IL TRIBUNALE
   Riunito in camera di consiglio ha pronunziato la seguente ordinanza
 nei confronti  di  Provisiero  Vincenzo  in  atti  generalizzato,  su
 appello presentato contro l'ordinanza emessa dal tribunale di Napoli,
 VI  sezione  penale,  in  data  17-21 luglio 1998 con la quale veniva
 rigettata istanza di liberazione presentata nell'interesse del  detto
 Provisiero,  sottoposto  alla  misura  cautelare  della  custodia  in
 carcere, per sopravvenuta inefficacia.
   Letti gli atti:
                             O s s e r v a
   Il proposto appello impone al tribunale di affrontare il tema della
 legittimita'  costituzionale  degli  articoli  294  e  302,   c.p.p.,
 sollevato   dalla   difesa  dell'appellante  nel  corso  dell'udienza
 camerale di discussione.
   Oggetto  del  proposto  appello  e'  l'ordinanza  con  la  quale il
 tribunale di Napoli, VI sezione penale, in data   17-21 luglio  1998,
 ha  rigettato  la  richiesta  presentata nell'interesse di Provisiero
 Vincenzo,  volta  ad  ottenere  la   liberazione   di   quest'ultimo,
 attualmente   in   stato   di  custodia  cautelare  in  carcere,  per
 sopravvenuta  inefficacia  della  misura  cautelare  in   conseguenza
 dell'omesso  interrogatorio dell'imputato nei termini di cui all'art.
 294 del codice di rito.
   La VI  sezione  penale  del  tribunale  di  Napoli,  nel  rigettare
 l'istanza  difensiva,  rilevava  che il Provisiero Vincenzo era stato
 tratto in arresto, in esecuzione del  titolo  custodiale  emesso  nei
 suoi  confronti,  il  24  febbraio  1997 ovvero circa un mese dopo la
 trasmissione  degli  atti  da  parte  del  g.i.p.  al   giudice   del
 dibattimento, avvenuta il 20 gennaio 1997.
   Di   conseguenza,  tenuto  conto  della  fase  processuale  in  cui
 l'imputato veniva privato  della  liberta'  personale,  non  vi  era,
 secondo  il  tribunale,  alcun  obbligo  di  sottoporre il Provisiero
 all'interrogatorio  di  garanzia,  nemmeno  alla  luce  della   nuova
 formulazione  assunta dall'art. 294, c.p.p., a seguito della sentenza
 della Corte costituzionale 3 aprile 1997, n. 77.
   Come  e'  noto,  con  tale  sentenza   e'   stata   dichiarata   la
 illegittimita'  costituzionale dell'art. 294, comma 1, nella parte in
 cui non prevede che, fino alla trasmissione degli atti al giudice del
 dibattimento, il giudice proceda all'interrogatorio della persona  in
 stato  di  custodia  cautelare  immediatamente  e  comunque non oltre
 cinque  giorni   dall'inizio   della   esecuzione   della   custodia.
 Conseguentemente  e'  stata dichiarata con la stessa pronuncia, anche
 l'incostituzionalita'  dell'art.  302,  c.p.p.,  limitatamente   alle
 parole "disposta nel corso delle indagini preliminari".
   Ritenendo  dunque  che l'obbligo di procedere all'interrogatorio di
 garanzia  non  possa  oltrepassare  il  limite  rappresentato   dalla
 trasmissione  degli  atti  al giudice del dibattimento, il tribunale,
 come si e' detto, rigettava la richiesta difensiva.
   Tanto premesso, in sede  di  gravame,  la  difesa  del  Provisiero,
 riproponeva  la richiesta di scarcerazione per omesso interrogatorio,
 eccependo in via subordinata  la  illegittimita'  costituzionale,  in
 relazione  agli  artt.  3  e 24 della Costituzione, dell'art. 294 del
 codice di rito, nella parte in cui non prevede l'obbligo del  giudice
 di   procedere   tempestivamente   all'interrogatorio  della  persona
 sottoposta alla custodia cautelare in carcere  dopo  la  trasmissione
 degli  atti  al  giudice  del  dibattimento,  nonche'  dell'art. 302,
 c.p.p., nella parte in cui non sanziona con la perdita  di  efficacia
 della misura custodiale la violazione del suddetto obbligo anche dopo
 quel momento.
