LA CORTE D'APPELLO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento relativo alla
 dichiarazione  di  ricusazione  presentata  in data 9 giugno 1999 nei
 confronti  del  dott.  Benedetto  Giaimo  dall'avv.  Alfredo  Galasso
 nell'interesse   di   Vincenzo  Caselli,  in  nome  proprio  e  quale
 procuratore speciale di Andrea  Caselli,  Floisa  Annunzi  ed  Elvira
 Lucchetti,  parte civile nel procedimento penale n. 116/1997 pendente
 dinanzi al tribunale di Marsala  -  presieduto  dal  dott.  Giaimo  -
 contro Giuseppe Quinci e Giuseppe Genovese, imputati:
     a)  del  delitto  di  cui agli artt. 110, 113, 449, comma 2, c.p.
 per avere, il Quinci, nella qualita' di armatore  e  1  ufficiale  di
 coperta  del  m/p Massimo Garau, e il Genovese, nella sua qualita' di
 funzionario del R.I.NA, in   cooperazione  tra  loro  e  con  Filippo
 Tumbiolo,  socio  della  coop.  Si.Na.M  ed  esecutore  dei lavori di
 ristrutturazione sul natante (e  con  Francesco  Paolo  Lisma,  altro
 socio  della  Si.Na.M.    e  Paolo  Paleino, comandante del m/p ormai
 deceduti al pari del Tumbiolo), cagionato il naufragio  del  suddetto
 motopeschereccio - modificato per il trasporto anche di persone - per
 colpa   determinata,   nell'esercizio   dei   rispettivi   compiti  e
 attribuzioni, dall'adozione di particolari  disposizioni  tecniche  e
 operative  negligenti  e imprudenti, specificamente elencate nel capo
 d'imputazione indicato nel decreto del 12 giugno 1997 che ha disposto
 il giudizio;
     b) del delitto di cui agli artt. 110, 113, 589, commi 1 e 3, c.p.
 per avere, il Quinci, nella qualita' di armatore  e  1  ufficiale  di
 coperta  del  m/p Massimo Garau, e il Genovese, nella sua qualita' di
 funzionario del R.I.NA,  in  cooperazione  tra  loro  e  con  Filippo
 Tumbiolo,  socio  della  coop.  Si.Na.M.  ed  esecutore dei lavori di
 ristrutturazione sul natante (e  con  Francesco  Paolo  Lisma,  altro
 socio  della  Si.Na.M.    e  Paolo  Paleino, comandante del m/p ormai
 deceduti al pari del Tumbiolo), cagionato per colpa,  particolarmente
 consistita  nelle condotte imprudenti e negligenti di cui al capo che
 precede, la morte di diciotto  persone  tra  le  quali  Caselli  Geo,
 direttore di  macchina.
   A largo dell'isola di Pantelleria il 16 febbraio 1987.
   Sentiti il p.g. e il procuratore dell'istante all'udienza in camera
 di consiglio del 7 luglio 1999;
                             O s s e r v a
   La   dichiarazione   di  ricusazione  del  dott.  Benedetto  Giamo,
 presidente del collegio penale del tribunale di Marsala,  dinanzi  al
 quale  pende  il  procedimento  su  indicato, si fonda su una pretesa
 incompatibilita' di detto magistrato alle funzioni di giudice, avendo
 lo stesso fatto parte, sempre  come  presidente,  di  altro  collegio
 dello stesso tribunale di Marsala che ha definito con sentenza del 10
 gennaio  1995 il giudizio civile promosso dalla Oceanpesca S.r.l., in
 persona del suo ammnistratore unico Giuseppe  Quinci,  nei  confronti
 delle Assicurazioni Generali S.p.a., la Navale Assicurazioni S.p.a. e
 l'Aurora  Assicurazioni  S.p.a,  ed  avendo in detta sentenza in modo
 inequivoco espresso il suo convincimento sui fatti per i quali  viene
 celebrato il processo a carico di Quinci G. e Genovese G.
   Trattasi  della  sentenza  con  la  quale  il  tribunale di Marsala
 convalido' ex  art.  540,  lettera  b)  cod.  nav.  l'abbandono  alle
 menzionate   compagnie  assicuratrici,  nei  limiti  del  rischio  da
 ciascuna assunto, del motopeschereccio Massimo Garau (presumendosi lo
 stesso perito a  seguito  del  naufragio  del  16  febbraio  1987)  e
 condanno'  le  stesse  a  risarcire  alla  Oceanpesca  S.r.l. i danni
 consistenti   nel   pagamento   del   montante   assicurato   di   L.
 1.100.000.000, ripartito pro quota, con rivalutazione e interessi.
   Nella  sentenza  in  parola - che rigetto' l'eccezione di decadenza
 della  Oceanpesca  dalla  copertura  assicurativa,  sollevata   dalle
 convenute  sul  rilievo  che  il  peschereccio  veniva adibito ad uso
 diverso da quello  per  il  quale  la  classe  e  con  essa  l'intera
 certiticazione di sicurezza erano stati rilasciati - vengono espresse
 -  si  deduce  da  parte  del ricusante - valutazioni circa la penale
 responsabilita' di almeno uno degli odierni imputati  (il  Quindici),
 leggendosi  in  essa  che  "le  violazioni  commesse dall'armatore al
 massimo comportano una contravvenzione depenalizzata".
