IL TRIBUNALE
   A scioglimento della riserva formulata all'udienza  del  20  aprile
 1999  nel  procedimento  n. 1485/95 r.g.  promosso da Bianchi Tiziana
 erede di Orlandini Ampelia, avv. Luciano Petronio, ricorrente;
   Contro l'I.N.P.S., avv. Angelo Acquaviva + 1, convenuto;
   Ha pronunciato la presente ordinanza osservando quanto segue:
                            Fatto e diritto
   Con ricorso del 28 giugno 1995  diretto  al  pretore  di  Parma  in
 funzione  di  giudice  del  lavoro,  la sig.ra bianchi Tiziana, quale
 erede di Orlandini Ampelia, dopo aver premesso che  quest'ultima  era
 titolare  di  pensione  SO  non integrata al minimo, aveva presentato
 domanda all'I.N.P.S. per ottenere tale integrazione quanto meno nella
 forma della c.d. "cristallizzazione", cio' essendo consentito in base
 ai limiti di reddito prescritti;
   Che la domanda pero' veniva respinta dall'I.N.P.S., di guisa che si
 rendeva necessario rivolgersi al giudice sulla  base  delle  sentenze
 della  Corte  costituzionale  n.  240/1994  e n. 495/1993, al fine di
 sentire accogliere le  seguenti  conclusioni:  "Voglia    il  pretore
 ill.mo   contrariis   reiectis,   previa   ogni   pronuncia  ed  ogni
 accertamento, anche incidentale del caso e di legge:
     a)  dichiarare  tenuto  e  per  l'effetto  condannare  l'INPS   a
 riliquidare  in  favore  di  parte  attrice, quale erede di Orlandini
 Ampelia, e con decorrenza dalla data dalla quale e' sorto il relativo
 diritto, la pensione di cui al punto 1) delle premesse di  fatto  del
 ricorso, integrando la stessa al trattamento minimo di tempo in tempo
 in vigore;
     b)  dichiarare  operanti  in  favore  della  dante causa di parte
 ricorrente il settimo  comma  dell'art.  6,  d.-l.  n.  638/1983  con
 conseguente ''cristallizzazione'' di quella delle pensioni menzionate
 in  premesse  non piu' integrabile al minimo nella misura percipienda
 de jure dalla Orlandini Ampelia alla data del 1 ottobre 1983  e  cio'
 fino alla eventuale operativita', ex lege n. 140/1985, od in forza di
 altra  normativa,  di trattamenti pensionistici complessivamente piu'
 favorevoli, pure  essi  da  liquidarsi,  con  applicazione,  inoltre,
 ricorrendone  le  condizioni, dell'art.  22, legge 21 luglio 1965, n.
 903,  come  risultante  dopo  Corte  costituzionale  n. 495/1993, dal
 momento in cui il 60% del trattamento pensionistico minimo  di  tempo
 in tempo in vigore sia risultato superiore all'importo della pensione
 cristallizzata    (od   anche   di   quella   a   calcolo,   ove   la
 cristallizzazione non fosse ritenuta operante);
     c) condannare, conseguentemente, l'I.N.P.S. a corrispondere  alla
 parte  attrice, quale erede di Orlandini Ampelia, tutte le differenze
 fra  la  pensione  come  sopra  rideterminata  e  quella  negli  anni
 realmente  goduta; oltre rivalutazione monetaria ed interessi, con la
 decorrenza di legge, fino al saldo effettivo; il tutto per  la  somma
 che risultera' in corso di giudizio, all'esito di apposita CTU.
   Con  vittoria  di  spese, diritti ed onorari, (oltre CPA ed IVA) da
 distrarsi in favore del procuratore  di  parte  attrice,  che  le  ha
 anticipate".
   Dopo  la  notificazione  del  ricorso  e del decreto, l'I.N.P.S. si
 costituiva in giudizio a mezzo di memoria difensiva  ivi  concludendo
 per  la  declaratoria di estinzione-inammissibilita' del giudizio, ai
 sensi del d.-l. n. 166/1996.
