censura di violazione  dei  principi  di
 ragionevolezza  e  di  uguaglianza.  Le  esigenze  di  buon andamento
 indurrebbero a preferire, per il conferimento di incarichi presso  la
 Regione,  magistrati in servizio in Sicilia, sia per la loro maggiore
 esperienza in materia di enti regionali, sia per la minore spesa  che
 l'incarico  comporta:  donde  la non irragionevolezza della scelta, e
 conseguentemente l'assenza di contrasto sia  con  l'art.  3  che  con
 l'art. 97 della Costituzione.
   4. - Nel corso di un altro giudizio di appello avverso una sentenza
 del  TAR  per  la  Sicilia  che ha annullato alcuni provvedimenti del
 Consiglio  di  presidenza  della  Corte   dei   conti   relativi   al
 conferimento  di incarichi di presidente del collegio dei revisori in
 due   enti   regionali   siciliani,   il   Consiglio   di   giustizia
 amministrativa  per  la Regione Siciliana, con ordinanza emessa il 16
 aprile 1997, pervenuta a questa Corte il 30 ottobre 1997 (R.O. n. 794
 del  1997),  ha  sollevato  una  analoga  questione  di  legittimita'
 costituzionale,  che  investe, sempre in riferimento agli articoli 3,
 97, 100, 104, 107, 108 e 116 della Costituzione e agli  articoli  14,
 17  e  23  dello statuto speciale per la Regione Siciliana, l'art. 15
 della legge regionale  della  Sicilia  14  settembre  1979,  n.  212,
 recante   "Norme  riguardanti  l'Ente  di  sviluppo  agricolo  (ESA),
 l'Istituto  regionale  della  vite  e  del  vino  (IRVV),   l'Azienda
 siciliana  trasporti  (AST), l'Istituto regionale per il credito alla
 cooperazione (IRCAC), la Cassa regionale per il credito alle  imprese
 artigiane  (CRIAS), e l'Ente acquedotti siciliani (EAS)", nella parte
 in  cui  prevede  l'attribuzione  degli  incarichi  di presidente del
 collegio dei revisori dei conti di alcuni enti regionali a magistrati
 della Corte dei conti.
   Il  giudice  remittente  premette  di  ritenere  applicabile   agli
 incarichi  predetti  l'art.  22  della stessa legge regionale, ai cui
 sensi "i dipendenti di amministrazioni o enti pubblici chiamati a far
 parte di organi collegiali di controllo di  enti  pubblici  regionali
 debbono  essere  nominati,  previa  intesa  con  l'Amministrazione di
 appartenenza, tra il  personale  in  servizio  nel  territorio  della
 Regione": onde gli incarichi in questione dovrebbero essere conferiti
 dal  Consiglio di presidenza della Corte dei conti a magistrati della
 Corte in servizio nelle sezioni per la Regione Siciliana.
   Le censure mosse dal giudice a  quo  alla  disposizione  denunciata
 sono  identiche  a  quelle svolte nella precedente ordinanza (R.O. n.
 793 del 1997) riguardo alla disposizione  di  legge  regionale  cola'
 impugnata;  e  identica  e'  la  motivazione  della  rilevanza  della
 questione.
   5. - Anche in questo giudizio si  e'  costituito  il  Consiglio  di
 presidenza  della Corte dei conti, in un primo tempo chiedendo che la
 questione fosse dichiarata inammissibile  e  infondata,  e  chiedendo
 invece,   in   successiva   memoria,   sulla   base   delle  medesime
 considerazioni svolte nell'altro giudizio, che la questione, la quale
 investirebbe anche l'art. 22 della legge regionale n. 212  del  1979,
 ancorche'  il dispositivo dell'ordinanza non lo menzioni, sia accolta
 relativamente alla limitazione  operata  dalla  legge,  per  cui  gli
 incarichi  in  questione  dovrebbero essere conferiti a magistrati in
 servizio nelle sezioni regionali della Corte dei conti.
   6.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  della  Regione   Siciliana,
 chiedendo che la questione sia dichiarata in parte inammissibile e in
 parte infondata.
   Sarebbe inammissibile, per difetto di rilevanza, nella parte in cui
 si riferisce al conferimento dell'incarico di presidente del collegio
 dei  revisori  dell'Ente siciliano per la promozione industriale (cui
 aveva riguardo una delle due  nomine  impugnate  dai  ricorrenti  nel
 giudizio a quo), in quanto la composizione di tale organo non sarebbe
 disciplinata  dall'impugnato art. 15 della legge regionale n. 212 del
 1979, ma dall'art. 6 della legge regionale 21 dicembre  1973,  n.  50
 (Norme  riguardanti  enti  pubblici  istituiti  con leggi regionali e
 provvidenze a favore delle piccole e medie imprese industriali).
