IL PRETORE In data 14 gennaio 1997 il pretore di Messina rendeva sentenza di patteggiamento nei confronti di Rosario Puglisi, in ordine al reato di ricettazione, applicandogli la pena di mesi uno di reclusione e L. 200.000 di multa, previa derubricazione nell'ipotesi di particolare tenuita' di cui al secondo comma dell'art. 648 cod. pen. La pena detentiva cosi' inflitta, sull'accordo delle parti, veniva convertita in pena pecuniaria ai sensi degli artt. 53 e ss., legge n. 689/1981. Accogliendo il ricorso della procura generale, la Corte suprema di cassazione - con pronuncia dell'11 dicembre 1997 - annullava la predetta sentenza, rilevando che "il ricorso ... del p.m. impugnante fondato al confronto con il certificato penale del Puglisi, sicche' illegittima e' la disposta sostituzione della pena". Invero, il p.m. ricorrente aveva rilevato che il Puglisi ha riportato numerose condanne per il delitto di furto e che, pertanto, alla concessione del beneficio ostava il capoverso dell'art. 59, legge n. 689/1981, che "espressamente vieta la sostituzione della pena detentiva nei confronti di coloro che siano stati condannati per piu' di due volte per reati della stessa indole" (frase tratta letteralmente dal ricorso del p.g.). Con decreto del 9 febbraio 1998 il Puglisi veniva citato innanzi a questo pretore per il nuovo giudizio. All'odierna udienza la difesa eccepiva il dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 59, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, quantomeno se interpretato nel senso in cui e' stato applicato nel caso di specie. Innanzitutto, deve rilevarsi che la questione e' immediatamente e concretamente rilevante. Infatti, non vi e' dubbio che il nuovo giudizio e' condizionato dalla applicazione che della norma censurata e' stata fatta dalla Corte di cassazione, negandosi al Puglisi il beneficio della conversione della pena. Pertanto, soltanto ove la questione si rivelasse fondata, l'imputato potrebbe riproporre un patteggiamento nei medesimi termini di quello gia' annullato. Inoltre, la questione non e' manifestamente infondata in quanto il disposto dell'art. 59, capoverso, della legge n. 689/1981 appare in contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e con quello della finalita' rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, Cost.). Il tratto di norma censurata cosi' recita: "la pena detentiva, se e' stata comminata per un fatto commesso nell'ultimo decennio, non puo' essere sostituita nei confronti di coloro che sono stati condannati piu' di due volte per reati della stessa indole". Secondo una prima interpretazione, piu' aderente al tenore testuale del disposto normativo, l'esclusione dal beneficio opererebbe alle seguenti condizioni concorrenti: a) che la distanza fra la data della sentenza di condanna ed il tempus commissi delicti non sia superiore ai dieci anni; b) che il condannato abbia riportato, in un qualsiasi momento anche remoto, almeno tre condanne per reati della stessa indole. Alla stregua di una seconda possibile interpretazione, resterebbe escluso dal beneficio colui che - nei dieci anni precedenti alla sentenza con la quale si infligge la pena detentiva da convertire - abbia riportato piu' di due condanne per altri reati della stessa indole. E' possibile esemplificare applicando entrambe le tesi al caso in esame, tenendo a mente che il delitto per cui oggi e' processo e' stato accertato il 27 novembre 1994 e che il Puglisi - alla stregua del piu' aggiornato casellario giudiziale - ha riportato in epoca remota undici condanne per furto, della quale la piu' recente e' divenuta irrevocabile il 18 maggio 1976. Secondo la prima tesi, il Puglisi avrebbe potuto godere della conversione della pena soltanto a condizione che la sentenza fosse intervenuta dopo il 27 novembre 2004 (cioe' trascorsi almeno dieci anni dalla data di commissione del fatto cui si riferisce); e cio' a prescindere dalla data di commissione dell'ultimo dei precedenti reati per i quali e' stato condannato. Alla stregua della seconda prospettazione, l'imputato potrebbe gia' oggi godere dell'invocato beneficio, considerato che nei dieci anni precedenti alla commissione del delitto de quo (cioe' a far data dal 27 novembre 1984) non ha riportato alcuna condanna. Non vi e' dubbio che - nonostante la succinta motivazione - la Corte di cassazione si sia attenuta alla proposta ermeneutica illustrata per prima. Ma l'art. 59, legge n. 689/1981 cosi' interpretato si appalesa contrario - come gia' anticipato - ad alcuni principi costituzionali. Innanzitutto viene in rilievo il valore fondamentale della eguaglianza. Difatti, il secondo comma dell'art. 59, legge n. 689/1981 discrimina senza alcuna ragione obiettiva posizioni processuali sostanzialmente analoghe. Uno status prettamente soggettivo (meritevolezza del beneficio della conversione della pena detentiva) viene ancorato a vicende assolutamente estranee all'imputato e dallo stesso non controllabili. In sostanza, qualora a carico dell'imputato