   Dopo  alcuni  rinvii  in  attesa  della   decisione   della   Corte
 costituzionale  in  ordine  alla  legittimita'  della  normativa  che
 dispone la estinzione d'ufficio dei  giudizi  in  corso;  e  dopo  la
 pubblicazione  della  ordinanza della Corte costituzionale n. 31/1999
 venivano sollevate ancora "eccezioni di  legittimita'  costituzionale
 (di  cui  infra)  dell'art.  1,  comma  182,  legge n. 662/1996; come
 modificato dal d.-l. 79/1997, convertito,  con  modificazioni,  dalla
 legge n. 140/1997 e da ultimo dall'art.  36 della legge n. 448/1998.
   Ha  controdedotto  l'I.N.P.S., sostenendo la manifesta infondatezza
 delle sollevate eccezioni.
   Ritiene  il   giudicante   che   le   questioni   di   legittimita'
 costituzionale sollevate non sono manifestamente infondate.
    Invero,  l'art. 1, comma 182, legge n. 662/1996 e l'art. 36, comma
 5 della legge n. 448/1998 hanno disposto l'estinzione  d'ufficio  con
 compensazione  delle  spese dei giudizi pendenti alla data di entrata
 in vigore delle  rispettive  leggi  e  hanno  privato  di  effetti  i
 provvedimenti giudiziari non ancora passati in giudicato.
   Tale questione viene riproposta poiche' la Corte costituzionale non
 si  e'  pronunciata  in ordine alla stessa con la citata ordinanza n.
 31/1999; ne' con le successive 76 e 221/1999.
    A tal riguardo, giova pregiudizialmente rilevare che la  questione
 relativa   alla   dichiarazione   di  estinzione  dei  giudizi,  come
 legislativamente disposta, secondo la costante  giurisprudenza  della
 Corte   costituzionale   assume   rilievo  preliminare  di  carattere
 logico-processuale  rispetto  ad  ogni  altra  possibile  censura  di
 incostituzionalita',  in  quanto  costituente precetto ineludibile da
 parte del giudice (v. sent. n.  103/1995).
   La normativa sopra menzionata si pone in contrasto con gli artt.  3
 e 24 della Costituzione, poiche' con la disposta estinzione d'ufficio
 dei giudizi in corso viene sostanzialmente vanificato il diritto  del
 cittadino alla tutela giurisdizionale.
   Infatti,  con la presunta verificatasi cessazione della materia del
 contendere e' precluso l'esame di tutte le  domande  e  le  eccezioni
 proposte   (prescrizione,   decadenza,   limiti   reddituali,  ecc.);
 eccezioni che possono poi riemergere in  sede  amministrativa,  nella
 quale   pero'   il   pensionato  si  trovera'  privato  della  tutela
 giurisdizionale  e  non  piu' garantito del soddisfacimento delle sue
 pretese.
   Invero, il soddisfacimento integrale dei diritti del pensionato non
 puo' considerarsi essere un risultato del tutto scontato  sulla  base
 della  idoneita' della normativa sopravvenuta a soddisfare le ragioni
 degli aventi diritto fatte valere nei giudizi in relazione  al  quali
 e' imposta l'estinzione ex lege.
   Ora,  come  ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n.
 103 del 31 marzo 1995  (in  Foro  It.  1995,  I,  1731),  sotto  tali
 profili,    per    individuare    i   limiti   di   costituzionalita'
 dell'intervento del legislatore nel processo, quando di questo  venga
 definito  l'esito  attraverso  una  norma che ne imponga l'estinzione
 occorre valutare il rapporto fra siffatto intervento e  il  grado  di
 realizzazione  che  alla  pretesa azionata sia stato accordato per la
 via legislativa.
   E allorche' la legge sopravvenuta abbia soddisfatto, anche  se  non
 integralmente  le  ragioni fatte valere in giudizio, si e' esclusa la
 illegittimita' costituzionale  di  tale  ultima  previsione,  proprio
 perche'  questa  sarebbe  coerente  con il riconoscimento ex lege del
 diritto fatto valere.
   E invero, per escludersi la menomazione del diritto di  azione,  e'
 necessario  e sufficiente che l'ambito delle situazioni giuridiche di
 cui sono titolari gli interessati  risulti  comunque  "arricchito"  a
 seguito della normativa che da' luogo alla estinzione dei giudizi.