   La parte sostiene poi l'infondatezza della questione con i medesimi
 argomenti gia' prospettati  nel  giudizio  promosso  con  l'ordinanza
 iscritta al n. 793 R.O. 1997.
                        Considerato in diritto
   1.  -    Il  Consiglio  di  giustizia amministrativa per la Regione
 Siciliana ha sollevato due questioni di contenuto analogo.  La  prima
 (R.O.  n.   793 del 1997) investe l'art. 5, primo comma, lettera a, e
 terzo comma, della legge della Regione Siciliana 6 marzo 1976, n.  25
 (Disposizioni   per   i  centri  interaziendali  per  l'addestramento
 professionale nell'industria):  la lettera a del primo comma  prevede
 che un membro effettivo e uno supplente del collegio dei revisori dei
 conti  dei  Centri  interaziendali  per l'addestramento professionale
 nell'industria (CIAPI), enti dipendenti dalla Regione, siano nominati
 dalle sezioni della Corte dei conti per la Regione  Siciliana  fra  i
 magistrati  in  servizio presso le stesse; il terzo comma a sua volta
 dispone che la presidenza del collegio dei revisori sia attribuita al
 revisore effettivo nominato dalla Corte dei conti.
   La  seconda  questione  (R.O.  n.  794 del 1997) riguarda l'art. 15
 della legge della  Regione  Siciliana  14  settembre  1979,  n.  212,
 recante   "Norme  riguardanti  l'Ente  di  sviluppo  agricolo  (ESA),
 l'Istituto  regionale  della  vite  e  del  vino  (IRVV),   l'Azienda
 siciliana  trasporti  (AST), l'Istituto regionale per il credito alla
 cooperazione (IRCAC), la Cassa regionale per il credito alle  imprese
 artigiane  (CRIAS), e l'Ente acquedotti siciliani (EAS)", nella parte
 in cui prevede  l'attribuzione  degli  incarichi  di  presidente  del
 collegio dei revisori dei conti di alcuni enti regionali a magistrati
 della  Corte  dei  conti,  che dovrebbero essere scelti fra quelli in
 servizio in Sicilia, dovendosi ad  avviso  del  remittente  applicare
 anche ad essi il disposto dell'art.  22 della stessa legge regionale,
 ai  cui  sensi  "i  dipendenti  di  amministrazioni  o  enti pubblici
 chiamati a far parte  di  organi  collegiali  di  controllo  di  enti
 pubblici   regionali  debbono  essere  nominati,  previa  intesa  con
 l'Amministrazione di competenza, tra il  personale  in  servizio  nel
 territorio  della  Regione".  Poiche' anche tale questione, in taluno
 dei profili prospettati, investe la  limitazione  territoriale  della
 scelta dei magistrati nominandi, discendente dall'ultima disposizione
 citata,  deve  ritenersi che anche l'art. 22 della legge regionale n.
 212 del 1979, ancorche' non indicato nel dispositivo  dell'ordinanza,
 sia  oggetto  della questione, nella parte in cui vincola a scegliere
 fra quelli in servizio nel territorio regionale  anche  i  magistrati
 della  Corte dei conti chiamati a far parte degli organi di controllo
 degli enti.
   Le  disposizioni  denunciate  sono  ritenute  dal  giudice  a   quo
 operanti,  a  seguito  della  disciplina  statale  sopravvenuta,  che
 attribuisce al Consiglio di presidenza della  Corte  dei  conti,  fra
 l'altro,  la  competenza  per  il conferimento ai magistrati di detta
 Corte di incarichi estranei a loro compiti  istituzionali  (art.  13,
 secondo  comma,  numero  3,  della  legge n. 186 del 1982, cui rinvia
 l'art. 10, comma 10, della legge n. 117 del 1988), solo per cio'  che
 attiene  all'obbligo  di nominare magistrati della Corte dei conti, e
 di sceglierli fra quelli in servizio  in  Sicilia,  e  non  piu'  per
 quanto  attiene  alla  competenza  a  provvedere  a dette nomine, che
 sarebbe appunto attribuita al Consiglio di presidenza.
   Ad avviso del remittente esse  sarebbero  in  contrasto,  in  primo
 luogo, con le norme dello statuto speciale che delimitano la potesta'
 legislativa  regionale  e  disciplinano  la  costituzione  di sezioni
 regionali della Corte dei conti (artt.  14,  17  e  23),  in  quanto,
 prevedendo  incarichi  obbligatori  presso  enti  regionali in capo a
 magistrati della Corte  dei  conti,  inciderebbero  sullo  status  di
 questi,  che  sarebbe  materia  estranea alle attribuzioni regionali.