   Ritiene  il  collegio  preliminarmente  che la dedotta questione di
 legittimita' costituzionale debba ritenersi rilevante, in  quanto  le
 norme  di  cui si denuncia la non conformita' a Costituzione, sono le
 uniche applicabili alla fattispecie concreta, trattandosi di  gravame
 fondato  esclusivamente  sulla  prospettata  inefficacia  del  titolo
 custodiale per omesso interrogatorio di garanzia dell'imputato.
   Appare necessario, sotto il profilo della rilevanza, che  la  Corte
 sia  chiamata  ad  affrontare la questione del dovere di procedere ad
 interrogatorio anche in una fase ulteriore rispetto alla trasmissione
 degli atti al giudice del dibattimento, non potendosi giungere a tale
 conclusione per via interpretativa da parte del  giudice  remittente,
 in  quanto,  nella  formulazione  assunta dalla norma di cui all'art.
 294, c.p.p. in conseguenza dell'intervento del giudice  delle  leggi,
 l'obbligo per il giudice di procedere ad interrogatorio dell'imputato
 trova  il  suo  limite  temporale  nella  trasmissione  degli atti al
 giudice del dibattimento.
   La dedotta questione di legittimita' costituzionale deve,  inoltre,
 ritenersi non manifestamente infondata.
   Sotto  quest'ultimo  profilo  la  stessa  sentenza  n. 77 del 1997,
 nell'estendere la portata applicativa dell'art. 294,  del  codice  di
 rito,  non  ha  posto  come principio di diritto che l'obbligo per il
 giudice di procedere ad interrogatorio dell'imputato in vinculis  sia
 limitato  alla  sola  fase  compresa  tra  la  richiesta  di rinvio a
 giudizio  e  la  conclusione   dell'udienza   preliminare,   con   lo
 sbarramento  costituito  dalla trasmissione degli atti al giudice del
 dibattimento.
   Si e' al riguardo osservato in  dottrina  che  "in  motivazione  la
 Corte costituzionale precisa che la questione sottoposta al suo esame
 concerne  solo  la  fase  ricompresa  tra  la  richiesta  di rinvio a
 giudizio e la trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, ma
 afferma, poi, in termini che sembrerebbero poter consentire  analoghe
 conclusioni anche per le fasi processuali successive, che va esclusa,
 di  norma,  la  compatibilita'  con il diritto di difesa di limiti al
 dovere di procedere all'interrogatorio previsto dall'art. 294,  comma
 1,  per  motivi  collegati  unicamente  alla  fase in cui la custodia
 cautelare abbia il suo inizio".
   Limitare l'obbligo del giudice di procedere ad interrogatorio della
 persona sottoposta a misura cautelare alla  fase  ricompresa  tra  la
 richiesta  di  rinvio  a  giudizio  e  la  trasmissione degli atti al
 giudice del dibattimento, significherebbe, ad avviso del  remittente,
 violare  gli  articoli 13, comma primo e secondo, 24, comma secondo e
 3, comma primo della Costituzione.
   Al  riguardo  occorre   soffermarsi   brevemente   sulla   funzione
 dell'interrogatorio  della  persona  sottoposta  a  misura  cautelare
 personale,  attraverso  il  quale  il  giudice,  giusto  il  disposto
 dell'art. 294, comma 3, c.p.p., valuta se permangono le condizioni di
 applicabilita'  e le esigenze cautelari previste dagli artt. 273, 274
 e 275.
   Risulta evidente dalla formulazione della  norma  la  finalita'  di
 garanzia  dell'atto,  piu'  volte  sottolineata  dalla  stessa  Corte
 costituzionale in diverse pronunce nelle quali si  e'  ribadito  come
 l'interrogatorio  sia  uno  "strumento di difesa che mira a garantire
 all'imputato l'esercizio effettivo del relativo diritto in quanto gli
 consente di contestare l'accusa, in fatto ed in diritto, in  tutto  o
 in  parte,  a meno che lo stesso imputato non presti la sua adesione,
 totale o parziale, o eserciti la facolta' di  non  rispondere"  (cfr.
