IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza;
   Su  appello avverso ordinanza 27 ottobre 1998 della Corte di assise
 di S. Maria C.V., II sezione, con la quale veniva  rigettata  istanza
 di   scarcerazione   di  Ferraro  Sebastiano  per  inefficacia  della
 ordinanza di custodia cautelare;
                             O s s e r v a
   1. - La difesa di Ferraro Sebastiano -  sottoposto  a  custodia  in
 carcere  in  forza  di  ordinanza  coercitiva  25  novembre 1995 - ha
 chiesto  la  scarcerazione  dell'imputato  sul  presupposto  che   in
 occasione  della procedura di riesame del provvedimento restrittivo a
 suo tempo esperita si e' verificata la  perdita  di  efficacia  della
 misura  cautelare per omessa trasmissione degli atti al tribunale del
 riesame  nel  termine  di  cinque  giorni  previsto  dal quinto comma
 dell'art. 309, computato tale termine  dal  giorno  di  presentazione
 dell'istanza  secondo  quanto ritenuto dalla Corte costituzionale con
 sentenza n. 232 del 1 giugno 1998.
   La Corte di assise, che procede per il giudizio, con  ordinanza  27
 ottobre  1998  -  premesso  che  quanto  dedotto dall'interessato non
 risultava comunque provato da  idonea  documentazione,  non  allegata
 all'istanza  difensiva  -  ha  osservato: "... la portata retroattiva
 della  sentenza  della  Corte  costituzionale  (peraltro  di   natura
 interpretativa) incontra il limite processuale invalicabile delle cd.
 situazioni esaurite.
   Nel   caso   di   specie  tale  limite  si  configua  in  relazione
 all'ordinanza del tribunale del riesame, conclusiva del  procedimento
 incidentale di impugnazione dell'ordinanza g.i.p. Trattasi infatti di
 provvedimento  conclusivo  di  uno specifico sub-procedimento, la cui
 regolarita' e' ovviamente oggetto di controllo (sia  pure  implicito)
 da  parte dello stesso tribunale del riesame, ed i cui eventuali vizi
 (sia in procedendo che in iudicando) vanno denunziati  con  specifico
 motivo  di  ricorso  per  cassazione ai sensi dell'art. 311 c.p.p. In
 altre parole il tribunale del riesame decide ''nel merito''  solo  in
 quanto  non  rilevi  preliminarmente  questioni  di  nullita' del suo
 procedimento  o  di  efficacia  della  misura  cautelare  oggetto  di
 controllo;  cio' comporta che la decisione di ''conferma della misura
 in atto'' inevitabilmente  contiene  (anche  se  per  implicito)  una
 valutazione  circa  gli  aspetti  di  cui  in  precedenza,  idonea ad
 assumere i connotati della irrevocabilita', se non impugnata.
   Dunque la situazione oggi all'esame  della  Corte  non  puo'  dirsi
 tuttora  ''pendente'' in quanto la protrazione della limitazione allo
 status libertatis dell'imputato dipende (anche) dagli effetti  di  un
 provvedimento (l'ordinanza del tibunale del riesame) non impugnato (o
 comunque  confermato  in  Cassazione, data l'epoca della decisione di
 cui si tratta) e dunque tendenzialmente  definitivo,  in  assenza  di
 sopravvenienze  fattuali,  tali da modificare i parametri di cui agli
 artt. 273 e 274 c.p.p.
   In tal senso la situazione processuale teste' descritta  differisce
 profondamente  dall'ipotesi  in  cui  il  motivo di inefficacia della
 misura cautelare sia legato (come  nel  caso  dell'art.  294  c.p.p.)
 allo    sviluppo    ''necessario''    del    procedimento   cautelare
 ''principale''  (intendendosi  per  tale  quello  svolto  innanzi  al
 g.i.p.);  qui  infatti  (e fermo restando il limite della intervenuta
 trasmissione degli atti  al  giudice  del  dibattimento)  l'efficacia
 retroattiva  di pronunzie della Corte costituzionale (sent. n. 77/97)
 e'  dipesa  dalla  verifica   della   esistenza   di   uno   ''spazio
 procedimentale''  (i  cinque  giorni  dalla  esecuzione)  in  cui  e'
 effettivamente maturata l'omissione di  un  adempimento  obbligatorio
 (con relativa rilevabilita' ''postuma'').
