IL PRETORE
   Con ordinanza del 6  maggio  1998  questo  giudice  dell'esecuzione
 penale,  su  richiesta  dall'avv.  De Luca Eugenio, difensore di Faro
 Santo, applicava la continuazione tra i reati di  cui  alle  sentenze
 152/96  e  370/96  contro  lo  stesso  Faro, ritenendo piu' grave (in
 considerazione del maggiore importo dell'assegno) il reato  giudicato
 colla  sentenza  370/96 (emissione senza autorizzazione di assegno di
 L. 15.196.500) anziche' l'analogo  reato  di  cui  al  capo  B  della
 sentenza  152/96  (emissione  senza  autorizzazione  di assegno di L.
 9.000.000); e cio' in applicazione dell'art. 187 disp. att. c.p.p.
   Il pubblico ministero presso la pretura di  Catania  ricorreva  per
 Cassazione,  lamentando  la violazione di detta norma, perche' (a suo
 dire) questo giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto considerare  come
 pena  base  i  5  mesi  di  reclusione inflitti colla sentenza 152/96
 (anche se tale pena si riferiva a piu' reati uniti dal vincolo  della
 continuazione).
   La  Corte  di  cassazione  con sentenza n. 5458 del 6 novembre 1998
 accoglieva il ricorso, interpretando l'art.  187  disp.  att.  c.p.p.
 cosi'  come  il  p.m. ricorrente, nel senso cioe' che "per reato piu'
 grave deve intendersi quello  per  il  quale  e'  stata  in  concreto
 inflitta  la  pena  piu' grave e quindi, nel caso in esame, quello di
 cui alla sentenza 23 febbraio 1996".
   Quindi, secondo la Corte di cassazione, il giudice  dell'esecuzione
 deve  applicare  l'aumento per la continuazione sulla pena piu' grave
 inflitta con una delle sentenze,  prescindendo  dalla  considerazione
 delle  singole  violazioni  (cioe'  dei singoli reati) che compongono
 (per cosi' dire) il paniere dell'imputazione.
   Quindi, nel caso in esame, senza tenere conto del fatto che la pena
 di 5 mesi di reclusione e' stata inflitta (con  la  sentenza  152/96)
 per  diversi  reati  in  continuazione  tra  loro  (e non per un solo
 reato).
   Insomma, questo giudice dell'esecuzione avrebbe dovuto applicare la
 continuazione  su  una  pena  che  a  sua  volta  era   gia'   frutto
 dell'applicazione  della  continuazione tra piu' reati: continuazione
 su ... continuazione|
   Ma se l'art. 187 disp. att. c.p.p. viene cosi' inteso, si  verifica
 una   disparita'   di  trattamento  tra  fase  del  giudizio  e  fase
 dell'esecuzione ai danni dell'imputato.
   In pratica si fa dipendere l'entita' della pena dal fatto (casuale)
 che  l'imputato  abbia  avuto  o non abbia avuto la ventura di essere
 giudicato contemporaneamente per tutti i reati  uniti  dall'identita'
 del disegno criminoso.
   Infatti:
     A) se viene giudicato contemporaneamente, il giudice considerera'
 come pena base quella relativa al  singolo reato, ritenuto piu' grave
 tra quelli sottoposti al suo giudizio;
     B) se l'imputato viene giudicato in tempi successivi e condannato
 con  piu'  sentenze,  allora  il  giudice  dell'esecuzione non potra'
 prendere in considerazione  i  singoli  reati  per  valutare  qual'e'
 quello  piu'  grave,  ma dovra' (secondo la Cassazione) partire (come
 pena base) da quella piu' grave  inflitta  con  una  delle  sentenze,
 anche se tale pena si riferisce a piu' reati.
   Tale interpretazione finisce col danneggiare il condannato, perche'
 e'  di  tutta evidenza che, in tal caso, la pena base e' piu' elevata
 (esendo a sua volta frutto dell'applicazione della continuazione).
   Su questo argomento c'e' un illuminante nota di  Giurisprudenza  di
 Merito fasc. 6/1998.
   Nel  caso in esame la differenza di risultato tra l'interpretazione
 dell'art. 187 disp. att. c.p.p. data dal sottoscritto e  quella  data
 dalla Cassazione sta in questi termini:
     A)  secondo  il  sottoscritto,  la  pena  base  e'  tre  mesi  di
 reclusione (pena inflitta colla sentenza 370/96, che e'  uguale  alla
 pena considerata base nella sentenza 152/96);
     B)  secondo  la  Cassazione,  la  pena  base  e'  di  5  mesi  di
 reclusione, tale essendo la pena  complessiva  inflitta  per  i  vari
 reati   giudicati   colla   sentenza  152/96  in  applicazione  della
 continuazione.
   La disparita' di trattamento appare evidente  ed  e'  priva  a  mio
 avviso   di   qualsiasi  giustificazione,  dipendendo  dalla  mancata
 riunione in fase di  giudizio  dei  procedimenti,  che  a  sua  volta
 dipende  dai piu' svariati fattori casuali.
   Tale disparita' di trattamento tra fase del giudizio (art. 81 c.p.)
 e   fase   dell'esecuzione   (art.   187   disp.  att.  c.p.p.  nella
 interpretazione data dalla  Cassazione)  confligge  coll'esigenza  di
 uguaglianza garantita dall'art. 3 della  Costituzione.
   Ad  avviso  del  sottoscritto,  l'art.  187  disp.  att.  c.p.p. e'
 costituzionalmente illegittimo nella parte in  cui  dispone  che  per
 reato  piu'  grave  deve  intendersi  quello per il quale e' stata in
 concreto inflitta la pena piu' grave, anche nel caso in cui tale pena
 e' frutto dlel'applicazione  dell'istituto  dlela  continuazione  fra
 piu' reati.