 Corte costituzionale, n. 221 del 20-24 maggio 1991).
   La    esclusiva    finalita'    garantista    e'   l'elemento   che
 contraddistingue l'interrogatorio  previsto  dall'art.  294,  c.p.p.,
 differenziandolo  per  questa  sua  peculiarita', dagli altri tipi di
 interrogatorio che il codice di rito consente sia al p.m. (artt.  364
 e 388) sia al giudice (art. 391).
   Ed invero solo per l'interrogatorio di garanzia, in caso di mancato
 compimento  dell'atto  nei termini di legge, l'art. 302 del codice di
 rito prevede la  sanzione  dell'inefficacia  della  misura  cautelare
 imposta, con obbligo, ai fini di una nuova applicazione della misura,
 di interrogare in stato di liberta' l'indagato.
   In   questa   prospettiva   deve   essere  ricondotto  l'intervento
 riformatore concretizzatosi nella legge 8 agosto 1995, n. 332, che ha
 rinnovellato l'art. 294, c.p.p., prevedendo, nel comma 6, il  divieto
 per  il  pubblico  ministero  di  procedere  ad  interrogatorio della
 persona in stato di custodia cautelare prima del giudice.
   Cio' ha  significato  rafforzare  la  funzione  di  garanzia  e  di
 controllo  di  tale  interrogatorio,  che,  in difetto della novella,
 rischiava di ridursi in concreto ad una mera  ripetizione  di  quello
 effettuato  dal  pubblico  ministero  con  finalita'  prevalentemente
 investigative e che, invece,  viene  adesso  dotato,  come  e'  stato
 osservato, "di una capacita' cognitiva conforme all'autorevolezza che
 discende dalla ... completa estraneita'" del giudice "alla conduzione
 delle indagini".
   E'  pur  vero  che,  una volta iniziata la fase del giudizio (Libro
 VIII del codice di rito) in conseguenza della trasmissione degli atti
 al giudice del dibattimento, l'imputato destinatario di  un'ordinanza
 custodiale,  puo'  utilizzare  diversi  strumenti  per  far valere le
 proprie ragioni: 1) richiesta di  riesame  ai  sensi  dell'art.  309,
 c.p.p.;  2) richiesta di revoca del titolo custodiale (rimedi, questi
 ultimi, esperibili anche nella fase delle indagini preliminari);   3)
 richiesta  di  essere  sottoposto  ad esame ovvero consenso ad essere
 esaminato in sede dibattimentale ai sensi dell'art. 208,  c.p.p.;  4)
 facolta'  di  rendere  in  ogni  stato del dibattimento dichiarazioni
 spontanee, giusto il disposto dell'art. 494 del codice di rito.
   Tuttavia tutti questi rimedi presentano la caratteristica di essere
 rimessi all'iniziativa delle parti,  in  quanto  estrinsecazione  del
 diritto  di  difesa,  che  in  questa  prospettiva  si manifesta come
 diritto disponibile, potendo l'imputato decidere  di  non  presentare
 richiesta  di  riesame  o  di  revoca  della misura cautelare, di non
 chiedere di essere  esaminato  ovvero  di  non  prestare  il  proprio
 consenso alla richiesta di esame eventualmente presentata dalle altre
 parti ovvero ancora di non rendere dichiarazioni spontanee.
   La  disponibilita'  del  diritto di difesa si traduce, cosi', nella
 disponibilita'  del  diritto  alla   liberta'   personale,   con   la
 conseguenza  che  in tutti i casi nei quali l'imputato sceglie di non
 difendersi, inevitabilmente egli rinunzia anche all'intervento di  un
 giudice che verifichi la sussistenza delle condizioni legittimanti la
 limitazione del diritto di liberta'.