 Sarebbero altresi' in contrasto con le norme della  Costituzione  che
 riservano alla legge dello Stato la disciplina dell'ordinamento delle
 magistrature   (art.      108,   primo  comma),  e  che  garantiscono
 l'indipendenza della Corte dei conti (artt. 100,  terzo  comma,  104,
 primo  comma,  108,  secondo comma) e l'inamovibilita' dei magistrati
 (art. 107, primo comma,  che  comporterebbe  il  necessario  consenso
 dell'interessato  per l'attribuzione di funzioni diverse da quelle di
 istituto), in quanto inciderebbero sullo status e sulla  indipendenza
 dei  magistrati contabili, potendosi fra l'altro ritenere inopportuno
 che  essi  rivestano  incarichi  nell'ambito della Regione presso cui
 esercitano le loro funzioni, nonche' sulla competenza  del  Consiglio
 di  presidenza  della  Corte  dei  conti,  trattandosi  di  incarichi
 previsti  dalla  legge   come   obbligatori,   con   la   conseguente
 inoperativita'  del collegio dei revisori in caso di mancata nomina o
 di mancato consenso del magistrato. Il  che,  inoltre,  comporterebbe
 una  violazione  del  principio  di  buon  andamento  della  pubblica
 amministrazione, di cui all'art. 97 della  Costituzione.  Infine,  le
 disposizioni   denunciate   contrasterebbero   con   i   principi  di
 ragionevolezza e di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione,
 per la ingiustificata disparita' di trattamento che si realizzerebbe,
 a favore dei magistrati della Corte dei conti in servizio in Sicilia,
 rispetto agli altri loro colleghi.
   2. - Le questioni hanno oggetti strettamente  connessi,  e  possono
 percio' essere riunite per essere decise con unica pronunzia.
   3.  -  Non  puo'  essere  accolta  l'eccezione di inammissibilita',
 sollevata  dalla  difesa  della  Regione  Siciliana   riguardo   alla
 questione relativa all'art. 15 della legge regionale n. 212 del 1979,
 fondata sul rilievo che una delle nomine impugnate nel giudizio a quo
 riguarda  un  organo la cui composizione non e' disciplinata da detta
 legge, bensi' dall'art.   6 della legge della  Regione  Siciliana  21
 dicembre 1973, n. 50.
   Ai  fini  della  rilevanza  della questione, e' sufficiente che nel
 giudizio a quo la disposizione impugnata debba trovare  applicazione:
 e poiche' l'ordinanza e' stata emessa nei giudizi riuniti, in uno dei
 quali   l'applicabilita'   della  disposizione  denunciata  e'  fuori
 discussione, non sussiste difetto di rilevanza, restando poi affidata
 al giudice  remittente  la  soluzione  degli  eventuali  problemi  di
 applicabilita'  della  pronuncia di questa Corte a taluno dei giudizi
 riuniti che davanti ad esso si svolgono.
   4. - Le questioni sono fondate nei limiti di seguito precisati.
   Non puo' condividersi  la  tesi  del  remittente,  secondo  cui  la
 semplice  previsione,  contenuta  in  una  legge  regionale,  che  un
 incarico, nell'ambito di un  ente  dipendente  dalla  Regione,  debba
 essere  attribuito  a  magistrati,  in ispecie della Corte dei conti,
 eccederebbe dalla competenza  legislativa  regionale,  violerebbe  la
 riserva  di legge statale in tema di ordinamento delle magistrature e
 di  status  dei  magistrati,   inciderebbe   illegittimamente   sulla
 indipendenza  della Corte dei conti, garantita sia nel suo profilo di
 organo di controllo, sia nel suo profilo di organo giurisdizionale, e
 contrasterebbe con il principio  di  buon  andamento  della  pubblica
 amministrazione.
   Occorre   infatti   distinguere   nettamente   fra   la  disciplina
 legislativa che determina la possibilita', i limiti, le condizioni  e
 le modalita' per l'attribuzione a magistrati (dell'ordine giudiziario
 o  delle magistrature speciali) di incarichi estranei ai loro compiti
 di istituto, e una disciplina legislativa  che,  sul  presupposto  di
 quella, preveda l'attribuzione a magistrati di determinati incarichi.