   Le  due  situazioni  non  possono  compararsi,  atteso che nel caso
 dell'art.   309 c.p.p.  l'eventuale  motivo  di  inefficacia  risulta
 essere   del   tutto   ''interno''   allo  sviluppo  dello  specifico
 sub-procedimento  di  controllo,  che  essendosi  concluso   con   un
 successivo  provvedimento decisorio, non lascia spazio a sopravvenute
 doglianze, salvo il caso  di  avvenuta  prospettazione  di  specifico
 motivo, ai sensi e con gli effetti di cui all'art. 311 c.p.p.
   Dunque,  per  tutto  quanto  sinora  esposto,  e prescindendo dalla
 adesione (pur controversa) al  contenuto  della  sentenza  n.  232/98
 della   Corte   costituzionale,   ed   avviso   di  questa  Corte  la
 deducibilita' del motivo di inefficacia della misura in  atto  e'  da
 ritenersi preclusa".
   Con  l'atto  di  appello proposto ai sensi dell'art. 310 c.p.p., la
 difesa  lamenta  che  il  giudice  del  dibattimento,  nel  rigettare
 l'istanza,  erroneamente  ha  ritenuto preclusa la questione dedotta:
 "... e' veramente difficile accettare  quanto  dedotto  dalla  Corte,
 ovvero che la questione di efficacia della misura in atto appare allo
 stato  preclusa, atteso che l'eventuale motivo di inefficacia risulta
 essere interno al procedimento di impugnazione di  cui  all'art.  309
 c.p.p.,  nell'ambito  del quale poteva e doveva essere fatto valere o
 comunque rilevato, salvo  il  caso  di  prospettazione  di  specifico
 motivo  di  ricorso  per Cassazione ai sensi dell' art. 311 c.p.p. Ed
 invero non si vede come poteva dedursi un tale motivo di  inefficacia
 nell'ambito  del  giudizio  incidentale  in  un periodo in cui veniva
 fornita del  termine  di  cui  all'art.  309,  comma  5,  c.p.p.  una
 interpretazione   univoca   (e   non  scalfita  da  alcuna  decisione
 contraria), nel senso di una decorrenza degli  stessi  5  giorni  non
 dalla   proposizione   della   richiesta  di  riesame,  bensi'  dalla
 comunicazione   dell'avviso   dato   dal   tribunale   del    riesame
 all'autorita' procedente|
   Al  contrario il giudice impugnato avrebbe dovuto prendere atto che
 la  sentenza  n.  232/1998  della  Corte  costituzionale  sanciva  un
 principio  generale,  e,  proprio perche' interpretativa, finisce per
 esplicare i suoi effetti da quando  e'  stata  introdotta  la  norma,
 ossia  dal  1995.  Ed  a nulla vale al riguardo invocare una sorta di
 giudicato cautelare anomalo per una questione procedurale che, quando
 fu tenuta la relativa  udienza  camerale,  non  poteva  essere  certo
 sollevata.    Si  segnala  provocatoriamente  che,  ragionando in tal
 senso, la questione di inefficacia potrebbe essere sollevata soltanto
 da colui nei cui confronti per avventura sia stata  emessa  ordinanza
 del  tribunale  del  riesame anche in epoca remota (seppur successiva
 alla novella del 1995),  avverso  la  quale  non  e'  stato  proposto
 ricorso  per Cassazione, ne' risulta notificato l'avviso ex art. 128,
 c.p.p.