   In   tal  modo  si  realizza  una  violazione  dell'art.  13  della
 Costituzione, nella parte in cui statuisce  la  inviolabilita'  della
 liberta' personale, da intendersi non solo nel senso che tale diritto
 non  puo'  formare  oggetto  di revisione costituzionale in peius, ma
 anche  nel  senso  che  trattasi  di  un  diritto  indisponibile   ed
 irrinunciabile,  la cui tutela non puo' essere rimessa esclusivamente
 al suo titolare, ma deve essere comunque garantita dall'intervento di
 un  giudice  terzo  che  verifichi  l'effettiva   sussistenza   delle
 condizioni che ne legittimano la compressione.
   Cio' appare conforme alla previsione costituzionale che consente di
 limitare  la  liberta' personale attraverso un provvedimento motivato
 dell'autorita' giudiziaria, ma solo nei  casi  e  nei  modi  previsti
 dalla  legge,  per  cui il controllo da parte di un giudice terzo dei
 presupposti  che  permettono  l'adozione  di  una  misura  cautelare,
 diventa   il  momento  qualificante  dell'attuazione  della  garanzia
 costituzionale.
   Unico  strumento  in  grado  di  assicurare  nella   sua   pienezza
 l'intervento del giudice terzo e' l'interrogatorio previsto dall'art.
 294  del  codice di rito, in quanto, come rilevato dalla stessa Corte
 costituzionale nella sentenza  n.  77  del  1997,  esso  "costituisce
 preciso  dovere  del  giudice,  un  dovere da assolvere in un termine
 immediatamente  a  ridosso  dell'inizio  della  custodia",  pena   la
 caducazione della misura custodiale prevista dall'art. 302, c.p.p.
   Limitare l'obbligo per il giudice di procedere ad interrogatorio di
 garanzia  al  momento  della  trasmissione  degli atti al giudice del
 dibattimento, significa, inoltre, realizzare anche  una  lesione  del
 diritto  di  difesa,  che  l'art. 24, secondo comma, Cost., definisce
 inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, proprio  perche',
 come  si  e'  gia'  detto,  e' l'interrogatorio, con il suo peculiare
 contenuto di garanzia per l'imputato, il tipico strumento in grado di
 assicurare  in  termini  di  effettivita'  l'esercizio  di   siffatto
 diritto.
   Sotto  questo profilo il solco tracciato dalla Corte costituzionale
 nella  sentenza  n.  77  del  1997  e'   destinato   ad   allargarsi,
 ricomprendendo  fattispecie  diverse  rispetto  a  quella in concreto
 presa in esame nella citata sentenza.
   Sul punto la posizione della Corte appare  inequivocabile:  "Non  a
 caso  sia  il  patto  internazionale  relativo  ai  diritti  civili e
 politici  del  1966  (in  vigore  per  l'Italia  dal  1977)  sia   la
 convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
 liberta' fondamentali del 1950 (entrata in vigore  per  l'Italia  nel
 1955),  chiedono  la piu' tempestiva presa di contatto con il giudice
 della  persona  arrestata  o  detenuta,  a  prescindere  dalla   fase
 procedimentale  in  cui  la  privazione  dello  status  libertatis e'
 avvenuta.
   Il tutto con precisi riverberi sul diritto alla liberta'  personale
 protetto   dall'art.   13   Cost.,   trascurandosi   altrimenti   che
 l'interrogatorio rappresenta una sorta di controllo successivo  sulla
 legittimita'  della  custodia  tanto  da  collegarsi  direttamente al
 diritto al writ of habeas corpus secondo le opzioni  seguite  durante
 il dibattito all'assemblea costituente.
   Cosi'  da condurre alla conclusione che il diretto collegamento con
 la  tutela   della   liberta'   personale   attraverso   un   modello
 procedimentale  costruito  in  funzione  di  verifica  e di controllo
 esclude di norma la compatibilita' con il diritto di difesa di limiti
 al dovere di procedere  all'interrogatorio  previsto  dall'art.  294,
 primo  comma,  per  motivi  collegati  unicamente alla fase in cui la
 custodia cautelare abbia il suo inizio,  perseguendo  tale  atto  "lo
 scopo"  -  come  enuncia  espressamente  il terzo comma dell'art. 294
 c.p.p. - "di valutare se permangono le condizioni di applicabilita' e
 le esigenze cautelari previste dai precedenti artt. 273, 274  e  275"
 (v. sentenza n. 384 del 1966)".