   La  prima  attiene  allo  status  del  magistrato, e rientra dunque
 nell'ambito della riserva di legge  statale  sancita  dall'art.  108,
 primo  comma, della Costituzione, secondo la costante interpretazione
 offertane nella giurisprudenza di questa Corte (cfr.  sentenze  n.  4
 del 1956, n. 81 del 1976, n. 43 del 1982, n. 150 del 1993; da ultimo,
 sentenza  n.  86  del  1999).  Infatti,  come  per  tutti  i pubblici
 dipendenti,  cosi'  per  i  magistrati,  i  limiti  di compatibilita'
 dell'ufficio ricoperto con lo svolgimento di altre  attivita'  e  con
 l'assunzione  di  altri  incarichi  sono  un  elemento del loro stato
 giuridico. In particolare, poi, per  i  magistrati,  l'assunzione  di
 compiti  e  lo  svolgimento  di  attivita'  estranee a quelle proprie
 dell'ufficio ad essi affidato  -  anche  quando  non  richiedano  una
 sospensione o una riduzione delle funzioni ordinarie del magistrato -
 sono  fattori  suscettibili,  in  astratto,  di  incidere  sulla loro
 indipendenza ed imparzialita', connotato e condizione essenziale  per
 l'esercizio  della  funzione  loro  attribuita:    sia in quanto puo'
 esservi una interferenza  diretta  fra  compiti  propri  e  ulteriori
 attivita'   svolte,   sia  in  quanto  l'attribuzione  stessa,  o  la
 possibilita' di attribuzione, dell'incarico, per la sua natura e  per
 i  vantaggi  che  possono  derivarne,  puo'  tradursi in un indiretto
 condizionamento del magistrato.
   Nessun  dubbio  puo'  sussistere  dunque  sulla  appartenenza  alla
 esclusiva  competenza  del legislatore statale del compito di dettare
 la  disciplina  relativa  agli   incarichi   extraistituzionali   dei
 magistrati,  disciplina  che  dovra',  in concreto, essere rispettosa
 delle    esigenze     di     salvaguardia     dell'indipendenza     e
 dell'imparzialita',  e dunque prevedere condizioni e procedure per il
 conferimento o per l'autorizzazione all'assunzione dell'incarico  con
 esse  compatibili.  Ne',  quanto  alla  esclusivita' della competenza
 statale, potrebbe esservi  ragione  per  distinguere  fra  magistrati
 dell'ordine  giudiziario  o comunque istituzionalmente investiti solo
 di  funzioni  giurisdizionali,  e  magistrati  cui   possono   essere
 attribuite anche funzioni diverse, come quelli del Consiglio di Stato
 e  della  Corte  dei  conti:  sia  per  la unicita' dello status oggi
 previsto per questi ultimi, al di la' della contingente  attribuzione
 di   funzioni  giurisdizionali  o  di  altre  funzioni,  sia  perche'
 Consiglio di Stato e  Corte  dei  conti  sono  istituti  appartenenti
 all'ordinamento  statale,  come  tali  sottratti  ad  ogni intervento
 legislativo regionale, e dei  cui  componenti  la  legge  statale  e'
 tenuta a garantire l'indipendenza dal Governo (art. 100, terzo comma,
 della   Costituzione),   e  a  maggior  ragione  da  organi  politici
 territoriali.
   L'art. 23, primo e secondo comma, dello  statuto  siciliano,  e  le
 norme  di  attuazione  dettate  con  il d.lgs. 6 maggio 1948, n. 655,
 prevedono bensi' la costituzione,  in  Sicilia,  di  una  sezione  di
 controllo  e di una sezione giurisdizionale della Corte dei conti: ma
 non  le  configurano  come  organismi  appartenenti   all'ordinamento
 autonomo  della  Regione,  sui cui componenti possa quindi esplicarsi
 una qualsiasi potesta' legislativa regionale.
   5. - Ad opposta conclusione  deve  giungersi  invece,  come  si  e'
 accennato,  in  relazione  ad  una legge regionale che, nel disporre,
 entro l'ambito della competenza della Regione, circa l'organizzazione
 di  apparati  e  di  attivita'  della  Regione  stessa,  o  da   essa
 dipendenti, preveda l'utilizzo di singoli magistrati, per compiti che
 comportino   l'attribuzione   di  incarichi,  estranei  a  quelli  di
 istituto,  conferiti  o  autorizzati  nei  limiti,  sulla  base   dei
 presupposti  e  con  le  modalita' previste dalla normativa di status
 applicabile.
   Siffatta  previsione  non  si  configura  di per se' come incidente
 sulla disciplina (statale)  degli  incarichi  extraistituzionali  dei
 magistrati,   ma  piuttosto  come  l'utilizzazione  di  una  facolta'
 prevista da quella disciplina legislativa.
   In questo caso la legge  regionale  non  incide  sullo  status  del
 magistrato,  piu'  di  quanto  vi  incida  la  decisione di qualunque
 soggetto che, in forza della facolta' riconosciuta  dall'ordinamento,
 e  nel  rispetto  delle  condizioni stabilite dalla normativa statale
 sugli  incarichi,  intenda  avvalersi  dell'opera  di  un  magistrato
 attraverso il conferimento di un incarico siffatto.