   Cio'  non  verificandosi,  come nel caso in cui lo ius superveniens
 non soddisfi le richieste degli interessati e si ponga  in  contrasto
 con   l'interpretazione   giurisprudenziale   ad   essi   favorevole,
 stabilendo l'estinzione dei processi in corso, e si  operi  cosi'  da
 parte   del  legislatore  una  sostanziale  vanificazione  della  via
 giurisdizionale, intesa quale mezzo al  fine  dell'attuazione  di  un
 preesistente  diritto,  e' da ravvisarsi la violazione del diritto di
 azione,  di  cui  all'art.    24    della  Costituzione  (cfr.  Corte
 costituzionale n. 123/1987; n.  103/1995, cit. e Cass. 2 maggio 1996,
 ordinanza in Gazzetta Ufficiale - serie speciale, 18 dicembre 1996).
   Infatti,  deve  essere  rilevato  che  l'art.  36  della  legge  n.
 448/1998, sostituendo  il  comma  182  dell'art.  1  della  legge  n.
 662/1996 ha disposto che sugli arretrati maturati al 31 dicembre 1995
 e'  dovuta  esclusivamente una somma pari al 5 per cento dell'importo
 maturato a  tale  data;  contro  la  precedente  previsione  che  non
 riconosceva alcunche' a titolo di interessi e rivalutazione.
   Come  si  vede,  anche  la  nuova  situazione normativa, sotto tale
 profilo,   peggiora   notevolmente   la   posizione   del   creditore
 previdenziale,  poiche'  nell'ambito  della  prescrizione  decennale,
 sull'importo maturato alla data del 31 dicembre 1995 viene in effetti
 riconosciuta solo una semplice maggiorazione (onnicomprensiva)  dello
 0,5% annuo, in sostituzione degli interessi.
   La   disparita'   di   trattamento,   anche   rispetto  ai  crediti
 previdenziali in genere, e' considerevole, specie ove si tenga  conto
 che  per  tutto  il  periodo  anteriore al 1 gennaio 1992 (entrata in
 vigore della legge n. 412/1991)  sui    crediti  previdenziali  erano
 dovuti interessi legali e rivalutazione, come da sentenza della Corte
 costituzionale  n.  156/1991; considerato anche il saggio d'interesse
 aumentato al 10% nel periodo dal 1 gennaio 1991 al 31 dicembre 1996.
    Ora,   dal   necessario  raffronto  fra  i  dati  oggettivi  sopra
 menzionati,  emerge  chiaramente  che  il  riconoscimento  da  ultimo
 operato  dal legislatore e' solo formale e simbolico, dal momento che
 la maggiorazione prevista rapportata  a  L.  1.000.000  di  capitale,
 maturato,  e' pari a lire 5.000, in ragione d'anno (per un periodo di
 10 anni).
   Tanto e' simbolico tale riconoscimento che si  puo'  ben  dire  che
 permane  sostanzialmente  la  esclusione di qualsiasi accessorio come
 era nella previsione  del  comma  182  dell'art.  1  della  legge  n.
 662/1996.
   Se  cosi'  e', non ci si puo' esimere dal richiamare, sul punto, la
 sentenza della stessa Corte costituzionale 23 dicembre 1998, n.   417
 che  ha  dichiarato  illegittimo,  per  contrasto  con l'art. 3 della
 Costituzione  l'art.  7,  ultimo  comma,  legge  n.  463/1959,   come
 modificato  dall'art.  12,  legge n. 613/1966, nella parte in cui non
 prevede la corresponsione di interessi sui  contributi  indebitamente
 versati, da restituire.
   Ha  affermato  la  Corte  che  in  tal  caso,  il  vulnus recato al
 principio di eguaglianza  deriva  non  gia'  dalla  esclusione  degli
 interessi legali, bensi' dalla totale esclusione di interessi, che la
 disciplina impugnata non riconosce neanche in misura ridotta.
   E,  pertanto,  "legittimamente il legislatore, nell'esercizio della
 sua discrezionalita', potrebbe decidere di quantificare gli stessi in
 una diversa, purche' non simbolica misura".