   La  necessita'  di  consentire  all'imputato  un  contatto  con  il
 giudice, appare evidente in particolare nella fase  compresa  tra  la
 trasmissione  degli atti al giudice del dibattimento e l'apertura del
 dibattimento:   la persona che in tale  fase  fosse  destinataria  di
 un'ordinanza  di  custodia  cautelare,  non  avrebbe  a  disposizione
 nemmeno quegli strumenti (richiesta di esame dell'imputato;  consenso
 all'esame  eventualmente  richiesto  dalle altre parti; dichiarazioni
 spontanee  dell'imputato),  che  la  giurisprudenza  di  legittimita'
 considera sufficienti a garantire l'esercizio del diritto di difesa e
 che per essere esperiti presuppongono la intervenuta dichiarazione di
 apertura  del  dibattimento e la conseguente esposizione introduttiva
 del  pubblico  ministero,  sicche'  in  tale  fase  l'unico   rimedio
 concretamente  attivabile risulterebbe il procedimento incidentale de
 libertate (richiesta di riesame o di revoca) che gia' la Corte  nella
 citata   sentenza  n.  77  del  1997  ha  ritenuto  non  equipollente
 all'interrogatorio  di  garanzia,  rilevando,  con   riferimento   al
 riesame,   1)  che  la  partecipazione  al  procedimento  di  riesame
 dell'imputato, "inserendosi in una procedura  che  non  coinvolge  il
 giudice  che  ha adottato il provvedimento cautelare, non puo' essere
 in alcun modo assimilata all'interrogatorio previsto  dall'art.  294,
 c.p.p.:  un  atto  che,  per  espressa  disposizione  di  legge, puo'
 provocare, anche  d'ufficio,  la  revoca  della  custodia  cautelare,
 secondo   il   disposto  dell'art.  294,  terzo  comma";  2)  che  la
 possibilita' che l'imputato sia sentito o dal tribunale  del  riesame
 ovvero,  nel  caso  in cui sia detenuto in luogo diverso da quello in
 cui ha sede quest'ultimo giudice, dal magistrato di sorveglianza, non
 costituisce un equipollente dell'interrogatorio, in quanto "l'oggetto
 dell'audizione restera' strettamente circoscritto al contenuto  delle
 doglianze  fatte  valere  con  il gravame"; 3) che "l'attivazione del
 procedimento di riesame e' riservata  all'indagato  (o  all'imputato)
 ovvero al difensore, laddove l'interrogatorio previsto dall'art. 294,
 comma 1, c.p.p., costituisce preciso dovere del giudice, un dovere da
 assolvere  in  un  termine immediatamente a ridosso dell'inizio della
 custodia", in relazione alla richiesta di revoca, "che l'istituto  in
 parola  si  colloca in una serie procedimentale profondamente diversa
 rispetto a  quella  in  cui  si  inserisce  l'interrogatorio  di  cui
 all'art.      294,   c.p.p.  e  fisiologicamente  coesiste  con  tale
 interrogatorio" e che "il presupposto per il compimento di tale  atto
 e'  che l'istanza di revoca o di sostituzione della misura sia basata
 su elementi nuovi o diversi rispetto a  quelli  gia'  valutati  (art.
 299,  comma  3-ter,  c.p.p.,  introdotto dall'art. 13, legge 8 agosto
 1995, n. 332).
   La  stessa  necessita'  di  consentire   all'imputato   l'immediato
 contatto  con  il giudice deve essere assicurata, naturalmente, anche
 nell'ulteriore ipotesi che la misura della custodia  in  carcere  sia
 applicata  quando  sia  intervenuta la sospensione di un dibattimento
 gia' aperto.
   Si ribadisce, inoltre, da parte di  questo  giudice  che  anche  la
 possibilita'  per  l'imputato di essere sottoposto ad esame nel corso
 del dibattimento, non costituisce una valida alternativa  all'obbligo
 di procedere ad interrogatorio di garanzia.