   6.  -  La  disciplina  in  tema  di  incarichi extraistituzionali a
 magistrati della Corte dei conti - a parte la norma sulla  competenza
 del  Consiglio  di presidenza, contenuta, come si e' detto, nell'art.
 13, secondo comma, n. 3, della legge n. 186 del 1982,  applicabile  a
 detto  Consiglio  in forza del rinvio operato dall'art. 10, comma 10,
 della legge n.  117 del 1988 - e' contenuta oggi nell'art. 58,  commi
 2  e  3,  del d.lgs.   3 febbraio 1993, n. 29, e nel d.P.R. 27 luglio
 1995,  n.  388  (Regolamento  recante  norme  sugli   incarichi   dei
 magistrati della Corte dei conti, ai sensi dell'art. 58, comma 3, del
 decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29), che hanno innovato sulla
 generica  previsione  dell'art.    7, quinto e sesto comma, del testo
 unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d.  n.  1214
 del  1934,  sulla  cui  base  detti  magistrati  potevano  ricevere o
 accettare  incarichi,  oltre  che  nei  casi  stabiliti  da  leggi  o
 regolamenti, quando non fossero "in contrasto con le norme vigenti" e
 solo  in seguito ad ordinanza del Presidente, sentito il Consiglio di
 presidenza.
   Il principio generale affermato dall'art. 58 del d.lgs. n.  29  del
 1993  e'  quello secondo cui le pubbliche amministrazioni non possono
 conferire  ai  dipendenti  incarichi  "che  non  siano  espressamente
 previsti  o  disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non
 siano espressamente autorizzati" (comma 2). Per  quanto  riguarda  in
 ispecie   i  magistrati,  viene  demandato  ad  apposito  regolamento
 l'emanazione di norme "dirette a determinare gli incarichi consentiti
 e quelli vietati" (comma 3), e si stabilisce che, scaduto  invano  il
 termine  per  l'emanazione  del  regolamento,  "l'attribuzione  degli
 incarichi e' consentita nei soli casi  espressamente  previsti  dalla
 legge  o  da  altre  fonti normative" (comma 4). Il d.P.R. n. 388 del
 1995 ha dettato le norme per i magistrati della Corte dei conti.
   Esso stabilisce fra l'altro che i magistrati non possono  ricoprire
 incarichi  se  non  nei  casi  espressamente previsti "da leggi dello
 Stato o  dal  presente  regolamento"  (art.  2,  comma  1);  che  gli
 incarichi  "non  possono  essere  conferiti  ne'  autorizzati  quando
 l'espletamento degli stessi, tenuto  anche  conto  delle  circostanze
 ambientali,   sia   suscettibile   di   determinare   una  situazione
 pregiudizievole per l'indipendenza e l'imparzialita' del  magistrato,
 o  per  il  prestigio e l'immagine della magistratura della Corte dei
 conti" (art. 2, comma 2); che il Consiglio di presidenza, sulla  base
 di  criteri  oggettivi  previamente  adottati - che devono assicurare
 anche una "equa ripartizione" degli incarichi fra tutti i  magistrati
 -,  valuta  la  natura  e  il  tipo  dell'incarico, il suo fondamento
 normativo, la compatibilita' con l'attivita'  d'istituto,  il  numero
 complessivo di magistrati della Corte utilizzati dall'amministrazione
 richiedente,  il  numero  e  la  qualita'  degli  incarichi espletati
 dall'interessato nell'ultimo quinquennio (art. 2, commi 3 e  4);  che
 gli  incarichi  sono  attribuiti  sulla  base  di  una  richiesta non
 nominativa  dell'amministrazione  interessata  o  anche,  in  base  a
 motivate  ragioni,  e  previo consenso del magistrato interessato, su
 indicazione nominativa (art. 3, commi 2 e 4); che sono consentiti  in
 via  generale  una serie di tipi di incarichi elencati (art. 3, comma
 3), fra cui quelli "previsti da legge  dello  Stato  o  dal  presente
 regolamento,  con  specifico riferimento a magistrati della Corte dei
 conti in generale, salvo quanto previsto dall'art.  2"  (lettera  h);
 che  sono, invece, vietati alcuni tipi di incarichi elencati (art. 3,
 comma 6), fra i quali quelli di "partecipazione a collegi sindacali o
 di revisori dei conti",  ma  con  salvezza  dei  "casi  espressamente
 previsti da legge dello Stato o delle regioni" (lettera g).
