ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 376, primo
 comma, del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 12 gennaio
 1999 dal giudice per le indagini preliminari presso il  Tribunale  di
 Milano nel procedimento penale a carico di Mario Magrini, iscritta al
 n. 195 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta
  Ufficiale  della  Repubblica  n. 14, prima serie speciale, dell'anno
 1999;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  25 maggio 1999 il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky;
   Ritenuto che con ordinanza del 12 gennaio 1999 il  giudice  per  le
 indagini  preliminari  presso il Tribunale di Milano ha sollevato, in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art. 376, primo comma, cod. pen., nella parte in
 cui non prevede l'applicabilita' della causa di non punibilita' della
 ritrattazione al reato di favoreggiamento personale  (art.  378  cod.
 pen.) che sia commesso mediante false o reticenti dichiarazioni rese,
 nel  corso  delle  indagini  preliminari,  alla  polizia  giudiziaria
 operante su delega del pubblico ministero,  a  norma  dell'art.  370,
 comma 1, cod. proc. pen.;
     che   il   giudice   rimettente,  attraverso  la  disamina  della
 giurisprudenza costituzionale (in particolare, sentenze nn.  228  del
 1982  e 416 del 1996) nonche' dell'evoluzione legislativa in materia,
 e muovendo dalla premessa - desumibile dalla citata sentenza  n.  416
 del  1996  di  questa  Corte  -  della  assimilazione  sostanziale  e
 processuale tra le dichiarazioni rese al pubblico ministero e  quelle
 rese alla polizia giudiziaria operante su delega del primo, individua
 una  irrazionale  e  non  giustificata  disparita' di trattamento nel
 fatto che  la  causa  di  non  punibilita'  della  ritrattazione  sia
 applicabile solo nell'ipotesi di false dichiarazioni rese al pubblico
 ministero,  integranti  il reato di cui all'art. 371-bis cod. pen., e
 non anche nell'ipotesi,  rilevante  nel  giudizio  a  quo,  di  false
 dichiarazioni  rese  alla  polizia  giudiziaria delegata dal pubblico
 ministero, integranti, per consolidata giurisprudenza,  il  reato  di
 favoreggiamento personale;
     che  e'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  che,  argomentando  nel  senso  della differente obiettivita'
 giuridica delle due fattispecie incriminatrici e  reputando  pertanto
 non  censurabile  di  irragionevolezza  la  scelta  discrezionale del
 legislatore,  ha  concluso   per   l'infondatezza   della   questione
 sollevata.
   Considerato  che  il  giudice  rimettente  chiede  a  questa Corte,
 attraverso il raffronto con la disciplina prevista per  il  reato  di
 false  informazioni  al  pubblico ministero (art. 371-bis cod. pen.),
 una  pronuncia   che   estenda   l'ambito   di   applicazione   della
 ritrattazione  (art.  376  cod.    pen.)  al reato di favoreggiamento
 personale (art. 378 dello stesso codice) che sia commesso  attraverso
 false  o  reticenti  dichiarazioni  rese,  nel  corso  delle indagini
 preliminari,  alla  polizia  giudiziaria   delegata   al   compimento
 dell'atto  da  parte  del  pubblico ministero, a norma dell'art. 370,
 comma 1, cod. proc. pen.;
     che con la sentenza n. 101 del 1999, successiva all'ordinanza  di
 rimessione,    questa    Corte    ha    dichiarato   l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 376, primo comma, cod. pen.,  proprio  nella
 parte  in  cui  non  prevede  la  ritrattazione  come  causa  di  non
 punibilita' per chi, richiesto dalla polizia giudiziaria delegata dal
 pubblico ministero a norma dell'art. 370 cod. proc. pen.  di  fornire
 informazioni  ai  fini delle indagini, abbia reso dichiarazioni false
 ovvero in tutto o in parte reticenti;
     che pertanto, essendo stata la norma denunciata  gia'  dichiarata
 incostituzionale  nel senso e nei termini prospettati dal rimettente,
 la  questione  in  esame  deve   essere   dichiarata   manifestamente
 inammissibile.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.