venisse celebrato un rapido processo (o, comunque, che si concluda in meno di dieci anni dalla commissione del reato) cio' sarebbe preclusivo alla conversione della pena detentiva (nel presupposto che il reo abbia gia' riportato piu' di due condanne per fatti analoghi); le lungaggini processuali, invece, gioverebbero al prevenuto, facendolo divenire nel frattempo "meritevole" di un beneficio che una sentenza tempestiva gli avrebbe dovuto negare. Invero, pare insanabile il contrasto fra il fondamentale precetto di cui all'art. 3 della Costituzione ed una norma che ponga rilevanti distinzioni soggettive a cagione di circostanze fattuali del tutto estranee ai soggetti medesini. Talvolta possono darsi pronunzie penali di diverso segno nei confronti di coimputati nel medesimo fatto delittuoso ma giudicato in momenti differenti (ad esempio: prescrizione, successione nel tempo di leggi piu' favorevoli al reo, ecc.). Ma tutti questi istituti rispondono ad interessi superiori che legittimano e spiegano una diversita' di trattamento. Nel caso di specie, invece, non si ravvisa alcuna ratio che conferisca plausibilita' al discrimen posto dalla norma censurata. Il secondo comma dell'art. 59, legge n. 689/1981 e' incostituzionale anche alla luce del principio della finalita' rieducativa della sanzione penale. Innanzitutto, e' di tutta evidenza che una sanzione comminata in forza di una norma che tratta in modo diseguale condotte sostanzialmente analoghe non puo' svolgere una effettiva funzione rieducativa: il condannato privato del beneficio, confrontando la propria situazione con quella del correo che ne ha goduto sol perche' con lui la giustizia e' stata meno solerte, avvertira' l'iniquita' della sanzione inflittagli e cio' incrementera' il senso di sfiducia verso quelle istituzioni che invece dovrebbero tendere alla sua rieducazione. La logica sottesa all'istituto della sostituzione delle pene detentive brevi muove dalla considerazione che l'esecuzione carceraria di pene di modesta durata, lungi dal sortire un effettivo esito rieducativo, spesso determina l'opposto risultato di incentivare la propensione criminosa del condannato. In tal senso opera la capacita' catalizzante che e' propria del contatto con ambienti malavitosi, quale e' quello carcerario, e criminogeni. Si e' ritenuto, pertanto, che per i condannati che non denotino eccessiva pericolosita' sociale - in considerazione dei precedenti penali, dell'entita' della pena concretamente inflitta e del titolo del reato - sia preferibile una modalita' alternativa nella esecuzione della pena detentiva. In tale contesto male si inserisce l'art. 59, secondo comma, legge n. 689/1981 (quantomeno se interpretato nel senso proposto dalla Corte di cassazione), in quanto introduce un criterio di meritevolezza soggettiva del beneficio (distanza di almeno dieci anni fra la commissione del fatto e la sentenza di condanna) del tutto inidoneo ad apprezzare l'effettivo grado di pericolosita' sociale del condannato e le sue potenzialita' di recupero e riabilitazione. Tale norma risulta, quindi, incongruente con il principio della finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27 Cost. A conclusioni certamente diverse si potrebbe giungere ove venisse avallata la tesi interpretativa ripudiata dalla Corte di cassazione. L'imputato che nei dieci anni precedenti alla commissione del fatto per cui viene giudicato non ha riportato altre condanne per reati analoghi dimostra una non accentuata propensione a delinquere; appare piu' probabile un suo efficace recupero al rispetto dei valori sociali; egli, pertanto, e' meritevole di una esecuzione della pena senza carcerazione. E se cio', per un verso, e' sintonico con la finalita' rieducativa della pena (fortemente sottesa all'istituto regolato dagli artt. 53 e ss. della legge n. 689/1981), per altro verso non pone problemi di disparita' di trattamento: il trascorso giudiziario e' qualita' strettamente soggettiva che legittima una differenziata valutazione legale di meritevolezza del beneficio. In conclusione, l'art. 59, secondo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, appare costituzionalmente illegittimo qualora venga interpretato nel senso che per la concessione del beneficio della sostituzione della pena detentiva e' necessario che siano trascorsi dieci anni fra il fatto e la sentenza con cui viene inflitta la pena da sostituire. Infine, non vanno sottaciuti altri due argomenti che contrastano la prassi interpretativa di cui si vuole che sia dichiarata l'illegittimita' costituzionale: a) il disposto del primo comma del medesimo articolo, ove si adotta il criterio che la meritevolezza soggettiva del beneficio e' ancorata alla condotta del condannato nei cinque anni che precedono la commissione del fatto; b) la considerazione che sono senz'altro pochi i reati, per i quali sia possibile irrogare una pena in misura tale da poter essere sostituita, che sopravvivono piu' di dieci anni all'effetto estintivo della prescrizione.