   7.  -  La  Corte  non  e'  chiamata  in  questa  sede a vagliare la
 conformita' a Costituzione della norma (art. 58, comma 3, del  d.lgs.
 n. 29 del 1993) che demanda ad un regolamento la determinazione degli
 incarichi consentiti e di quelli vietati. E' sufficiente, ai fini del
 presente giudizio, constatare che la disciplina in vigore non esclude
 l'assunzione,  da  parte  dei  magistrati  della  Corte dei conti, di
 incarichi nell'ambito di  collegi  di  revisori  dei  conti  di  enti
 disciplinati  da  legge  regionale  (art.  3,  comma 6, lettera g del
 d.P.R.  n.  388  del  1995);  e  che,   del   resto,   il   principio
 legislativamente  affermato, destinato a valere anche in mancanza del
 regolamento, e' quello dell'ammissibilita' di incarichi espressamente
 previsti da legge o da "altre fonti normative" (art. 58,  comma  2  e
 comma  3,  del  d.lgs.  n. 29 del 1993), onde ancora una volta non e'
 esclusa la possibilita' di assunzione di incarichi  previsti  da  una
 legge regionale, fermo restando che e' solo la fonte statale, secondo
 quanto  si  e'  sopra  precisato,  a  poter determinare i limiti e le
 condizioni di ammissibilita' degli incarichi in generale.
   8. - Le  disposizioni  impugnate,  nella  parte  in  cui  prevedono
 l'attribuzione  dell'incarico di revisore dei conti di enti regionali
 a magistrati  della  Corte  dei  conti,  non  eccedono  dunque  dalla
 competenza   regionale,   ne'   di   per   se'  violano  i  parametri
 costituzionali invocati, relativi alle garanzie di indipendenza della
 Corte dei conti e dei suoi magistrati, in  quanto  non  vanno  intese
 come   dirette   a   prevedere  la  possibilita'  o  i  limiti  della
 attribuzione ai magistrati contabili di incarichi extraistituzionali,
 incidendo cosi' sul  loro  status  ma  come  dirette  a  disciplinare
 l'organizzazione  degli  enti regionali considerati, utilizzando, per
 quanto riguarda la composizione dei loro  collegi  dei  revisori,  la
 facolta',  discendente  dalle norme statali, di conferimento di detti
 incarichi a  magistrati  della  Corte  dei  conti,  sul  presupposto,
 dunque,  e  alla  condizione  che essi risultino attribuibili in base
 alla normativa concernente il loro status.
   9. - Ne' puo' condividersi il rilievo secondo  cui,  configurandosi
 tali   incarichi,   nelle   leggi   regionali,  come  necessariamente
 attribuiti a magistrati della Corte dei conti, le relative previsioni
 verrebbero ad incidere sulla competenza del Consiglio di  presidenza,
 che  sarebbe  costretto a conferire gli incarichi, perche' altrimenti
 si  determinerebbe  l'inoperativita'  dell'organo,  con   violazione,
 dunque,   anche  del  principio  di  buon  andamento  della  pubblica
 amministrazione.
   Il carattere "necessario" di tali incarichi, ai fini della regolare
 composizione   dei   collegi   dei  revisori  secondo  la  disciplina
 legislativa regionale, non comporta  affatto  ne'  l'obbligo  per  il
 magistrato  designato  di  accettare  l'incarico,  estraneo  ai  suoi
 compiti di istituto, ne' l'obbligo per il Consiglio di presidenza  di
 conferirlo:  al  contrario,  il  Consiglio  conserva  intatti  i suoi
 poteri-doveri di deliberazione sulla sola base  delle  norme  statali
 che  disciplinano  in  generale gli incarichi e dei criteri oggettivi
 che esso deve preventivamente darsi, ai sensi dell'art. 2,  comma  3,
 del d.P.R. n. 388 del 1995.
   Quella che nessuno, in concreto, possa essere designato, ovvero che
 nessuno  accetti  l'incarico,  e'  una  eventualita'  di  mero fatto,
 verificandosi la quale spetterebbe al legislatore regionale  valutare
 l'opportunita'  o  la  necessita'  di modificare la disciplina di sua
 competenza per  rendere  comunque  possibile  la  costituzione  degli
 organi   in  questione.  Non  basta  questa  mera  eventualita',  ne'
 l'eventuale inconveniente di fatto che si verifichi, a configurare un
 contrasto della disposizione  regionale  con  il  principio  di  buon
 andamento della pubblica amministrazione.
   10.  - Si deve a questo punto valutare se le disposizioni censurate
 confliggano con i parametri costituzionali invocati  nella  parte  in
 cui  restringono  la scelta, ai fini degli incarichi in questione, ai
 magistrati contabili in servizio nell'ambito della Regione Siciliana:
 o direttamente, come nel caso dell'art. 5 della  legge  regionale  n.