   Infatti conseguenza di cio' sarebbe l'impossibilita' di ritenere il
 sub-procedimento   esaurito,    con    relativa    possibilita'    di
 prospettazione  dello  specifico  motivo  di inefficacia| Ma vi e' di
 piu'|  La  situazione  de  quo  non  puo'  dirsi  certo  esaurita   o
 consolidata,  tenuto  conto  che  la  misura  di  cui  si  chiede  la
 declaratoria  inefficacia  e'  ancora  in  via  di  svolgimento,  con
 conseguente  obbligo del giudice del procedimento principale (che non
 necessariamente deve essere il Gip che ebbe ad  emettere  l'ordinanza
 di  custodia  cautelare)  di prendere atto dell'elemento sopravvenuto
 che impone l'adozione dei provvedimenti necessari  per  la  immediata
 cessazione della misura stessa.
   Invece  di  prendere atto di tali principi l'ordinanza impugnata si
 limita a fornire una motivazione del tutto  apparente,  trincerandosi
 dietro  frasi  apodittiche  e  poco conferenti con il caso di specie.
 Eppure una tale interpretazione e' l'unica conforme, oltre  che  allo
 spirito della novella di cui alla legge n. 332/1995, anche al dettato
 costituzionale  ed  alle  convenzioni  internazionali,  in  un'ottica
 garantista che deve presiedere all'interpretazione di tutte le  norme
 attinenti  alla  liberta'  personale  e, quindi, anche dell'art. 309,
 comma 5 c.p.p. ...".
   2. - Nel caso in esame, ad avviso del collegio, non si  e'  formata
 sulla  specifica  questione una preclusione per il solo fatto che sia
 divenuta  definitiva  l'ordinanza   del   tribunale   ex   art.   309
 confermativa  del  provvedimento  restrittivo.  Cio'  sia perche', in
 materia di  misure  cautelari,  un  limitato  effetto  preclusivo  si
 verifica   unicamente  in  relazione  alle  questioni  effettivamente
 dedotte e non anche in relazione a quelle  deducibili  con  il  mezzo
 d'impugnazione  previsto dalla legge (ss.uu. n. 11/1994, Buffa); sia,
 e a maggior ragione, perche' le questioni di inefficacia della misura
 cautelare, anche in relazione alle cause che si verifichino nel corso
 della procedura incidentale di  riesame  secondo  le  previsioni  del
 comma  10  dell'art.   309, non possono o, secondo alcuni, non devono
 necessariamente essere dedotte con la richiesta di  riesame,  poiche'
 il   mezzo   previsto   dalla  legge  e'  l'istanza  al  giudice  del
 procedimento principale ai sensi dell'art. 306 (v.: ss.uu. 20  luglio
 1995,  Galletto;  ss.uu.  3  luglio  1996,  Moni;  Cass.,  sez. I, n.
 1807/1997, Cappuccio; per le misure cautelari reali  v.  Cass.,  sez.
 II, n. 35141/1997, Cacchioni).
   Sul  punto  non puo' condividersi l'opinione della Corte di assise,
 secondo cui "il tribunale del riesame decide ''nel merito''  solo  in
 quanto  non  rilevi  preliminarmente  questioni  di  nullita' del suo
 procedimento  o  di  efficacia  della  misura  cautelare  oggetto  di
 controllo"  e  "cio'  comporta  che  la decisione di ''conferma della
 misura in atto'' inevitabilmente contiene (anche  se  per  implicito)
 una  valutazione  circa  gli  aspetti di cui in precedenza, idonea ad
 assumere i connotati della irrevocabilita', se non impugnata".