   E allora,  con  riferimento  alla  fattispecie,  non  si  puo'  non
 convenire,  con  la  difesa  di parte ricorrente, quando evidenzia la
 circostanza che lo ius  superveniens  non  ha  certo  determinato  un
 arricchimento  della  situazione patrimoniale dell'assicurata; bensi'
 un impoverimento di  tale  situazione  attraverso  il  riconoscimento
 meramente  simbolico  e  formale di una maggiorazione che, per la sua
 entita', esclude la configurabilita degli accessori  di  legge  sulle
 somme maturate e come tale e' anche lesiva della dignita' umana.
   Sotto  i  profili, teste' enunciati, e' possibile anche ritenere la
 sussistenza della  violazione  dell'art.  38,  secondo  comma,  della
 Costituzione  poiche'  la  disciplina  in  esame  viene  ad  incidere
 sfavorevolmente nel patrimonio di  soggetti che appartengono a  fasce
 sociali fra le piu' svantaggiate, avendo l'integrazione al minimo, ma
 anche gli accessori sugli arretrati della prestazione, la funzione di
 integrare  la pensione quando risulti inferiore ad un minimo ritenuto
 necessario a soddisfare le esigenze della vita, in assenza  di  altri
 redditi (v. Corte costituzionale n. 240/1994).
   Gli  accessori,  infatti,  come  la  pensione costituiscono credito
 previdenziale, quali componenti essenziali del credito principale (v.
 Corte costituzionale n. l56/1991).
   Sotto altro profilo, il  dubbio  di  costituzionalita'  investe  la
 normativa censurata per quanto concerne ancora la disposta estinzione
 dei giudizi cui deve conseguire la compensazione delle spese.
   Il  contrasto si pone non solo con riguardo agli artt. 3 e 24 della
 Costituzione;  ma  anche  rispetto  agli  artt.  102  e   113   della
 Costituzione,  poiche'  l'automatica  estinzione  di  tutti i giudizi
 pendenti con la compensazione delle spese, senza che il giudice possa
 accertare se effettivamente, nel caso di  specie  sottoposto  al  suo
 esame,  si  sia  verificata,  anche se per riconoscimento ex lege, la
 cessazione della materia del  contendere,  realizza  una  illegittima
 interferenza  del potere legislativo nella sfera della giurisdizione;
 posto  che,  per  le  considerazioni  sopra  svolte, non e' possibile
 ravvisare, nella generale  e  astratta  soluzione  prospettata  dalla
 legge,  per  i  soggetti  interessati,  quel  vantaggio  tale  da far
 presumere in punto di fatto soddisfatti, anche se in misura  ridotta,
 ma  pur  sempre  apprezzabile, i diritti azionati nelle singole cause
 soggette ad estinzione.
   Inoltre, e' a dire che  il  vulnus  all'esercizio  del  diritto  di
 azione  e  di  difesa  e  l'indebita  ingerenza  nell'esercizio della
 giurisdizione  e'   palese   anche   con   riguardo   alla   disposta
 compensazione  delle  spese  del  giudizio, poiche' - da un lato - si
 sottrae al giudice la cognizione di tale  componente  accessoria,  ma
 necessaria  della  controversia,  non  potendo neanche accertare, pur
 sotto  il  profilo  della  soccombenza  virtuale,  se  sussistono   i
 presupposti  per  la  relativa  declaratoria,  tenuto  conto  che  la
 dichiarazione di estinzione del giudizio per cessazione della materia
 del  contendere  e'  un  fenomeno  di  carattere  sostanziale  e  non
 meramente  processuale che il giudice deve poter valutare anche sotto
 il profilo della soccombenza virtuale.
   D'altro lato, non potendo il giudice decidere sulle spese, la legge
 finisce col sopprimere il diritto dell'interessato, anche per il caso
 di fondatezza  della  sua  domanda,  a  vedersi  tenuto  indenne  dal
 pagamento,  al  proprio difensore, delle spese processuali sostenute,
 anche se anticipate all'avvocato, con la conseguente  violazione  del
 principio  che  le  spese  non  possano  gravare  sulla  parte che ha
 ragione, (come nel caso delle spese gia' anticipate)  e  che  non  ha
 dato causa al giudizio.
   Per  quanto  sopra,  non sembra lecito dubitare che la questione di
 legittimita' come sollevata e' rilevante nel presente  giudizio,  sul
 quale   e'  destinata  ad  operare  direttamente,  avendo  l'I.N.P.S.
 richiesto di dichiararlo estinto a spese compensate.