 25  del  1976,  o  attraverso  l'applicazione ai magistrati contabili
 della norma dettata in generale per i dipendenti  di  amministrazioni
 ed  enti  pubblici  chiamati  a  far parte degli organi collegiali di
 controllo (art. 22 della l.r. n. 219 del 1979).
   Non e' fondata la prospettazione dell'autorita' remittente, secondo
 cui tale limitazione contrasterebbe con l'art. 3  della  Costituzione
 per  la  ingiustificata  disparita' di trattamento che ne deriverebbe
 fra i magistrati contabili in servizio in Sicilia e i  loro  colleghi
 in servizio in altre aree territoriali.
   La censura appare viziata dallo stesso equivoco gia' considerato ad
 altro  proposito:  poiche'  la disposizione regionale non modifica lo
 status  dei  magistrati  contabili,  ma  si  limita   ad   utilizzare
 nell'ambito  della competenza regionale, e per fini che riguardano la
 Regione,   la   possibilita'    di    conferimento    di    incarichi
 extraistituzionali  a  magistrati contabili, non puo' parlarsi di una
 norma di status che discrimini fra questi ultimi. Ne' d'altra  parte,
 in un regime che consente incarichi anche su "indicazione nominativa"
 (art.  3,  comma  4,  del d.P.R. n. 388 del 1995), puo' ritenersi che
 contrasti col principio di eguaglianza la semplice  possibilita'  che
 uno  o  alcuni  magistrati, a differenza di altri, siano investiti di
 determinati  incarichi.  Quanto   poi   al   criterio   della   "equa
 ripartizione  degli  incarichi  fra  tutti  i  magistrati", di cui e'
 parola nell'art. 2, comma 4, del d.P.R. n. 388 del 1995, esso  e'  un
 criterio  guida che deve valere per le deliberazioni del Consiglio di
 presidenza,  e  che  deve  essere  rispettato  nel  complesso   delle
 deliberazioni  medesime;  non vale per i soggetti che, utilizzando la
 facolta' concessa dalle  norme  statali,  decidono  di  avvalersi  di
 magistrati  o  di  determinati  magistrati  della Corte dei conti per
 incarichi extraistituzionali.
   La  delimitazione territoriale, di per se' considerata, non esprime
 altro che un criterio di scelta delle persone da incaricare  in  base
 alle  esigenze  proprie  del soggetto che provvede in tal modo, nella
 specie la Regione: e non vi e' dubbio che  ragioni,  ad  esempio,  di
 agilita'  organizzativa o di contenimento della spesa possano indurre
 legittimamente a ricorrere, per tali incarichi, a  persone  che  gia'
 operano,   nei   loro   compiti  di  istituto,  nello  stesso  ambito
 territoriale ove dovrebbe essere svolta l'attivita'.
   11. - Tuttavia, nella specie, la delimitazione territoriale, per il
 contesto normativo in cui si colloca, e per le caratteristiche  degli
 incarichi  in  questione,  contrasta  con le esigenze di salvaguardia
 dell'indipendenza  e  dell'imparzialita'  dei  magistrati   contabili
 (espresse  fondamentalmente  nell'art.  100, terzo comma, e nell'art.
 108, secondo comma, della Costituzione), le quali, come si e'  detto,
 governano anche la materia degli incarichi extraistituzionali, e sono
 affidate,  per  la  loro  cura  in  concreto, alle determinazioni del
 Consiglio di presidenza della Corte dei conti.
   Le sezioni regionali siciliane della Corte dei conti  svolgono,  in
 posizione   di   indipendenza,   nei  confronti  dell'amministrazione
 regionale, comprensiva degli enti pubblici dipendenti dalla  Regione,
 e  degli  amministratori e dei funzionari che operano presso di essa,
 tutte le funzioni di controllo e giurisdizionali proprie della  Corte
 stessa:  ivi  comprese  le  funzioni  di riscontro a posteriori sulla
 gestione delle pubbliche amministrazioni, disciplinate dall'art.   3,
 commi 4, 5, 6 e 7, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, nel cui ambito
 fra  l'altro  la  Corte  verifica  il  perseguimento  degli obiettivi
 stabiliti dalle leggi regionali (comma  5),  riferisce  all'assemblea
 regionale  sull'esito  del  controllo eseguito, anche con valutazioni
 sul   funzionamento   dei   controlli   interni,   e   formula   alle
 amministrazioni interessate le proprie osservazioni (commi 6 e 7).
   I  collegi dei revisori dei conti degli enti regionali in questione
 svolgono le funzioni tipiche del controllo interno, essendo dunque  a
 loro volta soggetti alle valutazioni "esterne" della Corte dei conti.