   Ed invero - premesso che la tardiva trasmissione al c.d.  tribunale
 della  liberta',  da  parte  dell'autorita'  procedente,  degli  atti
 necessari al giudizio di riesame non comporta alcuna  nullita'  della
 procedura  ex  art. 309  - va osservato che il tribunale del riesame,
 quand'anche  rilevi,  di  ufficio  o   su   eccezione   della   parte
 interessata, la sopravvenuta inefficacia dell'ordinanza coercitiva ex
 art.  309,  commi  5  e  10,  c.p.p.  (ed  e' controverso, come si e'
 accennato, se possa  dichiararla  o  se  invece  debba  rimettere  la
 questione  al giudice del procedimento principale, competente ex art.
 306 - ma il tema non puo' essere qui approfondito),  non  e'  affatto
 esonerato  dalla  pronunzia sul merito della richiesta di riesame, la
 cui ammissibilita', almeno nel caso delle misure custodiali, persiste
 persino  nel  caso  in  cui   sopravvenga   l'effettiva   liberazione
 dell'indagato  (cfr. Cass., sez. I, n. 4867/1997, De Luca; ss.uu., 20
 dicembre 1993,  Stablum ed altro; ss.uu. 8 novembre 1993, Durante).
   Non puo' quindi ritenersi che l'ordinanza del tribunale del riesame
 confermativa del provvedimento restrittivo precluda  la  proposizione
 della  questione  di  inefficacia della misura cautelare ex art. 309,
 commi 5 e  10,  quando  tale  questione  non  sia  stata  oggetto  di
 specifico esame.
   Nel  caso  di  specie  non  risulta che la questione fosse stata in
 precedenza sollevata nell'ambito della procedura  di  riesame  o  con
 separata istanza ai sensi dell'art. 306. Cio', anzi, deve escludersi,
 considerato che l'istanza e' stata proposta a seguito ed in relazione
 alla  sentenza  della  Corte  costituzionale intervenuta il 22 giugno
 1998.
   Deve   altresi'   escludersi   che   la  prospettata  questione  di
 inefficacia dell'ordinanza  coercitiva  sia  preclusa  per  il  tempo
 decorso  o  per  lo  stato del procedimento, passato dalla fase delle
 indagini preliminari a quella  del  giudizio  di  primo  grado;  cio'
 perche'  nel  caso  di specie l'inefficacia, cosi' come dedotta dalla
 difesa, non dipende da una nullita' del procedimento suscettibile  di
 sanatoria,  come  nell'ipotesi  dell'interrogatorio  nullo per omesso
 avviso al difensore, in cui la mancata deduzione della  nullita'  nel
 termine  di  cui  all'art.  181/2  esclude  che possa pervenirsi alla
 declaratoria d'inefficacia della misura  coercitiva  ai  sensi  degli
 artt. 302 e 294.
   Pertanto,   l'istanza   difensiva   e'   da   ritenersi  pienamente
 ammissibile.
   3. -  Dal  registro  impugnazioni  misure  cautelari  tenuto  dalla
 cancelleria  di  questo  tribunale  risulta (v. estratto acquisito al
 fascicolo e certificato prodotto dalla difesa) che  la  richiesta  di
 riesame  nell'interesse  di  Ferraro  Sebastiano  avverso l'ordinanza
 coercitiva 25 novembre 1995 fu depositata  il  29  dicembre  1995  ed
 iscritta  al  n.  6730/1995, l'avviso al p.m. procedente fu dato il 4
 gennaio 1996, gli atti  necessari  per  la  decisione  pervennero  al
 tribunale  il  9  gennaio  1996  (o,  piu' precisamente, in tale data
 pervenne comunicazione - da ritenersi equipollente: cfr. Cass.,  sez.
 V,  n.  4696  del 27 gennaio 1997, ud.  30 ottobre 1996, Pepe; Cass.,
 sez. I, n. 6954 del 17 marzo 1997, ud. 19 dicembre 1996, Cipolletta e
 altro; Cass., sez. I, n. 278 del 5 marzo 1997, ud. 17  gennaio  1997,
 Abate  -  che  gli atti erano gli stessi gia' in precedenza trasmessi
 per analoga procedura relativa a coindagato).