   Ritiene la Corte, disattendendo la tesi espressa, al  riguardo,  in
 linea   principale   dal   ricusante,   che   la  dedotta  situazione
 d'incompatibilita', che ove sussistente si risolverebbe in una  causa
 di  ricusazione, non sia disciplinata da alcuna previsione di legge (
 in particolare non dall'art. 34 c.p.p. ne' dall'art. 36,  lettera  c)
 dello  stesso  codice  di  rito  che si riferisce a manifestazioni di
 giudizio espresse fuori dell'esercizio delle  funzioni  giudiziarie),
 sicche'     l'istanza  -  tempestivamente  presentata  in  quanto  il
 difensore della parte civile e' venuto a conoscenza  della    pretesa
 causa  d'incompatibilita'  solo  nel  corso  del  processo,  come  e'
 dimostrato  dalla  documentazione  in  atti  -  ove  dovesse   essere
 esaminata  alla  stregua  della  vigente  normativa, dovrebbe essere,
 senz'altro, respinta.
   Va, tuttavia, considerato che i dubbi sulla costituzionalita' della
 normativa  richiamata,   oggetto   dell'eccezione   di   legittimita'
 costituzionale  formulata  in  subordine  dalla  parte  istante,  non
 sembrano peregrini.
   In  un  sistema  improntato,  con  riferimento  al   rapporto   tra
 giurisdizione  civile e penale, all'autonomia e alla separazione, uno
 stesso fatto puo' essere, invero, oggetto di  giudizio  sia  in  sede
 penale   che  civile  con  innegabili  riflessi  sulla  posizione  di
 terzieta' del  giudice  (sotto  il  profilo  della  prevenzione)  ove
 questi, gia' pronunciatosi
  nell'una  o  nell'altra sede, in ordine a quel fatto, sia chiamato a
 valutarlo nuovamente sia pure in un ambito di giurisdizione diverso.
   Ne', d'altra parte, il principio costituzionale del giusto processo
 (cui e' ispirato  l'art.  34  c.p.p.)  puo'  reputarsi  violato  solo
 allorche' uno stesso giudice valuti piu' volte in successivi processi
 la responsabilita' penale di una  persona in relazione ad un medesimo
 reato.
   Non puo' ragionevolmente sostenersi, invero, che la stessa esigenza
 d'imparzialita'  non  meriti  di essere tutelata quando l'illecito da
 valutare penalmente sia stato oggetto di un  precedente  giudizio  in
 sede  civile da parte del medesimo magistrato, come e' avvenuto nella
 fattispecie nella quale il tribunale di Marsala, presieduto dal dott.
 Giaimo (richiamando anche il  decreto  di  archiviazione  emesso  dal
 g.i.p. dello stesso tribunale del 4 settembre 1990 che aveva ritenuto
 allo  stato  degli  atti  non  sostenibile l'accusa nei confronti del
 Quinci  in  ordine ai fatti colposi di naufragio e omicidio plurimo),
 ha reputato  con  la  cennata  sentenza  civile  sostanzialmente  non
 imputabile  all'armatore  del  m/p  Massimo Garau (l'odierno imputato
 Giuseppe Quinci, legale rappresentante dell'Oceanpesca)  il  sinistro
 marittimo  e  le  conseguenze  che  ne  sono  derivate (diversamente,
 infatti,  alla   societa'   non   sarebbe   stato   accordato   alcun
 risarcimento)  pervenendo  a  conclusioni  su fatti (ad esempio sulla
 circostanza che la nave fosse o non adibita, invece che all'esercizio
 della pesca, al trasporto di passeggeri) tuttora sub judice  in  sede
 penale.
   Orbene,    la    mancata   previsione   della   prospettata   causa
 d'incompatibilita' appare, ad avviso di questa Corte,  come  eccepito
 dal  ricusante, in contrasto con 1'art. 3  della Costituzione perche'
 costituisce palese violazione del principio di parita' di trattamento
 di situazioni analoghe, nonche' con l'art. 24, secondo  comma,  della
 stessa   Costituzione   per   violazione   del   diritto  di  difesa,
 pregiudicato da  convinzioni  precostituite  in  ordine  alla  stessa
 materia  del  decidere  e  va,  infine,  ritenuta  anche contraria al
 successivo  art.  101  posto  a  presidio  dell'imparzialita'   della
 funzione giudicante.
   Trattandosi, alla stregua, di quanto fin qui detto, di un'omissione
 significativa   sotto   il   profilo   costituzionale,  la  questione
 sollevata, oltre che rilevante per la decisione  sulla  dichiarazione
 di ricusazione, risulta non manifestamente infondata.
   Gli  atti  vanno,  pertanto, rimessi alla Corte costituzionale e il
 procedimento di ricusazione dev'essere sospeso.