   Non  solo  perche', come si e' gia' rilevato in precedenza, l'esame
 dell'imputato rappresenta una semplice eventualita' all'interno della
 fase processuale, ma anche per la decisiva ragione che tale  atto  ha
 la   finalita'   tipica   del   mezzo   di  prova,  concorrere  cioe'
 all'accertamento della verita' processuale, rimanendo  estraneo  allo
 scopo  proprio  dell'interrogatorio  di  garanzia, che, come la Corte
 costituzionale ha insegnato, rimane quello "di valutare se permangono
 le condizioni di applicabilita' e le esigenze cautelari previste  dai
 precedenti artt. 273, 274 e 275".
   Infine  non  puo'  tacersi  la violazione dell'art. 3, primo comma,
 Cost. - ed anche sotto tale profilo va denunciata  la  non  manifesta
 infondatezza  della  questione  sollevata  -  per  la  ingiustificata
 disparita' di trattamento tra soggetti che si  trovano  in  identiche
 situazioni,  in  quanto a seconda della fase processuale in cui viene
 eseguita l'ordinanza custodiale, l'imputato che fosse  privato  della
 liberta' dopo la trasmissione degli atti al giudice del dibattimento,
 perderebbe  lo  strumento  piu'  efficace  ai fini difensivi rispetto
 all'imputato ovvero all'indagato destinatario di un titolo custodiale
 in un momento anteriore, non potendosi far  dipendere  l'effettivita'
 del   diritto   di   difesa,   che   si   realizza   solo  attraverso
 l'interrogatorio  di  garanzia,  dal  momento  in  cui   avviene   la
 trasmissione   degli   atti   al  giudice  del  dibattimento,  evento
 completamente indipendente dalla volonta'  dell'imputato  ed  il  cui
 verificarsi    dipende   esclusivamente   dai   tempi   organizzativi
 dell'ufficio del giudice per le indagini preliminari.
   Al riguardo va evidenziato che, mentre dopo la sentenza n.  77  del
 1997  della  Corte  costituzionale,  l'imputato  tratto in arresto in
 esecuzione  di  ordinanza  custodiale,  nella  fase  anteriore   alla
 trasmissione  degli  atti  al  giudice  del dibattimento e' garantito
 dall'obbligo  di  procedere  ad   interrogatorio,   indipendentemente
 dall'intervallo  di tempo che intercorre tra il momento del'arresto e
 la celebrazione dell'udienza preliminare, ove, in mancanza  di  detto
 interrogatorio,  si  verificherebbe il primo contatto con un giudice,
 viceversa  l'imputato  tratto   in   arresto   successivamente   alla
 trasmissione   degli   atti  al  giudice  del  dibattimento,  risulta
 ingiustificatamente  privo  di  tale  garanzia,  potendo,   peraltro,
 verificarsi  che  il  primo contatto con il giudice, che comunque non
 avrebbe il carattere dell'obbligatorieta', ne' le caratteristiche  di
 cui  all'art.  64, c.p.p, sia posposto di un lasso di tempo superiore
 ai cinque giorni.
   Cio' senza dire che la normativa risultante dopo l'intervento della
 Corte costituzionale potrebbe consentire al  giudice  di  privare  il
 soggeto  destinatario  della  misura  della  garanzia  ex  art.  294,
 applicando la misura con ordinanza emessa contestualmente al  decreto
 che  dispone  il  giudizio ed alla trasmissione degli atti al giudice
 per il dibattimento.
   Manifestamente infondata deve, invece, ritenersi  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale  sollevata  con riferimento all'art. 302
 del codice di rito.
   Invero, avendo la Corte costituzionale con la sentenza  n.  77  del
 1997  riformulato la norma contenuta nel primo periodo dell'art. 302,
 escludendo le parole "disposta nel corso delle indagini preliminari",
 l'eventuale   accoglimento   della    questione    di    legittimita'
 costituzionale   relativa   all'art.   294,   c.p.p.,  nell'affermare
 l'obbligo   di    procedere    ad    interrogatorio    di    garanzia
 indipendentemente   dalla   fase   processuale  in  atto,  renderebbe
 applicabile la sanzione della inefficacia della  custodia  cautelare,
 ogniqualvolta,  a  prescindere  dal  momento  processuale  in  cui si
 verifichi, non si proceda a tempestivo interrogatorio.