   In punto di fatto, quindi, la questione  e'  nei  termini  indicati
 dalla  difesa, poiche' dalla presentazione della richiesta di riesame
 (29 dicembre 1995) all'arrivo degli atti (o, piu' precisamente, della
 detta comunicazione equipollente: 9 gennaio 1996) si  contano  undici
 giorni.
   4. - L'art. 309 c.p.p., come modificato dall'art. 16 della legge n.
 332  dell'8  agosto  1995, prevede che, a seguito della presentazione
 della richiesta di riesame  dell'ordinanza  che  dispone  una  misura
 coercitiva,  "il  presidente  cura  che  sia  dato  immediato  avviso
 all'autorita'  giudiziaria  procedente  la  quale,  entro  il  giorno
 successivo,  e  comunque  non  oltre  il  quinto giorno, trasmette al
 tribunale gli atti ..."  (comma 5) e "se la trasmissione  degli  atti
 non avviene nei termini di cui al comma 5 ... l'ordinanza che dispone
 la misura coercitiva perde efficacia" (comma 10).
   La  giurisprudenza  di  legittimita'  ha  precisato  che il termine
 perentorio di cinque giorni entro il  quale  l'autorita'  giudiziaria
 procedente deve trasmettere gli atti al tribunale del riesame, a pena
 di  inefficacia  dell'ordinanza che ha disposto la misura coercitiva,
 decorre dal giorno in cui all'autorita' procedente perviene  l'avviso
 spedito  a  cura del presidente del tribunale, e non gia' dal momento
 in cui e' presentata la richiesta di riesame, e ha osservato che  una
 diversa interpretazione non solo contrasta con la lettera della norma
 ma  condurrebbe alla illogica conseguenza di far dipendere la perdita
 di efficacia della misura cautelare da  un  termine  collegato  a  un
 fatto  giuridico  ignoto  a  chi e' tenuto all'osservanza del termine
 (Cass., sez. VI, n. 24/1998, De  Matteis;  nello  stesso  senso  gia'
 Cass.,  sez. II, n. 5143/1996, Iurilli ed altri). Si e' osservato che
 l'espressione  "dare avviso" ha l'inequivoco significato di portare a
 conoscenza del soggetto destinatario l'atto  trasmesso,  gli  effetti
 del  quale  non  possono  prodursi  se  non dal momento dell'avvenuta
 ricezione del medesimo, per cui il termine non decorre dal giorno  di
 trasmissione  dell'avviso,  ma  solo  da  quello  in cui l'avviso del
 tribunale del riesame perviene all'autorita' procedente  (ss.uu.,  n.
 10/1998, Savino).
   Nello  stesso  senso  si  e'  ritenuto  che,  quando  gli  atti del
 procedimento siano stati nel frattempo  trasmessi  ad  altro  ufficio
 giudiziario,  il  termine  per la trasmissione degli atti decorre dal
 momento  in  cui  l'avviso  del  tribunale   del   riesame   perviene
 all'autorita'  giudiziaria che dispone degli atti (Cass., sez. VI, n.
 1720/1997, Pugliese).
   Si e' poi rilevato che l'inottemperanza da parte del presidente del
 tribunale del riesame all'obbligo  di  avvisare  "immediatamente"  il
 giudice  che  procede della avvenuta presentazione della richiesta di
 riesame, e' priva di sanzione processuale e, proprio poiche'  non  e'
 prevista   alcuna   sanzione   processuale   alla   non   "immediata"
 trasmissione dell'avviso, dall'eventuale ritardo in tale  adempimento
 non  puo'  derivare  la  perdita  di efficacia della misura cautelare
 (Cass., sez.  II, n. 889/1996, Todisco; Cass., sez. I, n.  3677/1996,
 Causo).