   E'  palese il rischio di un intreccio fra i due ordini di funzioni,
 suscettibile di  tradursi  in  una  menomazione  dell'indipendenza  e
 dell'imparzialita'  dei  magistrati  delle  sezioni  regionali  della
 Corte, a causa della necessaria presenza istituzionale di magistrati,
 appartenenti alle stesse sezioni,  nell'ambito,  e  addirittura  alla
 presidenza, degli organi degli enti regionali.
   A  ben vedere, la previsione dell'affidamento di siffatti incarichi
 ai soli magistrati delle sezioni  siciliane  della  Corte,  contenuta
 nelle  disposizioni  impugnate,  non  ha il senso e la portata di una
 semplice scelta di opportunita' per ragioni organizzative, ma esprime
 una  linea  di  coinvolgimento  istituzionale   di   dette   sezioni,
 attraverso i magistrati ad esse addetti, in un'attivita' di controllo
 interno  nell'ambito  di  amministrazioni regionali, a loro volta poi
 soggette ai poteri istituzionali di controllo esercitati dalle stesse
 sezioni.  Non e' un caso, infatti, che non si tratti  di  una  scelta
 isolata  ed  occasionale,  ma  corrisponda  ad  una linea di politica
 istituzionale    applicata    sistematicamente    nella    disciplina
 dell'organizzazione degli enti regionali in Sicilia: la disposizione,
 impugnata,  dell'art.    5  della  legge  regionale n. 25 del 1976 si
 riferisce ad una categoria  di  enti  (i  centri  interaziendali  per
 l'addestramento  professionale nell'industria); la disposizione, pure
 impugnata, dell'art. 15, primo comma, della legge  regionale  n.  212
 del  1979  si  riferisce a quattro enti regionali; nello stesso senso
 dispone, per altri due enti regionali, il terzo  comma  dello  stesso
 art.  15; identica previsione si trova, a proposito di altri enti, in
 altre leggi regionali (cfr. ad esempio art.  6,  primo  comma,  della
 legge  regionale 21 dicembre 1973, n. 50, a proposito dei collegi dei
 revisori di tre enti).
   Che siffatta linea possa corrispondere all'intento del  legislatore
 regionale,  di per se' lodevole, di imprimere caratteri di serieta' e
 di "neutralita'"  al  controllo  interno  agli  enti,  attraverso  la
 presenza  della professionalita' tipica dei magistrati contabili, non
 elimina la "contaminazione" fra controlli interni ed esterni, che  si
 puo'  realizzare  attraverso la sistematica attribuzione di incarichi
 di controllo interno, conferiti e remunerati dalla Regione o da  enti
 regionali,  a  molti  degli  stessi  magistrati  che per i compiti di
 istituto operano, nel medesimo ambito  territoriale,  nell'organo  di
 controllo  esterno.  La  limitazione territoriale, in questo caso, si
 traduce in un ostacolo  all'esercizio  dei  compiti  di  salvaguardia
 dell'indipendenza  e  dell'imparzialita'  dei magistrati, affidati al
 Consiglio  di  presidenza,  cui  spetta,  proprio  a   questi   fini,
 deliberare sugli incarichi, e che non potrebbe impedire, non tanto in
 singole  occasioni  (per  le quali esso potrebbe sempre esercitare la
 sua  potesta'  di  rifiutare  in  concreto   la   designazione),   ma
 sistematicamente,  che  si  crei  l'accennato  rischio  di intreccio,
 pericoloso per l'indipendenza della Corte e dei suoi magistrati.
   12.  -  Deve  dunque  concludersi   che   sono   costituzionalmente
 illegittime,  per contrasto con gli articoli 100, terzo comma, e 108,
 secondo comma, della Costituzione, le disposizioni  denunciate  nella
 parte  in  cui  limitano  ai magistrati in servizio presso le sezioni
 regionali siciliane la scelta dei magistrati  contabili  cui  possono
 essere conferiti gli incarichi in questione.
   La dichiarazione di illegittimita' deve colpire pertanto l'art.  5,
 primo  comma,  lettera  a della legge regionale n. 25 del 1976, nella
 parte in cui enuncia detta  limitazione;  e  l'art.  22  della  legge
 regionale  n.  212  del  1979  nella parte in cui prevede che anche i
 magistrati della Corte dei conti, chiamati  a  far  parte  di  organi
 collegiali  di  controllo  di enti pubblici regionali, debbono essere
 nominati tra il personale in servizio nel territorio  della  Regione.
 Rimane  invece  indenne  da tale dichiarazione l'art. 15 della stessa
 legge regionale n. 212 del 1979,  il  quale  non  si  riferisce  alla
 limitazione territoriale predetta.