   5.  -  Investita  dalla  Corte  di  cassazione  della  questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 309, commi 5 e 10,  c.p.p.,  in
 relazione  agli  artt.  3, 13 e 24 della Costituzione, nella parte in
 cui non e'  prevista  la  perdita  di  efficacia  dell'ordinanza  che
 dispone  la  misura  coercitiva in caso di non immediato avviso della
 presentazione della richiesta di  riesame  all'autorita'  giudiziaria
 procedente (ordinanza Cass., sez. I, 9 giugno 1997, Morrone ed altri,
 in  Gazzetta  Ufficiale  n.  42  del  15  ottobre  1997,  prima serie
 speciale, n. 674), la Corte costituzionale con sentenza  n.  232/1998
 ha  ritenuto:  che  "l'immediato avviso che della presentazione della
 richiesta (di  riesame;  n.d.e.)    deve  essere  dato,  a  cura  del
 presidente  del  tribunale  del  riesame,  all'autorita'  procedente,
 perche' essa provveda alla trasmissione degli atti,  non  costituisce
 ...  adempimento  dotato di una sua autonoma funzione processuale, ma
 e' solo la condizione materiale, per dir cosi', affinche' l'autorita'
 procedente, che degli atti dispone, possa  adempiere  all'obbligo  di
 trasmetterli";  che  "libera essendo la forma dell'avviso, e semplice
 essendone il contenuto ... e poiche' esso si configura  non  come  un
 atto singolarmente imputabile al presidente e da lui sottoscritto, ma
 come  un  adempimento  materiale dell'ufficio, che il presidente deve
 solo "curare" sia compiuto, non vi e' nessun ostacolo giuridico a che
 l'avviso venga di norma inoltrato nello stesso contesto temporale  in
 cui  perviene  la  richiesta,  facendo  cosi'  coincidere  il momento
 dell'avviso con quello della richiesta stessa; che  "la  prescrizione
 secondo  cui  l'avviso  deve essere ''immediato'' significa, appunto,
 che l'eventuale  intervallo  temporale  fra  la  presentazione  della
 richiesta  e  l'avviso dell'avvenuta presentazione non assume rilievo
 giuridico"; che "se e' cosi', deve ulteriormente concludersi  che  il
 termine  perentorio  per  la trasmissione degli atti, assistito dalla
 sanzione processuale della decadenza della misura, non decorre da  un
 evento,   come  la  ricezione  dell'avviso  da  parte  dell'autorita'
 procedente, che non ha ... giuridica autonomia, ma decorre dal giorno
 stesso   della  presentazione  della  richiesta"  o,  trattandosi  di
 richiesta presentata con le forme di cui all'art. 582/2 e  583/1,  da
 quello  "in  cui  la  richiesta  stessa perviene alla cancelleria del
 tribunale del riesame"; che "dal punto di vista testuale, anche se il
 giorno ''successivo'' cui  la    disposizione  (di  cui  al  comma  5
 dell'art.    309; n. d.e.) cotinua a riferirsi si intenda come quello
 immediatamente seguente al giorno di ricezione dell'avviso  da  parte
 dell'autorita'  procedente  ... nulla vieta invece di considerare che
 il ''quinto giorno'',  entro  il  quale  devono  ''comunque''  essere
 trasmessi  gli  atti,  a  pena  di decadenza della misura ...  sia il
 quinto giorno successo alla  presentazione  ...  della  richiesta  di
 riesame,  potendosi  ritenere  implicito  il  riferimento  proprio  a
 quell'atto (la richiesta) al quale invariabilmente alludono  i  commi
 dell'art. 309 precedenti a quello in esame".
   In  tali sensi la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la
 questione di legittimita' costituzionale  sollevata  dalla  Corte  di
 cassazione.
   6.   -   La   soluzione   interpretativa   adottata   dalla   Corte
 costituzionale comporta, dunque, la seguente lettura della  norma  di
 cui  al  comma  5  dell'art.  309:  "il  presidente cura che sia dato
 immediato avviso all'autorita' giudiziaria procedente la quale, entro
 il giorno successivo alla ricezione dell'avviso, e comunque non oltre
 il quinto giorno successivo alla  presentazione  della  richiesta  di
 riesame, trasmette al tribunale gli atti ....".
   Vi sarebbero, cioe', due termini per la trasmissione degli atti, da
 parte  dell'autorita' procedente, al tribunale del riesame: l'uno, di
 un giorno, il cui dies a quo e' quello  della  ricezione  dell'avviso
 della  avvenuta presentazione della richiesta di riesame; l'altro, di
 cinque giorni, il cui dies a quo e' quello della presentazione  della
 richiesta di riesame.
   Ora  -  poiche'  il comma 10 dell'art. 309 testualmente prevede che
 l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia  "se  la
 trasmissione  degli  atti  non  avviene nei termini di cui al comma 5
 ..." e poiche' ben possono darsi, per il  medesimo  adempimento,  due
 termini   perentori   collegati  a  fatti  giuridici  diversi  (l'uno
 collegato alla ricezione  dell'avviso  della  avvenuta  presentazione
 della  richiesta  di  riesame e, dunque, alla sua conoscenza da parte
 dell'autorita' procedente; l'altro al mero decorso di  cinque  giorni
 dalla presentazione della richiesta di riesame) ed aventi significato
 e  funzione  differenti  (l'uno  di  sanzione  del  colpevole ritardo
 dell'autorita' procedente; l'altro di tutela oggettiva della liberta'
 personale e, in particolare, del diritto della persona  sottoposta  a
 misura  coercitiva  ad  ottenere  in  tempi  brevi  una  verifica, in
 contraddittorio, della sussistenza dei presupposti della misura -  ne
 conseguirebbe   che  anche  l'inosservanza  del  termine  del  giorno
 successivo alla ricezione dell'avviso comporta la  caducazione  della
 misura cautelare.
   Tale  conclusione, che costituisce corollario della interpretazione
 adottata dalla  Corte  costituzionale,  risulta  tuttavia  in  palese
 contrasto  con  la  volonta' del legislatore, come riconosciuta dalla
 stessa Corte nella sentenza n. 232/1998, laddove con riferimento alla
 novella n. 332/1995 afferma che "... il termine per  la  trasmissione
 degli  atti,  originariamente  fissato nel ''giorno successivo''   e'
 stato portato a ''non oltre  il  quinto  giorno''  ...  evidentemente
 considerando  che,  atteso  il carattere perentorio ora attribuito al
 termine medesimo, esso dovesse essere ragionevolmente  allungato  per
 tener  conto  delle eventuali difficolta' degli uffici nell'adempiere
 subito  all'obbligo  di  trasmissione  degli   atti   ..."   (invece,
 considerando per entrambi i termini - quello del giorno successivo  e
 quello  del  quinto giorno - quale dies a quo quello della ricezione,
 da   parte   dell'a.g.   procedente,   dell'avviso   della   avvenuta
 presentazione  della  richiesta  di  riesame,  puo'  ritenersi che il
 riferimento a piu' termini contenuto nel comma 10 sia frutto  di  una
 difettosa  formulazione  della  norma  e che - non potendo certamente
 darsi, per il medesimo adempimento,  due  termini  perentori  con  lo
 stesso  dies  a  quo - l'unico termine assistito dalla sanzione della
 perdita di efficacia della misura sia, in realta', quello del  quinto
 giorno,   mentre quello del giorno successivo assume rilievo soltanto
 ai fini disciplinari).
   A parte cio', pare al collegio che, nella norma di cui al  comma  5
 dell'art.  309,  il  senso fatto palese dal significato proprio delle
 parole e dalla loro connessione e' che  il  giorno  successivo  e  il
 quinto  giorno  siano  riferiti al medesimo dato temporale e che tale
 momento altro non possa essere se non quello  dell'avviso  menzionato
 nella  proposizione  normativa  immediatamente  precedente. Anche sul
 piano logico, pare al collegio che, trattandosi del termine entro  il
 quale l'autorita' procedente deve trasmettere gli atti necessari alla
 decisione  sulla richiesta di riesame dell'ordinanza coercitiva, tale
 termine non possa decorrere che  dal  momento  della  conoscenza,  da
 parte  dell'autorita'  procedente  (che  degli  atti  ha la materiale
 disponibilita'),  dell'avvenuta  presentazione  della  richiesta   di
 riesame.
   D'altro  canto,  se  il  legislatore  avesse  inteso  sanzionare il
 ritardo del tribunale  del  riesame  nel  dare  avviso  all'autorita'
 procedente dell'avvenuta presentazione della richiesta di riesame, lo
 avrebbe    fatto   espressamente,   prevedendo,   ad   esempio,   che
 l'inosservanza dell'obbligo di immediato avviso,   decorso  un  certo
 numero  di  ore  o  un  giorno,  comporta  l'inefficacia della misura
 coercitiva.
   Orbene, poiche' "nell'applicare  la  legge  non  si  puo'  ad  essa
 attribuire  altro  senso  che  quello  fatto  palese  dal significato
 proprio delle  parole,  secondo  la  connessione  di  esse,  e  dalla
 intenzione   del   legislatore",   il  collegio  ritiene  di  doversi
 discostare dalla soluzione interpretativa, pur  cosi'  autorevolmente
 indicata  dalla  Corte  costituzionale  con la sentenza n. 232/1998 e
 sebbene essa sia ispirata dal lodevole intento di superare il rischio
 che resti vanificata la garanzia apprestata dal  legislatore  con  la
 novella  n.  332/1995  (che  ha  previsto il carattere perentorio del
 termine per la trasmissione degli atti al tribunale  del  riesame)  e
 soddisfare   cosi'   l'esigenza  che  alla  verifica  giudiziale,  in
 contraddittorio, dei presupposti della misura coercitiva si  pervenga
 effettivamente   in   tempi   brevi,   in  attuazione  del  principio
 costituzionale di tutela della liberta' personale nonche' delle norme
 di cui all'art.  5/4 della convenzione europea firmata a  Roma  il  4
 novembre 1950 e all'art. 9/4 del patto internazionale di New York del
 19 dicembre 1966.
   7. - Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ripetutamente
 affermato  che,  sebbene  la sentenza interpretativa di rigetto della
 Corte costituzionale non sia munita di efficacia erga omnes,  facendo
 essa  sorgere  un  vincolo  solo  nel giudizio a quo, non si puo' mai
 giungere a sostenere che per gli altri  giudici  la  decisione  della
 Corte  costituzionale  sia  da  ritenersi inutiliter data. Sicche' il
 giudice  che,   in   un   diverso   giudizio,   intenda   discostarsi
 dall'interpretazione    proposta    nella    sentenza   della   Corte
 costituzionale non ha  altra  alternativa  che  quella  di  sollevare
 ulteriormente la questione di legittimita', non potendo mai assegnare
 alla  formula  normativa un significato ritenuto incompatibile con la
 Costituzione (ss.uu. nn. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Gallieri).
   Il collegio  uniformandosi  a  tale  principio,  ritiene  di  dover
 sollevare  nuovamente  la  questione  di  legittimita' dell'art. 309,
 commi 5 e 10, c.p.p. per le medesime  ragioni  gia'  disattese  dalla
 Corte  costituzionale,  all'uopo  richiamando  e  facendo  proprie le
 motivazioni dell'ordinanza della  Corte  di  cassazione,  sez.  I,  9
 giugno 1997, Morrone ed altri (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 42
 del 15 ottobre 1997, prima serie speciale n. 674).